Luglio 30th, 2014 Riccardo Fucile
PATTO DEL NAZARENO, FASE DUE: LISTINO FACOLTATIVO FINO A TRE NOMI BLOCCATI E POI PREFERENZE, COSI BERLUSCONI NOMINA CHI VUOLE E RENZI EVITA L’INCOSTITUZIONALITA’… PER LE LISTE COALIZZATE SOGLIA DEL 3%, PER QUELLE NON COALIZZATE IL 5%
È una sorta di “capitolo due” del “patto del Nazareno” che sta prendendo forma lungo la linea telefonica che tiene in costante contatto Matteo Renzi e Denis Verdini.
E che prevede “modifiche condivise” sulla legge elettorale con l’obiettivo, o magari l’auspicio, di andare al voto nella prossima primavera.
Le modifiche di cui i due hanno già parlato avvicinano l’Italicum alla legge elettorale approvata da Pd e Forza Italia in questi giorni in Toscana.
Il Toscanum, bollato dalle opposizioni locali come il frutto dell’inciucio tra Pd e Forza Italia.
E c’è un motivo se Renzi, attorno all’ora di pranzo, afferma che “l’Italicum sarà modificato dal Senato e diventerà legge definitivamente”.
Sono le stesse ore in cui Verdini va ad Arcore per un vertice con Silvio Berlusconi, ancora un po’ acciaccato dall’influenza. Presente anche Gianni Letta, praticamente tutti i negoziatori del patto del Nazareno “prima parte”.
Il segnale di Renzi sulle modifiche, la trama di Verdini per convincere il Cavaliere.
Ecco, il gioco — se mai è cambiato — è ormai solo a due: Pd e Forza Italia.
Perchè il premier non ha offerto modifiche ai suoi riottosi senatori o all’odiato Vendola.
Con la sua dichiarazione sulle modifiche ha voluto dare un segnale al Quirinale. È come dire: i cambiamenti possibili in materia di legge elettorale si faranno con Forza Italia.
È il risultato di una trattativa tanto “coperta” quanto intensa di questi ultimi due giorni.
E allora occorre riavvolgere la pellicola del nastro di 24 ore, a quando Renzi e Verdini nella giornata di lunedì si sono sentiti, come anticipato dall’HuffPost.
Nell’ambito di quella telefonata i due non solo si sono scambiate rassicurazioni sulla battaglia del Senato. Ma hanno ipotizzato un modo per superare l’impasse sulla legge elettorale.
Ecco la “seconda parte” che Verdini ha portato oggi ad Arcore.
Perchè — è ciò che raccontano fonti autorevoli — fosse per Renzi, l’Italicum non lo cambierebbe. E Berlusconi nemmeno. Ma su questo il Quirinale ha speso parole inequivocabili nel corso della cerimonia del Ventaglio, invitando a cambiare le parti che potrebbero avere “profili di incostituzionalità ”.
Insomma: soglie (per accedere al premio di maggioranze) e preferenze.
Non si può non assecondare il gioco di Renzi, è la tesi di Verdini.
Perchè il premier sta alla parola data e sta tenendo fede al patto del Nazareno. Va rassicurato il Colle. È da questo ragionamento politico che prende forma il Toscanum.
Come l’Italicum prevede le coalizioni, il doppio turno se una coalizione non raggiunge il 40 per cento (soglia più alta di quella prevista dall’Italicum), e il premio di maggioranza.
E come l’Italicum ha soglie diverse per le liste: il 5 per cento per le liste non coalizzate, il 3 per cento per le liste coalizzate e il 10 per cento per le coalizioni.
Ma la parte davvero creativa del Toscanum riguarda le preferenze.
Nell’Italicum le liste sono bloccate. In Toscana è prevista la possibilità del listino, ma è facoltativo.
Nel senso che ciascun partito può esprimere fino ad un massimo di tre candidature regionali in ordine alternato di genere.
Sotto il listino ci sono le preferenze.
Quindi, detta in modo semplice: il Toscanum rispetto all’Italicum viene incontro a due perplessità del Colle, le soglie di accesso al premio e le preferenze.
Con il listino facoltativo si dà a Berlusconi la possibilità di nominarsi, di fatto, il gruppo parlamentare.
Renzi può sventolare dinanzi ai suoi un sistema che sulla carta recepisce le obiezioni di chi vuole le preferenze.
È su questo denso report di Verdini che Berlusconi ha iniziato a riflettere.
Al netto dei proclami di intangibilità dell’Italicum, la sensazione è che l’ex premier asseconderà la manovra sul Toscanum.
Perchè l’asse con Renzi sta portando i suoi frutti: “Ha rotto a sinistra in Parlamento — dice una vecchia volpe azzurra – e rischia la rottura con Sel nelle giunte. Se non ci fosse Berlusconi sarebbe ostaggio dei suoi”.
E perchè, per la prima volta da tempo, si torna a parlare di voto insieme alle regionali del 2015. Dopo che il premier avrà dovuto gestire un autunno infernale sull’economia.
E lì la stampella azzurra non c’è.
(da “Huffingtonpost”)
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Luglio 30th, 2014 Riccardo Fucile
SOLO GIOCHI DI PRESTIGIO E TANTA PRESUNZIONE
Non so se valga la pena di tentare il gioco che sto per tentare, cioè un’analisi testuale del post emesso ieri sera da Matteo Renzi su Facebook.
Non lo so davvero, perchè il linguaggio del Presidente del Consiglio è del tutto estraneo a qualsivoglia grammatica e sintassi della razionalità politica.
Non che sia la prima volta: anche in questo il maestro è sempre lui, Berlusconi. Appunto da lui, Berlusconi, abbiamo capito che usare la razionalità contro i giochi di prestigio è quasi sempre inutile.
Ci provo lo stesso, frase per frase.
“Gli italiani ci hanno chiesto di cambiare un sistema politico che non funziona più”.
Non è vero. “Gli italiani” a Matteo Renzi non hanno chiesto proprio niente. È stato Matteo Renzi, all’atto dell’insediamento del suo governo, a presentarsi al Senato promettendogli di asfaltarlo.
Il Senato, comprensibilmente e giustamente, resiste: c’è ancora qualcuno che non aderisce entusiasticamente alla forma sadomasochista imperante nei rapporti sociali e politici.
Gli italiani, in materia di riforma del Senato, della Costituzione e della legge elettorale non sono stati interpellati e non si sono espressi. Hanno dato molti voti a Matteo Renzi e al suo partito alle elezioni europee, dove questa materia non era parte del programma nè dell’agenda.
“Noi manteniamo la promessa, senza paura e senza mollare”.
Accidenti che uomo, e che virile coraggio. Peccato che non siamo in una striscia di Braccio di ferro, ma in un conflitto politico che riguarda un assetto istituzionale e costituzionale.
Ora, nè le istituzioni nè la Costituzione sono a disposizione di un governo. Matteo Renzi ha già fatto una forzatura ignobile imponendo arrogantemente una riforma costituzionale nel ruolo di capo dell’esecutivo, invece di limitarsi a proporla più umilmente nel ruolo di segretario del partito di maggioranza relativa.
Molto male ha fatto il Senato ad accettare questa forzatura.
Peggio farebbe a subirla a testa china e senza muovere ciglio, come il presidente del consiglio gradirebbe.
“Stiamo facendo le riforme perchè la politica e i politici devono cambiare.”
Bassa demagogia. Nè la politica nè i politici cambiano cambiando le regole.
E non si vede perchè l’una e gli altri dovrebbero cambiare sol perchè il Senato diventa il dopolavoro di cento consiglieri regionali non eletti.
Matteo Renzi abbia il coraggio di dire come stanno effettivamente le cose e i suoi desiderata: abbia il coraggio di rivendicare che vuole una sola camera, di nominati, per poter avocare al governo l’intero processo legislativo e decisionale.
Nel combinato disposto della riforma del Senato più l’Italicum, c’è in realtà il cambiamento della forma di governo.
Gli italiani gli hanno chiesto questo? Sono stati interpellati su questo? Sono stati informati di questo? Finora no.
“E le sceneggiate di oggi dimostrano che alcuni senatori perdono tempo per paura di perdere la poltrona”.
Lo stile fa l’uomo. E lo stile è questo: insultare chi si oppone.
Gufi, professoroni, gentaglia attaccata alla poltrona. Matteo Renzi non può non sapere che se questo fosse il movente, la paura di perdere la poltrona, ”alcuni senatori” gli avrebbero già detto di sì.
Se la perdono, la poltrona, è perchè gli dicono di no.
Lo sanno, e ciò nonostante gli dicono di no perchè la sua riforma non li convince, e fanno bene.
“Noi andiamo avanti e alla fine saranno i cittadini con il referendum a giudicare chi avrà ragione e chi torto”.
Qualcuno ha già detto che proclamato così, dall’alto del governo, il referendum non sarebbe un referendum ma un plebiscito.
E qualcuno ha anche già spiegato che allo stato attuale le regole per farlo, questo plebiscito, non ci sono.
Se la riforma costituzionale passasse con la maggioranza dei due terzi, non si darebbe luogo al referendum: questo dicono le regole vigenti.
Matteo Renzi e Maria Elena Boschi millantano un pronunciamento popolare indotto e condizionato dall’alto, che per giunta allo stato non si può dare per garantito.
“La nostra determinazione è più forte dei loro giochetti.” Vedi sopra, Braccio di ferro/2.
“Andiamo avanti pronti a discutere con tutti ma non ci faremo mai ricattare da nessuno.”
Finora il governo non è stato pronto a discutere con nessuno che non fosse più o meno d’accordo con lui. E quando qualcuno non è d’accordo, è il governo che lo ricatta e non viceversa (si veda la signorile uscita di Lotti sulla fine dell’alleanza con Sel).
Già che ci sono, torno anche sull’argomento contro gli oppositori della riforma costituzionale usato dalla ministra Boschi.
La ministra ha definito “allucinazioni” le denunce della torsione autoritaria che ne conseguirebbe per la democrazia italiana.
Non so che idea abbia la ministra dell’autoritarismo: forse immagina qualcosa che abbia a che fare con l’olio di ricino e il manganello.
Purtroppo in questo caso le allucinazioni sono tutte sue. L’autoritarismo dei tempi nostri non ha bisogno di quei metodi repressivi: gli basta configurarsi come dittatura della maggioranza.
Che è esattamente quello che il combinato disposto dell’Italicum e della riforma costituzionale configura.
Questo combinato disposto, è evidente, non passerà mai così com’è.
Del resto Renzi, dopo avere scritto ieri il risibile post di cui sopra, apre oggi 30 luglio a modifiche della legge elettorale pur di avere il mano la bandierina del Senato asfaltato da usare alle riffe d’agosto sull’efficienza del suo governo.
Visto? Fatto! Fatto un bel niente.
Siamo solo alla prima lettura nella prima Camera, e prima della seconda nella seconda camera molta acqua dovrà passare sotto i ponti.
Il presidente del consiglio farebbe bene a inquinarla di meno.
Ida Dominijanni
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Luglio 30th, 2014 Riccardo Fucile
L’EX PATRON DEI LOS ANGELES CLIPPERS RADIATO A VITA DAL BASKET E COSTRETTO A VENDERE IL CLUB PER IL CONTENUTO RAZZISTA DI UNA CONVERSAZIONE TELEFONICA
Il giochino è noto, si chiama ‘Trova le differenze’.
Nel primo riquadro c’è Carlo Tavecchio da Ponte Lambro. Ha 71 anni e ama i progetti di lungo periodo: per 19 anni ha governato il suo paese nel comasco, per 15 la Lega Nazionale Dilettanti di calcio.
Quando arriva il suo momento si complica la vita con una frase razzista, neocolonialista. Parole insopportabili, dette a cuor leggero.
All’inizio i giornali parlano di gaffe e mettono la notizia a pagina 10.
Il caso monta, anche grazie alla Rete, e qualcuno inizia a smarcarsi. Cinque giorni dopo, mentre continuano a riaffiorare precedenti penali e dichiarazioni censurabili, Tavecchio è ancora il candidato vincente per la presidenza della Figc.
La figura accanto è solo apparentemente simile.
Il protagonista ha 80 anni e i capelli tinti, ma da alcune ore Donald Sterling non è più il presidente dei Los Angeles Clippers, una delle 30 squadre che compongono la lega americana di basket.
Il giudice della Corte Superiore di Los Angeles ha dato l’ok per la cessione della società all’ex Ceo di Microsoft, Steve Ballmer.
Sterling, che ha fatto i soldi con gli immobili a Beverly Hills, era il presidente più longevo della Nba, da 33 anni alla guida dei Clippers.
Lo scorso 25 aprile un sito di gossip americano pubblicò la ricostruzione audio di una telefonata con la sua fidanzata, in cui Sterling chiedeva di non frequentare afroamericani, soprattutto di non portarli al palazzetto.
Solo poche voci isolate posero dubbi sulla legittimità della conversazione e sulla sua pubblicazione illegale e in poche ore Sterling monopolizzò tutte le edizioni dei tg e le prime pagine dei giornali.
Il dibattito andò avanti per giorni, con inevitabili eccessi e schizofrenie.
Una cosa apparì chiara sin dal primo istante: per Donald Sterling non c’era più posto nella Nba.
Dopo poche ore Barack Obama ruppe il silenzio: “Quando le persone vogliono mettere in mostra la propria ignoranza basta lasciarle parlare — disse — Abbiamo fatto grandi passi in avanti, ma continuiamo a lottare con l’eredità della schiavitù. Ho fiducia che le istituzioni Nba risolveranno la questione al meglio”.
I Clippers scesero sul parquet con la maglietta al contrario e le calze listate a lutto.
Il leader Chris Paul annunciò lo sciopero se Sterling fosse rimasto al suo posto. Lebron James, il più forte di tutti, fu definitivo: “Non c’è posto per lui nella Lega”. Tornarono in campo le leggende della storia Nba: Magic Johnson si rifiutò di andare a vedere i biancorossi, Kareem Abdul-Jabbar ribaltò la prospettiva e in un articolo sul Time se la prese con il buonismo e l’ipocrisia della società americana che aveva permesso che un razzista patentato come Sterling (i precedenti sono molti) rimanesse al suo posto per 30 anni.
Michael Jordan, che ora presiede i Charlotte Bobcats, si disse “oltraggiato e disgustato”.
I proprietari delle altre franchigie (il corrispettivo della nostra Lega Serie A) abbandonarono subito il collega.
Appena quattro giorni dopo lo scandalo, il 29 aprile, il commissioner Nba Adam Silver inflisse a Sterling una multa record da 2,5 milioni di dollari e lo radiò a vita. Poi avviò l’iter per costringerlo a vendere il club.
Tutti applaudirono la decisione draconiana di Silver. Il messaggio era chiaro: in America il razzismo ha delle conseguenze, soprattutto in una Lega composta per il 76% da afroamericani.
A maggio ebbe inizio la battaglia legale per la cacciata di Sterling, che provò a resistere sulla poltrona dei Clippers.
A trattare la cessione della franchigia non fu lui, ma l’ex moglie Shelly. Sterling fu dichiarato fuori gioco per un principio di Alzheimer, i suoi ricorsi non furono presi in considerazione e, nelle ultime ore, ecco l’annuncio ufficiale del passaggio di proprietà .
“E’ una buona cosa per Los Angeles, l’Nba e la mia famiglia. Venite a vedere i Clippers il prossimo anno”, ha detto Shelly ai cronisti fuori dal tribunale.
Forse ha ragione Kareem, che non ha caso è il più grande realizzatore della storia Nba: gli Stati Uniti sono un paese ipocrita e moralista.
Ma la connivenza è anche peggio e ai tanti presunti uomini di sport che continuano a parlare di “uscita infelice” da parte di Tavecchio rimangono preferibile le dichiarazioni del presidente della Roma James Pallotta, non a caso americano: “Frasi imbarazzanti e umilianti. Non capisco come possa essere candidato alla presidenza. Non capisco come ci possano essere club che lo appoggiano”.
Dario Falcini
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Luglio 30th, 2014 Riccardo Fucile
BILANCIO NEGATIVO UN ANNO DOPO LA VITTORIA, NONOSTANTE I 14 MILIONI DI ROYALTY INCASSATI PER L’ESTRAZIONE DELL’ORO NERO
La “rivoluzione” a 5 Stelle? Richiede tempo.
Parola di Federico Piccitto, sindaco pentastellato di Ragusa, in sella ormai da più di un anno, dopo che al ballottaggio nel giugno del 2013 ha sconfitto con il settanta per cento dei voti Giovanni Cosentini, appoggiato da Pd, Udc e Pdl.
Negli ultimi mesi ha avuto anche un problema con il Meetup locale: declassato da attivista a simpatizzante, ma assicura che è tutto risolto.
“La rivoluzione richiede tempo, noi possiamo provare a cambiare la parte politica. Ma l’amministrazione passa anche dal rapporto coi dirigenti, con la burocrazia”, spiega Piccitto, ingegnere trentottenne, camicia con le maniche svoltate e modi garbati tipici di chi è cresciuto tra i salesiani.
Dicono che nel giorno della vittoria, quando i ragusani decisero di eleggere il primo sindaco a 5 Stelle di Sicilia, davanti al Comune, in mezzo alle meraviglie barocche, si riversarono a migliaia per festeggiare la nuova era.
Oggi, tredici mesi dopo quel giorno storico, gli entusiasmi nel capoluogo più a Sud d’Italia sembrano più sopiti.
“Il primo anno di Piccitto? Mah, niente di straordinario per adesso, ma sempre meglio di Nello Di Pasquale” sono i commenti raccolti nei bar intorno al centro ibleo.
Di Pasquale, una vita ad inseguire la Dc nelle sue varie mutazioni, ha amministrato Ragusa sotto le bandiere di Forza Italia, prima di scoprirsi acceso sostenitore di Rosario Crocetta.
LA CITTA’ DELLE ROTATORIE
Un giro completo di partiti e sigle per l’ex sindaco, che nei sei anni di amministrazione ha quasi metaforicamente riempito Ragusa di rotatorie: prima di arrivare ad ammirare il Barocco, infatti, bisogna percorrere decine di rotonde, che sono ovunque, anche dove non avrebbero motivo di esistere.
Ma non è l’unica eredità lasciata in dote a Piccitto. Che, però, a differenza degli altri sindaci pentastellati d’Italia, può ritenersi fortunato.
La città iblea, infatti, è un caso anomalo rispetto agli altri centri che hanno deciso di affidare la poltrona di primo cittadino ad un esponente del Movimento 5 Stelle.
A differenza di Bagheria e di Parma, per esempio, la situazione economica della città di Ragusa non è disastrosa: solo quest’anno nelle casse del comune sono arrivati circa 14 milioni di euro, le royalties delle aziende petrolifere che estraggono oro nero nei dintorni. È per questo che i ragusani hanno eletto Piccitto: per ottenere un cambio di passo, una rivoluzione che tramutasse la città dei ponti in un centro moderno.
“UN ANNO? IL MINIMO PER CAPIRE LA MACCHINA”
Nei primi dodici mesi però la rivoluzione a 5 Stelle è rimasta per il momento in sonno. “Un anno è il tempo minimo per capire la macchina amministrativa, che ha vulnerabilità e risorse. Ma ci vuole tempo per comprenderla in pieno” si giustifica il diretto interessato, riassumendo i primi difficili dodici mesi della sua amministrazione.
“Ci siamo insediati a giugno — spiega — dopo un anno di commissariamento e con il patto di stabilità sforato. Il primo bilancio siamo riusciti a farlo a novembre, a dicembre abbiamo fatto gli impegni di spesa, e quindi i nostri interventi sono partiti a marzo, aprile”.
Una tempistica che ha scatenato chiaramente le critiche dell’opposizione. “Se uno guarda da osservatore esterno dice: sono arrivati a giugno e hanno iniziato a lavorare a marzo. Adesso, però, cerchiamo di essere a regime”.
I progetti per cambiare la città sono tutti lì sul tavolo: primo tra tutti la realizzazione di una zona franca nel centro di Ragusa con l’esenzione della Tasi (tassa sui servizi indivisibili), della Tari (spazzatura) e della Tosap (occupazione suolo pubblico) per chiunque apra un’attività commerciale o acquisti e restauri un’immobile.
Poi c’è il vecchio pallino della metropolitana di superficie: un progetto realizzabile grazie al fatto che la città è attraversata da 17 chilometri di ferrovia.
Quindi ci sarà da progettare il nuovo piano regolatore generale. “C’è talmente tanto lavoro da fare che avrei bisogno di più assessori” dice Piccitto a sorpresa.
Un esponente dei Cinque Stelle contrario alla spending review? “
Non dico di spendere più soldi, ma con gli stessi avere più persone con deleghe diverse”.
IL CASO RIFIUTI
Fino ad oggi però gli atti amministrativi che Piccitto ha firmato più spesso sono stati atti di proroga: in più di cento casi, secondo i giornali locali, l’amministrazione ha dovuto prolungare vecchi affidamenti piuttosto che bandire nuove gare d’appalto.
“Certo, ammetto che spesso abbiamo dovuto ad affidarci a questa misura ma è accaduto per un difetto di programmazione: se decido che ho bisogno di un servizio che in scadenza la prossima settimana, devo sempre pensare che ci vogliono due mesi per fare la gara d’appalto”.
La proroga più importante ha finora riguardato l’affidamento del servizio per la raccolta dei rifiuti che a Ragusa è appannaggio dell’Impresa ecologica di Vito Busso ((il fratello Giuseppe Busso gestisce lo smaltimento rifiuti nella vicina Scicli: in passato è stato coinvolto nell’inchiesta Trash, mentre recentemente si è visto arrestare tre dipendenti per fatti di mafia) fin dai tempi di Di Pasquale: un servizio che costa 9 milioni di euro e che raggiunge solo il venti per cento di differenziata.
“È una soglia che deve crescere — spiega Piccitto — serve a questo il nuovo bando d’affidamento della durata di sette anni che stiamo preparando”.
Solo che da mesi la gara d’appalto per scegliere i nuovi gestori dello smaltimento rifiuti non riesce a diventare un atto formale: complice anche il siluramento di Claudio Conti, ex assessore all’ambiente, sollevato dall’incarico da Piccitto nell’aprile scorso.
“Abbiamo dovuto cambiare: questione di tempi. Siamo arrivati con i tempi lunghi, è per questo che prima di fare la gara d’appalto per sette anni ne dovremmo fare una da sei mesi. Abbiamo l’occasione per programmare vent’anni d’interventi che cambieranno Ragusa. Ma per farlo dobbiamo studiare la macchina amministrativa a tempo pieno” dice Piccitto, che, smessi i panni da barricadero pentastellato, si è chiuso in comune a lavorare.
“LA MIA STANZA? USATA POCO”
“Il sindaco? Non si vede mai. Quelli di prima passavano, bevevano qualcosa, offrivano agli amici: lui niente. Neanche una passeggiata a Marina di Ragusa” si lamentano i gestori dei bar intorno al Municipio, abituati da secoli ad una politica del caffè sospeso e del doppio bacio sulla guancia.
“Forse — azzarda Piccitto — mi rimproverano di non essere troppo spesso in giro, ma la vede questa stanza? Ci vivo dodici ore al giorno. Ho messo sedia nuova e computer. Quando sono entrato era praticamente vuota, solo una stanza di rappresentanza: si vede che il mio predecessore la usava poco”.
Giuseppe Pipitone
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Luglio 30th, 2014 Riccardo Fucile
IL GIORNO DEGLI SCATOLONI E DEI VELENI… A RENZI INTERESSA SOLO IL MARCHIO, NON I GIORNALISTI
C’è un momento in questa storia dell’Unità in cui i giornalisti capiscono che, in fondo, è tutta una questione politica.
Racconta uno di loro, lacrime agli occhi: “Lunedì siamo andati a dormire che c’era un accordo sottoscritto. Duro, lacrime e sangue, ma c’era. Dopo quattro mesi senza stipendio era comunque una speranza”.
Poi, il giorno dopo salta tutto. L’assemblea dei soci della Nuova Iniziativa editoriale boccia il piano della Editoriale Novanta, la nuova società creata da Matteo Fago, a sua volta presente al 49 per cento della Nie.
Avviene nel corso di una drammatica riunione dei soci, nel corso della quale il veto a Fago viene posto da altri due soci: Eventi Italiani, società vicina al Pd e l’ex senatrice di Forza Italia Carla Ioannucci che ha una quota del 12 per cento.
Un veto possibile grazie alle regole statutarie della Nie, in base alle quali le decisioni si prendono col 91 per cento.
Prosegue il collega: “L’assemblea dei soci finisce quasi alle mani. I liquidatori sono accusati di aver aggiunto debiti, cosa non vera e stoppano l’operazione”.
È a quel punto che uno dei liquidatori, Emanuele D’Innella urla: “E allora spiegatelo voi alla redazione che così il giornale chiude”.
Oggi è il giorno degli scatoloni, dei sigilli,delle scrivanie vuote.
Parli con più di un collega e lo trovi occupato a trovare un modo per conservare il numero di cellulare. Dismesse le utenze aziendali. Pure il sito internet rischia il black out.
Ed è il giorno delle accuse, delle accuse politiche, degli spari sopra le teste dei 60 giornalisti assunti più i collaboratori senza più un lavoro.
L’accusa più dura è quella del direttore Landò, che in un fondo sul giornale tutto bianco, nel giorno del lutto, scarica le responsabilità , tutte, sul quartier generale del Pd: “La verità , inutile girarci intorno, è che il Pd non ha fatto molto per impedire che l’Unità cadesse di nuovo nel buio della chiusura. Certo, l’Unità ha criticato più volte le scelte di Renzi, ma lo stesso abbiamo con Cuperlo e Civati”.
Insomma, è la tesi del direttore Landò, che con Fago sarebbe rimasto direttore ma non con altri acquirenti, l’Unità è stata uccisa perchè scomoda e critica su Renzi.
Non è un mistero che Fago, l’unica misera offerta sul campo, fece il suo endorsement a favore di Pippo Civati alle primarie ed è fautore di un giornale che parli alla sinistra diffusa e sommersa, e a quella emersa e meno diffusa di Civati e Vendola.
È proprio quel momento in cui viene stoppata la proposta di Fago che i più smaliziati capiscono che Renzi la partita dell’Unità la sta seguendo con molta attenzione, attraverso il tesoriere del Pd Bonifazi.
Non è un dettaglio che nelle prossime ore il cdr incontrerà il presidente del Pd Matteo Orfini.
Nelle parole del cdr, più morbide nei confronti del Pd, anzi nelle quali non compare l’accusa di omicidio politico si intravede una possibile trama sul futuro del giornale. Trama che porta nella stessa direzione immaginata da Bonifazi.
Che ha spiegato: “Siamo impegnati a riaprire l’Unità “.
Ecco allora la partita politica di queste ore. Con la sospensione delle pubblicazioni la palla passa al commissario che sarà incaricato di gestire la liquidazione della Nie.
Il che significa che la Nie (con Fago e la vecchia compagine societaria) non è più il destinatario di eventuali offerte di nuovi acquirenti.
Ma saranno i liquidatori che possono vendere al miglior prezzo in base anche alle esigenze dei creditori.
Insomma, con la sospensione delle pubblicazioni e i giornalisti in cassa integrazione si può vendere il “marchio” senza il “ramo aziendale”.
Un’operazione “alla Marchionne” sussurra qualche giornalista.
Nel senso, e questa intenzione trova più di una conferma, Bonifazi è impegnato a trovare una cordata che rilevi il marchio – anzi ce ne sarebbe già una – ma a questo punto nessuno sa quanti giornalisti sarebbero tutelati.
Renzi non ha intenzione di rottamare il marchio Unità , anzi dopo aver risuscitato le feste vuole risuscitare anche il giornale, ma ha in mente una sorta di Unità 2.0: più moderna, smart e digitale. Con meno giornalisti.
Starebbe anche cercando un direttore ad effetto, molto mediatico e televisivo.
E nelle nuova Unità dovrebbero confluire anche i giornalisti di Europa, o una parte di loro, quando finirà l’ossigeno anche all’altro giornale del Pd.
A proposito: in questo schema, nessuno dei giornalisti in cassa integrazione sa chi sarà coinvolto nella Unità 2.0 di Renzi.
(da “Huffingtonpost”)
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Luglio 30th, 2014 Riccardo Fucile
SI ERA AUGURATA UNA CATASTROFE PROVOCATA DAI VULCANI, ORA GIUSTAMENTE RISPONDERA’ DI DISCRIMINAZIONE RAZZIALE… DENUNCIATA DAL PRESIDENTE DELLA OTTAVA MUNICIPALITA’ DI NAPOLI: “DEVOLVEREMO IL RISARCIMENTO DANNI IN BENEFICIENZA”
Ha pubblicato su Facebook un post con su scritto “Forza Etna, forza Vesuvio, forza Marsili”, augurandosi “una catastrofe naturale nel centro-sud Italia”.
Ora Donatella Galli, consigliera provinciale uscente della Lega Nord di Monza e Brianza, dovrà affrontare un processo con l’accusa di aver diffuso “idee fondate sulla superiorità razziale ed etnica degli italiani settentrionali rispetto ai meridionali” e di “discriminazione razziale ed etnica”.
Lo ha deciso il pm di Monza Emma Gambardella che, dopo aver chiuso le indagini, ha disposto la citazione a giudizio per l’imputata.
A presentare una denuncia per quel post pubblicato sul social network è stato l’avvocato Angelo Pisani, di Napoli, che si costituirà parte civile nel processo rappresentato dal legale Sergio Pisani.
I fatti sono iniziati nell’ottobre 2012 quanto la donna commentò su Facebook una foto satellitare dell’Italia priva delle regioni dal Lazio in giù, foto che era stata intitolata “Il satellite vede bene, difendiamo i confini”.
Dopo aver messo un “mi piace” alla foto, la consigliera leghista aveva commentato: “Forza Etna, forza Vesuvio, forza Marsili”, augurandosi, come scrive il pm, “una catastrofe provocata dai tre più grandi vulcani attivi” della zona.
Il processo, in cui Angelo Pisani è “parte offesa” in quanto presidente della Ottava Municipalità di Napoli, inizierà a Monza il 23 ottobre del 2015, davanti al giudice Elena Sechi.
“Intendiamo lanciare un segnale forte“, ha spiegato Angelo Pisani, “per far capire a tutti che la dignità dei cittadini italiani, siano essi meridionali o settentrionali, va rispettata. Se non lo si comprende per senso civico”, continua l’avvocato, “gli artefici lo capiranno pagando di tasca propria per le offese fatte”.
Pisani ha spiegato che devolverà il risarcimento danni in beneficenza: “La condanna che potrebbe arrivare rappresenterà un importante argine alla violenza razziale che avvelena lo sport italiano, il web e la convivenza civile”
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Luglio 30th, 2014 Riccardo Fucile
RIPRESI I LAVORI IN SENATO CON UNA DURA ACCURA DELL’EX MAGISTRATO CASSON: “VIOLATA LA CERTEZZA DEL DIRITTO”… L’OSTRUZIONISMO CONTRO LA LEGGE TRUFFA CONTINUA
A colpi di maggioranza, non certo in termini giuridici, con 10 voti favorevoli e 4 contrari, la giunta per il regolamento del Senato ha stabilito che è legittimo l’utilizzo del “canguro”, la tecnica di accorpamento delle votazioni che ieri ha permesso di far decadere 1400 emendamenti alle riforme.
A votare contro la decisione sono stati Sel, M5S e Lega.
Grasso ha giustificato il golpe dicendo che c’è «una prassi consolidata» inaugurata per la prima volta il 17 luglio 1996 da parte del Presidente Nicola Mancino «in analogia all’articolo 85 del Regolamento della Camera». Ma dopo quella prima applicazione in analogia al Regolamento della Camera, la prassi adottata dal Senato ha creato una prassi regolamentare interna al Senato, per cui oggi il Riferimento alle norme interne a Montecitorio «non ha più consistenza».
Quindi in base non a una norma (che avrebbe bloccato i golpisti) ma a una mesteriosa “prassi interna al Senato” una norma scritta non avrebbe più valore.
Tesi oroginale per un ex magistrato, ma ormai siamo abituati a tutto…
E’ immediatamente ripreso l’ostruzionismo in Senato sulle riforme.
Ha subito preso la parola l’ex magistrato Felice Casson (Pd) che ha contestato il responso della Giunta per il regolamento.
“Prendo atto della decisione della Giunta — ha affermato — Si tratta di ragionare di certezza del diritto: questa decisione vuol dire che la Presidenza può fare quel che vuole”.
Analogo il ragionamento di Sergio Divina (Lega), che ha messo in dubbio la decisione della Giunta.
Il capogruppo di M5s Vito Petrocelli, ha parlato di un “parere assurdo” della Giunta, che contiene “un vizio”
E’quindi iniziato in Senato l’esame e il voto degli emendamenti al ddl sulle riforme, dopo oltre un’ora di dibattito sulle decisioni della Giunta per il Regolamento sulla regola del “canguro”.
E la medesima regola verrà subito applicata sull’emendamento di Sel in discussione, che se bocciato farà saltare 38 emendamenti.
Niente a che vedere con i 1400 saltati ieri. ”Questo è un cangurino”, ha detto quasi a giustificarsi il presidente del Senato, Pietro Grasso.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Luglio 30th, 2014 Riccardo Fucile
LA MOGLIE DEL DISSIDENTE NON DOVEVA ESSERE ALLONTANATA DALL’ITALIA: “IGNORATO IL DIRITTO D’ASILO, IMMOTIVATO IL RAID NOTTURNO”
Alma Shalabayeva, moglie del dissidente kazako Muktar Abliazov, non doveva essere espulsa dall’Italia e il provvedimento di rimpatrio è viziato da «manifesta illegittimità originaria».
Lo afferma la Cassazione che ha accolto il ricorso della Shalabayeva contro il decreto del giudice di Pace di Roma del 31 maggio 2013.
Shalabayeva, espulsa con urgenza, rientrò in Italia con la figlioletta Alua lo scorso 27 dicembre.
«Ignorato il diritto di asilo»
Lo ha sancito la sesta sezione civile. Era stato il giudice di pace di Roma, con provvedimento emesso il 31 maggio 2013, a convalidare il suo trattenimento presso il Cie di Ponte Galeria, a seguito dell’espulsione.
La Suprema Corte ha annullato senza il rinvio il provvedimento rimarcando anche che «la contrazione dei tempi del rimpatrio e lo stato di detenzione e sostanziale isolamento» nel quale la donna è stata tenuta Alma Shalabayeva «dall’irruzione alla partenza, hanno determinato nella specie un irreparabile vulnus al diritto di richiedere asilo e di esercitare adeguatamente il diritto di difesa».
«Aveva validi titoli di soggiorno»
Tempi brevi, quindi, ma anche un’omissione grave: «Peraltro il controllo della sussistenza di due titoli validi di soggiorno intestati ad Alma Shalabayeva sarebbe stata operazione non disagevole».
Il sospetto, rivelatosi errato, di un’alterazione del passaporto diplomatico era data dall’uso del nome da nubile: era intestato «non ad Alma Shalabayeva ma ad Alma Ayan».
«Immotivata l’irruzione notturna»
Non solo: l’irruzione notturna nell’abitazione di Casal Palocco dove risiedeva Alma Shalabayeva, effettuata dalle forze dell’ordine, era stata fatta per cercare suo marito e non per finalità di prevenzione e repressione dell’immigrazione irregolare.
Lo sottolinea la Cassazione elencando l’irruzione notturna – avvenuta nella notte tra il 28 e il 29 maggio 2013 – tra le anomalie che hanno caratterizzato il caso Shalabayeva e l’operato delle forze di polizia.
Fin dall’inizio era evidente che ci furono pressioni politiche sul governo italiano per il “sequestro” della moglie del dissidente.
Alla fine ha pagato solo un funzionario, come sempre.
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Luglio 30th, 2014 Riccardo Fucile
LA FORZATURA DEL GOVERNO, AVALLATA DA GRASSO, VIOLA L’ART. 85 BIS
E già mezza giornata è saltata. La seduta del Senato riprende con la protesta, seppure con toni civili e composti, dei dissidenti del Pd, nonchè delle altre forze politiche (Forza Italia) sulla riforma costituzionale.
Il punto riguarda il cosiddetto ‘canguro’ usato da Pietro Grasso ieri sera per saltare 1400 emendamenti al ddl Boschi.
“Non si può fare”, intimano i dissidenti del Pd.
Felice Casson l’aveva già detto in aula ieri sera, oggi lo hanno ripetuto Massimo Mucchetti e Paolo Corsini del Pd e poi Augusto Minzolini di Forza Italia, tra gli altri. Il presidente del Senato ha quindi disposto la riunione della giunta per il regolamento per dirimere una questione che non sembra affatto di superficie.
I frondisti contestano l’applicazione dell’articolo 85 e dell’85 bis del regolamento della Camera, disposta dal presidente Grasso.
E non perchè sia stato applicato al Senato: è successo altre volte in passato.
Bensì perchè la “facoltà del Presidente di modificare l’ordine delle votazioni quando lo reputi opportuno ai fini dell’economia o della chiarezza delle votazioni stesse”, prevista dall’articolo 85, non è possibile per le leggi di riforma costituzionale, come recita l’articolo 85 bis.
Ecco qui:
“Le disposizioni di cui all’ultimo periodo del comma 8 dell’articolo 85 non si applicano nella discussione dei progetti di legge costituzionale e di quelli indicati nell’articolo 24, comma 12, ultimo periodo”.
E’ questo che ha portato Casson a porre il problema ieri sera in aula.
E’ questo che ha portato Mucchetti e Corsini a continuare sulla stessa scia questa mattina.
“Ieri non abbiamo scritto una bella pagina nella storia del Senato”, ha detto Mucchetti a Grasso. Adesso “molto del peso della necessità che il dibattito in aula proceda in modo positivo e concludente riposa sulle sue spalle — ha continuato il senatore del Pd — la ricordo in campagna elettorale come una persona saggia equilibrata e ferma.
Per Corsini: “C’è anche un secondo torto: quello di chi utilizza il regolamento, o i regolamenti, come chiave di volta di soluzione di un problema politico che abbiamo di fronte. Non ho condiviso l’uso di una norma applicata per analogia ma non nella sua completezza”.
E Minzolini: “Non penso che Renzi sia un Cesare, ma chiarire l’uso del ‘canguro’ serve a evitare che un Cesare in futuro possa modificare la Costituzione con un colpo di mano”
(da “Huffingtonpost”)
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