Luglio 7th, 2014 Riccardo Fucile
UNA TESTIMONIANZA DENUNCIA CONTRO UN GOVERNO CHE DI SCUOLA (E NON SOLO) NON CAPISCE UN CAZZO
Pubblichiamo la lettera aperta di una docente al governo: ne condividiamo completamente i contenuti
Egregio Presidente Renzi, Onorevole Giannini, esimio Sottosegretario Raggi,
chi vi scrive è una professoressa, una donna come tante, che fino ad oggi ha vissuto con entusiasmo il proprio lavoro, spendendosi giorno dopo giorno, ora dopo ora per i propri ragazzi.
Sono 30 anni che insegno, di cui 27 come insegnante di sostegno. Per scelta, sono fiera di precisarlo
Oltre alla specializzazione per l’insegnamento ai ragazzi disabili, che ai miei tempi constava di un biennio parauniversitario (mica il corsetto di 6 mesi che proponete oggi), con 18 esami, fra cui neuropsichiatria infantile, clinica delle minorazioni, psicologia, pedagogia, normativa scolastica, e annesse prova scritta in Braille e tesi finale, ho conseguito diverse altre specializzazioni: sono specializzata in didattica della musica, sono facilitatore alla comunicazione di primo livello ed ho superato l’esame di accertamento linguistico (lingua inglese) per l’insegnamento all’estero. Oltre agli innumerevoli corsi di formazione in tecniche della comunicazione, ABA, dislessia e quant’altro.
Sono andata a discutere la mia tesi di specializzazione con la media del trenta, questo solo per farVi capire quanto io abbia investito sulla mia formazione.
Ogni mattina mi sveglio e affronto problemi che vanno dalle crisi di un ragazzino autistico all’incapacità di memorizzare di un alunno dislessico, fino alla gestione di crisi epilettiche o psicotiche. Ogni giorno, quando torno a casa, sono talmente stanca che vorrei solo dormire, ma mi metto a cercare materiali utili da mettere sul Cloud che ho creato per tutta la classe. Perchè, sì, io faccio sostegno “alla classe”: a me vengono affidati i ragazzi immigrati che non conoscono bene l’italiano, gli alunni con problemi di dislessia, e i famosi BES, i bisogni educativi speciali, OLTRE alle problematiche che devo necessariamente affrontare con gli alunni certificati.
Lo sa, Presidente Renzi? Ho una cicatrice sul braccio sinistro, causata da un cutter che un ragazzino autistico era riuscito a trovare nella cattedra dei bidelli, e per difendere lui da se stesso mi sono ferita io.
Lo sa, Onorevole Giannini? Spesso sono tornata a casa coi lividi, da scuola, per un calcio, un pugno, perchè ho dovuto contenere un ragazzino che si sarebbe fatto male.
Lo sa, Sottosegretario Raggi, che mi sono pagata da sola la supervisione, assolutamente necessaria per non scaricare sui ragazzi i miei problemi e le mie frustrazioni personali?
E oggi mi sento dire che “non faccio abbastanza”, che rispetto all’Europa “gli insegnanti italiani lavorano meno”. Ma con quale faccia!!!
Ognuno di voi, è mai stato un’ora, dico una sola, in cattedra? Avete mai avuto a che fare con un ragazzino autistico che si autolesiona? Conoscete le teorie comportamentiste, l’approccio psicanalitico, le neuroscienze in rapporto all’autismo? Se vi chiedessi quale ritenete più consona sapreste rispondere? No, che non sapreste rispondere. Perchè di scuola sapete poco o nulla.
A voi interessa risparmiare.
Ed è per questo che avete montato ad arte una campagna pubblica contro gli “insegnanti fancazzari”, è per questo che volete raddoppiarci l’orario di lavoro, a parità di stipendio, si badi bene, in modo da non dover pagare supplenti e non assumere i precari, è per questo che propagandate una scuola che sia al contempo succursale dell’ASL, degli assistenti sociali, dei campi estivi.
SOLO PER RISPARMIARE. Sulla nostra pelle, si intende.
Io sfido chiunque si azzardi a dire che non lavoriamo abbastanza a fare non dico una mattinata, ma almeno 3 ore in una classe problematica.
Vi invito caldamente a venire a pulire la bava alla bocca di un ragazzo epilettico, poi a cambiarlo, perchè si è urinato addosso, e soprattutto a rassicurarlo e pregare Dio che la crisi passi presto. Per lui, per i suoi genitori, per voi stessi che vi trovate di fronte all’imponderabile
Vi sfido a contenere la crisi di un ragazzo autistico che sbatte la testa contro al muro e comincia a sanguinare.
Lo sapreste fare? No che non lo sapreste fare…. E allora di cosa parlate?
E i miei colleghi, che gestiscono classi eterogenee, dove si devono fare fino a 5 compiti in classe differenti per andare incontro alle esigenze di ogni alunno, pensate che a casa non facciano niente?
Fate pure tutti i vostri piani, allora, costringeteci, col plauso del popolo bue, che non vede l’ora di punire gli “insegnanti fannulloni”, a fare più di quanto sia umanamente possibile, toglieteci ogni motivazione, spremeteci come limoni…. Come pensate sarà la scuola, poi?
Ve lo dico io: insegnanti che perderanno ogni motivazione, che ridurranno la propria disponibilità all’osso, che andranno in burnout a discapito degli allievi, che non saranno più disposti a fare nulla di più di quanto dovuto.
Da ultimo, una mia personalissima considerazione: ho amato il mio lavoro, ci ho creduto, mi sono spesa senza riserve, ho fatto molto, molto di più di quanto sarebbe stato richiesto. Oggi, invece, l’unico pensiero che riesco ad avere è di scappare il più presto possibile, anche a costo di fare la cameriera.
Un bel risultato, eh? Complimenti, da parte mia e da parte di tutti gli insegnanti che da anni si prendono cura dei nostri ragazzi, che sono il nostro futuro.
Annachiara Piffari
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Luglio 7th, 2014 Riccardo Fucile
DA MINZOLINI A MINEO, DA CHITI A FORMIGONI, ORMAI I DISSIDENTI SPUNTANO OVUNQUE COME I VIETCONG
C’è già chi ha ribattezzato palazzo Madama come la “Saigon” di Renzi. Perchè in queste ore i dissidenti spuntano ovunque, neanche fossero dei Vietcong.
Con l’obiettivo di abbattere il patto del Nazareno.
In due tappe. Primo, prendendo tempo. Poi, ridiscutendo il tutto.
È questo di fatto che spiegano nel corso della conferenza stampa i “dissidenti” azzurri come Augusto Minzolini, rossi come Mineo e Verdi come il redivivo Pecorario Scanio.
Il primo obiettivo è evitare che mercoledì la riforma piombi in Aula al buio, visto che nessuno finora è riuscito a leggere e esaminare bene il testo.
Nè aiuta la giornata di domani visto che la commissione Affari costituzionali è chiamata a licenziare la parte più importante della riforma più tutto il titolo V.
Al momento i numeri per evitare che la riforma passi con i due terzi ci sono.
E allora vediamo il pallottoliere.
Per avere i due terzi a palazzo Madama occorre raggiungere quota 214 senatori (su un totale di 320). È questo il numero magico.
Sulla carta, se i partiti contraenti del “patto” tenessero, non ci sarebbero problemi. Insieme il Pd, Forza Italia, la Lega e Ncd raggiungono quota 216.
È questo il risultato della somma tra i 109 senatori del Pd, i 59 di Forza Italia, i 15 della Lega e i 33 di Ncd.
A cui vanno aggiunti 8 senatori di Per l’Italia (su 10) favorevoli alla riforma, più i 7 di Scelta civica e 6 su 11 di Gal.
Sulla carta, dunque, a favore della riforma si sono 237 senatori. Sulla carta però. Perchè il “partito traversale dei dissidenti” avanza.
Al momento i ben informati ne contano una “quarantina”: tra i 24 e i 27 di Forza Italia, un paio di Ncd, 18 del Pd.
È il gruppone democratico che ormai da settimane ha manifestato la propria contrarietà : Chiti, Mineo, Corsini, Massimo Mucchetti, Casson, Nerina Dirindin, Erica D’Adda, Maria Grazia Gatti, Sergio Lo Giudice, Claudio Micheloni, Tocci, Lucrezia Ricchiuti e Renato Turano, Francesco Giacobbe.
Bastano a impedire che la riforma passi con i due terzi. Ma è soprattutto Forza Italia il cuore del problema.
Tanto che ancora non si sa se si terrà domani la riunione con i gruppi convocata dopo lo sfogatoio della settimana scorsa, per poi essere sconvocata.
Segno che il gruppo è fuori controllo.
Su 59 i dubbiosi sono attorno ai 27. L’attivo Minzolini c’entra poco.
È l’ultima tappa dello scontro tra “cerchio magico” e corpaccione del partito. L’opinione diffusa tra i dissidenti è che il vero patto tra Berlusconi e Renzi preveda che l’esito naturale del percorso di riforme sia il voto anticipato.
Possibile già a marzo del 2015, se la prima lettura avviene entro l’estate al Senato.
Il combinato disposto di nuovo Senato e Italicum rischia di essere fatale per i non graditi al cerchio magico.
Ed è su questo punto la saldatura reale con quelli del Pd certi di non essere graditi al nuovo corso renziano: “Il voto anticipato — dice una fonte autorevole di Forza Italia – è più probabile se passa la riforma. Se non passa Renzi minaccerà ma non riuscirà a sciogliere. Tra Camera e Senato quelli certi che non saranno ricandidati tra Pd e Forza Italia sono una ottantina, a cui aggiungere quelli di Ncd che non rientreranno”.
Ecco lo spettro agitato per affossare le riforme: “Se passano, il prossimo anno tutti a casa”.
Ed è proprio per provare a ricompattare il gruppo Berlusconi ha chiesto una lista dei dissidenti. Per chiamarli uno ad uno.
È rimasto molto colpito dell’entità del dissenso. Che tocca anche “insospettabili”.
Su 59, ribolle la metà del gruppo di Forza Italia.
A partire dai 7 pugliesi di Raffaele Fitto: Francesco Bruni, D’Ambrosio Lettieri, Pietro Iurlaro, Pietro Liuzzi, Luigi Perrone, Lucio Tarquinio, Vittorio Zizza.
Un altro pugliese, Francesco Amoruso, vicino a Maurizio Gasparri è molto dubbioso. Così come è dubbioso il gasparriano Francesco Aracri, macchina di consenso nel Lazio.
Più che perplessi due lombardi, Zuffada e Panioncelli.
Contrario il gruppo campano di Cosimo Sibilia, Eva Longo. Mentre i contrarissimi Milo e D’Anna sono già nel Gal.
Incerti Cinzia Bonfrisco, Lucio Malan, Ciro Falanga, Enzo Fasano, Domenico Scilipoti, Riccardo Villari, Paolo Galimberti, Franscesco Scoma.
Tra i non pervenuti Sandro Bondi e Manuela Repetti.
È l’ora del grande negoziato. Per far rientrare il dissenso. Vale per Forza Italia, ma non solo.
Dentro Ncd nelle ultime ore su posizioni contrarie, dopo Roberto Formigoni, si è posizionato Antonio Azzollini, presidente della Commissione Bilancio.
Mercoledì sera la Giunta al Senato si occuperà dell’utilizzo delle sue intercettazioni nell’ambito di un provvedimento che lo coinvolge.
Il relatore, Felice Casson, si è già detto favorevole all’utilizzo. Ma nulla è scontato, perchè il voto di Azzolini è prezioso sulla grande riforma del Senato.
E non solo il suo.
(da “Huffingtonpost“)
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Luglio 7th, 2014 Riccardo Fucile
“NON SIAMO SABOTATORI”
“Sulla riforma del Senato, ho la profonda convinzione che la strada tracciata sia quella giusta. E faccio fatica a immaginare un voto di coscienza in aula: si discute ma poi il gruppo decide a maggioranza. Mentre sulla legge elettorale, sono necessari dei miglioramenti. Io rivendico che la minoranza Pd ha contribuito a migliorare le proposte di riforma del Senato e del Titolo V. E non condivido alcune letture del lavoro che sta facendo la minoranza Pd sull’Italicum. La minoranza del Pd non è opposizione, è minoranza costruttiva. Migliorare si può e, anche in questo caso, si deve avere un metodo: si discuta, tutte le opinioni abbiano accesso, nessuno sia tacciato di atteggiamento sabotatore e poi si faccia sintesi negli organismi dirigenti e nei gruppi parlamentari…”.
Maurizio Martina è il primo ministro del governo Renzi a intestarsi una battaglia di minoranza Pd: quella che bersaniani, lettiani, cuperliani, dalemiani stanno conducendo per eliminare le liste bloccate dell’Italicum e per modificarlo anche in altri aspetti.
Martina, bersaniano in squadra con Renzi, lo fa in questa intervista, anche a rischio di agitare le acque a Palazzo Chigi: “Il nostro è un atteggiamento costruttivo, non vogliamo minare il percorso delle riforme”.
Raggiungiamo il ministro al telefono subito dopo la sua visita ai cantieri dell’Expo di Milano.
Da lì, le notizie sono buone: “Nonostante le difficoltà si procede, l’Expo sta crescendo passo dopo passo…”, ci dice.
Invece le riforme sembrano incagliate per via dei ‘frondisti’ di ogni provenienza politica, uniti contro il Senato non elettivo
Penso che siamo ad un passaggio delicato ma siamo a un passo dal traguardo. Secondo me a cominciare dalla partita che si è aperta sul cambiamento del Senato, dobbiamo produrre un fatto nuovo, positivo per l’Italia. Tutto il Pd ci sta lavorando e io condivido l’impianto della riforma del Senato e del Titolo V. Il superamento del bicameralismo perfetto resta la riforma delle riforme, la più importante. Lo dico essendo un rappresentante della minoranza Pd che ha sempre vissuto il dibattito interno come valore e punto di forza per il Pd. Il nostro compito è contribuire al dibattito: sul superamento del bicameralismo perfetto e sul Senato, ho la profonda convinzione che la strada tracciata sia la strada giusta.
Immagino che invece non condivida l’impianto dell’Italicum. Ma prima di parlarne, le chiederei come risolverebbe la questione dei dissidenti Pd sulla riforma del Senato.
Faccio fatica a immaginare voti di coscienza sulla riforma del Senato. E’ sacrosanto il confronto, vanno rispettate tutte le posizioni, bisogna dare cittadinanza a tutte le proposte, ma poi ci vuole una sintesi. Immagino che l’assemblea dei senatori del Pd sarà il luogo per confrontarsi e decidere insieme con un vincolo, un voto a maggioranza. Bisogna avere un metodo e ricondurre il potere di sintesi e scelta ai luoghi rappresentanza massima del partito.
Invece sulla legge elettorale, chiedete modifiche.
Su alcune questioni si deve ragionare. Ma la minoranza Pd è minoranza costruttiva, non opposizione. Io rivendico che la minoranza Pd ha contribuito a migliorare le proposte di riforma del Senato e del Titolo V. Non condivido alcune letture del lavoro che stiamo facendo. Non è lavoro da opposizione. Abbiamo sempre cercato di migliorare le proposte. Sull’Italicum ci sono per esempio diversi punti su cui ragionare: la soglia di accesso alla rappresentanza e poi il rapporto tra elettori ed eletti. Con l’idea delle liste corte si è prodotto un fatto nuovo rispetto al Porcellum ma si può fare di più: discutiamo.
Introducendo le preferenze.
Personalmente proverei a lavorarci, mi rendo conto che non c’è il supporto di tutti ma per esempio si potrebbe anche parlare seriamente di primarie per legge. Migliorare si può, poi si deve avere anche un metodo: si discute, tutte le opinioni abbiano accesso, nessuno sia tacciato di atteggiamento sabotatore e poi si faccia sintesi. Anche in questo caso, come con la riforma del Senato. Prima si cerchi la condivisione negli organismi dirigenti del partito, poi nei gruppi parlamentari.
Solo che, sulle preferenze, sareste di più dei dissidenti che si oppongono alla riforma costituzionale. Non teme uno scollamento con la nuova dirigenza Pd?
Continuo a pensare che ci siano dei margini per fare questo lavoro. Dobbiamo continuare a ragionare ponendosi gli obiettivi che Renzi ha indicato come obiettivi per tutti. E’ anche nostro l’obiettivo di fare presto e bene, di dare un segnale di cambiamento oltre i confini nazionali. Lo stile è collaborativo: si può fare sull’Italicum, tenendo presente i vincoli di questo lavoro. Il nostro atteggiamento vuole essere costruttivo: nessuno vuole minare il percorso.
Lei è il primo ministro che si intesta ufficialmente una battaglia di minoranza. Da quando è nato il governo Renzi, è la prima volta che succede. Si è incrinato un po’ il patto tra renziani e non renziani che a febbraio ha portato il segretario del Pd a Palazzo Chigi?
Non si è incrinato e lo dico serenamente. Sono contento di contribuire anche sul versante della minoranza Pd al grande lavoro che abbiamo da fare insieme per l’Italia. Sul piano interno ci siamo confrontati, ora c’è da far vivere una pluralità di idee. E’ un punto di forza, non di debolezza per il Pd. Perchè e’ anche così che si contribuisce a dare una mano a Renzi nella sfida per cambiare il paese.
(da “Huffingtonpost“)
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Luglio 7th, 2014 Riccardo Fucile
“INDIFENDIBILE” DOPO AVER PERORATO IL VOTO AL CSM PER UN PAIO DI MAGISTRATI AMICI
Palazzo Chigi aveva fatto filtrare la sua secca irritazione.
A una manciata di giorni dalla presentazione delle linee guida sulla riforma della giustizia, sulla quale aveva già messo in programma di dover rispondere colpo su colpo alle critiche in arrivo dalla magistratura, l’intromissione di un membro del governo sui delicatissimi equilibri delle elezioni del Csm era l’ultima cosa che Matteo Renzi si augurava.
Quel messaggio (“Per le elezioni al Csm mi permetto di chiederti di valutare gli amici Pontecorvo e Forteleoni”) inviato dal sottosegretario Cosimo Ferri, arrivato a via Arenula con il governo Letta proprio dopo un mandato (quasi plebiscitario, 533 voti) al Consiglio superiore della magistratura, è stato definito dal premier “indifendibile”.
Un cortocircuito tra il potere esecutivo e quello giudiziario in una fase delicatissima negli equilibri istituzionali del paese che ha portato Ferri sull’orlo delle dimissioni.
Il sottosegretario era entrato al governo in quota Forza Italia da tecnico, ed era riuscito a sopravvivere anche dopo l’addio degli azzurri alla maggioranza.
Una circostanza che oggi lo lascia “nudo”, privo di qualsiasi copertura politica che lo possa mettere al riparo dalle critiche.
Le pressioni affinchè lasci sono asfissianti.
Il leader dell’unica formazione politica dalla quale sarebbe potuta arrivare una mano tesa l’ha scaricato: “Credo che il sottosegretario Ferri abbia il diritto e il dovere di fare una riflessione e di comunicarla pubblicamente – ha spiegato Angelino Alfano – È una vicenda che va affrontata pubblicamente e senza ipocrisie”.
Certo, il ministro dell’Interno, fedele alla linea critica in materia del centrodestra italiano, ha sottolineato che vede “troppi che si scandalizzano, come se non sapessero come avvengono le elezioni”.
Ma non un dito è stato sollevato per mettere il sottosegretario al riparo sotto l’ombrello della ragionpolitica.
È Andrea Orlando l’incaricato di gestire la patata bollente. Il ministro della Giustizia per il momento fa sapere di avere una giornata lavorativa fitta di appuntamenti, e non si sa se vedrà Ferri già in giornata.
Un incontro che potrebbe essere dirimente per la sopravvivenza – al momento molto incerta – del sottosegretario nella squadra di governo.
E mentre il Movimento 5 stelle, tramite il senatore Mario Giarrusso, ne chiede a gran voce l’allontanamento, la censura dal peso specifico più rilevante arriva dall’Anm, della quale proprio l’ex magistrato era membro del Comitato direttivo al momento della nomina: “Il sostegno esplicito di un membro del governo volto a favorire l’elezione di alcuni dei componenti dell’organo di governo autonomo della magistratura non solo costituisce un’evidente e grave interferenza nel delicato equilibrio tra i poteri”.
Tutti coloro che si dovevano esprimere si sono espressi.
E tutti hanno indirizzato pollice verso in direzione del sottosegretario.
All’appello ne manca solo una: quella di Ferri.
(da “Huffingtonpost”)
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Luglio 7th, 2014 Riccardo Fucile
I 10 “FINTI” SàŒ DI GRILLO A RENZI: DIMOSTRARE “RESPONSABILITA'” E FARSI DIRE NO O SI RISCHIA LA FACCIA
Dopo tre giorni di estenuante tira e molla, arriva l’agognata risposta scritta che il Pd aveva chiesto al M5s.
Dieci domande, dieci punti per capire se il dialogo sulla legge elettorale potrebbe andare avanti. Un ein plein di dieci risposte affermative. Tutte con un lungo corollario, sufficiente, in molti casi, a depotenziare quella secca risposta affermativa fornita dai grillini, lasciando di fatto le posizioni assai distanti.
L’assenso alla necessità di un secondo turno viene per esempio disperso in clausole capestro, almeno a guardare l’impianto di base dell’Italicum.
Il sì al ballottaggio per i 5 stelle è vincolato da un primo turno da svolgersi con un proporzionale puro, con le preferenze e senza soglie di sbarramento.
E impedendo la facoltà a diverse forze politiche di coalizzarsi tra di loro prima del voto.
L’esatto contrario di quanto emerso dal patto del Nazareno.
Anche il sì al premio di maggioranza per il vincitore è in realtà un no: il M5s identifica solo nell’eventuale ballottaggio quel bonus di seggi che, invece, nei piani di Matteo Renzi andrebbe attribuito al partito, o alla coalizione, che al primo turno ottenesse una maggioranza relativa di suffragi al di sopra di una certa soglia (fissata, al momento, al 37%).
Anche le risposte affermative alla riduzione dei collegi elettorali e del vaglio della norma da parte della Corte Costituzionale sono vincolati ad un generico “dipende dall’impianto complessivo della legge e da come la si vorrebbe realizzare”.
E via di seguito: “sì” alla modifica del Titolo V della Costituzione, ma “l’impianto proposto nell’attuale riforma non sia funzionale alla risoluzione dei problemi provocati dalla riforma del 2001”, “sì” alla riduzione dei compensi dei consiglieri regionali, “non si capisce in che modo il Parlamento potrebbe intervenire su questa materia, che dovrebbe essere di competenza regionale”.
Qualche apertura maggiore si avverte sull’abolizione del Cnel e sulla riforma del Senato, a patto che quest’ultimo sia elettivo.
Ancora una volta l’opposto di quel che vorrebbe Renzi.
Insomma, dei dieci “sì” del M5s, a leggere le righe piccole, almeno sette o otto suonano piuttosto come un diniego.
(da “Huffingtonpost”)
argomento: Grillo | Commenta »
Luglio 7th, 2014 Riccardo Fucile
SONO TUTTI SI’ CON QUALCHE RISERVA: VALEVA LA PENA?
Alla fine, le risposte del Movimento 5 Stelle alle dieci domande del Pd sulle riforme sono arrivate.
Sul blog di Grillo, il M5S ha pubblicato difatti le dieci risposte: formalmente sono tutti “sì”, ma con varie riserve al loro interno e diverse divergenze.
Tra le proposte del Movimento ci sono: un primo turno proporzionale privo di soglie di sbarramento e nel caso in cui nessuno raggiunga la maggioranza al primo turno, è previsto un secondo turno tra i due partiti più votati, al cui vincitore viene assegnato però un premio limitato, solo il 52% dei seggi.
Si parla però di premi per liste, non coalizioni.
I “ni” del M5S.
Disponibilità del Movimento, si legge, anche a far verificare preventivamente la legge elettorale alla Corte costituzionale.
Vago invece il M5S su collegi elettorali (“dipende dall’impianto complessivo”), sul superamento del bicameralismo perfetto (“Non siamo pregiudizialmente contrari”) e, nelle risposte pubblicate sul blog, ci sono molte riserve anche sulla riforma del titolo V (“l’impianto proposto nell’attuale riforma non sia funzionale alla risoluzione dei problemi provocati dalla riforma del 2001”).
“Irrinunciabile il Senato elettivo”.
No secco invece del M5S sul nuovo Senato di Matteo Renzi (“irrinunciabile l’elettività di promo grado dei senatori”) e pugno duro sull’immunità : “La nostra proposta in merito è semplice: affinchè l’immunità non diventi occasione di impunità e tuttavia preservi il parlamentare nella sua essenziale funzione di rappresentante dei cittadini, riteniamo necessario e sufficiente cancellare le immunità attualmente previste, all’infuori della garanzia dell’insindacabilità per le opinioni e i voti espressi”.
La risposta dei Cinque Stelle al Pd: i 10 punti del Pd e le relative risposte
1. Per noi un vincitore ci vuole sempre. L’unico modello che assicura questo oggi in Italia è la legge elettorale che assegna un premio di maggioranza al primo turno o al secondo turno. Il Movimento 5 Stelle, per esempio, ha vinto a Parma, Livorno e Civitavecchia nonostante che (sic) al primo turno abbia preso meno del 20% dei voti. Però poi al ballottaggio ha ottenuto la metà più uno dei votanti. Vi chiediamo: siete disponibili a prevedere un ballottaggio, così da avere sempre la certezza di un vincitore? Noi sì
“Si”
Per noi quello che voi chiamate “vincitore” è il conquistatore di una vittoria di Pirro, che non garantisce in alcun modo la governabilità : speravamo che l’esperienza di “vittoria” con una schiacciante maggioranza nella scorsa legislatura vi fosse stata d’insegnamento, ma evidentemente non è così. Un modello che assicuri la certezza di un vincitore come quello disegnato nella legge Berlusconi-Renzi non esiste pressochè in nessun sistema democratico al mondo. In ogni caso, al fine di evitare un pessima legge elettorale quale è la legge Berlusconi-Renzi nella sua attuale formulazione, e produrre un testo migliore siamo disponibili a prevedere un ballottaggio che dia ad una forza politica la maggioranza dei seggi, a condizione di evitare che la conquista del primo posto si trasformi in una corsa all’ammucchiata di tutto e il suo contrario (come è stato per l’Unione di Romano Prodi e per le coalizioni guidate da Silvio Berlusconi) che ha provocato la caduta anticipata dei rispettivi governi nel 2008 e nel 2011 nonostante la “vittoria”. Per evitarlo, la nostra proposta alternativa è formulata in questi termini:
– un primo turno proporzionale privo di soglie di sbarramento, in modo da consentire a chiunque di correre per il Parlamento e colmare il deficit di rappresentatività che la legge comporta;
– in caso di superamento della soglia del 50% + 1 dei seggi al primo turno, prevediamo un premio di governabilità minimo, che consegnerebbe al vincitore il 52% dei seggi;
– nel caso in cui nessuno raggiunga la maggioranza al primo turno, è previsto un secondo turno tra i due partiti più votati, al cui vincitore viene assegnato il 52% dei seggi.
2. Siete disponibili a assicurare un premio di maggioranza per chi vince, al primo o al secondo turno, non superiore al 15% per assicurare a chi ha vinto di avere un minimo margine di governabilità ? Noi sì.
“Si”
Ferme restando le obiezioni di cui alla precedente risposta, che potranno tuttavia essere sciolte dalla Corte costituzionale nella sede del controllo preventivo previsto nella riforma costituzionale, come già evidenziato siamo disponibili alla previsione di un turno di ballottaggio, nel caso in cui il primo turno non veda nessuna forza politica ottenere la maggioranza dei seggi, con il quale sia possibile attribuire un numero di seggi tali da assicurare a chi ha vinto di avere un minimo margine di maggioranza (la governabilità è un’altra cosa, per noi).
3. Siete disponibili a ridurre l’estensione dei collegi? Noi sì.
“Si”
La riduzione dell’estensione dei collegi è possibile, ma questo e altri elementi tecnici dipendono naturalmente dall’impianto complessivo della legge e da come si vuole concretamente realizzare.
4. Siete disponibile a far verificare preventivamente la legge elettorale alla Corte costituzionale, così da evitare lo stucchevole dibattito “è incostituzionale, è costituzionale”? Noi sì.
“Sì”
Siamo disponibili a far verificare preventivamente la legge elettorale alla Corte costituzionale; quello che tuttavia abbiamo urgenza di capire è in quale modo si dovrebbe introdurre questo controllo e come dovrebbe intervenire sulla legge elettorale in discussione. Il Presidente del Consiglio ha affermato nel corso del nostro ultimo incontro che la legge elettorale sarà approvata e promulgata dopo la prima lettura da parte del Senato della riforma della Costituzione. Il che significa che il controllo non sarà previsto per la legge elettorale in discussione.
Come pensate di risolvere questa contraddizione?
5. Siete disponibili a ridurre il potere delle Regioni modificando il titolo V e riportando in capo allo Stato funzioni come le grandi infrastrutture, l’energia, la promozione turistica? Noi sì.
“Si”
Siamo disponibili ad una modifica del Titolo V, sebbene riteniamo che l’impianto proposto nell’attuale riforma non sia funzionale alla risoluzione dei problemi provocati dalla riforma del 2001. Nel merito, la riforma Renzi del Titolo V prevede l’eliminazione sia della competenza concorrente Stato-Regioni, quella in cui lo Stato dettava i principi, con “leggi-quadro” per ragioni di omogeneità e le Regioni vi davano attuazione con le loro leggi, e della competenza residuale regionale, ovvero della clausola per la quale tutto quanto non era di competenza statale o concorrente spettava alle Regioni.
Nel nuovo quadro vengono definite solo le competenze statali, e quelle regionali non sono più residuali ma sono specificamente elencate. Se il problema che la riforma Renzi mira a risolvere è quello del “chi fa cosa” e quindi del contenzioso che si crea innanzi alla Corte costituzionale bloccando o invalidando numerosissime leggi, non si capisce in che modo questa riforma lo risolverebbe.
La nuova definizione di competenze non sembra essere risolutiva del problema in questione: dove finisce, ad esempio, la “programmazione e organizzazione dei servizi sanitari” (materia di competenza regionale) e dove iniziano le “disposizioni generali e comuni per la tutela della salute” (di competenza statale)? Quale opera sarà da considerarsi “dotazione infrastrutturale” (regionale) e quale “infrastruttura strategica” (statale)?
A ciò si aggiunga la previsione di una “clausola di supremazia” per la quale “su proposta del Governo, la legge dello Stato può intervenire in materie non riservate alla legislazione esclusiva quando lo richieda la tutela dell’unità giuridica o economica della Repubblica, ovvero la tutela dell’interesse nazionale”. Anche in questo caso, si pone il problema della grave disfunzione applicativa che può produrre questa disposizione.
Non si capisce, infatti, anzitutto perchè debba provenire dal Governo la proposta per l’utilizzo della clausola di supremazia in ambito legislativo, anzichè dall’organo legislativo che è il Parlamento. È facile immaginare che un Governo incapace di governare, che si regge sull’abuso dell’utilizzo dello strumento della questione di fiducia per imporsi al Parlamento, utilizzerà nello stesso modo la clausola di supremazia per imporsi alle Regioni, facendo rientrare discrezionalmente qualsivoglia legge nel concetto per sua natura amplissimo e difficilmente delimitabile dell'”unità giuridica o economica della Repubblica, ovvero la tutela dell’interesse nazionale”.
Sul ricorso a questa clausola, è facile poi prevedere altro contenzioso paralizzante innanzi alla Consulta.
Inoltre, riteniamo che vadano discusse nello specifico le materie da riportare in capo allo Stato, oltre a quelle elencate, quali ad esempio la Sanità .
6. Siete disponibili ad abbassare l’indennità del consigliere regionale a quella del sindaco del comune capoluogo e eliminare ogni forma di rimborso ai gruppi consiliari delle Regioni? Noi sì
“Sì”
Premettendo che il problema dell’indennità di consigliere regionale e di ogni forma di rimborso elettorale per i gruppi consiliari è stato già risolto dal M5S con il dimezzamento del primo e la restituzione di buona parte del secondo, non solo in sede regionale, ma anche in sede nazionale, non si capisce in che modo il Parlamento potrebbe intervenire su questa materia, che dovrebbe essere di competenza regionale. Il PD governa la maggior parte delle Regioni da molto tempo, per cui non è chiaro che cosa stia aspettando per procedere da solo in questo senso. La risposta a questa domanda è “noi sì, e lo facciamo già ”
7. Siete disponibili a abolire il CNEL? Noi sì.
“Sì.”
A questo proposito, vi chiediamo: considerato che non vi è relazione diretta tra l’abolizione del CNEL e il resto del progetto di riforma, siete disposti a scorporare l’abolizione del CNEL dal resto delle riforme costituzionali, in modo da vederlo approvato ad amplissima maggioranza e in tempi più rapidi?
8. Siete disponibili a superare il bicameralismo perfetto impostando il Senato come assemblea che non si esprime sulla fiducia e non vota il bilancio? Noi sì.
“Si”
Non siamo pregiudizialmente contrari, a condizione che l’esistenza di tale assemblea abbia ancora una precisa funzione nel disegno istituzionale.
9. Siete disponibili a che il ruolo del Senatore non sia più un incarico a tempo pieno e retribuito ma il Senato sia semplicemente espressione delle autonomie territoriali? Noi sì.
“Si”
Che significa che il ruolo del Senatore deve essere un incarico non a tempo pieno e semplice espressione delle autonomie territoriali? Perchè un ruolo importante come quello del rappresentante delle autonomie territoriali non dovrebbe essere a tempo pieno? Che senso avrebbe tale ruolo, al di là di quello che i rappresentanti delle autonomie già fanno nell’ambito della Conferenza Stato-Regioni? Peraltro, il testo che si va formando attribuisce una serie di poteri al Sentao (elezione del Presidente, dei giudici costituzionali, dei membri laici del Csm, competenza decisionale nelle leggi di riforma costituzionale ecc.) che vanno molto al di là dei poteri locali e che sono inconciliabili con una formazione di secondo grado, per cui, sul punto, riteniamo che in presenza di tali attribuzioni sia irrinunciabile l’elettività di promo grado dei senatori.
Il problema della retribuzione è presto superato: siete disponibili al dimezzamento immediato delle indennità e degli emolumenti di tutti i parlamentari e degli stanziamenti previsti per i gruppi parlamentari?
Noi lo abbiamo già fatto. E per farlo non occorrono complessi procedimenti di revisione costituzionale, ma solo volontà politica seria in tal senso.
10. Siete disponibili a trovare insieme una soluzione sul punto delle guarentigie costituzionali per i membri di Camera e Senato, individuando una soluzione al tema immunità che non diventi occasione di impunità ? Noi sì.
Sì.
La nostra proposta in merito è semplice: affinchè l’immunità non diventi occasione di impunità e tuttavia preservi il parlamentare nella sua essenziale funzione di rappresentante dei cittadini, riteniamo necessario e sufficiente cancellare le immunità attualmente previste, all’infuori della garanzia dell’insindacabilità per le opinioni e i voti espressi.
Contrariamente a quanto si è detto da parte di alcuni organi stampa, non c’è alcuna contraddizione fra l’azione del gruppo parlamentare M5s, compresa la presente lettera, e la reazione di Beppe Grillo che rappresenta solo una diversa articolazione dello stesso discorso politico per il quale l’importante è fare un buona legge elettorale.
Ora noi intendiamo , per senso di responsabilità e per non perdere altro tempo, passare sopra il teatrino che avete messo in piedi e ci auguriamo che non troviate altri pretesti. L’unica cosa a cui teniamo è che si faccia una buona legge elettorale per i cittadini. In questo senso, chiediamo serietà e reale disponibilità a un confronto.
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Luglio 7th, 2014 Riccardo Fucile
ANNULLATO IL VERTICE, IL BULLO DI PONTASSIEVE NON VA NEANCHE ALLA RIUNIONE DI PARTITO
Il vicesegretario del Pd, Lorenzo Guerini, aveva appena risposto a Di Maio dicendo che «anche noi non vogliamo far saltare il tavolo» quando Beppe Grillo ha messo una pietra tombale sulla trattativa Pd-M5S su riforme e legge elettorale.
«Si prende atto che un confronto democratico e trasparente in Italia è oggi impossibile».
Questo il messaggio sul blog, dove il leader M5S attacca: «Stiamo scivolando lentamente verso una dittatura a norma di legge».
Tempo pochissimi minuti e Matteo Renzi replica via Twitter: «Io sono un ebetino, dice Beppe, ma almeno voi avete capito quali sono gli 8 punti su cui #M5S è pronto a votare con noi? #pochechiacchiere».
E, poco dopo, un altro tweet: ««Non è uno scherzo, sono le regole! Chiediamo un documento scritto per sapere se nel M5S prevale chi vuole costruire o solo chi urla». L’affondo di Grillo arriva in seguito all’annullamento dell’incontro inizialmente previsto per questo pomeriggio tra Renzi e i Cinque Stelle, anche se il vicepresidente della Camera, Luigi Di Maio, aveva comunque detto di voler portare avanti il confronto.
E proprio su questo punto, Grillo è intervenuto con un nuovo post per dire che – anche dal suo punto di vista – le porte non restano chiuse. «Per chi non ha capito, o non ha voluto capire, tra il mio intervento di oggi e la conferenza stampa di Di Maio e Toninelli non vi sono contraddizioni, le porte per una discussione sulla legge elettorale per il M5S sono sempre aperte, nè mai le ha chiuse nonostante continue provocazioni. Il M5S ha il dovere come seconda forza politica di migliorare la legge elettorale e ci proverà fino in fondo. Il mio è stato un appello ai parlamentari delle altre forze politiche che hanno a cuore la democrazia perchè ci aiutino a evitare una deriva anticostituzionale legata alle riforme».
Grillo: “Il Pd rifiuta il confronto”
Eppure pochissimi minuti prima le parole di Grillo sembravano andare in direzione opposta. «Si prende atto che Renzi, le cui palle sono sul tavolo di Verdini e Berlusconi, rifiuta con il M5S ogni confronto democratico e che l’Italia dovrà pagarne tutte le conseguenze ».
«Qui andiamo verso una dittatura di stampo legale, una dittatura fatta da questo ebetino, che è un ebetone pericolosissimo, quindi molto sottovalutato anche da me, e questo mi dispiace, ma andiamo verso veramente una grande criminalità organizzata di stampo democratico. Questi sono gli sbruffoni della democrazia. Quindi io esorto veramente le persone, i cittadini, anche i componenti di altri partiti, se hanno ancora un po’ di barlume di democrazia dentro: non si può fare fuori l’opposizione così, fare finta, questa è gente falsa, ipocrita». Poi una frase che forse diventerà l’alibi futuro del Movimento: «Nessuno potrà più imputarci di non aver cercato il dialogo».
Il Pd alla resa dei conti coi «dissidenti»
Al di là dello scontro tra Pd-M5S, questa settimana sarà decisiva per le riforme costituzionali a partire da quella elettorale, con l’approdo in Aula del disegno di legge Boschi. E il dibattito interno al Partito democratico sulla riforma del meccanismo di voto si è riacceso.
Dopo le critiche di Pier Luigi Bersani, ieri è stato Gianni Cuperlo, leader di SinistraDem, a respingere al mittente le critiche di chi a Largo del Nazareno definisce frenatori quanti esprimono posizioni divergenti rispetto alla linea dei vicesegretari e del premier. Renzi non ha intenzione di cedere: «Siamo ad un bivio, adesso ognuno deve assumersi la responsabilità delle proprie azioni», è la sfida che questa sera, all’assemblea del gruppo, Matteo Renzi lancerà alla ventina di dissidenti dem che minacciano di votare contro il Senato delle Autonomie.
Ma le ultime notizie sono che Renzi non parteciperà all’incontro
Gli altri partiti in fermento
E mentre in casa Pd si continua a discutere, anche gli alleati di governo iniziano a alzare la posta. Ci pensa l’Ncd che – con Angelino Alfano – avverte: la riforma del voto così come è non va. Ad iniziare dalle soglie che devono essere cambiate: «Quella per il premio di maggioranza va alzata al 40%, le diverse soglie di sbarramento andrebbero armonizzate e razionalizzate», dice il leader del Nuovo Centrodestra.
«Ed è inaccettabile – aggiunge – che se in una coalizione la soglia la supera solo un partito il premio vada solo a quello benchè guadagnato con i voti di tutta la coalizione». «Renzi – aggiunge poi Fabrizio Cicchitto – non può forzare su materie come la legge elettorale, che non hanno conseguenze in materia di conti ma solo di quadro politico».
Ma anche l’Udc mostra la propria insofferenza: «L’Italicum così com’è non soddisfa», dice Antonio De Poli facendo convinto il senatore di Forza Italia Maurizio Gasparri, che «è cominciato il festival del panico dei partitini che vorrebbero soglie più basse».
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Luglio 7th, 2014 Riccardo Fucile
DALLA PUGLIA ALLA SICILIA TUTTI CHE VOGLIONO PERFORARE, MA BENEFICI E DANNI NON SONO CHIARI
Un’esca che galleggia lenta nell’Alto Adriatico rischia di provocare una marea nera lungo tutte le coste italiane, dal Veneto alla Sicilia.
A lanciarla è stato l’ex premier Romano Prodi che, in una lettera al Messaggero, ha chiesto al governo di darsi una mossa per cogliere un’occasione d’oro.
In questo caso l’oro è nero, come petrolio.
Proprio lungo la linea di confine delle acque territoriali della Croazia, sotto 12mila km quadrati di mare, si nasconderebbero enormi giacimenti di gas e oro nero.
Basterebbe prenderli — assicura il professore — per migliorare la bilancia dei pagamenti, aumentare le entrate fiscali, ridurre la bolletta energetica e la dipendenza da Russia, Libia, Algeria.
Problema: rientra tra i tesori che l’Italia non sfrutta, scrive Prodi, per il principio di precauzione che tutto blocca.
Nel caso del Golfo di Venezia, le attività di esplorazione e coltivazione di idrocarburi sono bloccate dal 1991 per il rischio di subsidenza delle coste e lo rimarranno finchè Regione Veneto e Consiglio dei Ministri — supportati dagli enti di tutela ambientale — avranno accertato l’assenza di rischi in via definitiva. Ma in Italia, si sa, nulla è più definitivo del provvisorio.
La gara con la Croazia
Ecco servita, allora, l’altra ragione per trivellare in quell’area: se non lo facciamo noi, comunque lo fa la Croazia.
Il nostro dirimpettaio, quel tesoro, non intende farselo sfuggire. E corre tanto che a gennaio ha concluso la fase di prospezione dei fondali, entro fine anno assegnerà le concessioni di sfruttamento delle 19 piattaforme che dal 2019 inizieranno a pompare, secondo le stime, fino a 3 miliardi di barili.
La mossa, ragiona Prodi, mette due volte in difficoltà l’Italia: se non fa nulla rischia di condividere tutti i rischi dell’impresa croata (già evidenziati dal ritrovamento di carcasse di delfini e tartarughe lungo le coste italiane) e di lasciare tutti i vantaggi al governo di Zagabria; se si muove in ritardo rischia poi l’effetto “granita”, per cui chi succhia per primo dallo stesso giacimento mette in pancia la parte più nobile e ricca di idrocarburi. L’idea di uscire dall’angolo deferendo il vicino a un arbitrato internazionale non sfiora il governo. E non solo per le scarse possibilità di successo.
Il fatto è che la contesa a largo di Chioggia, con le sue contraddizioni, potrebbe segnare il match point di una partita ultraventennale che vede contrapporsi, anno dopo anno, gli evocatori della nuova Dallas italiana e le associazioni di ambientalisti, pescatori e cittadini non arresi all’imperio del petrolio.
Una tempesta perfetta in un bicchier d’acqua, vista l’estensione dell’area marina, che consentirebbe però ai primi di schiacciare le resistenze dei secondi sotto il peso di mirabolanti vantaggi economici.
Prodi ricorda, ad esempio, che se l’Italia accelerasse su progetti e giacimenti già individuati “potrebbe produrre 22 milioni di tonnellate entro il 2020, con investimenti per 15 miliardi di euro e dare lavoro a decine di imprese”.
Messaggio diretto anche a Palazzo Chigi: “Come i governi precedenti non sa dove trovare i soldi per fare fronte ai suoi molteplici impegni…”.
E che fa il Governo? Al richiamo della sirena risponde subito Federica Guidi, ministro del Petrolio in pectore.
“Non solo in Adriatico ma in diverse zone del Paese, spesso localizzate nelle regioni più svantaggiate del Mezzogiorno, abbiamo importanti giacimenti. Non capisco perchè dovremmo precluderci la possibilità di utilizzarli, pur mettendo al primo posto la tutela dell’ambiente e della salute”, ha detto all’ultimo G7.
Il governo ha dunque intenzione di dar seguito agli strampalati obiettivi della “Strategia energetica nazionale” che un dimissionario governo Monti ha lasciato in eredità , con l’indicazione di raddoppiare la produzione di idrocarburi nazionali entro il 2020, tornando ai livelli degli anni Novanta, e di portare il loro contributo al fabbisogno energetico dal 7 al 14 per cento.
La leva individuata nella Sen per “liberare” questo potenziale imprigionato nella roccia è la stessa chiesta a gran voce dai petrolieri: accelerare e semplificare le procedure di rilascio dei titoli minerari.
La risposta è un “nuovo modello di conferimento dei permessi che preveda un titolo abilitativo unico per esplorazione e produzione, con anche un termine ultimo per gli enti interessati dalle procedure di valutazione”, fanno sapere dal Mise.
Una volta passato il termine, la decisione spetta solo al Consiglio dei Ministri (come previsto dal DL 83/2012).
In pratica si ridimensiona, fino a estrometterli del tutto dai processi di valutazione, proprio quegli enti, territori e associazioni che negli ultimi 20 anni hanno dato battaglia contro la devastazione ambientale e accresciuto la sensibilità pubblica in tutto il Paese
Lo sblocco delle piattaforme
“L’effetto sarebbe devastante”, spiega Giorgio Zampetti di Legambiente. In una manciata d’anni, dalla dorsale adriatica alle coste dell’Abruzzo, fino al tratto di mare tra Sicilia e Malta, si assisterebbe a un’epopea delle trivelle in mare che non ha precedenti.
Alle 105 piattaforme e ai 366 pozzi attivi oggi nell’offshore italiano si aggiungerebbero quelli derivanti dallo sblocco di 44 istanze per permesso di ricerca e 9 istanze di coltivazione depositate dalle compagnie.
Per non dire dell’effetto-calamita che una regolazione del settore ancor più favorevole ai produttori avrebbe sulla presentazione di ulteriori richieste.
Senza scomodare gli scenari dei rischi e dei costi ambientali che tutto questo comporta tocca chiedersi: a che pro?
Alessandro Giannì, direttore della campagne di Greenpeace, non ha dubbi. “Questa campagna per le perforazioni si basa su presupposti falsi. I nostri fondali marini non sono poi così ricchi di giacimenti, come si vuol far credere. Le riserve certe ammontano a soli 10,3 milioni di tonnellate di petrolio che, ai consumi attuali, sarebbero sufficienti a coprire il fabbisogno nazionale per qualche mese. Alla luce di questo vorrei che qualcuno ci spiegasse che senso ha questa corsa al raddoppio delle produzioni che espone le nostre coste, soprattutto quando i consumi nazionali di idrocarburi sono in costante calo”.
Obiezione cui ministero (e petrolieri) rispondono all’unisono: “Lo Stato avrà sempre valori delle riserve sottostimati se agli operatori non viene concessa la possibilità di condurre operazioni di accertamento e quantificazione delle potenzialità del sottosuolo”, replica Franco Terlizzese, capo della direzione per le risorse minerarie ed energetiche del Mise.
“Anzichè ragionare su come aumentare la produzione d’idrocarburi — insiste Zampetti — potremmo mettere in campo adeguate politiche di riduzione di combustibili fossili, a partire da settori arretrati come l’autotrasporto cui in 10 anni abbiamo regalato qualcosa come 4 miliardi tra buoni carburante, sgravi fiscali e bonus pedaggi autostradali. Basterebbe usare diversamente quei soldi per incentivare il trasporto merci su rotaia e ridurre senza sforzi la nostra bolletta petrolifera”.
Ma su questi temi la “svolta buona” sembra lontana.
Far consumare carburante in Italia – attraverso tasse, accise e Iva — resta il modo più comodo per ripagare buona parte della spesa corrente dello Stato.
Il petrolio, a suo modo, è welfare.
Rendere altrettanto profittevole l’oro blu richiederebbe ai decisori pubblici ben altro impegno.
Thomas Mackinson
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Luglio 7th, 2014 Riccardo Fucile
“PUO’ DIVENTARE IL MIGLIOR SERVIZIO PUBBLICO IN EUROPA”
Interviste non ne rilascia più, perchè Walter Veltroni – parole sue – si sta «disintossicando».
Non guarda neanche i talk show, «perchè tanto so già come vanno a finire», scherza l’ex segretario del Pd con Paolo Mieli, che lo intervista a Spoleto, al Festival dei due Mondi.
Non si riesce a tirar fuori un solo commento politico, da Veltroni, che è tutto preso dal suo documentario: «Sono in giro con il film su Berlinguer», dice, come fosse una tournèe rock.
Non parla di politica, Veltroni, ma la politica parla di lui, ancora.
Ne parlano i giornali, che ciclicamente riportano voci che lo vorrebbero l’uomo sempre buono per la poltrona sempre giusta, che sia la presidenza della Fgci (intesa come quella del calcio), quella della Repubblica, o la presidenza della Rai.
Già , la Rai. È la voce più insistente.
E «quelle tre lettere» racconta Veltroni a Mieli, senza timore di alimentare retroscena e indiscrezioni, «sono iscritte nel mio dna».
Sono l’eredità del padre, Vittorio, primo direttore del telegiornale, «di cui non ho alcun ricordo, neanche fotografico».
«Una volta però Ettore Scola, amico di mio padre» continua Veltroni, ospite delle Conversazioni di Paolo Mieli, organizzate da Aleteia Communication, «mi fece notare che quando sono seduto muovo sempre le gambe, così». «Lo fai perchè così faceva tuo papà », spiegò Scola a Veltroni.
Non c’è una foto che li ritrae insieme, Veltroni e suo padre Vittorio, morto quando il futuro sindaco di Roma aveva solo un anno.
«C’è però una foto di mio padre» continua Veltroni, «una delle prime che ho visto: con la tuta della Rai, su una moto, mentre faceva la radiocronaca del Tour de France».
Sulla tuta, tre lettere, appunto, «quelle tre lettere che, come il movimento delle gambe, sono impresse nel mio dna»: Rai.
Tra dna e destino c’è di mezzo un incarico complicato, ovviamente.
C’è il veto dei 5 Stelle («Renzi smentisca l’inquietante indiscrezione» ha detto Roberto Fico, presidente della commissione di vigilanza, la prima volta che il Tempo scrisse del possibile incarico), e c’è il rapporto con Matteo Renzi.
Poi, chissà se c’è la voglia, in fondo. Il programma, quello sì, c’è: «Il mio sguardo sulla Rai è lo sguardo di chi pensa che quell’azienda può tornare a rivestire una funzione decisiva».
C’è da tempo, soprattutto sapendo che Veltroni giù venti anni fa, alla Rai e ai suoi programmi, dedicava impegno politico e alcune fatiche saggistiche, firmando per Feltrinelli «I programmi che hanno cambiato l’Italia», e che ovviamente sono quelli televisivi, e non quelli dell’Unione nè del Pd. E, nel 1990, «Io, Berlusconi (e la Rai)».
«Il punto non sono i 150 milioni», non sono i soldi che Renzi ha chiesto alla tv pubblica, no: «La Rai può tornare a essere quello che era, sinonimo di apertura, coraggio, modernità . Può tornare ad essere il miglior servizio pubblico europeo. Però deve tenere un profilo editoriale industriale». La qualità deve «giustificare» il canone, e anzi «la Rai deve ridistribuire al Paese le risorse del canone in termini di prodotti».
Fiction, film, e anche «mini serie per youtube», possono esser prodotti in Italia, programma Veltroni: «facendo come quando ero ministro e misi l’obbligo di investire in produzioni nazionali».
«La gente paga il canone per avere servizio pubblico, non un rete privata travestita da servizio pubblico» dice ancora Veltroni, e dite voi se non è un proclama.
«Per il servizio pubblico l’Auditel non può essere l’unico metro di giudizio» e «se sei la Rai, con i soldi dei cittadini, non devi pensare al punto in più o in meno, alle puntate sbagliate». No. «Bisogna avere il coraggio di investire nei programmi, credendoci». «Se si sbagliano le prime puntate, la prima stagione, non è un problema se quel programma si fa perchè fa parte di un piano editoriale».
Il Veltroni, in modalità presidente Rai, si porta avanti col lavoro e disegna le reti del futuro, «non più differenziate per orientamento politico» («che peraltro è andato progressivamente sfumandosi», precisa), ma per «vocazione editoriale».
Una televisione moderna, pubblica, ma che sia la televisione di un paese che non si più «un “Paese di guelfi e ghibellini” dove il nemico resta nemico e non una persona da coinvolgere». Perchè il principio vale per la politica, vale per la tv, e viceversa.
Vale per Renzi, a cui l’ex segretario riserva parole di apprezzamento. Sempre parlando di se, che viene meglio, ma Veltroni difende pure il Renzi-Fonzie, col chiodo in visita ad Amici di Maria De Filippi: «Io accompagnai Natta da Raffaella Carrà » ricorda Veltorni, «e quando fui direttore del giornale fondato da Gramsci, lo feci uscire in edicola con le figurine Panini». Figurarsi quindi se non aprrezza il giubbotto di pelle del premier.
L’importante è aumentare il pubblico, per la tv come in politica: «allora io pensai fosse giusto allargare il pubblico dell’Unità , oggi Renzi va ad “Amici” perchè vuole parlare a un pubblico più vasto».
Ed è giusto così, perchè «se l’obiettivo è conquistare i tuoi, devi rassicurare», e quindi niente figurine, niente Carrà , niente chiodo. Ma se «l’obiettivo è conquistare anche chi è diverso» allora «devi cercarlo là , dove sai di trovarlo».
Luca Sappino
(da “L’Espresso“)
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