Luglio 13th, 2014 Riccardo Fucile
IL 40% DEI PARLAMENTARI NON VERSA LA QUOTA DOVUTA, TRA LORO NOMI ECCELLENTI
Il buco nei conti del partito c’è, per questo Silvio Berlusconi ha chiesto ai suoi parlamentari di contribuire, come pattuito.
Ma non tutti gli onorevoli hanno versato le quote che dovevano versare.
Libero ha quindi fatto una rassegna delle quote che mancano all’appello nelle casse del Pdl, ora FI: “Il quaranta per cento di voi non ha versato contributi al partito e io, con le nuove norme, non posso più metterci un euro”, ha ammonito il Cav, racconta il quotidiano diretto da Maurizio Belpietro.
Si legge:
La maggioranza dei rappresentanti azzurri ha versato al partito quanto pattuito, cioè venticinquemila euro come contributo alla campagna elettorale del 213 e ottocento euro al mese (9600 euro l’anno) per finanziarne le attività , qualcuno è stato più generoso, altri meno. Qualcuno proprio non compare.
Ci sono delle piccole avvertenze:
“I dati disponibili risalgono all’aprile scorso. E’ possibile che qualcuno, dopo la rampogna, si sia messo in regola. Inoltre, accanto alle persone fisiche, nell’elenco è possibile trovare alcune imprese, esercizi o attività : è possibile che alcuni parlamentari abbiano preferito far passare il loro contributo da lì”, scrive Paolo Emilio Russo.
Tra quelli che hanno versato di meno ci sono alcuni insospettabili: Michela Vittoria Brambilla ha versato 8.800 euro, Renato Brunetta “solo” 9600 euro, Lara Comi si è fermata a settemila, la neo tesoriera Mariarosaria Rossi 8.800, Sandra Savino 8400 euro, Francesco Nitto Palma 9600, Massimo Parisi 8mila.
Chi ha sborsato di meno è Barbara Matera, solo 5500.
Qualche centinaio di euro in meno hanno versato il vicepresidente della Camera Simone Baldelli, Annamaria Bernini, Sandro Bondi, Donato Bruno, Salvatore Cicu, Lucio Malan, Andrea Mandelli, Antonio Palmieri, Giovanna Petrenga, Manuela Repetti, la coordinatrice regionale della Calabria Jole Santelli, Francesco Paolo Sisto.
Tra i più generosi, a parte Silvio Berlusconi (2.800.000) c’è Raffaele Fitto ” che ha staccato nel 2013 un solo assegno di 25mila euro.
Lo stesso hanno Fatto Giancarlo Galan, l’ex sottosegretario e responsabile fund raising Daniela Santanchè, Bernabò Bocca, Rocco Palese e Luigi Perrone”.
Verdini “non risulta tra i contribuenti”, ma il “documento contabile del Pdl nasconde una sorpresa.
Nonostante tutto, al di là delle dure accuse che ha più volte lanciato contro gli ex colleghi di partito da quando è leaderenl Ncd, Angelino Alfano ha continuato anche dopo la scissione col versamento della sua quota al Pdl.
L’ultimo è stato registrato solamente il 20 marzo scorso: 8000 euro”.
Michaela Biancofiore, per esempio, ha versato al partito 58.600 euro.
Dietro di lei tra i più generosi c’è l’ex consigliere diplomatico del Cavaliere, viceministro degli Esteri nel governo di Enrico Letta, Bruno Archi.
Nel 2013 il diplomatico ha versato al partito che l’ha eletto in Parlamento – in più soluzioni – quasi 57mila euro.
Quasi quarantacinque mila euro li ha versati l’ex sottosegretario Giacomo Caliendo, quasi quarantaseimila il deputato Gregorio Fontana.
Sopra la media anche il senatore Sante Zuffada, medico veterinario originario del Lodigiano, alla sua prima legislatura, che ha girato al Pdl quarantamila euro.
(da “Huffingtonpost“)
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Luglio 13th, 2014 Riccardo Fucile
CON LA NOMINA DELLA MOGHERINI AD ALTO RAPPRESENTANTE UE, ANDREBBERO A POSTO LE ALTRE CASELLE
La parola “rimpasto” a Matteo Renzi non è mai piaciuta ma nei fatti di questo si tratta. Anche se a Palazzo Chigi preferiscono chiamarlo “riequilibrio”.
Un riequilibrio nel quale, almeno secondo l’ottica di Renzi, il Nuovo centrodestra andrebbe ridimensionato ma senza far perdere agli alleati troppa autorevolezza. L’occasione che il premier vorrebbe cogliere è data dalla nomina di Federica Mogherini ad Alto rappresentante per la politica estera dell’Unione europea.
Prima di tutto rimarrebbe vacante la poltrona del ministero degli Esteri e ad occuparla potrebbe essere proprio Angelino Alfano, che diventerebbe il titolare della Farnesina lasciando il Viminale.
Questa è una voce che gli circolava nei mesi scorsi ma che adesso si sta facendo sempre più insistente.
Il pressing di Renzi su Alfano, che ancora resiste, è in atto anche se in ambienti vicini al leader Ncd si fa notare che al momento non ci sarebbe ancora nulla di concreto e in più, non molti giorni fa, davanti a questa ipotesi lo stesso ministro dell’Interno aveva detto che se Mogherini andrà in Ue deve essere sostituita senza spostamenti dentro l’esecutivo.
Fatto sta che di questo si sta ragionando a Palazzo Chigi adesso che la teleconferenza tra Renzi, Francois Hollande e gli altri leader socialisti europei ha certificato il via libera a Mogherini.
Anche se l’appuntamento più importante resta quello di mercoledì quando i leader dei 28 Paesi Ue dovranno comporre il complicato puzzle delle nomine.
Ed è lì che tutto può ancora succedere.
In Italia l’intento di Renzi, che si sta occupando delle caselle del suo esecutivo, sarebbe quello di dare ad Alfano un incarico diverso da quello del Viminale, che il premier considera troppo di peso e per quella poltrona vorrebbe una personalità di sua stretta fiducia.
Un nome che sta circolando è quello di Marco Minniti, oggi sottosegretario con delega ai servizi.
Renzi sta, nello stesso tempo, cercando per Alfano una soluzione soft e la Farnesina sarebbe quella ideale.
Anche perchè, secondo il ragionamento che fa il premier, in questo modo il leader Ncd avrebbe davanti a sè una platea internazionale e soprattutto più peso nel Ppe indebolendo così Forza Italia.
In più a Renzi può tornare utile farsi dare una mano da Alfano nei rapporti con il capogruppo del Partito Popolare Europeo, il tedesco Manfred Weber, alla luce dello scontro avvenuto tra i due nel giorno dell’insediamento dell’Italia a guida del semestre europeo.
Dunque il leader di Ncd giocherebbe da ministro degli Esteri una partita a favore dell’Italia nel Ppe e a favore del suo stesso partito.
Tra le ipotesi, ma perde quota, c’è anche quella di inserire Alfano al fianco di Graziano Delrio alla presidenza del Consiglio.
La questione, comunque, potrebbe richiedere ancora del tempo anche perchè l’insediamento di Mogherini in Ue avverrebbe a novembre e almeno fino all’inizio dell’autunno ci sarebbero dei margini.
In questo modo il semestre Europeo sarà quantomeno a metà e si potranno attutire eventuali contraccolpi.
(da “Huffington Post”)
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Luglio 13th, 2014 Riccardo Fucile
DALLA RIFORMA IN SENATO ALL’EUROPA, PASSANDO PER GALAN, BERLUSCONI E GRILLO CHE PROTESTA IN PIAZZA
Da qualche mese a questa parte, per Matteo Renzi le settimane sono tutte “decisive”. Eppure quella che si apre si preannuncia più decisiva delle altre.
Tra voto in Senato sulle riforme costituzionali, manifestazione in piazza di Beppe Grillo, Consiglio europeo, decisione della Camera sull’arresto di Galan, il premier avrà il suo da fare.
“Non ho paura” ha detto durante la conferenza stampa di venerdì.
Ma in questi giorni, con tutti i nodi che vengono al petto, si capirà anche fino a che punto funziona la sua caratteristica di gettare il cuore oltre l’ostacolo. Sia in Italia che in Europa
Arriva in aula a Palazzo Madama la riforma del Senato e del Titolo V. Si comincia a votare mercoledì. Apparentemente con il mandato ai relatori approvato venerdì dalla Commissione Affari Costituzionali, Renzi dovrebbe contare sia sui voti della maggioranza, che su quelli di Forza Italia e Lega. Ma le dissidenze sono in agguato.
E le trattative continuano. Ci sono almeno 10-12 “dissidenti” del Pd e resta l’incognita bersaniani.
Tanto che martedì ci sarà una nuova assemblea di gruppo con tanto di voto.
I frondisti però sono bipartisan: il numero esatto di quelli di Forza Italia nessuno lo conosce (si va da un minimo di 10 a un 25-30).
Ncd e Lega ufficialmente sono rientrati. Ma l’articolo sulla non elettività del Senato resta a rischio. Anche perchè le trattative si incrociano con quelle sulla legge elettorale: bersaniani, Nuovo centrodestra e Carroccio in cambio del voto alle riforme chiedono una modifica sostanziale dell’Italicum, a partire dalle soglie di ingresso in Parlamento per i piccoli partiti, valutate troppo alte.
In ballo anche la questione preferenze, sulla quale entra in campo anche la partita con il Movimento Cinque Stelle.
Sulla legge elettorale vuole dire la sua anche Beppe Grillo. Che starà per tre giorni a Roma, a partire da martedì, per sostenere il muro dei Cinque Stelle contro la riforma di Renzi.
E magari per incontrare il segretario del Pd, al tavolo sulla legge.
Il premier si è detto disponibile a un incontro con i Cinque Stelle: il giorno fissato potrebbe essere mercoledì.
Tra le variabili la sentenza d’appello su Ruby di venerdì.
Le voci dicono che l’ex Cavaliere potrebbe perfino essere assolto (e questo faciliterebbe sia le riforme che la scrittura delle regole sulla giustizia): se così non fosse, si aprirebbero scenari inediti.
Siccome in Italia le vicende giudiziarie non finiscono mai, è in arrivo anche il voto della Camera sull’arresto di Galan.
La Giunta ha già detto sì, ma in Aula le incognite si moltiplicano: ci sarebbe anche un drappello di deputati dem pronti a dire no, in dissenso con il gruppo.
Ultimo, ma non per ultimo, mercoledì c’è il Consiglio europeo a Bruxelles.
Dopo l’apertura, si tratta della prima volta “reale” in cui Renzi siede con l’Italia a presiedere il semestre europeo.
In gioco ci sono soprattutto le nomine: Juncker alla fine dovrebbe incassare la fiducia dell’Europarlamento martedì. Ma su tutto il resto, dalla presidenza del Consiglio, alle poltrone economiche, il quadro è aperto.
Renzi sta giocando il tutto per tutto per ottenere la Mogherini come Mrs Pesc. Da come andrà la partita complessiva si vedrà anche quanto effettivamente Renzi ha la capacità e la possibilità di imporre la sua agenda in Europa.
Visto che ha fatto della flessibilità e dell’allentamento dei vincoli di bilancio una bandiera.
Luca De Carolis e Wanda Marra
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Luglio 13th, 2014 Riccardo Fucile
GIA’ L’ANNO SCORSO SU 175.993 STUDENTI IDONEI A RICEVERE UNA BORSA DI STUDIO, SOLO 141.310 LA OTTENNERO…ORA UN ALTRO TAGLIO DEL 30%
Borse di studio a rischio per gli universitari dell’anno accademico 2014/2015.
Non solo, difficoltà nel sostenere i corsi di recupero per gli studenti liceali, che a giugno sono stati sì promossi, ma con uno o più debiti da colmare a settembre.
Un liceale su tre, infatti, stando alle stime delle associazioni, dovrà provvedere di tasca propria alle lezioni di recupero giacchè le coperture finanziarie dello Stato non sono sufficienti.
Negli ultimi quattro anni i fondi necessari ai corsi di recupero estivi sono crollati del 50%, con una sottrazione di oltre 180 milioni di euro.
Intanto, il ministero dell’Istruzione, dopo la presentazione del Piano scuola, promette un pacchetto di riforme, che probabilmente arriverà in Consiglio dei ministri non prima di settembre.
L’obiettivo è quello di migliorare il sistema scolastico.
Ecco allora che si parla di autovalutazione e formazione del corpo docente, fino all’ispezione del lavoro svolto, l’aspetto «più complesso su cui si sta lavorando», spiega il ministro Stefania Giannini, perchè «bisognerà capire — conclude — quante risorse il governo potrà mettere».
Ed è proprio il capitolo risorse il punto debole.
Torna, infatti, ad accendersi la polemica sull’assegnazione delle borse di studio per gli universitari capaci, ma impossibilitati a raggiungere il traguardo della laurea senza l’aiuto dello Stato.
IL DECRETO
Il ministero di viale Trastevere tarda ancora sull’emanazione del decreto sul diritto allo studio attuativo del disegno di legge 68/2012, relativo ai livelli essenziali delle prestazioni che dovrebbe ammodernare le soglie minime di assegnazione delle borse di studio.
E, a detta delle associazioni studentesche, più che accelerare l’iter, il dicastero sembra portare avanti una bozza che, di fatto, tende a inasprire le regole per l’assegnazione degli assegni.
Da oltre un anno si attendono le nuove soglie di reddito, con gli indicatori Isee e Ispe, che il ministero avrebbe dovuto adeguare al costo della vita corrente.
Tuttavia, a restare in auge è la bozza risalente al 13 marzo 2013 e recante la firma dell’allora ministro Francesco Profumo, ripresa in mano dall’attuale responsabile del dicastero, Stefania Giannini.
Un testo che prevede diverse modifiche al ribasso per l’assegnazione delle borse. All’articolo due, ad esempio, la bozza prevede l’introduzione di un’età massima per poter beneficare dei contributi.
Sono esclusi gli studenti che entro 25 anni non siano iscritti al primo anno di un corso di laurea e quelli che al compimento del 32esimo anno non abbiamo presentato l’iscrizione a un corso di laurea magistrale.
Si passa poi ai requisiti di merito per l’erogazione delle borse: vengono aumentati i crediti formativi necessari per ottenere l’assegno in tutti i corsi di laurea.
IL TAGLIO
In sostanza, la bozza adeguerebbe il numero degli idonei alle risorse disponibili, invece che aumentare le risorse per coprire il numero di studenti meritevoli.
Gli idonei infatti si ridurrebbero del 30%, ovvero 50 mila potenziali borsisti in meno. «Una proposta inaccettabile — spiega il coordinatore nazionale dell’Udu, Gianluca Scuccimarra — in un contesto già gravissimo, in cui si garantisce una borsa solo a pochi iscritti».
Gli studenti idonei a ricevere una borsa di studio lo scorso anno furono 175.993, i borsisti che alla fine la ottennero: 141.310.
Il tutto in una situazione dove negli ultimi tre anni, anche per le difficoltà delle famiglie a sostenere un figlio all’università , le immatricolazioni hanno subìto un drastico calo: 30 mila iscrizioni in meno.
Mercoledì scorso, la IX commissione della conferenza Stato-Regioni ha respinto la proposta di aumentare i requisiti di accesso per le borse di studio (con l’eccezione di Lombardia e Veneto che invece si sono dichiarate favorevoli).
Tuttavia, dal ministero non pervengono ancora delle aperture per ridiscutere il testo del decreto
Camilla Mozzetti
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Luglio 13th, 2014 Riccardo Fucile
L’EX QUOTIDIANO DELLA MARGHERITA. NONOSTANTE I 30 MILIONI DI FONDI PUBBLICI PRESI IN 10 ANNI, POTREBBE CHIUDERE
“Due giornali di partito sono troppi, non possiamo permetterceli”. Parola di Matteo Renzi, durante l’assemblea nazionale del Pd dello scorso 14 giugno.
La stessa frase oggi ha un suono sinistro: i quotidiani del Partito democratico rischiano di chiudere entrambi. E presto: dopo L’Unità , che è stata messa in liquidazione e potrebbe scomparire dalle edicole già da luglio, ieri anche Europa ha lanciato il grido d’allarme.
Se non interviene nessuno, l’ex giornale della Margherita cesserà le pubblicazioni entro il 30 settembre.
Per tenere sul mercato il quotidiano di Stefano Menichini, in rosso dal primo anno di edizione, non bastano i fondi pubblici per la stampa: Europa ne ha incassati quasi 30 milioni nei suoi primi dieci anni di vita, dal 2003 al 2013.
Ieri il Comitato di redazione ha annunciato battaglia: “Sono irricevibili le comunicazioni della società editrice che ha disposto di avviare le azioni per la chiusura delle pubblicazioni per la fine di settembre (…) Il Cdr si batterà in tutte le sedi per garantire l’uscita del giornale oltre quella data”.
I redattori di Europa sottolineano “l’espresso apprezzamento” da parte dei vertici del Partito democratico “per la qualità del prodotto editoriale e per lo sviluppo online dove, nel corso del 2013 e nella prima parte del 2014, si è registrato un incremento del 300 per cento”.
Un apprezzamento che però non è mai andato oltre una generica promessa d’impegno, come racconta il direttore, Stefano Menichini: “Durante l’ultima direzione del Pd il problema è stato posto in modo chiaro dal presidente del cda di Europa, Enzo Bianco. Si parlava dei debiti de L’Unità , e lui è intervenuto per ricordare che ci siamo anche noi. Quel giorno rispose il tesoriere Francesco Bonifazi, assumendosi l’impegno di cercare una soluzione. Da quel giorno non abbiamo sentito più nessuno”.
Mentre l’Unità ha lanciato un appello che chiama in causa in prima persona il presidente del Consiglio, Europa rimane cauta su Renzi e sul ruolo del Pd.
Nel comunicato del cdr il nome del premier non si legge mai. “Il momento è complicato – spiega ancora Menichini – sappiamo che sono finiti i tempi dei salvatori e non possiamo più sperare che aziende editoriali che non sono in grado di stare in piedi siano tenute in vita dal proprio partito. Ma sappiamo anche che la nostra situazione è diversa da quella dei colleghi dell’Unità . Abbiamo già dato al nostro giornale una struttura agile con 14 articoli 1 e meno di 20 lavoratori, abbiamo attivato da tempo il regime di solidarietà e abbiamo puntato quasi tutto sull’online e sul digitale: per aiutarci ad andare avanti non serve uno sforzo enorme”.
Negli ambienti del Pd è circolata l’idea di riorganizzare l’assetto mediatico del partito, accorpando i due quotidiani in crisi (magari coinvolgendo anche la tv Youdem) e distribuendo “i compiti” tra l’edizione di carta e l’online, ma l’ipotesi è stata accolta con freddezza da entrambe le redazioni.
Ieri il cdr de L’Unità ha pubblicato un comunicato di solidarietà nei confronti dei “cugini” di Europa. In assenza di un intervento esterno, i due giornali rischiano di lasciare per strada circa 100 lavoratori.
Tommaso Rodano
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Luglio 13th, 2014 Riccardo Fucile
COME NELLE AREE MILITARI, NEL PD C’E’ “IL LIMITE INVALICABILE”
Nel mezzo della discussione, quando qualcuno che dovrebbe ubbidire tenta di ribellarsi e alza il tono e c’è il rischio di secessione, entra in sala Guerini, vicesegretario del Pd, dunque di Renzi e dice: “Il patto del Nazareno tiene”.
Noi (la maggior parte di noi, gli astanti) non sappiamo chi sia Guerini e perchè, sconosciuto com’era, sia così in alto (il vice di Renzi, il vice di tutto).
Ma non sappiamo neanche che cosa sia “il Patto del Nazareno” e perchè tenga, e perchè, il fatto che “il patto tiene”, rassicuri che tutto andrà come deve andare.
Come deve andare? Quando lo abbiamo letto, discusso, votato?
Se azzardi una domanda del genere, ti portano in scena l’intero tabulato delle elezioni europee, ti ricordano che la ragazza Bonafè ha avuto più voti di chiunque al mondo, inclusi John, Bob e Ted Kennedy.
Aggiungono, con l’esasperata pazienza dei veri democratici, che l’insieme delle tante eroiche Bonafè (tra cui una certa Moretti, appena un po’ meno votata, che compare di solito in silenzio accanto a Renzi se la Bonafè in quel momento non è disponibile) fa, in totale, il 40.8 per cento dei voti.
Dunque eccoti servito.
C’è il patto del Nazareno. C’è il voto plebiscitario. Ci sono milioni di italiani con il loro leader.
Inutile tentare di dire che quel voto era pro o contro l’Europa, non per il patto del Nazareno. Non ci provare. Sollevi una nuvola d’ira.
Quel voto era per Renzi e tutta la scolaresca, punto e basta.
Non vorrai offendere gli elettori, come quelli che mettevano in dubbio la legittimità di Berlusconi?
A volte Guerini precisa: “Noi siamo disponibili a confrontarci su tutto. Nell’ambito del Patto del Nazareno” (citazione testuale, Tg3, ore 19, 6 luglio).
Guerini è attendibile. Sono buoni e cari, questi ragazzi di Renzi, ma c’è una linea che non si può attraversare.
Puoi avere estro, istinto politico, rapporto stretto con gli elettori, puoi essere persino più inventivo di Calderoli. Ma i patti sono chiari.
“Qualunque intervento o dibattito o sfida o confronto finisce qui”. E ti indicano il punto in cui comincia lo spazio già definitivamente assegnato al “Patto del Nazareno”. Come nelle aree militari, ti dicono che “il limite è invalicabile”.
Vorresti sapere chi ha stabilito quel limite, raro in politica, perchè è senza ritorno? Vuoi sapere chi vigila e chi lo presidia?
La seconda domanda è facile.
Ammesso che in questo patto ci siano due contraenti, su uno vigila Guerini e, a turno, tutti i ragazzi della ormai celebre Scuola Leopolda di Matteo Renzi (al confronto, il collegio di magia del maghetto Harry Potter è poca cosa).
Sull’altro si alternano volontari, una volta Romani, della premiata ditta Mediaset, una volta Brunetta, che farà anche spettacolo ma ci puoi contare, perchè tiene i suoi in riga.
E alla fine persino Calderoli (pensate, Lega Nord, area Borghezio), ma, nella nuova versione, uno che compra bene i saldi, e di professione fa il mediatore parlamentare.
È capace di trovare una soluzione anche al Senato eletto — non eletto — però eletto, tanto che sarà protetto da immunità (e chi dice che quella salvifica immunità non possa estendersi, con un paio di colpi di mano detti emendamenti, al mestiere pericoloso di assessore regionale e comunale, certo, in osservanza del Patto del Nazareno?)
Quanto alla domanda che ho fatto prima (che cos’è il Patto del Nazareno e perchè è la porta magica da cui passa la nuova Italia?) credo che la risposta sia: quando dicono “riforme” pensate “Patto del Nazareno”.
Quando dicono “Patto del Nazareno” pensate “riforme”.
Mi direte che è un nodo scorsoio. Un Paese incaprettato. Certo che lo è.
Il Paese è tenuto fermo in un altro tempo, che credevamo finito e che non può sboccare in un dopo. Perchè nulla (nulla) può essere fatto o cambiato o innovato senza l’approvazione e collaborazione e partecipazione di Silvio Berlusconi e della sua gente (quelli che ancora si riconoscono in questa definizione).
È vero che il pover’uomo ha perduto alcuni dei suoi sodali migliori nella guerra con la Giustizia (che presto, con la riforma che riguarda i giudici e il Csm — nell’ambito del Patto del Nazareno — pagherà per i colpi che è riuscita a infliggere alla malavita politica).
È vero che il blocco politico, da lui fondato e pagato, gli si sfarina intorno.
Ma avrete constatato che è stato deciso di non notarlo. Ovvero di stringerlo in un abbraccio così stretto da non far capire che non sta più in piedi da solo.
Lasciate perdere la questione esteticamente sgradevole del condannato.
Non è la sua forza (ormai finita) che conta, ma la messa in scena che consente, anzi obbliga, a lavorare insieme. Il fatto è che la corsa velocissima di Matteo Renzi, e dei ragazzi della sua classe, gira vorticosamente intorno a Berlusconi, che è fermo e stremato, però consultato e riverito per poter dire: attenzione ragazzi, dobbiamo rispettare il patto
E quando Guerini entra in aula e ammonisce i possibili dissidenti confermando che “Il patto del Nazareno tiene” e dunque non si facciano illusioni, non fa che parodiare l’altra frase di scuola Leopolda: “Discutete finchè volete, ma la decisione finale è già presa e non cambia perchè è nel Patto del Nazareno”.
Che vuol dire: arrendetevi, non c’è via d’uscita. Siete in un percorso bloccato. È vero. Ma non rinunciate a chiedere (perchè dovrete spiegarlo alle generazioni in arrivo) come è successo, per mano di chi, che abbiamo perso il diritto di fare politica e di discutere non dico sulla Giustizia, che sarà un massacro (la decapitazione improvvisa della Cassazione è già avvenuta) ma anche solo sulla trasformazione del Senato in Camera di Commercio degli assessori e dei sindaci?
Furio Colombo
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Luglio 13th, 2014 Riccardo Fucile
DAL 1994 AL 2014: CAMBIANO I PERSONAGGI, MA LA STORIA SI RIPETE
Il Consiglio dei ministri del 13 luglio è più breve del solito.
Il premier e i ministri han fretta di correre a vedersi la semifinale dei Mondiali di calcio. Ma, profittando della distrazione generale, cacciano anzitempo il Cda Rai per sostituirlo con un vertice di stretta osservanza governativa, e varano in quattro e quattr’otto due leggi vergogna da urlo: un condono fiscale per gli evasori, pudicamente ribattezzato “concordato”; e un decreto che salva dalla galera i colletti bianchi (niente più custodia cautelare in carcere, al massimo domiciliari, per concussione, corruzione, peculato, abuso d’ufficio, finanziamento illecito ai partiti, bancarotta fraudolenta, falso in bilancio, frode fiscale, associazione per delinquere, truffa allo Stato).
Intanto le tv pubbliche e private bombardano gli italiani con spot che annunciano i mirabolanti (e inesistenti) risultati già ottenuti in pochissimo tempo dal nuovo governo, con slide dominate dalla scritta “Fatto!”, e con sondaggi che annunciano l’irresistibile ascesa del premier e del suo partito, ben oltre il recente successo elettorale.
A questo punto è bene precisare l’anno in cui avveniva tutto ciò: il 1994.
E anche il nome del presidente del Consiglio: Silvio Berlusconi.
Oggi la storia si ripete, ma con qualche piccola variante.
Ci sono sempre i Mondiali, anche se vent’anni fa l’Italia di Sacchi andò in finale e la perse malamente ai rigori contro il Brasile, mentre quest’anno è subito rincasata.
C’è sempre un premier “nuovo”, mediatico, chiacchierone, molto populista e popolare, anche se non guida la destra ma il centrosinistra.
Al posto degli spot “Fatto!”, ci sono le slide di Renzi e le sue conferenze stampa con effetti speciali, ma la sostanza non cambia: si danno per fatte leggi mai viste, o solo annunciate, o ancora da approvare, o già approvate ma prive delle norme attuative.
E soprattutto si annuncia la “grande riforma” della Costituzione che rafforza a dismisura il premier a scapito dei poteri di controllo, Parlamento in primis: se però B. — piduista doc — si vantava del proprio autoritarismo, Renzi — piduista a sua insaputa — lo nega a dispetto dell’evidenza.
E il condono agli evasori? Tranquilli, sta arrivando: solo che oggi, anzichè camuffarlo da “concordato”, lo chiamano “voluntary disclosure”, in inglese, così pochi capiscono che ripulisce i fondi neri dei grandi frodatori depenalizzando i reati commessi per arraffarli.
E il decreto Biondi? Abbiamo anche quello.
Si chiama decreto Orlando del 26 giugno: “Non può applicarsi la misura della custodia cautelare in carcere se il giudice ritiene che, all’esito del giudizio, la pena detentiva da eseguire non sarà superiore a 3 anni”.
Il che equivale a immunizzare dalla galera tutti i galantuomini sorpresi a tentare stupri, rapinare, rubare, borseggiare, spacciare, molestare o stalkerare ragazze, pestare moglie e figli.
Ma anche corrotti, corruttori, politici finanziati illegalmente, frodatori fiscali eccetera, che con comodi patteggiamenti o riti abbreviati superano raramente i 3 anni di condanna.
Non tutto però è uguale al ’94.
Da allora, se Dio vuole, molte cose sono cambiate e tanto tempo non è trascorso invano. Vent’anni fa, a bloccare il decreto Biondi, provvidero i pm di Mani Pulite, abbandonando polemicamente le inchieste su Tangentopoli; e i giornali, da La Voce di Montanelli a Repubblica di Scalfari al Corriere di Mieli a La Stampa di Mauro, che informarono i cittadini sugli effetti del “Salvaladri” innescando un meccanismo virtuoso a catena.
Migliaia di persone scrissero e telefonarono ai giornali e ai partiti, Montanelli lanciò la raccolta di firme del “popolo dei fax”, movimenti e partiti di opposizione chiamarono la gente nelle piazze, Lega e An si spaventarono e costrinsero B. a ritirare il decreto (“io non lo volevo, è stato Biondi…”).
Ecco, oggi le porcate sono identiche.
Mancano solo un’informazione che le chiami col loro nome, un’opposizione che le contrasti e un’opinione pubblica che protesti.
Per il resto tutto bene.
Marco Travaglio
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Luglio 13th, 2014 Riccardo Fucile
“SE LA CASSAZIONE MI CONDANNA, MOLLO TUTTO”… VERDINI: “RISPETTA I PATTI CON RENZI”… I FRONDISTI DI FITTO TENTATI DI LASCIARE L’AULA AL MOMENTO DEL VOTO
L’hanno preso da parte, nei giorni tristi che precedono la sentenza d’appello del processo Ruby.
I figli maggiori e Fedele Confalonieri da una parte, Silvio Berlusconi dall’altra.
«Papà , non puoi consentire che Forza Italia danneggi le aziende. Non deve diventare un peso, altrimenti è meglio liberarsene… ».
Una provocazione, per ora, visto che Marina e Piersilvio comprendono il potere contrattuale garantito al padre dalla leadership del partito.
Eppure coglie nel segno, perchè l’ex premier si sente accerchiato, impaurito, stanco: «È tutto finito, tutto è perso. E se tra qualche mese mi condannano anche in Cassazione e mi costringono ai domiciliari, stavolta mollo tutto».
Non è un caso, allora, che bocci ormai ogni iniziativa o proposta di rilancio di FI, incollato al divano di Arcore: «Liquiderei tutti, mi hanno scocciato. Non sopporto più nessuno».
Dovrà sopportarli ancora, però, visto che i frondisti azzurri del Senato non lasceranno il gruppo e meditano in queste ore di abbandonare l’Aula al momento del voto sul ddl Boschi.
La famiglia è più governativa che mai. Giorni fa è stato Piersilvio a benedire il percorso riformatore del presidente del Consiglio. Elogi confermati, anzi rafforzati in privato.
L’obiettivo dei figli, infatti, è quello di costruire un futuro in cui le aziende possano interloquire con il governo, al pari degli altri colossi dell’economia italiana, attraverso i normali canali di lobbying: «Senza correre dietro al voto di un senatore che ama distinguersi…», ripetono.
Prima, però, c’è da condurre in porto le riforme. E da sconfiggere chi vuole ostacolarle.
Chi tifa per l’accordo con il premier sta costruendo attorno al Cavaliere un muro di cinta invalicabile.
«Vuoi condannarti all’irrilevanza? No, non vuoi e non puoi. E allora – è il consiglio di Denis Verdini – dobbiamo andare avanti e mantenere i patti con Renzi».
Lo farà , sa di non avere vie d’uscita, nè considera razionale frantumare l’intesa del Nazareno: «Non ho alternative – continua a ripetere – non posso tirarmi indietro, non adesso. La nostra forza è restare al centro delle riforme».
Il sogno rimane la grazia, ma lo sbocciare di nuovi processi gela ogni ottimismo e mortifica il morale.
A Palazzo Madama grandi manovre precedono l’approdo della riforma costituzionale in Aula.
Nell’attesa, le due fazioni azzurre si organizzano.
Da una parte c’è il cerchio magico di Francesca Pascale e le ambizioni da leader di Giovanni Toti, dall’altra le preferenze e il radicamento di Raffaele Fitto.
Il dibattito generale sul ddl Boschi si esaurirà tra domani e martedì, poi mercoledì si comincerà a votare.
E inizieranno i problemi, perchè gli irriducibili non vogliono arretrare: «Io voto contro – giura Augusto Minzolini – l’ho già fatto in commissione. La fronda si riduce? Non mi sembra proprio…».
Non tutti, però, sono disponibili allo strappo sul provvedimento del governo.
Raffaele Fitto tiene a bada i suoi sette senatori, che si muovono a braccetto con altri setto o otto azzurri campani: in tutto la pattuglia di ribelli conta una quindicina di parlamentari.
Fra questi, Vincenzo D’Anna: «FI ha una patente subalternità a Renzi, ma se continuiamo così la nostra gente voterà direttamente per il premier».
L’idea è quella di uscire dall’Aula al momento decisivo: «È possibile, vedremo – sostiene D’Anna – anche se può suonare un’inutile ipocrisia». La linea consegnata dal big pugliese ai suoi uomini, invece, è chiara: «Dare un segnale, senza strappare».
Prima, però, andranno consumati una serie di passaggi dolorosi.
Uno è quell’assemblea del gruppo – in agenda per martedì – che Berlusconi vorrebbe evitare. Il rischio, in questo quadro, è che il voto finale dell’Aula arrivi dopo venerdì, data in cui i giudici si chiuderanno in camera di consiglio per la sentenza del processo Ruby.
«Non cambia nulla », è il mantra del cerchio magico. Di certo il braccio di ferro continuerà fino all’ultimo minuto utile.
E i pasdaran di FI non piegheranno la testa. Non certamente Minzolini, come ha spiegato un paio di giorni fa a un amico del Senato: «Augusto, dimmi la verità : perchè fai tutto questo?».
E lui: «Perchè è giusto così. E poi perchè mi diverto… ».
Tommaso Ciriaco
(da “La Repubblica”)
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Luglio 13th, 2014 Riccardo Fucile
L’EX DEPUTATO PDL, CONDANNATO IN VIA DEFINITIVA PER CONCORSO ESTERNO IN ASSOCIAZIONE MAFIOSA, POTRA’ RIMANERE NEGLI EMIRATI ARABI
Amedeo Matacena potrà rimanere negli Emirati Arabi.
Per l’ex deputato del Pdl, ha riferito uno dei suoi difensori, l’avvocato Enzo Caccavari, è stata negata l’estradizione fatta dalla Dda di Reggio Calabria a Dubai.
“La richiesta di estradizione per Matacena è stata ritenuta totalmente illegittima dall’autorità giudiziaria degli Emirati arabi perchè in quel Paese non esiste il reato di concorso esterno in associazione mafiosa”, ha detto il legale.
“La decisione di rigettare la richiesta di estradizione dimostra, come ho sempre pensato, che negli Emirati arabi vengono rispettati i diritti del cittadino”, è stato il commento dell’ex deputato Matacena, riportato dal suo avvocato Caccavari.
Condannato in via definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa, Matacena è tuttora latitante a Dubai malgrado la promessa di qualche settimana fa di essere pronto a rientrare in Italia per riabbracciare i figli e la moglie Chiara Rizzo, anch’essa arrestata e poi ai domiciliari dopo alcune settimane in carcere.
L’ex deputato era coinvolto nell’inchiesta sull’ex ministro Claudio Scajola, ora ai domiciliari.
(da “La Repubblica”)
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