Luglio 4th, 2014 Riccardo Fucile
AVREBBE INCASSATO 500.000 EURO PER SBLOCCARE I FINANZIAMENTI DEL CIPE
Marco Milanese, in passato consulente dell’ex ministro dell’Economia Giulio Tremonti e già coinvolto in altre vicende giudiziarie, è stato arrestato per corruzione dalla Guardia di Finanza nell’inchiesta Mose. Lo apprende l’Ansa.
All’ex parlamentare del Popolo delle Libertà sono stati sequestrati beni per 500mila euro. Secondo l’ordinanza con la quale la Guardia di Finanza aveva arrestato 35 persone a inizio giugno Milanese ricevette proprio una tangente da mezzo milione di euro che gli imprenditori del Consorzio Venezia Nuova — secondo le accuse — gli avevano versato nel 2010 per sbloccare i finanziamenti del Cipe per il Mose.
Il denaro — secondo gli inquirenti — sarebbe stato consegnato a Milanese tra l’aprile e il giugno del 2010.
Secondo l’accusa, il Cvn avrebbe pagato Milanese attraverso Roberto Meneguzzo, patron della vicentina Palladio finanziaria. La dazione sarebbe avvenuta a Milano e per questo gli atti relativi a Meneguzzo sono stati trasferiti dal tribunale del Riesame di Venezia in Lombardia per competenza territoriale.
La decisione del gip Alberto Scaramuzza è dovuta ai recenti sviluppi dell’inchiesta Mose che hanno fatto emergere “sussistenti motivi di urgenza a provvedere”.
La richiesta della Procura veneziana — nell’indagine condotta dai pm Stefano Buccini, Paola Tonini e Stefano Ancillotto — era stata avanzata al gip il 10 giugno scorso, dopo i 35 arresti (tra cui il sindaco di Venezia Giorgio Orsoni, mentre pende la stessa richiesta alla Camera per l’ex governatore Giancarlo Galan).
Con la stessa ordinanza con la quale ha disposto l’arresto di Milanese, il gip di Venezia Alberto Scaramuzza ha dichiarato la propria incompetenza per territorio ed ha disposto la trasmissione degli atti alla magistratura di Milano.
Gli episodi di corruzione contestati a Milanese, infatti, avrebbero avuto come epicentro il capoluogo lombardo.
Nel quadro ricostruito dalla Procura di Venezia (e accolto finora dal tribunale con l’ordinanza del gip) il primo ostacolo che gli imprenditori veneziani del Consorzio Venezia Nuova furono chiamati a superare fu il blocco dei finanziamenti del Cipe, il comitato interministeriale di programmazione economica.
Il ministro Tremonti, infatti, inizialmente non voleva includere i fondi anche per il Mose: 400 milioni che il Consorzio Venezia Nuova stava aspettando.
Tutto gira intorno del Fas (Fondo aree sottoutilizzate).
E’ Lorenzo Quinzi, capo di gabinetto di Tremonti, a spiegarlo al presidente del Cvn Giovanni Mazzacurati: quei 400 milioni, spiega, sforerebbero la percentuale del Fas prevista per il sud (15%).
Così, secondo Procura e fiamme gialle, inizia una strategia degli imprenditori per far cambiare idea al ministero. Mazzacurati, in quell’inizio di primavera del 2010, fissa appuntamenti con funzionari e politici: il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta, il capo della struttura tecnica del ministero delle Infrastrutture Ettore Incalza e ancora Claudio Iafolla il capo di gabinetto dell’allora ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Altero Matteoli, anche lui indagato nell’inchiesta Mose.
Ma a Milanese il Cvn, secondo la magistratura inquirente, arriva appunto attraverso Meneguzzo, anche lui arrestato un mese fa.
In una telefonata intercettata il 29 aprile Mazzacurati pare esultare: “Diciamo, è stato efficacissimo il nostro”.
Già l’11 maggio l’obiettivo è raggiunto: “Volevo dirle che m’ha chiamato il nostro amico, allora mi ha detto che è confermato che domani va il Mose in Cipe” dice Meneguzzo a Mazzacurati, al telefono (sotto controllo).
Il risultato è che il 13 maggio 2010 il Cipe dà il via libera ai finanziamenti. In totale 1424,2 milioni di euro. Tra le “opere prioritarie” queste c’è anche il Mose.
Sulla tangente destinata a Milanese era emerso anche un particolare.
Accadde quando la Guardia di Finanza arrivo negli uffici del Cvn per iniziare una verifica fiscale proprio nel giorno il mezzo milione doveva passare di mano.
L’episodio lo racconta in un interrogatorio Claudia Minutillo, ex segretaria personale di Giancarlo Galan, una delle figure chiave dell’inchiesta, già arrestata nel primo filone dell’indagine: ”Quella volta che la Guardia di Finanza arrivò in Consorzio Venezia Nuova a fare l’ispezione — riferisce Minutillo al pm — e Neri (uomo di fiducia di Mazzacurati, anch’egli indagato, ndr) aveva nel cassetto 500mila euro da consegnare, dissero, perchè io non c’ero… Mi raccontarono ‘pensa che c’era Neri che aveva nel cassetto 500mila euro da consegnare a Marco Milanese per Tremonti, e li buttò dietro l’armadio’”.
Poi il passaggio di denaro fu “perfezionato”, secondo i giudici, a Milano.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Luglio 4th, 2014 Riccardo Fucile
“DUE PESI E DUE MISURE: QUELLO CHE IN BERLUSCONI FACEVA SCANDALO, IN RENZI FA SIMPATIA”… “FA COME A FIRENZE, AVEVA PROMESSO LA TRAMVIA IN TRE ANNI MA DOPO CINQUE NON C’E’ NULLA”
Niente è avvenuto per caso alla cerimonia di apertura del semestre italiano dell’Unione europea a Strasburgo.
La bordata di Manfred Weber, capogruppo del Ppe (i conservatori), contro Matteo Renzi fa parte di un sottile gioco delle parti da cui il premier cerca di trarre vantaggio.
A dirlo è Curzio Maltese, fresco di elezione al Parlamento europeo nella lista Tsipras.
Come si è comportato Renzi, secondo lei?
Ha fatto due cose molto scorrette: ha consegnato i contenuti del semestre in un documento e si è messo a parlare di altro per evitare domande scomode sull’Italia e spostare il discorso su vaghi principi, come lo slogan della “generazione Telemaco” copiato da Recalcati (che non ha citato). Poi ha saltato la conferenza con la stampa estera, sempre per evitare un confronto.
Renzi ha preferito andare da Vespa. Come l’hanno presa gli altri eurodeputati?
I tedeschi e gli spagnoli della sinistra hanno detto che fa quello che gli pare come Berlusconi. E durante il suo intervento, di circa due ore, tantissimo, in molti si sono annoiati. Non si parlava di nulla di concreto. L’unica cosa seria l’ha detta Weber, cioè di scordarci di cambiare i patti.
Il premier ha risposto che non prende lezioni dall’Ue. Chi vincerà ?
È uno scontro fintissimo, una messa in scena. Renzi non vuole rivedere nessun trattato. Sta tentando in tutti i modi di ritardare le manovre di rigore. Gli servono sei mesi di respiro per andare alle elezioni il prossimo febbraio, stravincere e solo dopo fare i tagli di austerity. Mi sembra strano che nessuno se ne sia accorto.
Quindi la flessibilità di cui parla il premier è uno slogan
La flessibilità non esiste. Renzi chiede solo sei mesi di tregua. Infatti non ha chiesto di rinunciare al fiscal compact.
Non potrebbe andare al voto già a novembre?
No, la nuova legge elettorale per novembre non sarà pronta. Sulle liste bloccate ha l’accordo di Berlusconi, che vuole confermarsi capo di FI e su questo non si discute. Grillo è in crisi e Sel è spaccata. Lui prenderà i voti da destra a sinistra.
E Bruxelles?
La Commissione europea non verrà insediata fino a novembre, quindi Renzi avrà il tempo per posticipare la manovra e fare contentini, come gli 80 euro ai pensionati. La sua strategia è buttare la palla avanti. L’ha fatto anche da sindaco di Firenze: in mille giorni aveva promesso la tranvia ma dopo cinque anni non c’è nulla. Dopo i problemi diventano degli altri.
Però in Italia Renzi ha tutti dalla sua parte per ora?
Non vedo punti di debolezza. Il suo problema è che fa quello che vuole. Si sta scegliendo perfino la minoranza interna: al posto di Cuperlo e Civati vuole Fava e Migliore. È più furbo di Berlusconi, nel senso che è subdolo: passano cose per cui Berlusconi veniva dilaniato. Se Renzi fa una legge incostituzionale è comunque bravo, per l’altro invece si scendeva in piazza. Quello che in Berlusconi faceva scandalo, in Renzi fa simpatia.
Due pesi e due misure…
Sì. Ed è grave perchè significa che non esistono piu regole. Se lo fa il nostro lo sdegno non vale, se lo fa il nemico sì? Non significa che loro due sono uguali, ma quando fanno la stessa cosa i giudizi sono diversi.
Alla fine della fiera, il premier la farà franca davanti all’Ue?
Non è sicuro che ottenga la tregua pre-elettorale. Di una cosa sono sicuro però: se va alle elezioni, fa il pieno perchè intorno ha un deserto. Ha vampirizzato tutti. E a Strasburgo ha lanciato la sua campagna elettorale.
Chiara Daina
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Luglio 4th, 2014 Riccardo Fucile
ALLARME CONTI IN FORZA ITALIA: E SILVIO RANDELLA I PARLAMENTARI INADEMPIENTI… C’E’ CHI DEVE VERSARE 40.000 EURO
Dopo l’allarme partito ieri dal vertice di Palazzo Grazioli, Silvio Berlusconi apre la riunione dei gruppi parlamentari di Forza Italia a Montecitorio con la difficile situazione dei conti del partito.
L’ex premier ha rimproverato i parlamentari azzurri che ancora non hanno pagato le quote e li ha invitati ad adempiere entro l’estate al versamento.
Tutti dovranno poi attivarsi per trovare nuovi finanziatori al partito.
Forza Italia ormai è sommersa dai debiti: 87 milioni è il passivo accumulato negli anni, a cui bisogna aggiungere 7 milioni per affrontare le spese correnti.
Una situazione così delicata che l’ex Cavaliere ha dovuto per un momento mettere da parte il tema delle riforme, su cui verte la riunione, e aprire l’assemblea azzurra con l’appello ai deputati e senatori del partito.
Per far fronte alla delicata situazione finanziaria del movimento, ieri era circolata l’ipotesi di chiedere ai parlamentari azzurri di impegnare la propria liquidazione, una proposta contestata da molti esponenti del partito.
Ma sembra più probabile che ai forzisti sia chiesto un contributo “una tantum”. Sono lontani i tempi in cui Berlusconi metteva mano personalmente al portafoglio per ripianare i debiti della sua creatura politica.
Che la situazione delle casse del partito fosse critica era già noto da maggio, quando era stato lo stesso Berlusconi a lanciare l’allarme. Il bilancio 2013 approvato lo scorso 10 giugno aveva certificato la difficile situazione dei conti, confermata dalla relazione firmata dal neo tesoriere Maria Rosaria Rossi, fedelissima dell’ex Cav, e da Denis Verdini in cui si chiedeva di individuare “nuovi strumenti per il reperimento di fondi”.
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Luglio 4th, 2014 Riccardo Fucile
LA DENUNCIA DI GREENPEACE A PALERMO: “DUE ANNI FA IL GOVERNATORE FIRMO’ IL NOSTRO APPELLO CONTRO LE TRIVELLAZIONI, ORA FIRMA L’ACCORDO CON ENI PER LO SFRUTTAMENTO DEI GIACIMENTI DI GAS E PETROLIO”
La spiaggia di Mondello è un posto da sogno, ma che incubo potrebbe essere se in quel mare stupendo si verificasse uno sversamento di petrolio
Disastro petrolifero in Sicilia?
Per fortuna quella di stamattina era solo una simulazione per dimostrare a tutti che le fonti fossili sono un vero pericolo: all’alba i nostri attivisti hanno inscenato un incidente petrolifero per denunciare i rischi che corre il mare siciliano a causa della firma di un protocollo di intesa tra la Regione e Assomineraria, Eni, Edison e Irminio per lo sfruttamento dei giacimenti di gas e petrolio nel Canale di Sicilia.
Già il mese scorso avevamo chiesto conto al Governatore Rosario Crocetta del suo clamoroso “voltagabbana”, e oggi abbiamo srotolato un banner con il messaggio “Un mare di bugie — Crocetta regala il nostro mare ai petrolieri“.
Solo 2 anni fa infatti, da candidato alla Regione Crocetta aveva firmato il nostro appello contro le trivellazioni nel Canale di Sicilia.
Ci chiediamo come mai la Regione Sicilia sia passata improvvisamente dalla parte del mare a quella dei petrolieri!
Anche se è chiaro che sulla Regione non possiamo più contare, sono tanti, circa 50, i Comuni Siciliani che due anni fa si sono schierati contro le trivelle.
Ora bisogna passare dalle parole ai fatti: per questo sono tutti invitati domani a bordo della nostra Rainbow Warrior a Palermo, dove la nave si fermerà sabato e domenica.
Vogliamo denunciare i rischi dei progetti di trivellazione appena autorizzati nel Canale di Sicilia e chiamare i Sindaci della costa siciliana a intervenire per proteggere il proprio mare.
L’Italia non è un Paese per fossili, e vogliamo dimostrarlo.
Già più di 32mila persone hanno aderito al nostro appello: FIRMA anche tu la nostra dichiarazione di indipendenza dall’energia sporca.
(da greenpeace.org)
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Luglio 4th, 2014 Riccardo Fucile
LE PALLE DI RENZI: TRE MESI FA DISSE “I SOTTOSEGRETARI ANDRANNO A PIEDI”… ORA E’ SPARITO PERSINO IL TESTO DEL DECRETO E IL TESORO HA CHIESTO ALLA MADIA CHE FINE ABBIA FATTO
Nell’era Renzi, con l’annuncio il più è fatto.
La distanza tra la slide e il fare è invece una questione di priorità . Quella delle auto blu in dotazione ai ministeri non sembra esserlo molto.
Come tempi d’attesa non c’è male: 76 giorni e ancora nulla.
Eppure l’annuncio aveva rispettato tutti i passaggi codificati dal nuovo corso renziano: la slide (“massimo 5 vetture a ministero”); l’annuncio in conferenza stampa in orario tg; e il tweet a effetto finale. “Direttori e sottosegretari dovranno andare a piedi o in taxi, autobus, metro, moto o bicicletta”, spiegava il premier.
Era il 18 aprile. Per questo si può solo immaginare il senso di frustrazione provato dal commissario alla spending review, Carlo Cottarelli, costretto a chiamare il dipartimento della Funzione pubblica per chiedere conto del ritardo e sentirsi rispondere che “ci sono stati dei contrattempi”.
C’era la riforma della Pa da portare a casa, decine di articoli finiti in un decreto omnibus e cassati dai tecnici del Quirinale che hanno costretto gli uffici legislativi alle dipendenze del ministro Marianna Madia a riscrivere i testi e spacchettare il tutto in due provvedimenti.
E quindi? E quindi “il fascicolo è finito sotto gli altri”.
L’episodio si è svolto mercoledì scorso, a raccontarlo è un autorevole fonte del Tesoro — dove Cottarelli ha ancora il suo ufficio — per altro l’unico ministero che ha ridotto le auto blu: da 24 a 12 a disposizione dei vertici, costretti a usarle solo su prenotazione.
Un’operazione — spiegano nei corridoi di via XX settembre — “avvenuta motu proprio”, cioè in automatico, senza una norma che li obbligasse a farlo.
Perchè, per quante riforme tu possa annunciare, e impegni tu possa prendere, la trafila è sempre la stessa: servono i decreti attuativi, altrimenti le norme contenute nei testi usciti dal consiglio dei ministri rimangono semplici dichiarazioni d’intenti.
Quella sulle auto blu dei ministeri è stata inserita nel “decreto Irpef” — quello dei famosi 80 euro in busta paga — del 24 aprile scorso. Quel testo stabilisce che “con un decreto del presidente del Consiglio dei ministri su proposta del ministro per la Semplificazione e la Pubblica amministrazione, di concerto con il ministro dell’Economia e delle Finanze, è indicato il numero massimo, non superiore a cinque, per le auto di servizio a uso esclusivo, nonchè per quelle ad uso non esclusivo, di cui può disporre ciascuna amministrazione centrale dello Stato”.
Ai vari ministeri, però, quel decreto non è mai arrivato, e così le 1.599 auto blu (costo: 400 milioni l’anno) che compongono il parco macchine in uso a ministri, viceministri, sottosegretari, capi di gabinetto e di dipartimento, sono ancora tutte lì.
Come spesso succede con gli annunci renziani, i risultati ottenuti sono spesso opera dei predecessori.
Nel caso specifico, a oggi l’unico taglio effettuato — per altro molto blando — è quello voluto a settembre del 2011 dall’allora ministro del Tesoro Giulio Tremonti: via le auto “di utilizzo esclusivo, con autista” — le cosiddette “blu blu” — a direttori generali, capi degli uffici legislativi, delle segreterie e degli uffici stampa.
Ai piani più alti, hanno invece conservato quelle “di utilizzo non esclusivo”, ma sempre con autista.
Le altre 5.000 auto blu sparse per le amministrazioni periferiche sono ancora tutte in servizio, e non vengono toccate dalla norma annunciata da Renzi.
Norma che non riguarderà le 53.743 vetture che compongono l’intero parco macchine in dotazione alla pubblica amministrazione (49.820 appartengono alle amministrazioni locali) e che costano poco più di un miliardo l’anno alle casse dello Stato.
Qualcosa forse potrebbe muoversi nei prossimi giorni. “Adesso che il decreto della Pa è stato licenziato — spiegano dal Mef — i funzionari metteranno mano al decreto attuativo”
Bastava così poco.
Carlo Di Foggia
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Luglio 4th, 2014 Riccardo Fucile
AVEVA 63 ANNI ED ERA MALATO DA TEMPO…LA SUA VITA TRA MUSICA, CABARET E ROMANZI
Aveva una casa ad Asti, piena di chitarre, una all’Elba, fra il bosco e il mare, gli ulivi e le onde «che si frangono», come mi disse una volta specificando subito dopo che il verbo frangersi gli faceva venire l’orticaria, anche se ormai l’aveva detto.
E amava New York, dove scappava molto spesso per ascoltare musica, talvolta per suonarla anche se la sua passione per le chitarre (rigorosamente vintage) era, sospettava, «non corrisposta».
In America Giorgio Faletti è andato per l’ultima volta cercando alleati nella battaglia contro il male che lo aveva aggredito a tradimento, quando aveva tanti progetti e tante cose da fare ancora. Non è riuscito a vincerla.
E’ morto alle Molinette di Torino, dopo 63 anni vissuti all’insegna di una affettuosa ironia, con quel mezzo sorriso di «provinciale» cosmopolita: uno che si sentiva sempre un po’ come se venisse da fuori, nemmeno da Asti, dalla periferia, dove ha trovato i tipi umani che lo hanno reso celebre come cabarettista e ai quali, dopo il successo da scrittore, era ritornata negli ultimi romanzi.
«Ho avuto la fortuna di vivere in un luogo dove c’erano personaggi che sarebbero piaciuti a Fellini, ed erano veri», diceva.
E’ cresciuto tra la città e le colline, da dove ha estratto come un coniglio dal cappello quel Passerano Marmorito che divenne un luogo mitico negli Anni Ottanta – nessuno credeva che esistesse un paese del genere -, poi se n’è andato per trasformare in un lavoro retribuito il ruolo di Romeo che faceva in una parodia shakespeariana legata al Palio di Asti.
A Milano lo aspettava il Derby, cabaret dove si esibivano tutti i nuovi comici italiani e che di lì a poco avrebbe generato Drive-in, la nuova televisione: anche se «il primo sogno da ragazzo era di diventare uno scrittore».
E ti spiegava che «far ridere la gente è la scelta più facile, quando hai il sangue che bolle nelle vene e le tempeste ormonali in corso».
Gli scrittori saranno anche meno sexy, «gli attori hanno bisogno dell’applauso giornaliero, come di una droga».
Non è che a un certo punto della vita si fosse stufato di far ridere la gente. Ci riusciva qualunque cosa facesse, anche se poteva diventare commovente come quando nel ’94 arrivò secondo a Sanremo con la canzone «Minchia signor tenente», ispira alle stragi di Capaci e via D’Amelio.
E’ che quando gli regalarono, proprio quell’anno, una delle prime macchine da scrivere col display, si entusiasmò per la velocità di scrittura, e cominciò a mettere giù racconti.
Li sottopose all’editore Alessandro Dalai il «tonante Dalai» come lo definisce nei ringraziamenti in fondo a «Io Uccido»,che gli aveva già pubblicato un libro «da comico».
La risposta fu che sarebbe stato meglio, molto meglio, un romanzo: e romanzo fu. Giorgio Faletti aveva da parte, in fondo a qualche cassetto, dei soggetti cinematografici rifiutati dai produttori perchè troppo ambiziosi, «roba da Spielberg». Uno si intitolava «Io uccido», e divenne dopo mesi e mesi di «vortice», di sveglie all’alba e tuffi nel computer, il grande caso editoriale degli Anni Zero.
Uscì nel 2002, thriller tutto americano, completamente estraneo alla nostra tradizione. L’autore venne esaltato (da Antonio D’Orrico) come «il più grande scrittore italiano», e ciò non gli attirò molte simpatie nell’ambiente.
Ma scalò le classifiche e vendette milioni di copie (più di quattro) inaugurando l’era dei «giga-seller», quei libri che riescono a vendere tantissimo per un tempo molto lungo, e in tutto il mondo.
Venne colpito da un grave ictus proprio mentre il romanzo si affermava, ma riuscì a uscire benissimo da quel primo agguato della vita.
Ora aveva un nuovo mestiere. Il suo computer – abbandonata ormai la macchina a display che lo aveva folgorato – era destinato a non fermarsi più.
I libri successivi («Niente di vero tranne gli occhi», 2004, «Fuori da un evidente destino», 2006, «Io sono Dio», 2009, «Appunti di un venditore di donne», 2010, questo ambientato a Milano) sono stati l’asse portante del thriller italiano, e trascinando con sè molti emulatori, hanno consolidato un genere.
Poi, il passaggio alla blasonata Einaudi, con «Tre atti e due tempi» (nel 2011), romanzo breve e del tutto diverso, dove la suspence è solo lo strumento per disegnare nuovi personaggi intorno a un ex pugile, magazziniere in una squadra di calcio, eroe malmostoso e solitario con brutti ricordi alle spalle.
Un uomo giusto senza retorica, un duro che sa commuoversi senza farlo vedere.
Forse un ritratto in cui Giorgio Faletti un po’ amava rispecchiarsi. In qualche modo, lo stesso profilo umano che gli piaceva interpretare magari con parti secondarie in film d’autore come «Notte prima degli esami» di Fausto Brizzi.
Negli ultimi tempi stava lavorando a un nuovo libro, sempre per Einaudi Stile libero, titolo provvisorio «Figli di».
Era tornato al thriller: il protagonista è un allievo della Scuola Superiore di Polizia che si ritrova coinvolto nelle indagini per la cattura di un serial killer; ma l’assassino ha scelto proprio lui come avversario.
Quando Giorgio Faletti presentava i suoi libri, gli incontri col pubblico erano puro, gradevolissimo, ironico teatro.
Ci mancherà . E bisognerà rileggersi il suo addio, in una breve lettera inviata a maggio per la conferenza stampa del festival astigiano Passepartout, di cui era presidente: «Purtroppo a volte la vita ci mette molto più ingegno e molto più impegno nel mettere i bastoni fra le ruote piuttosto che nell’aiutare gli essere umani a realizzare i propri desideri. In questo momento sono all’estero, dove mi sto curando per un guaio di salute piuttosto rilevante e che spero si risolva nel migliore dei modi. Credo di potere essere a casa in tempo per la manifestazione».
Mario Baudino
(da “La Stampa”)
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Luglio 4th, 2014 Riccardo Fucile
IL LEADER CINQUESTELLE IERI OSPITE ALLA FESTA DELLL’INDIPENDENZA PRESSO L’AMBASCIATA USA
Movimento a stelle e strisce, certo. Ma soprattutto “Tu vuò fa’ l’americano”, perchè stavolta Beppe Grillo si sente un po’ meno a casa.
Lontani i tempi del grande feeling, la passione sfiorisce nell’elegante cornice di Villa Taverna.
È lì, nel cuore del party per l’Indipendenza, che il leader si ritrova faccia a faccia con l’ambasciatore John Phillips, senza riuscire a scavalcare un muro di freddezza e formalità .
Fino a quando, dopo tre minuti scarsi, la numero due dell’ambasciata trascina via il Capo: «Adesso dobbiamo andare a sentire la banda… ».
L’esordio a Villa Taverna è da dimenticare.
Smoking nero, papillon in tasca e occhiali griffati “Beppe Grillo”, il Fondatore dei cinquestelle scambia subito una giornalista per la moglie dell’ambasciatore.
Se ne accorge un attimo dopo e rimedia con un baciamano dell’autentica signora Linda Douglass.
Un passo ancora e si ritrova occhi negli occhi con Phillips.
«Ambasciatore – è la prima battuta – ha qualche lamentela per i suoi ospiti? Ci penso io a questi italiani…».
Il problema, però, è che il numero uno della diplomazia Usa nella Capitale lo osserva interdetto, non sembra apprezzare la vena ironica. Resta freddo, fino alle provvidenziali note della banda.
Il leader, però, non demorde. Improvvisa un comizio in giardino, conquista gli invitati italiani e pure l’ambasciatore del Bangladesh.
Parla a ruota libera, oscilla tra Renzi e Farage. Coccolato e reclamato per mille selfie, non risparmia neanche il consueto attacco alla stampa, consegnato al corrispondente del New York Times e della Reuters: «Passate i vostri scarti al Corriere del Sera e a Repubblica? Funziona così, vero?».
E ancora, in un crescendo: «Non mi riconoscete quasi perchè non strabuzzo gli occhi, di solito stampa e tv mi riprendono così: un Hitler, uno cattivo che fa crollare lo spread».
Eppure, mai come adesso Beppe guarda a Washingon e cerca una sponda.
A Bruxelles, si sa, ha scelto di combattere al fianco della destra euroscettica nordeuropea, accanto a chi volta le spalle mentre suona l’Inno alla gioia.
Con gli americani, invece, sogna un assalto comune alle politiche di austerità .
Il sodalizio, d’altra parte, è antico. Nato chissà quando, fortificato all’alba della discesa in campo del comico, si nutre di contatti e incontri.
Addirittura due in un solo giorno, perchè mercoledì sera assieme a Gianroberto Casaleggio Beppe accetta l’invito del consolato degli Stati Uniti nel cortile del Castello Sforzesco di Milano.
Dopo settimane lontani dai radar e un vuoto di potere coperto da Luigi Di Maio, un modo per mostrarsi ancora in campo.
Un tempo, però, tutto filava a meraviglia. Nella primavera del 2008 l’allora ambasciatore Ronald Spogli informò il suo governo di un proficuo incontro con “l’attivista Grillo”, giudicato «interlocutore credibile » per gli Stati Uniti. Poi fu inarrestabile scalata, fino alle Politiche del 2013. Allora, in pieno stallo istituzionale, l’ambasciatore David Thorne si spinse fino a un clamoroso endorsement: «Voi giovani siete il futuro, potete prendere in mano il Paese e agire, come il Movimento, per le riforme e il cambiamento».
Sembra passato un secolo. Un anno e mezzo d’opposizione e il tonfo alle Europee lasciano il segno.
Come il nuovo corso di Phillips, che non sembra puntare fino in fondo sul tornado grillino.
Beppe, comunque, ci prova. Si trattiene fino a tarda sera in ambasciata, conversa dieci minuti con Umberto Bossi passeggiando in un giardino laterale, quello vicino al forno della pizza.
Nessuno osa rovinargli la festa, ricordandogli che una delle principali battaglie dei Cinquestelle in Europa è contro il “Ttip”, il trattato di libero scambio tra Stati Uniti ed Europa.
Un negoziato riservato che va avanti da mesi, nonostante il Movimento punti il dito contro l’Europa svenduta alle multinazionali americane.
Ciriaco e Nigro
(da “La Repubblica”)
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Luglio 4th, 2014 Riccardo Fucile
IL SUO “COMING OUT” E’ STATO UNO DEI PRIMI NEL MONDO DELLO SPETTACOLO ITALIANO
Leo Gullotta, attore e doppiatore, per anni tra le star più amate del «Bagaglino», dichiarò la sua omosessualità nel 1995, quando l’argomento in Italia assomigliava ancora un tabù.
A quasi vent’anni di distanza aspetta ancora una legge che gli permetta di avere gli stessi diritti delle coppie etero.
E, con l’aria di chi si è già scottato troppe volte, resta piuttosto scettico sul cambio di clima: «Se ne parla periodicamente – spiega – ma poi non succede mai nulla. Un Paese non cambia da un giorno all’altro».
Gullotta, cosa pensa delle parole di Berlusconi sui diritti civili degli omosessuali?
«Penso che sia tratti solo di una mossa mediatica. È difficile credere a una simile giravolta da chi per tutta la vita ha detto il contrario e si è comportato di conseguenza».
Lei ha conosciuto da vicino Berlusconi, ha lavorato a Mediaset per tanti anni.
«Io sono un artista, presto il mio lavoro ma questo non vuol dire leccare il fondoschiena. Non mi fido, questa è la verità , Magari Berlusconi avrà davvero cambiato idea, chissà , magari è stata l’età . O forse è un modo per riavvicinarsi all’elettorato dati i tempi che corrono».
Vede un clima più favorevole alle rivendicazioni omosessuali?
«Se il clima si modifica sono contento. Per ora vedo un clima di attesa e di speranza. C’è Renzi che sta lavorando e ha il consenso, è una persona che vuole guardare al futuro in modo diverso. Vedremo tra qualche mese se ci saranno risultati tangibili».
La società è pronta per l’estensione dei diritti civili?
«Per essere pronta una società lo deve dimostrare. Questo paese è stato reso omofobo, razzista, cattivo. Ci vorrà tempo. Non si possono cambiare opinioni e percorsi da un momento all’altro, soprattutto se guardiamo a tutti i fatti “pesanti” che accadono intorno a noi. È un paese malato… Io mi auguro di poter vivere sempre di più una società civile che dà diritti a tutti. Ma ci vuole del tempo. I segnali all’italiana, i politici che un giorno dicono una cosa e quello successivo cambiano idea, servono solo a destabilizzare ulteriormente i cittadini, a confonderli».
In realtà oggi c’è già una proposta in Parlamento. Prevede l’estensione di tanti diritti, fatta eccezione per l’adozione.
«Sarebbe un buon passo in avanti, lo spero. Ma non vorrei che oggi questo argomento facesse comodo e poi, come è già successo tante volte, non se ne riparli più per anni. In Parlamento stanno lavorando? Stanno discutendo? Ecco, aspetto che finiscano di discutere e che portino a galla qualcosa di concreto».
Magari è cambiata anche la sensibilità della Chiesa…
«Ecco, io credo che Papa Francesco sia il più politico di tutti. È capace di lanciare segnali straordinari, penso al messaggio sull’immigrazione, a quello sulla lotta alla mafia. Sa comunicare il bene, è une persona eccezionale».
I politici seguiranno il suo esempio?
«Mah… Se potevano essere influenzati dal Papa, si sarebbero già mossi da molto tempo».
Cosa consiglierebbe a un giovane omosessuale? Emigrare o «fidarsi» dell’Italia?
«No, non gli direi mai di lasciare questo Paese. Non bisogna vivere in “riserve indiane”. Semmai gli suggerirei di credere in se stesso, di essere sereno, di confrontarsi in maniera sana con tutti. L’importante è non arrendersi e ogni tanto fare un sorriso».
Anche Angelino Alfano dice sì alle unioni civili. Il leader di Ncd, «spiazzato» dall’apertura di Berlusconi e col timore di restare isolato, è pronto a discutere di una legge che estenda gran parte dei diritti «matrimoniali» anche alle coppie di fatto.
Lo svela in un’intervista a Repubblica nella quale, però, pone dei paletti al dibattito: «No ai matrimoni gay, no alle adozioni gay o all’utero in affitto, no alla reversibilità delle pensioni». Parole che assomigliano a una svolta anche se nel partito si rincorrono le reazioni che provano a sminuire l’apertura: «Ho letto e riletto l’intervista di Alfano e trovo la piena conferma di quanto Ncd e il sottoscritto hanno sempre sostenuto» spiega Carlo Giovanardi.
«Alfano ha confermato la linea del Ncd in tema di matrimonio e convivenze: la famiglia è quella naturale, costituita da un uomo e una donna» aggiunge Eugenia Roccella.
Ora l’attenzione si sposta sul testo unificato presentato in Commissione Giustizia dalla deputata del Pd Monica Cirinnà , che nei prossimi giorni dovrebbe andare in votazione e, se non dovessero presentarsi intoppi, approdare in Aula a settembre.
Tra le innovazioni previste, la creazione di un registro nazionale delle unioni civili cui potranno iscriversi le coppie etero o omosessuali dopo una cerimonia in municipio alla presenza di due testimoni, proprio come avviene per i matrimoni «classici».
Il «coniuge» potrà adottare il cognome del compagno e sarà tra i suoi eredi legittimi in caso di morte. Acquisirà anche i diritti-doveri dell’assistenza sanitaria e penitenziaria.
Nulla si dice riguardo la reversibilità delle pensioni mentre, in caso di scioglimento della unione, la procedura sarà molto più snella e rapida rispetto a quella del divorzio, pur restando gli obblighi legati al mantenimento di fronte a una situazione di indigenza.
Escluso il principio dell’adozione, con un’apertura esclusivamente al caso dei figli naturali preesistenti.
Di fatto si tratterebbe di una proposta che dovrebbe incontrare un largo consenso in Parlamento, anche se va un po’ oltre i paletti piazzati dal Nuovo Centrodestra.
Non è un caso se Maurizio Sacconi, tra i più intransigenti sul tema, abbia già dichiarato che «per noi il testo Cirinnà è inaccettabile».
Difficile, però, che non si arrivi alla quadra.
Carlantonio Solimene
(da “il Tempo“)
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Luglio 4th, 2014 Riccardo Fucile
INTERVISTA A ENRICO OLIARI, PRESIDENTE DI GAYLIB: “IL RICONOSCIMENTO DELLE COPPIE DELLO STESSO SESSO E’ ORMAI PREVISTO IN TUTTA EUROPA, SOLO L’ITALIA E’ INDIETRO”
Enrico Oliari, presidente di Gaylib – l’associazione delle persone omosessuali che si riconoscono nel centrodestra – resta scettico di fronte all’apertura di Berlusconi.
Ma invita tutti a non fraintendere le parole dell’ex premier: «Non seguiamo le prese di posizione della sinistra, ci sono soluzioni a questi temi più vicine alla nostra tradizione».
E, di conseguenza, boccia l’ipotesi adozioni: «Una coppia dello stesso sesso non è idonea allo sviluppo di un bambino».
Oliari, si aspettava la svolta di Berlusconi?
«Assolutamente no, sono rimasto scioccato. Dopo anni in cui ci si è limitati alle barzellette, finalmente è stato detto qualcosa di più vicino alle nostre tematiche. Va specificato che la politica italiana tutta – non solo Berlusconi, ma anche il centrosinistra – è palesemente indietro rispetto al resto d’Europa. Il riconoscimento delle coppie dello stesso sesso è ormai previsto in tutta l’Europa occidentale tranne che in Italia. Siamo stati superati persino dal Sudafrica e da paesi del Terzo mondo».
Si fida di Berlusconi?
«Non so quanto le sue parole siano sincere. Certo, quando si dice di voler fare una rivoluzione liberale, questa rivoluzione parte anche dal riconoscimento dei diritti dei gay. Invece in tutti questi anni c’è stata una chiusura totale rispetto alle nostre istanze, così come su tutte le tematiche etiche. Meglio tardi che mai… Ma devo aggiungere che Gaylib non è mai stata coinvolta dai nostri partiti. Si fa presto a dire “apriamo ai gay” quando si è all’opposizione».
Nessun contatto neanche nelle ultime settimane?
«Qualcosa si sta muovendo. Di certo dispiace che persone provenienti dalla nostra area politica abbiano deciso di iscriversi a un’associazione di sinistra come l’Arcigay. Dal canto mio, spero che l’apertura si trasformi in qualcosa di più concreto e che si apra una fase di confronto con le formazioni politiche di centrodestra. Finora è mancata anche questa possibilità ».
Non crede che il comunicato di Berlusconi sia stato troppo vago?
«No. Io credo che qualsiasi tematica possa essere affrontata fornendo soluzioni di centrodestra. Non è necessario ripetere le cose che si dicono a sinistra. Quelle associazioni sono su posizioni molto radicali, penso al matrimonio, alle adozioni. Invece ci sono soluzioni adottate in tanti paesi – Austria, Germania, Svizzera – che prevedono il riconoscimento delle coppie gay senza dover cambiare il nostro impianto culturale che risente della forte presenza della Chiesa».
Quindi nessuno spazio alle adozioni?
«Nel nostro ordinamento giuridico neppure le coppie eterosessuali hanno il diritto di adottare. Semmai, possono essere considerate più o meno idonee alle adozioni. Lo Stato, invece, prevede il diritto del minore a essere adottato. Di fronte a questa impostazione, il problema neanche si pone. Perchè è difficile che un giudice possa ritenere idonea una coppia con due persone dello stesso sesso. Lo sviluppo di un bambino prevede una serie di processi identificativi – mi viene in mente il complesso di Edipo – difficilmente conciliabili con una coppia omosessuale».
Non è un ragionamento anacronistico? All’estero è consentito.
«No, non è anacronistico. L’adozione è stata permessa in Spagna – non senza polemiche vibranti – e in pochissimi altri Paesi. I diritti che noi reclamiamo sono molto più elementari: assistere il proprio partner in ospedale, andarlo a trovare in carcere. Cominciamo a parlare di questo, poi passiamo al resto. Anche perchè i detrattori di questa “rivoluzione liberale” non avrebbero problemi a ritorcerci nuovamente i bambini contro».
Tema reversibilità delle pensioni: non c’è il rischio di sfasciare le casse dello Stato?
«Se io mi sposo con una donna la reversibilità della pensione è prevista. Cosa cambia se mi sposo con un uomo? Sono soldi che io ho versato allo Stato, per i quali io ho lavorato, non pretendo mica qualcosa che non mi appartiene».
Come andrà a finire?
«Io spero che tutto questo non si limiti alla polemica di qualche giorno. La società è cambiata. Quando io ho cominciato la militanza gay, nella mia città eravamo in cinque a essere usciti allo scoperto. Ora è una cosa normalissima. Mi fa paura chi parla di famiglia tradizionale. Non è mai esistita nella storia. Penso a mio padre: aveva undici fratelli. Ora un caso del genere finirebbe sui giornali. La società si evolve di continuo. E se proprio si vuol parlare di famiglia tradizionale, bisogna riconoscere che se non si fanno più figli è colpa della crisi economica, non di altro. Si incominci ad affrontare quel problema invece di colpevolizzare i gay».
Car. Sol.
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