Luglio 16th, 2014 Riccardo Fucile
I MALPANCISTI AZZURRI: “SE CONDANNANO SILVIO, LIBERI TUTTI”
La parola chiave è “Ruby”.
È attorno all’attesa della sentenza che prende forma la manovra dei malpancisti di ogni schieramento sul nuovo Senato.
Un calcolo politico che incrocia una previsione psicologica sulla tenuta dei nervi di Silvio Berlusconi.
Perchè l’ex premier è davvero scosso dalla paura della sentenza più temuta e più infamante.
Anche all’interno del cerchio magico sono rimasti colpiti dallo show durante la riunione di martedì. Ai tempi d’oro avrebbe riconquistato D’Anna con un sorriso oggi invece lo manda al diavolo, invoca i probiviri.
Manda al diavolo Capezzone, Minzolini e chi dice no al “patto del Nazareno”.
Di fronte all’ennesimo schiaffo giudiziario, la speranza di più di un frondista non è tanto che mandi al diavolo Renzi e stracci gli accordi ma che si infiammi il clima dentro Forza Italia.
Un senatore democrat confida: “Berlusconi non tiene più i suoi. Tutti capiscono che, se non ottiene uno sconto di pena, è finito. Sette anni in Appello avvicinano i domiciliari e allora liberi tutti”.
La sensazione è che lo spettro di una nuova scissione si aggiri dentro Forza Italia.
Ma il tempo, in questa partita è tutto. Raffaele Fitto è un politico fin troppo consumato per non sapere che un atto di rottura sulle riforme prima di Ruby lo esporrebbe all’accusa di tradire nel momento più delicato e difficile per il Capo.
Per questo è stata rimandata la solenne riunione degli “autoconvocati”, quelli che dicono no al nuovo Senato.
Incontri, cene, abboccamenti avvengono in queste ore in maniera assai più informale. Solo dopo la sentenza si potrà dire: “Presidente, tu hai chiesto la fiducia su di te. Ma adesso è cambiato tutto. Hai puntato tutto sulla pacificazione e questa è la ricompensa. Va cambiato schema”.
“Tempo” è l’altra parola chiave insieme a Ruby.
Perchè è chiaro che in Senato la guerra lampo sulla riforma si è già insabbiata.
C’è un filo rosso trasversale che lega i mal di pancia trasversali e i rinvii.
I 124 iscritti alla discussione generale si stanno prendendo tutto il loro tempo, senza rinunciare neanche a un minuto per esprimere il loro dissenso.
Dopo le 42 ore di discussione generale, arrivano i 7831 emendamenti su cui è impossibile contingentare i tempi.
Possibile anche che la discussione, la prossima settimana, si possa bloccare per l’approvazione dei decreti in scadenza.
Sarà dunque il “generale agosto” il vero protagonista delle votazioni sulla riforma. A lui i frondisti affidano la manovra su un “incidente”. Non è in discussione che “una maggioranza sul nuovo Senato ci sia”, con o senza i due terzi.
Ci sono però degli emendamenti che, se passano, possono rimettere in discussione tutto.
È quello sulla riduzione dei deputati a 470 invece che 630 il cavallo di troia per rimettere in discussione tutto.
Sulla carta non fa una piega, è popolarissimo perchè incrocia il sentimento anticasta di chi vuole tagliare anche l’altro ramo. Se passasse avrebbe il classico effetto della bomba in un formicaio.
Ed è attorno a questa trama che Ruby e il generale agosto si incontrano.
Perchè è chiaro che un conto è arrivare agli emendamenti più insidiosi con Forza Italia esplosa un conto è arrivarci con Berlusconi rafforzato da uno sconto di pena che in parecchi considerano tutt’altro impossibile.
Oggi lo ha scritto anche il Fatto, dando ragione agli avvocati di Berlusconi. In un articolo di Marco Lillo dal titolo Ruby, perchè 7 anni sono troppi si legge: “Per una volta gli avvocati di Berlusconi non hanno tutti i torti: la condanna in primo grado sul caso Ruby non sta in piedi. Se la pena fosse ridotta in Appello non sarebbe uno scandalo”.
Una tesi motivata dal fatto che il reato contestato a Berlusconi, la “concussione per costrizione”, sarebbe stato praticamente abolito.
Dentro Forza Italia l’articolo viene letto come un modo furbo per sollecitare una reazione dei giudici, una specie di abbraccio mortale.
Venerdì il verdetto.
Su Berlusconi ma, per molti, anche sul percorso delle riforme.
(da “Huffingtonpost”)
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Luglio 16th, 2014 Riccardo Fucile
PROBABILE RINVIO DI OGNI DECISIONE A FINE AGOSTO: COSI’ LA MOGHERINI AVRA’ UN MESE DI ESPERIENZA IN PIU’?… I POPOLARI TEDESCHI: “SOLO IL MINISTRO DEGLI ESTERI UNGHERESE HA MENO COMPETENZE DELLA MOGHERINI”
Ogni volta è una sorpresa. Trovarsi sulla stampa o sui dispacci delle agenzie il nome di Enrico Letta candidato ad un incarico europeo manda Matteo Renzi in tilt.
Stavolta poi, addirittura a vertice europeo iniziato, il presidente del consiglio italiano apprende di una candidatura dell’ex premier alla presidenza del consiglio europeo da parte dell’attuale presidente del consiglio Ue Herman Van Rompuy.
Sono fonti del Ppe che mettono in giro la voce con i cronisti.
Ma il punto è che, parlando con Renzi prima del summit Ue, Van Rompuy non avrebbe ufficialmente fatto il nome di Letta e la sorpresa lascia spazio anche all’irritazione
Perchè di tanto in tanto spunta fuori il nome dell’ex premier, che Renzi fin dall’inizio non ha preso in considerazione per un incarico di vertice in Ue?
A Bruxelles girano diverse voci che parlano di pressioni internazionali, anche non europee, sul nome di Enrico, dall’America a Israele, paese che Mogherini ha visitato proprio oggi intrattenendosi a colloquio con Benjamin Netanyahu sulla situazione di crisi nella striscia di Gaza.
Ma stando ai fatti, per il ruolo di ‘Mr/Mrs Pesc’ sul tavolo per ora c’è solo la candidatura ufficiale del ministro degli Esteri italiano Federica Mogherini.
Solo che l’accordo è di là da venire ed è molto probabile che si decida per un rinvio ad un nuovo vertice alla fine di agosto.
Intorno al nome di Mogherini si è coagulato tutto il gruppo del Pse.
Massimo D’Alema? Certo, il nome suona caro alla famiglia socialista europea, ma Renzi non la considera un’opzione, resta fermo sulla Mogherini come i bambini viziati.
Il problema è che sul nome di Mogherini resta il blocco dei paesi dell’est, i quali accusano la titolare della Farnesina di avere posizioni troppo vicine alla Russia di Putin.
Fatto sta che a Bruxelles l’ipotesi del rinvio si fa strada da subito. Già in mattinata il vertice Ue è slittato di due ore nel tentativo di lasciare maggior tempo alle trattative. Ma al loro arrivo a Palazzo Justus Lipsius, molti leader si sono detti inclini ad una soluzione che contemplasse tutto il pacchetto delle nomine e non solo quella dell’Alto Rappresentante per la politica estera.
Tra questi, la stessa Merkel, che ha parlato chiaramente del rischio rinvio, e anche il premier svedese Friedrik Reinfeldt, nonchè la presidente della Lituania Dalia GrybauskaitÄ—. Tutti e tre hanno anche chiesto maggiori sanzioni contro la Russia per via della crisi con l’Ucraina.
Da notare che sia Reinfeldt (Ppe) che GrybauskaitÄ— (indipendente ma vicina al Ppe) sono in lizza per la presidenza del consiglio europeo.
E se il primo è freddo verso l’ipotesi Mogherini, la seconda invece è proprio la più esplicitamente contraria alla candidatura del ministro italiano.
Di fatto, la lituana GrybauskaitÄ—, soprannominata ‘Lady di ferro’ non solo per il temperamento ma anche perchè è cintura nera di karate, guida il fronte dei paesi dell’est sul no a Mogherini.
Ma contro la Mogherini, dopo l’opposizione di vari paesi orientali, si è schierata anche la Germania: “Sinceramente – ha detto il tedesco Elmar Brok (popolari), presidente della commissione Affari esteri del Parlamento europeo e tra i consiglieri di politica estera del cancelliere tedesco Angela Merkel – ritengo che ci sia bisogno di qualcuno che abbia buona competenza e buona conoscenza in politica estera”.
Non solo. A chi gli chiede nomi alternativi alla candidata italiana, Brok fa i nomi di Elisabeth Guigou (Francia), Kristalina Georgieva (Bulgaria) e Ratoslaw Sikorski (Polonia).
Brok poi aggiunge che, rispetto alla Mogherini, “solo il ministro degli Esteri dell’Ungheria ha meno competenze” per fare l’Alto Rappresentante.
La mazzata finale.
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Luglio 16th, 2014 Riccardo Fucile
LE ANTICIPAZIONI DEL PROGETTO DELLA SANTANCHE’ SULLA STORICA TESTATA
Genera sconcerto l’ipotesi di acquisizione dell’Unità da parte di Daniela Santanchè e Paola Ferrari.
Ma c’è anche chi sostiene che fanno sul serio, che la coppia è bene assortita e adatta allo scopo: qui non si tratta di rilanciare una testata, ma di rifarla da capo a piedi.
Un settore, quello del rifacimento, in cui entrambe ci hanno messo la faccia (e non solo quella).
Di più: esisterebbe un piano di cambiamento dei connotati dell’Unità nei dettagli, dei quali anticipiamo i punti salienti.
Testata.
Come ha detto Matteo Renzi, il giornale fondato da Antonio Gramsci “è un brand da tutelare”
Ferrari & Santanchè sono d’accordissimo, anzi, secondo loro potrebbe diventare addirittura una griffe.
I primi passi sarebbero il restyling della testata, con la U a richiamare la U di Emmanuel Ungaro, e la creazione di un nuovo logo: una doppia G di Gramsci ispirata alla doppia G di Gucci
Sede.
Sarebbe quasi pronta una faraonica redazione in Largo del Nazareno: Denis Verdini si starebbe occupando degli ultimi ritocchi.
Per i redattori dissidenti, in quota Corradino Mineo, ci sarebbe uno stanzino separato, messo a disposizione da Renato Brunetta. Quanto alla sede milanese, certa Via Montenapoleone; resta da decidere in quale showroom.
Direzione.
Tra Vittorio Feltri (il candidato della Santanchè ) e Ivan Zazzaroni (il candidato della Ferrari) potrebbe spuntarla Sandro Sallusti (il candidato di Feltri).
Poche chance per Vasco Errani, caldeggiato da Renzi in persona, ma considerato troppo di destra.
Gadget.
L’apoteosi di ogni brand che si rispetti. Allo studio un po’ di tutto: orecchini a forma di falce e martello tempestati di swarowski, scarpe e borsette in pelle di pitone con la doppia G di Antonio Gramsci, dvd celebrativo dell’ultimo ventennio (Quando c’era Berlusconi), poster del faccione di Gramsci con una nuova acconciatura firmata dai Vergottini .
Sponsor.
Paola Ferrari avrebbe pronto un accordo con l’Enel per illuminare a giorno tutte le redazioni, in particolare gli uffici degli editori, con le stesse lampade al quarzo e led ad alto voltaggio utilizzati per La domenica sportiva.
Anche il Comune sarebbe disposto a fare la sua parte, perchè la sede dell’Unità diventerebbe la Times Square romana.
Festa.
La sede della Festa nazionale dell’Unità verrebbe trasferita a Porto Cervo.
Per l’occasione Flavio Briatore sarebbe disposto a riaprire il Billionaire (“Per un brand da tutelare, questo e altro”) e a fare le cose in grande.
Niente più salamelle, solo aragostelle; niente più orchestrine che suonano Guantanamera, ma un recital esclusivo di Michael Bublè che reinterpreta Bandiera rossa in chiave swing.
Esclusivo privè per Renzi e amici, esclusivissimo privè del privè per Corradino Mineo e amici.
Lettori.
Si punta a riconquistare lo zoccolo duro originario. Quei lettori che un tempo “compravano l’Unità per sapere che cosa pensa il partito”, come ha scritto ieri Michele Serra.
Adesso potrebbero sapere che cosa comprano Daniela Santanchè e Paola Ferrari.
Nanni Delbecchi
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Luglio 16th, 2014 Riccardo Fucile
DAL PIRELLONE A INFRASTRUTTURE, IL GIRO DELLE NOMINE DELL’EX SEGRETARIO LEGHISTA
Sono “indaghizzato”: viene su spontaneo ironizzare, a causa dell’effetto Crozza, dinanzi alla notizia del presidente della regione Lombardia Roberto Ernesto Maroni, detto universalmente Bobo, indagato a Busto Arsizio per “induzione indebita a dare o promettere utilità “.
Ex impiegato dell’azienda di cosmetici Avon, fan di Bruce Springsteen e lui stesso musicista tuttora praticante, il governatore è stato sempre afflitto da una patologica timidezza, colta dal suo perfido imitatore e già raccontata da Guido Passalacqua nel suo libro sugli esordi della Lega.
Ma l’antico dato caratteriale, dopo venticinque anni di politica anche in alti vertici come il ministero dell’Interno, non ha impedito che diventasse anche lui un campione del modello clientela&parentela o, se volete, dell’italico familismo amorale.
Il cerchio magico delinquenziale del suo ex duce Umberto Bossi ha oscurato tutti gli altri cerchietti magici padani, ma anche Bobo ne ha da anni uno ben collaudato, diventato sempre più famelico dopo la sua assunzione al vertice della prima regione d’Italia.
Per questo, con tutto il rispetto per i pm di Busto Arsizio e per lo stesso Maroni, che spesso ha lamentato che “quando bisogna immolarsi per la Lega tocca sempre a me”, leggere il decreto di perquisizione dei magistrati, da una parte sembra fornire nuovi spunti satirici, dall’altra fa riflettere sulle piccole frazioni di realtà che la magistratura riesce – quando riesce – a perseguire. Insomma, Maroni in questo caso è accusato di aver esercitato pressioni per fare ottenere un contratto a tempo determinato a due persone a lui vicine: Mara Carluccio, sua ex collaboratrice al Viminale, in Eupolis, l’ente della regione per la ricerca e la formazione, e Maria Grazia Paturzo in Expo 2015.
Ma come ? È dal 18 marzo 2013, quando fu eletto presidente del Pirellone, che è aperto l'”ufficio di collocamento Bobo” per consanguinei, amanti, chitarristi, amici e amici degli amici, e adesso il governatore viene “indaghizzato” per un paio di segretarie o poco più ?
Per carità , l’azione penale – vivaddio – è obbligatoria e i pm di Busto, che indagano sul più corposo scandalo Finmeccanica, fanno il loro mestiere.
Ma è ormai da più di un anno che il governatore padano, ammaestrato dal suo immarcescibile predecessore Roberto Formigoni, calca le strade del maestro affetto dal contrario disturbo della personalità : l’arroganza.
Tra i primi atti ci fu la nomina di Anna Maria Tavano da Catanzaro ai vertici delle infrastrutture della Lombardia, con uno stipendio di 186 mila euro più bonus.
Questa signora sarà bravissima, ma è la moglie di Domenico Aiello, avvocato calabrese, una specie di Ghedini di Maroni, il quale tentò subito dopo di collocarla al vertice di Infrastrutture Lombarde, la società che gestisce i cinque miliardi d’investimenti per l’Expo, il cui direttore generale Antonio Rognoni è finito in manette per il noto scandalo degli appalti.
Tavano e Aiello, vecchi amici di Isabella Votino, detta “la badante di Bobo” a perpetua memoria di Rosy Mauro, che ai bei tempi badava a Bossi, sono capisaldi del cerchietto magico. Come Maria Cristina Cantù, assessore regionale al Welfare, che ha appena assunto Giulia Martinelli, compagna del neo-segretario della Lega Matteo Salvini.
L’assunzione deve essere stata complessa perchè si trascina addirittura dallo scorso gennaio tra epiche liti anche all’interno della Lega, forse perchè nel cerchietto magico di Bobo la Cantù sembra sfiorata dal cono d’ombra.
Stupende le dichiarazioni del roccioso segretario Salvini a difesa della sua family: “Che male c’è ? Ha fatto una scelta di vita: lavorare nel pubblico avendo a che fare con malati di mente, autistici e quant’altro”.
Poi il colpaccio: “La moglie di Renzi fa l’insegnante ? La mia fa la dipendente Asl… poi guadagnasse diecimila euro al mese…”.
Magnifico materiale per la prossima stagione di Crozza.
Tralasceremo Giovanni Daverio, in arte Johnny, e Giuseppe Rossi, in arte Gegè, musicisti del Distretto 51, la band di Bobo, approdati a tutt’altro che irrilevanti incarichi nella sanità regionale. O la vocalist Simona Paudice, “coadiutore amministrativo esperto” all’ospedale di Treviglio.
La carriera di alcuni famigli padani, maroniani e non, era del resto cominciata già alla grande con il Celeste, che delle quote Cencelli dei soci di governo leghisti, da vecchio stra-democristiano, aveva sacro rispetto.
Il cerchietto magico, come sempre, non è mai contento.
Ora è in subbuglio per le nomine pesanti, come quelle alle Ferrovie Nord Milano, a Finlombarda, all’Ersaf.
I famigli premono, mentre il blitz di Busto Arsizio rischia di mettere vieppiù in ansia Maroni, che peraltro Giuliano Pisapia, il quale di mestiere fa l’avvocato, aveva avvertito: “Ti consiglio di stare attento”.
E Infrastrutture Lombarde ? Forse, dopo lo scandalo degli scandali, meglio proprio abolirla. Così magari si riesce persino a passare per moralizzatori.
Tanto c’è sempre la sanità , dove per sbrogliare le clientele incrostate tra Forza Italia e Lega ci vorranno decenni.
Del resto, la verità è uscita dalla bocca di Mariastella Gelmini: “Il modello lombardo non va stravolto”.
Per carità , ci sono voluti vent’anni per perfezionare il modello appaltopoli-parentopoli.
Alberto Statera
(da “La Repubblica”)
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Luglio 16th, 2014 Riccardo Fucile
IL SENATORE “RIBELLE”: “VOTERO’ CONTRO IL TESTO, MA NON LASCIO IL PD”
«Noi saremmo interessati a salvare le nostre indennità ? Renzi dimezzi quelle di deputati e senatori portandole a seimila euro, allora sì che si risparmierebbe».
Vannino Chiti è il capofila dei dissidenti del Pd, quelli che il premier chiama i frenatori.
«Un secolo fa gli Stati Uniti passarono dal voto indiretto dei senatori delle assemblee degli Stati all’elezione diretta dei cittadini, perchè rilevarono un eccesso di corruzione e di localismo. Forse si pensa che da noi non esistano questi rischi?».
Ex diessino, toscano come Renzi, Chiti rivendica il diritto al dissenso in un partito, «perfino nel Pci di Togliatti Concetto Marchesi votò contro l’articolo 7 della Costituzione», quello sui Patti Lateranensi, che il celebre intellettuale rifiutò di approvare uscendo dall’aula insieme a Teresa Noce.
E poi fu insignito del compito di operare una revisione linguistica e sintattica alla Carta prima del voto finale.
Chiti è deciso a votare contro questa riforma costituzionale se resterà così e non lascerà poi il Pd.
«E perchè dovrei?».
Dicono che ognuno dovrà assumersi le sue responsabilità , o no?
«Stamattina alla riunione del gruppo Pd hanno ribadito una cosa normale: che sulla Costituzione non ci può essere disciplina di partito o sanzioni disciplinari. Non mi pare del resto fossero state prese quando alcuni parlamentari fecero appello a votare contro Marini, designato alla Presidenza della Repubblica. Quindi nessuno dia lezioni da quel pulpito. Sulle battaglie alla luce del sole uno ci mette la faccia, i franchi tiratori no. Io ho sollevato alcuni problemi e noto che sono state aumentate le competenze del Senato su leggi elettorali e trattati europei. Erano 148 membri, ora sono 100. Ma altre questioni sono irrisolte».
E pensa possano essere modificate?
«Che sia la Camera sola a dare la fiducia e ad avere l’ultima parola sulle leggi del programma di governo lo condivido e questo è il punto fondamentale per superare il bicameralismo paritario. Ma le libertà religiose, i diritti delle minoranze e le leggi etiche possono essere temi su cui dare l’ultima parola solo alla Camera votata con l’Italicum? Immunità : io chiedo di mantenere l’insindacabilità sulle opinioni e i voti di ogni parlamentare e di toglierla sia per deputati che per senatori… che facciamo?».
Renzi ha aperto sul tema ai grillini.
«Ho visto. Vedremo come finirà . Poi c’è il grande tema di ridurre il numero di deputati. Devono scendere a 315 come in Spagna per evitare uno squilibrio sulla rappresentanza e sull’elezione del Capo dello Stato. Oppure a 470 come il numero dei collegi del mattarellum. La Costituzione è fatta di equilibri. E per una riforma così fondamentale, penso sia bene fare un referendum per dargli una legittimazione definitiva. Ultimo problema è il modo di elezione dei senatori».
Il punto più dolente. Come ha preso quello schiaffone di Renzi sull’attaccamento alle indennità ? Gli italiani la pensano così, non crede?
«Nel merito hanno scelto un modello barocco, mettendo due principi opposti in Costituzione: che i senatori siano nominati con un mix di sistema proporzionale e maggioritario dai consigli regionali. Comunque, detto tutto questo, se il testo manterrà questi limiti non lo voterò per rispondere alla mia coscienza. Sull’indennità Renzi ha detto una falsità , cristianamente porgo l’altra guancia, ma non mi farà arretrare di un millimetro. E gli chiedo: perchè non fa la battaglia per equiparare l’indennità di deputati e senatori a quella del sindaco di Roma? Vorrebbe dire dimezzare sul serio le spese. Io sono per farlo subito, facciamo venire allo scoperto quelli che sono contrari?».
Carlo Bertini
(da “La Stampa”)
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Luglio 16th, 2014 Riccardo Fucile
DUE MACCHIETTE: UNA VA IN EUROPA CON FISCHIETTO E TROMBETTA, L’ALTRA ORA HA SCOPERTO CHE SI PUO’ MANIFESTARE CONTRO IL PENSIERO UNICO, MA PER ANNI LE E’ ANDATO BENE QUELLO DI SILVIO
Per la serie “Non c’è limite al peggio” o se preferite “A destra non ci facciamo mancare nulla”, vanno in onda due sceneggiate su palcoscenici diversi: uno a Bruxelles, l’altro davanti a Palazzo Madama.
Protagoniste due note caratteriste della commedia dell’arte (di arrangiarsi e adeguarsi).
Manca la terza perchè impegnata in trasferta sulla via di Gramsci alla ricerca dell’Unità .
La prima, ormai snobbata dai media, è approdata al Parlamento Europeo dove per il cognome che porta riesce a fare ancora un minimo di audience.
Per “fare rumore” non ha trovato di meglio che rispolverare un vecchio kit dei mestieranti anni ’80 che andava di moda nelle assemblee di circoscrizione: fischietto e tromba da stadio rigorosamente tricolori.
Prendendosi sul serio poi riempie di contenuti politici la sua confereza stampa: “Per chiedere la parola prenderò il cartellino blu, come vuole il regolamento, se Schulz non mi vede tiro fuori il fischietto con la corda tricolore, e se non mi vede ancora la tromba da stadio, anche questa tricolore”.
Immaginiamo cosa potranno scrivere i media europei su come è ridotta la destra in Italia.
Meglio passare a Palazzo Madama davanti al quale un’altra “mente pensante” ha messo in fila i suoi figuranti per protestare contro un metodo, il “pensiero unico” nei partiti, divenuto nel caso “renziero unico” dopo approfondimento notturno con i suoi fratelli e sorelle.
“Vogliono riempire il Senato di cloni del premier, di consiglieri regionali che non rappresentano più gli italiani ma solo il potere di Palazzo Chigi” è il grido di allarme.
I figuranti indossano la maschera del premier, un bel selfie e “anche per oggi abbiamo fatto l’ora dell’aperitivo”.
Un passante rimane pensoso in un angolo a interrogare la propria memoria: ma quella “sorella” che ora manifestava contro il “pensiero unico” non è la stessa alla quale per venti anni è andato bene prima “il pensiero unico” di Fini e poi quello di Berlusconi?
Non è la stessa che, grazie a quello, è diventata ministro?
Non è la stessa che quando qualcuno punto’ il dito verso la mancata democrazia interna del fu Pdl si schierò a favore del “pensiero unico”?
O forse le regole valgono solo per Renzi o quando ci vengono comodo?
Il passante preferisce trovare una via d’uscita: “forse non sarà lei, ma solo una che le somiglia”.
In fondo in Italia il mercato politico è ricco di tarocchi di destra: uno più, uno meno…
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Luglio 16th, 2014 Riccardo Fucile
DA MESI RIPETE: “VOGLIO MOLLARE LA POLITICA”… LA SVOLTA MODERATA NON FA PER LUI
Il primo segnale arrivò lo scorso 4 aprile. Beppe Grillo fu intercettato in aeroporto a Catania, tappa di quel poco profetico “Te la do io l’Europa tour”. Un caffè al duty free, una chiacchiera con il barista, e quelle secche parole all’inviato di Repubblica: “O vinciamo le europee, oppure mi ritiro”.
Il finale di quel film è noto. Una sala conferenze nella periferia sud di Roma, qualche bandiera, i primi dati dello spoglio compulsati con nervosismo. Poi le lapidarie parole di Roberta Lombardi: “Parleremo domani quando avremo i risultati completi. Beppe? Sta già dormendo”.
L’ex comico era lontano dalle coperte, e continuava a guardare attonito lo schermo della tv a Milano, insieme a Gianroberto Casaleggio.
Era la notte tra il 25 e il 26 maggio.
Sono ore di sofferenza. Raccontano che alterni momenti di rabbia con la profonda delusione: “Se vogliono Renzi se lo tengano – sarebbe sbottato – si vede che è questo che desiderano. Io con la politica chiudo”.
Forse solo una reazione a caldo, forse l’embrione di qualcosa di enorme che potrebbe maturare nelle prossime ore.
Da quel giorno, il megafono, il capo politico, il leader carismatico del Movimento 5 stelle non ha più assolto a nessuna delle tre funzioni. Mollò tutto e se ne andò nella sua amata Sardegna.
Guai a chiedere a Filippo Nogarin se la sua ascesa al comune di Livorno sia dovuta anche all’eclissarsi dell’ex comico dalla scena pubblica, allo smantellamento delle barricate erette in vista di quel sorpasso finito un po’ come nell’omonimo film. Ma molti lessero nell’improvviso low profile dei grillini la chiave di un successo che ha del clamoroso.
“Grillo si è fermato al “vaffanculo” — spiega un suo parlamentare — se quello non funziona più non sa che fare, gira a vuoto”.
Perchè le motivazioni che hanno spinto l’ex artista della Rai a continuare a veder stravolta la propria vita, fino a qualche anno prima schiva e riservata, sembravano appese tutte a quel all-in sulle elezioni europee: vinciamo per chiedere che cadano le teste dei nostri avversari.
Nella war room della Casaleggio Associati non ci si è mai posti l’esigenza di elaborare un piano B, non si è mai data la risposta fondamentale alla domanda: e se perdiamo che si fa?
Il filo rosso di una strategia senza sbocchi si riannoda fino allo scorso gennaio.
Grillo arrivò al Senato, per una delle sue stanche e poco risolutive apparizioni a Palazzo. Anche allora, a più di 120 giorni dalle urne e con una campagna elettorale di là da venire, ribadì: “Vinciamo e cambiamo l’Europa e l’Italia, se perdiamo lascio”.
Il tema del grande abbandono è sempre stato agitato come una clava nella storia del M5s: “Se votate Pier Luigi Bersani mi ritiro”, disse appena iniziata l’avventura in Parlamento. Quasi che l’unico confine tra la ribalta e il ritiro dalle scene fosse la sopravvivenza della creatura che lui, e solo lui, ha portato ad uno straordinario 25%.
Formalmente è ancora lì, ma mentalmente sembra aver già mollato.
“Io sono stanco – ha ripetuto ieri a un gruppetto di senatori – non ce la faccio a venire troppo spesso da voi”. A Montecitorio un capannello di giornalisti e addetti ai lavori fotografa la faccenda con una battuta: “C’è solo una persona che sopporta meno di noi di seguire questo magma inconcludente. È Beppe Grillo”.
La linea trattativista portata avanti da Luigi Di Maio e dallo staff milanese lo ha lasciato spiazzato (“Fosse per me non farei mai accordi con questi qua”, diceva non più tardi di 24 ore fa ai suoi).
Sembrano lontani anni luce i tempi in cui un suo coup de theatre davanti all’Ariston di Sanremo in tre minuti spazzava via mediaticamente le polemiche sulle espulsioni. Lontani i momenti in cui una sua telefonata trasformava la notte in giorno, tramutava le nubi in stelle.
Lunedì è arrivato a Roma, si è chiuso dentro il solito hotel. Una giornata solitaria, con la sola incursione degli eletti a Roma e nel Lazio, dal quale è emerso solo la mattina successiva.
“È voluto venire, ma non sa bene nemmeno lui a fare cosa, non c’è un timing di questa due giorni”, spiegava un uomo del cerchio magico non più tardi di ieri.
È come se Grillo non sapesse più che fare della sua creatura, si disinteressi della direzione in cui andare.
È oltre un anno che ripete come un mantra che il Movimento lo ha distolto dal suo lavoro, che prima o poi vorrebbe tornare a farlo.
Ed è oltre un anno che si rincorrono voci su una sua possibile tournèe internazionale.
Perchè Grillo conosce solo il registro della vis polemica, si eccita quando “vede il sangue”, dà il meglio di sè nell’io contro tutti.
Da sempre, da quando batteva i palchi della Rai, non mastica la forma — artistica e politica — del dialogo, è un campione in quella del monologo.
Non voleva andare a parlare con Matteo Renzi, l’ha fatto controvoglia e solo a patto di dare sfogo ad un soliloquio. Anche lontano dallo streaming è riottoso. Quando il Quirinale fissò un incontro – da lui richiesto – prima del previsto provò a spostarlo: era al mare, con la famiglia, prima delle sue priorità , altro che Giorgio Napolitano, annessi e connessi.
Quando si dialoga scatta il cortocircuito.
Di Maio lascia aperta la porta al Pd? Lui verga un post di fuoco contro l’ebetino di Firenze.
Di Maio annuncia la volontà di sedersi al tavolo con Renzi? Lui lascia filtrare che sarà in piazza a spernacchiare le riforme del governo.
Smentito in entrambi i casi, non ha fatto una piega.
Un post scriptum per ritrattare nel primo caso, una secca smentita nel secondo. A contraddirlo, qualche mese fa si guadagnava un’espulsione.
A pensar male, verrebbe quasi da dire che i suoi l’hanno scortato per i luoghi simbolo dei Palazzi della politica per fargli uno sgarbo.
Mesi fa, avrebbe rifiutato sdegnato e mangiato una bistecca in trattoria. Ieri non ha fatto una piega a farsi immortalare prima in una blindatissima buvette, poi nel ristorante del Senato, simbolo mediatico per eccellenza dei privilegi della casta.
Quasi non gliene importasse più nulla, quasi avesse smarrito la bussola del “tutti a casa”.
Pur smentita, la notizia di Casaleggio in cerca di casa a Roma dice che mai come oggi le chiavi del Movimento sono nelle mani sue e del suo staff (Davide in testa).
Perchè Grillo forse non scherzava quando in una splendida giornata dell’ottobre romano si prese il cuore in mano e disse ad alcuni amici: “Lo spettacolo è il mio ambiente la politica è una parentesi, una lunga parentesi. Ma io da lì arrivo e lì voglio tornare”.
Il dilemma è come farlo senza far crollare tutto.
(da “Huffingtonpost”)
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Luglio 16th, 2014 Riccardo Fucile
RENZI RIDICOLIZZA L’ITALIA: PRIMA PROPONE UNA INESPERTA, POI STIZZITO DICE NO ALLA IPOTESI ENRICO LETTA AVANZATA DALLA MERKEL E DA VAN ROMPUY
Troppo giovane, troppo inesperta e troppo gradita a Putin e “all’Est” per prendere il posto di Catherine Ashton come alto commissario agli affari Esteri (la cosiddetta lady Pesc).
Il Wall street Journal stronca il ministro degli Esteri Federica Mogherini e Renzi rilancia sul “nemico” Massimo D’Alema per una candidatura in Europa.
Se la Mogherini è bruciata, è lo stesso Renzi a fare il nome di Massimo D’Alema.
Il ragionamento, ricostruito in un retroscena del quotidiano la Repubblica sarebbe stato oggetto di una lunga serie di telefonate tra il premier italiano, Angela Merkel, Van Rompuy e Hollande.
L’assunto è che il ruolo — dopo il via libera bipartisan a Juncker — spetta in primo luogo all’area socialista, e in secondo luogo all’Italia, stando al peso uscito dalle urne. In questo scenario il premier non è disposto a passi indietro.
Soprattutto di fronte al nome offerto per controbilanciare il no a Mogherini: quello di Enrico Letta, su cui le diplomazie internazionali sarebbero state disposte a un passo indietro.
Letta, è il ragionamento condiviso, ha il mix di esperienza internazionale e curriculum per ricoprire il ruolo.
Di certo però non ha l’appoggio del presidente del Consiglio con il quale i rapporti non sono mai stati semplici nè prima nè dopo “l’avvicendamento” a Palazzo Chigi.
In questo quadro, Renzi incontrerà stasera gli altri leader europei e continuerà a insistere per dare all’ex nemico della rottamazione uno scranno in Europa.
Su D’Alema pesano molto, tuttavia, le posizioni storicamente “socialiste” nel conflitto in Medio Oriente che fanno storcere il naso soprattutto dall’altra parte dell’Atlantico. Il rischio è che in mancanza di un nome condiviso, lo scranno di Lady Pesc possa essere sfilato ai socialisti e andare ai popolari.
E l’Italia del 40,8% del bamboccione Renzi resti a bocca asciutta.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Luglio 16th, 2014 Riccardo Fucile
L’ARROGANZA DI RENZI NON PAGA: ALL’ESTERO NON SONO TUTTI PRONI AL VOLERE DEL PROFETA
“Amo viaggiare (ovunque, sempre e in ogni modo), leggere (romanzi, preferibilmente gialli) e passare tempo con la mia famiglia e le persone che amo”.
È da questa frase, messa a conclusione della biografia di Federica Mogherini sul suo blog, che prende il via la stroncatura del Wall Street Journal alla candidatura della ministra italiana al ruolo di alto rappresentante agli affari esteri dell’Unione Europea. In un editoriale il quotidiano economico boccia senza possibilità di appello la ministra: troppo morbida con la Russia e priva di una reale capacità di leadership, scrive Sohrab Ahmari da Londra.
L’editoriale non si limita a riportare, condividendole, le preoccupazioni dei paesi baltici di fronte al’ipotesi-Mogherini.
In alcuni passaggi arriva quasi a prendere in giro la ministra, come ad esempio qui: “L’amore per i viaggi calorosamente espresso da Mogherini è un segnale di apertura, una qualità utile per un diplomatico. Tuttavia, la politica estera europea di oggi richiede, oltre che apertura, una leadership salda. Da questo punto di vista, Federica Mogherini, 41 anni, sembra una scelta problematica”.
Il giornale americano riconosce alla diplomatica italiana di aver “frequentato le scuole giuste, di essersi laureata nelle materie giuste, di aver portato a termine i tirocini giusti e di essere stata membro dei giusti gruppi giovanili socialisti”.
Detto questo, “non c’è nulla nel suo curriculum che possa essere letto come una prova di leadership”.
Non contento, l’autore ci va giù ancora più pesante, affermando che il blog della Mogherini riflette la “non serietà della sua motivazione” e citando una presa in giro de Il Giornale (secondo cui il blog sembra appartenere a una “teenager sicura di sè” che scrive sul suo diario).
Quanto al ‘muro’ alzato contro di lei da una decina di paesi dell’Est Europa, “sarebbe facile liquidare queste preoccupazioni come paranoia baltica, se non fosse per il fatto che Mogherini ha visitato la Russia non appena l’Italia ha assunto la presidenza dell’Ue, all’inizio del mese”, scrive ancora il Wsj – nè ha aiutato il fatto che la sua visita abbia indotto l’agenzia di stampa russa Itar-Tass a scrivere un commento ottimista”.
Non hanno aiutato neanche le dichiarazioni rilasciate dalla ministra italiana sul progetto di gasdotto South-Stream, che dovrebbe aggirare l’Ucraina, privando Kiev dei profitti da transito: Mogherini ha sottolineato come il progetto “sia molto importante per la sicurezza energetica del nostro paese, così come dell’intera Europa”, per cui, ricostruisce il quotidiano Usa, “gli ucraini, e i baltici, ritengono che Roma stia usando la presidenza Ue per favorire i propri interessi piuttosto che gli obblighi di sicurezza collettiva”.
“Ci sono molti motivi per accogliere con favore la premiership di Renzi a Roma – conclude il Wsj – ma la prospettiva di avere Mogherini alla guida della politica estera italiana non è uno di questi”.
(da “Huffingtonpost”)
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