Luglio 26th, 2014 Riccardo Fucile
IL PREMIER STIZZITO SI E’ ACCORTO CHE NON CE LA FA E PREPARA L’ALIBI
Una tagliola sdentata, o comunque meno stringente. Matteo Renzi sembra abbandonare il pugno di ferro utilizzato nei giorni scorsi nei confronti dell’opposizione e ammette che la discussione per la riforma del Senato può anche proseguire oltre l’8 agosto, e cioè dopo il limite tassativo che aveva provocato la ribellione dei senatori M5S, Lega e Sel – i quali si erano messi in marcia verso il Colle per chiedere aiuto a Giorgio Napolitano.
Il premier in una intervista al Tg5 è ottimista: “Io credo che sulle riforme si può chiudere l’8 agosto”. E se la maggioranza non ce la farà per quel giorno allora non cadrà il mondo: “Non c’è una data finale decisiva”.
Renzi ripete le parole che quasi in contemporanea vengono pronunciate dalla ministra Maria Elena Boschi, intercettata dai cronisti alla festa del Partito democratico a Varese: “Sono fiduciosa nella riuscita della riforma ma se non dovessimo finire perchè resta l’ostruzionismo delle opposizioni, andremo avanti anche oltre l’8 agosto non è un dramma, lavoreremo di più e faremo qualche giorno di ferie in meno”.
Tuttavia quella inizialmente sembra una apertura alle ragioni di coloro che vorrebbero discutere più a lungo sul cambiamento radicale del Senato, in bocca a Renzi diventa come una nuova provocazione ai partiti minoritari: la cosiddetta “marcia democratica”, e cioè la camminata verso il palazzo del presidente della Repubblica giovedì, viene bollata come “passeggiatina”:
“Quando vedi i senatori che dovrebbero stare in Parlamento a votare andare a fare passeggiatine dal Senato al Quirinale capisci che c’è qualcosa che non torna”.
Non c’è bisogno di traduzione, la volontà di chiudere il prima possibile rimane intatta mentre il messaggio del governo è quello di trovare incomprensibile l’atteggiamento dell’opposizione.
La solita retorica insomma, da cui Renzi non sa distaccarsi per confrontarsi nel merito.
Anche perchè sa benissimo che gli italiani sono contrari alla sua riforma patacca concordata con Berlusconi.
argomento: Renzi | Commenta »
Luglio 26th, 2014 Riccardo Fucile
IL SEGRETARIO NCD RESPINGE IL TENTATIVO DI BERLUSCONI DI SPACCARE IL PARTITO E CERCA DI FAR CONVIVERE LE VARIE ANIME DI NCD
Qualcuno, questa mattina, leggendo Il Giornale ha pensato a una scena del film “La grande bellezza”.
Jep Gambardella si trova a una festa su una terrazza romana, guarda ballare gli invitati e sussurra: “Io non volevo solo partecipare alle feste, volevo avere il potere di farle fallire”. Ecco.
Il leader di Forza Italia irrompe alla prima assemblea del Nuovo centrodestra, è presente tra le righe di ogni intervento.
Fino a quando, un delegato prende la parola e dal palco lo dice con chiarezza: “Con quella lettera Berlusconi ci chiede di tornare insieme ma in realtà ci vuole spaccare”.
Mille giorni che potrebbero essere anche diecimila o un milione. Tanti ce ne vogliono per riunire il centrodestra perchè Alfano, quando parla di preferenze da inserire nella legge elettorale, ribadisce la distanza che c’è tra il suo partito e Forza Italia.
Sul palco dell’assemblea di Ncd è tutto un gioco di equilibri, talvolta di passi indietro rispetto alle parole degli ultimi giorni, per evitare che il partito esploda lì davanti: che si spacchi tra chi vuole tornare con Forza Italia, tra chi in fondo si lascia tentare da alleanze con la sinistra e chi invece è per un’unione popolare di centro.
In sala la tensione si avverte (“sono arrivata qui preoccupata”, dice Nunzia De Girolamo), per non parlare della stanchezza data da una riunione notturna servita a trovare la chiave utile a tenere unito il gruppo.
Un conclave presieduto da Alfano al quale hanno partecipato Lupi e Quagliariello, reduci – secondo quanto raccontano alcuni – da uno scontro sulle alleanze, cosiddette, “a geometrie variabili” che sarebbero state proposte, in vista delle elezioni regionali, dall’ex ministro delle Riforme e bocciate da quello delle Infrastrutture.
Al termine della settimana più complicata per il Nuovo centrodestra, oggi Alfano tira le somme per mettere d’accordo l’intero partito e Quagliariello viene eletto per acclamazione coordinatore nazionale.
Con buona pace di tutti. La sintesi delle tre anime è la seguente: Ncd resterà al governo con il Pd per altri 1000 giorni, poi andrà per la sua strada.
Oggi per il partito “inizia la seconda fase: quella della costruzione”.
La costruzione di un centrodestra dei moderati “completamente diverso dal passato, perchè il vecchio centrodestra è morto e non esiste più”, sostiene il leader di Ncd che risponde a Berlusconi: “Se si costruirà il centrodestra bisognerà farlo con il rispetto delle opinioni di tutti, con la democrazia all’interno”.
Ma la sfida che l’ex delfino lancia al suo ex padre politico riguarda la legge elettorale sulla quale sa che Berlusconi difficilmente potrà cedere, stretto com’è da quelli che ancora oggi il ministro dell’Interno definisce gli estremisti.
“Noi chiediamo a Forza Italia su quale base vuole ricostruire il centrodestra in riferimento alla legge elettorale. Intende soffocare i coalizzati? Nell’appello di oggi manca un punto che per noi è fondamentale per capire se questa potenziale coalizione si può realizzare e se si realizzerà . Ci date una dichiarazione ufficiale di Forza Italia sulla legge elettorale? Per nascere la coalizione non deve soffocare in culla quelli che nel centrodestra c’erano fin dall’inizio”.
La palla viene dunque lanciata abilmente nel campo dell’avversario e intanto, sempre in un gioco di equilibrio, Alfano fa sapere che Ncd nella realizzazione del centrodestra parte come chi insieme a lui “ha sostenuto il governo, le riforme e il Ppe, e cioè con l’Udc, Scelta civica e i Popolari per l’Italia”.
Tuttavia il caos è generale. In casa Udc neanche si respira un’aria serena.
Da una parte c’è Casini che vuole tornare con Berlusconi, e dall’altra ci sono De Poli e Cesa che non ne vogliono sapere.
E Scelta Civica? Sembra ormai più a sinistra che al centro.
Comunque sia per Fabrizio Cicchitto bisogna fare “un salto di qualità ” stando attenti perchè “a Renzi un centrodestra guidato da Berlusconi fa comodo”.
E poi ancora. Tornare con Berlusconi? “C’è un problema che riguarda la dignità di ognuno di noi”.
In Forza Italia c’è “Ghedini, artefice di tanti successi del partito”, aggiunge un ironico Cicchitto, “e ci sono Verdini, Fitto e Santanchè”.
Ancora più secco è Roberto Formigoni: “No ad alleanze con Berlusconi. Non cadiamo nella trappola, non dimentichiamo gli insulti. L’istinto nei nostri confronti sarà quello della distruzione. Non illudiamoci. Non possiamo trovare riparo negli antichi ostelli”.
In Ncd due sono le colombe della pace e sono donne. Hanno il nome di Nunzia De Girolamo e Barbara Saltamartini.
Per l’ex ministro dell’Agricoltura, Ncd non si è “separata dal Pdl per idee diverse ma perchè noi volevamo stare al governo e loro all’opposizione”.
Dunque, all’orizzonte è possibile un ritorno.
Secca e avvolta da applausi la replica di un’altra donna del partito, Beatrice Lorenzin: “Non siamo usciti dal Pdl per restare al governo ma perchè il Pdl stava prendendo una deriva estremista che io non ho esitato a definire Alba dorata”
E ancora: “Oggi non ci sono i presupposti per alleanze”. Sui malumori degli ultimi giorni, il ministro della Salute garantisce che non ci saranno scissioni: “Non siamo mica un atomo e non siamo neanche a Kabul, ognuno da noi può esprimere la propria idea in libertà “.
Senza dubbio però Berlusconi continuerà a insistere, a provare a spaccare Ncd, come qualcuno teme, per poi tentare di riunire il centrodestra e di fare il padre nobile.
Il macigno sulla ricostruzione del centrodestra sta nei risultati delle Europee (“divisi si perde”, si continua a dire), ma anche in quel 57%, secondo un sondaggio di Nando Pagnoncelli, di elettori di Ncd e Udc che non vuole tornare con Berlusconi.
E ora, come direbbe Ovidio, la situazione tra il leader di Forza Italia e Alfano è questa: Nec sine te, nec tecum vivere possum (non posso stare ne’ con te ne’ senza di te).
Dunque, al momento, la strada per Ncd è l’alleanza con i compagni di viaggio delle Europee: Udc, Scelta Civica e Per l’Italia.
Prima dell’estate potrebbe esserci la creazione di gruppi comuni alla Camera e al Senato, forse con qualche nuovo ingresso.
Ma ciò che è certo è qualcosa cambierà . Il simbolo non sarà quello del 25 maggio scorso: “Somiglia allo stemma della farmacia, va rimosso”, parola del coordinatore Quagliariello.
Una modifica, forse un po’ scaramantica.
(da “Huffington Post”)
argomento: Alfano | Commenta »
Luglio 26th, 2014 Riccardo Fucile
DOPPIO ESCAMOTAGE E I CONTRIBUENTI PAGHERANNO IN FUTURO….PER I DEPUTATI SI SPENDONO 10 MILIONI IN PIU’
L’ufficio di Presidenza della Camera ha appena deliberato il consuntivo del 2013.
Ci sono stati dei piccoli passi avanti: le spese per il cerimoniale sono diminuite di 300 mila euro nel 2013, da 570 mila a 280 mila euro.
Altre voci di spesa sono diminuite. Recentemente, come è noto, è stato imposto un tetto di 240 mila euro sugli stipendi dei dipendenti, a cui però può aggiungersi una indennità di posizione da determinarsi. Il risparmio da questa misura non è noto.
Ma il peso effettivo della Camera sul contribuente è diminuito nel 2013 in modo permanente di soli 4 milioni, circa lo 0,5 percento .
Niente, di fronte alla scandalosa situazione di partenza. Quando serve l’accetta, usare il cesello può essere pericoloso, perchè può generare l’illusione che si stia risolvendo il problema.
Il costo netto della Camera
L’anno scorso, in sede di bilancio di previsione per il 2013, la Camera dei deputati annunciò con una grande operazione di marketing che aveva ridotto la richiesta per la dotazione che riceve ogni anno dallo Stato di 50 milioni di euro.
L’interpretazione ovvia e naturale di questa affermazione è che dal 2013 la Camera avrebbe pesato sul contribuente 50 milioni meno che nel 2012. Ma non è così, nemmeno lontanamente.
Per dimostrarlo, è necessario calcolare esattamente il costo netto della Camera per il contribuente.
Questo costo non è la dotazione che lo Stato trasferisce alla Camera ogni anno, per tre motivi:
1. La Camera usa la dotazione per pagare le indennità e gli stipendi lordi. Ciò che conta dal punto di vista del contribuente sono però le indennità ai deputati e gli stipendi ai dipendenti netti da tasse.
2. La Camera ha altre, seppur piccole, entrate, quali gli interessi attivi, le entrate dalla vendita di atti e pubblicazioni, da servizi di ristorazione etc.
3. Infine, la Camera può decidere di “restituire” allo Stato delle somme, cioè parte della dotazione.
Tutte queste tre voci — tasse, altre entrate non da trasferimenti statali, e somme restituite allo Stato — devono essere sottratte dalla spesa totale.
La cifra così ottenuta può esser chiamata il costo netto della Camera. Questa cifra rappresenta quanto pesa la Camera sul contribuente.
Il costo netto è diminuito?
Il costo netto nel 2013 è diminuito di 67 milioni, ancor più dei 50 milioni di cui si è ridotta la dotazione statale. Un risultato apparentemente eccezionale, una riduzione di quasi il 10 percento del costo netto in un anno.
La stragrande maggioranza di questo miglioramento è tuttavia apparente, per due motivi.
Ci sono due modi universalmente utilizzati per abbellire i conti di un’ azienda: ridurre i contributi netti ai fondi di riserva, per esempio al fondo per i crediti in sofferenza in una banca; e rimandare i pagamenti agli esercizi futuri.
Il primo metodo è anche noto come“raiding the fund”, cioè usare i fondi di riserva come bancomat temporaneo per tappare le falle; il secondo genera residui passivi, cioè somme che ci si è impegnati a pagare ma che non vengono effettivamente pagate nell’esercizio in corso.
I 67 milioni di riduzione del costo netto sono frutto di entrambi questi escamotage.
Il primo escamotage…
Il primo escamotage riguarda un fondo molto poco noto, il Fondo di solidarietà fra gli onorevoli deputati, di cui troverete pochissime notizie su internet.
Questo fondo è destinato a pagare parti delle pensioni e dell’assistenza ai deputati e ai loro superstiti.
Il fondo è alimentato da contributi versati dai deputati, circa 15 milioni l’anno nel 2012 e nel 2013. Nel 2013 si è deciso di “ritirare” 40 milioni da questo fondo per finanziare le spese della Camera.
Questo è equivalente a ridurre i contributi netti al fondo, in questo caso da 15 milioni a -25 milioni. Un classico caso diraiding the fund.
Con un raid di 40 milioni all’anno, il Fondo sarà esaurito nel 2016, secondo lo stesso consuntivo della Camera.
A quel punto, il contribuente sarà chiamato a pagare di nuovo.
In altre parole, il raid è solo un costo differito per il contribuente .
Quello che sappiamo con certezza è che a fronte di questo raid temporaneo non vi sono misure strutturali di riduzione della spesa.
Se dunque non si tiene conto degli effetti di questo raid, il costo netto totale pagato diminuisce nel 2013 di 27 milioni invece che di 67 milioni (riga 2). Molto meno, ma sempre un risultato rispettabile.
… E il secondo escamotage
Ma anche questi 27 milioni di riduzione sono in gran parte apparenti.
La ragione è che sono in gran parte frutto del secondo escamotage tipico, l’aumento dei residui passivi.
Come abbiamo visto, questo consiste nel ridurre i pagamenti ma non gli impegni, cioè nell’aumentare i residui, ammontare che ci si è impegnati a pagare ma il cui esborso effettivo viene rimandato agli anni successivi.
Ma quello che è rilevante per il contribuente sono gli impegni (a meno che non si abbia intenzione di cancellarli, ovviamente): che essi siano pagati entro il 31 dicembre del 2013, o il 1 gennaio del 2014 per abbellire i conti del 2013, non fa nessuna differenza per il contribuente.
Un aumento sostanziale dei residui passivi è esattamente ciò che è avvenuto: essi sono aumentati di ben 17 milioni. Il risultato finale è che gli impegni di spesa che formano il costo netto sono diminuiti di soli 10 milioni (riga 4) , circa un settimo dei 67 milioni da cui siamo partiti.
Risultato: il costo netto è sceso in modo permanente di pochi milioni…
Ma anche questa riduzione di 10 milioni è una sovrastima della riduzione permanente effettiva.
Essa è il risultato di due eventi fortuiti che non dipendono dalle azioni della Camera. Primo, le elezioni del 2013, che hanno chiuso la Camera per qualche tempo e hanno causato una riduzione della spesa per collaboratori esterni di circa 4 milioni.
Secondo, il raddoppio degli interessi attivi da 2 a 4 milioni.
Se si tolgono questi due eventi fortuiti, il costo netto della Camera si è ridotto nel 2012 di 4 milioni, al netto del trasferimento dal Fondo di Solidarietà .
Una riduzione dello 0,5 percento.
Decisamente poco, o niente, a fronte della scandalosa situazione iniziale.
… Mentre la spesa per i deputati è aumentata di 10 milioni
Che non vi sia stata alcuna misura strutturale di riduzione della spesa è evidente dalla voce più politicamente e mediaticamente visibile e dibattuta dell’ intero bilancio della Camera: la spesa per i deputati (indennità e pensioni).
I pagamenti per indennità sono aumentati di 2 milioni nel 2013; vi è stata una diminuzione di 9 milioni nei pagamenti per pensioni.
Ma anche questa riduzione è illusoria. Essa è dovuta a un fortissimo aumento dei residui, di ben 16 milioni, dovuti a un aspetto tecnico.
Gli impegni di spesa su questa voce sono aumentati complessivamente di 10 milioni (3 per le indennità e 7 per le pensioni).
Come si può parlare di riduzione strutturale della spesa della Camera quando la voce più importante è aumentata di ben 10 milioni?
Roberto Perotti
professore ordinario all’Università Bocconi
(da “LaVoce.info”)
argomento: Alitalia, Parlamento | Commenta »
Luglio 26th, 2014 Riccardo Fucile
UN ANNO FA A TRENTO INSULTO’ IL MINISTRO KYENGE: ORA DOVRA’ PAGARE 2.500 EURO DI MULTA, OLTRE ALLE SPESE PROCESSUALI E UN RISARCIMENTO DI 10.000 EURO ALLE ASSOCIAZIONI CHE SI SONO COSTITUITE PARTI CIVILE
In attesa della pronuncia dei rispettivi tribunali sui casi di Roberto Calderoli e del suo collega di partito Fabio Ranieri, segretario della Lega Nord in Emilia-Romagna, per le offese all’ex ministro Cècile Kyenge, a Trento è stata emessa una sentenza che potrebbe far giurisprudenza.
Oltre alla condanna per diffamazione aggravata dall’odio razziale, l’imputato è stato condannato anche a risarcire le associazioni che si erano costituite parte civile.
La storia nasce anch’essa su Facebook.
Nel luglio del 2013 Paolo Serafini, 52 anni, entrato in consiglio circoscrizionale di Trento con la Lega Nord (poi finito nel gruppo misto), sull’onda della polemica innescata giorni prima da Calderoli, dedica alla Kyenge un pensiero tutt’altro che ovattato: “Dopo l’insulto di Calderoli la ministra che continua a dire che l’Italia non è un paese razzista dichiara di ricevere ogni giorno, soprattutto online, minacce di morte. Ma cosa pensava di trovare questa in Italia? Forse di essere accolta e di trovare il plauso della nazione? […] Rassegni le dimissioni e se ne torni nella giungla dalla quale è uscita”.
A corollario ‘geografico’ delle frasi ecco comparire anche un serie di foto di scimmie. Quanto basta per spingere un consigliere del Pd a presentare un esposto in procura, dal quale è partita la denuncia della procura trentina e quindi il processo, che si è concluso lo scorso 15 maggio.
La difesa aveva sostenuto che l’imputato avesse pubblicato il post nella convinzione di renderlo visibile solo agli “amici” di Facebook.
In subordine aveva cercato di far valere il principio costituzionale della libera manifestazione del pensiero.
Ma il tribunale ha ritenuto che “il limite della continenza sia stato superato” e che piuttosto che diritto di critica, nel caso di specie si possa parlare solo di “un attacco personale gratuito all’ex ministra, lesivo della sua dignità morale, nel solco di quello espresso a livello nazionale da eminente uomo politico nei giorni precedenti” (leggi Calderoli). Quanto alla frase “se ne torni nella giungla dalla quale è uscita”, si possono dire “integrati gli estremi dell’aggravante dell’odio razziale”.
Ora sono state depositate le motivazioni della sentenza, con la quale il giudice collegiale (a fronte della richiesta di 8 mesi di reclusione avanzata dal pm) condanna Serafini a 2500 euro di multa oltre al pagamento delle spese processuali.
Ma soprattutto, qui l’inedita appendice, lo condanna al risarcimento del danno morale in favore della parti civili (le associazioni Arci e Anpi del Trentino, l’Associazione Nazionale Giuristi Democratici, l’Associazione stati giuridici per l’immigrazione, l’Associazione trentina Accoglienza stranieri).
Nel determinare l’entità del danno i giudici tengono conto del “criterio della gravità della condotta” e della “lesione di un bene di primaria rilevanza costituzionale”: in sintesi 2000 euro per ognuna della parti costituite, più spese legali.
Marco Zavagli
argomento: LegaNord, Razzismo | Commenta »
Luglio 26th, 2014 Riccardo Fucile
TRA LE SPESE QUELLE PER LE BOLLETTE DI GEMONIO E PER LA LAUREA DEL “TROTA”
Lega contro Lega. Vecchia guardia sul banco degli imputati, e il nuovo corso maroniano pronto a chiedere i danni d’immagine.
Quello che si aprirà il 10 ottobre davanti al gup di Milano Carlo De Marchi, rischia di essere una vera e propria resa dei conti.
Sul banco degli imputati il fondatore del Carroccio, Umberto Bossi, i figli Riccardo e Renzo, ma anche gli ex tesorieri di via Bellerio, a partire da Francesco Belsito.
Accuse che parlano di anni di ruberie, spese folli, fondi del partito utilizzati come il conto personale della famiglia Bossi
E dal decreto che fissa l’udienza, si scopre che la nuova gestione del Carroccio, sarà della partita.
«Persona offesa: Movimento politico Lega Nord, nella persona del legale rappresentante Matteo Salvini ». Il legale prescelto, Domenico Aiello, lo storico difensore di Roberto Maroni, colui che lo assiste nell’ultima inchiesta che coinvolge a Busto Arsizio il governatore lombardo.
La stessa mossa si era concretizzata poco dopo l’insediamento di Maroni al Pirellone.
Sempre Aiello, sempre con una costituzione di parte lesa, ma questa volta nel processo contro il predecessore Roberto Formigoni, per l’ affaire Maugeri.
Al di là delle dichiarazioni di facciata anche recentemente emerse durante un comizio pubblico a Parma, le tensioni tra la corrente del Senatur e quella di «Bobo», non si sono mai sopite del tutto.
La costituzione di parte lesa lo dimostra ulteriormente
In udienza preliminare, le accuse contro Bossi, i suoi figli e gli ex «segretari federali» parlano di appropriazione indebita e truffa aggravata.
Era denaro «di proprietà della Lega Nord» quello di cui i rampolli di casa Bossi «si appropriavano, per fini estranei agli interessi e alle finalità politiche ».
In due anni, i tre imputati Bossi e l’ex tesoriere Belsito sono accusati di aver utilizzato «2,4 milioni di euro» di fondi per spese personali.
Tra i 145 mila euro contestati al «Trota », ci sono violazioni del codice della strada, ma anche i 48 mila euro versati nel novembre 2011, per acquistare una Audi A6, oltre ai 77 mila euro «per acquisto titolo di laurea albanese, presso l’Università Kristal di Tirana».
Ben 157 mila gli euro che il figlio maggiore del Senatur, Riccardo, ha sottratto al “bancomat” del Carroccio.
Anche per lui soldi per pagare multe del suo BmwX5, l’auto in leasing le cui rate venivano spedite in via Bellerio.
Come gli assegni per 5.650 euro per le «spese di mantenimento della moglie», o i 439 euro «per pagamento veterinario cane».
L’anziano Senatur è stato il meno parsimonioso in famiglia. 208 mila gli euro che i pm Paolo Filippini e Roberto Pellicano gli contestano di aver distratto dalle casse del partito.
Oltre alle bollette della villa di Gemonio (1.070 euro), anche la ristrutturazione della sua abitazione e quella di Roma (81 mila euro).
Emilio Randacio
(da “la Repubblica”)
argomento: Bossi, Giustizia | Commenta »
Luglio 26th, 2014 Riccardo Fucile
SONDAGGIO PAGNONCELLI: IL 22% DEI VOTANTI F.I. RITIENE BERLUSCONI ORMAI SUPERATO … MOLTI PREFERIREBBERO UN’ALLEANZA CHE ESCLUDESSE LA LEGA E SI RIVOLGESSE SOLO AI MODERATI
Fino a un paio di anni fa le vicende giudiziarie di Berlusconi radicalizzavano gli elettori: i berlusconiani si indignavano per ciò che veniva considerato un complotto della magistratura politicizzata ai danni del loro leader e gli antiberlusconiani per i reati di cui il Cavaliere veniva accusato.
Questo copione, durato quasi vent’anni, ha subito una battuta d’arresto un anno fa, in occasione della sentenza definitiva di condanna per i diritti Mediaset, a conferma del cambiamento del clima sociale e politico dopo il voto del 2013: con l’affermazione dell’M5S si è creato uno scenario tripolare che ha sostituito quello bipolare della Seconda repubblica; il Pdl ha subito un tracollo perdendo 6,3 milioni di elettori rispetto al 2008 e il perdurare della crisi economica ha modificato le priorità dei cittadini.
Tutto ciò spiegava la mancata mobilitazione degli elettori del Pdl e la loro volontà di continuare a sostenere il governo di larghe intese guidato da Enrico Letta nonostante la condanna di Berlusconi e le conseguenti minacce di uscita dalla maggioranza. All’indomani della sentenza d’appello del processo Ruby, che ha assolto Berlusconi ribaltando il verdetto di primo grado, si ha la conferma di questo cambiamento del clima.
Con poche eccezioni, non ci sono state reazioni di indignazione o di trionfalismo da parte degli elettori: la maggior parte degli italiani (34%) ritiene che la sentenza sia una libera decisione dei magistrati e come tale non vada discussa ma accettata; il 31% pensa che sia una sentenza sbagliata e il 25%, al contrario, la considera giusta.
Tra gli elettori del Pd il 46% ritiene che le sentenze non vadano discusse, il 41% giudica la sentenza sbagliata e quasi un elettore su dieci è d’accordo con l’assoluzione.
Tra gli elettori di Forza Italia quattro su cinque plaudono alla sentenza e, al contrario, il 7% la giudica sbagliata.
Si è quindi fortemente attenuato il giustizialismo tra gli elettori pd (la cui composizione è molto cambiata in occasione delle Europee) e tra quelli di FI fa capolino qualche dubbio sui comportamenti del loro leader.
Solo un elettore su tre ritiene che con la sentenza di assoluzione Berlusconi possa tornare ad essere il leader del centrodestra mentre prevale largamente (63%) l’idea che sia ormai superato.
Tra gli elettori di FI una minoranza non trascurabile (22%) è dello stesso parere.
Lo scetticismo si spiega non tanto in termini di limitata agibilità politica di un leader che sta scontando una condanna (che finora non gli ha impedito di svolgere il proprio ruolo, come dimostra il patto del Nazareno) quanto in termini di ricambio generazionale.
Berlusconi rimane difficilmente sostituibile, ma appartiene ad una stagione politica che secondo molti si è chiusa.
Ne è una conferma anche la perplessità che accompagna l’ipotesi di definizione di una nuova alleanza tra Forza Italia e le altre formazioni del centrodestra: solo il 33% ritiene che dopo l’assoluzione di Berlusconi questa possibilità sia realistica mentre il 59% pensa che sia difficile alleare partiti tanto diversi.
L’elettorato di FI è molto diviso in proposito: gli ottimisti rappresentano il 50% e i pessimisti il 46%.
Tra gli elettori del Ncd e i centristi il 57% non sembra credere a un’alleanza sulla cui composizione, peraltro, le opinioni sono tutt’altro che univoche: il 49% ritiene che per il centrodestra sarebbe più opportuno unire le formazioni più moderate, escludendo quelle che hanno posizioni più estremistiche, mentre per il 41% sarebbe più utile aggregare tutte le forze: FI, Ncd, Fratelli d’Italia e Lega Nord.
Nell’elettorato berlusconiano quest’ultima è l’opinione prevalente (55%), alla quale si contrappone una consistente minoranza (38%) che auspica un accordo limitato alle sole forze moderate.
La fase di difficoltà del centrodestra è testimoniata dai risultati elettorali, prima ancora che dai sondaggi: alle Europee i quattro partiti principali che lo compongono hanno ottenuto 8,5 milioni di voti (contro i circa 14 del 2009) e rappresentano il 17% degli elettori.
Per risalire la china il tema dell’alleanza e quello della leadership appaiono inderogabili.
Nando Pagnoncelli
(da “il Corriere della Sera”)
argomento: Forza Italia | Commenta »
Luglio 26th, 2014 Riccardo Fucile
MOGHERINI E RENZI SEMPRE A FAVORE DI TELECAMERE, MA PERCHE’ NON VANNO IN INDIA E TORNANO CON LA TORRE E GIRONE?
Prima fu la volta di Alma Shalabayeva, la moglie del dissidente kazako Mukhtar Ablyazov riportata in Italia dopo l’assurda espulsione.
Poi è toccato ai 31 bambini congolesi adottati da cittadini italiani, bloccati in Congo e infine fatti rientrare nel nostro Paese.
A maggio l’Italia riesce a liberare Federico Motka, giovane cooperante italo-svizzero rapito in Siria.
Infine un volo della presidenza del Consiglio italiana trasporta a Roma Meriam Yahia Ibrahim Isha, la cristiana condannata a morte in Sudan per apostasia.
Tutto molto bello, soddisfazione sacrosanta.
Ma i due marò?
Massimiliano Latorre e Salvatore Girone sono «trattenuti» in India da due anni e mezzo, fermati con il sospetto di aver ucciso, scambiandoli per pirati, due pescatori indiani e senza che per loro sia stato ancora formulato un capo d’accusa.
E anche su di loro, proprio come sulla povera Meriam, pendeva, fino a quando non è stata scongiurata, la possibilità della pena di morte. Ma sono ancora là .
I quattro casi felicemente risolti erano sì diversi da quello dei due fucilieri italiani, ma anche complessi e delicati.
Quello della Shalabayeva, ad esempio. Il 28 maggio 2013 a Roma la polizia cerca il dissidente kazako Ablyazov, ma nell’abitazione di Casalpalocco viene fermata la moglie con la figlia di sei anni. Con sè ha un passaporto falso.
Due giorni dopo la questura firma la sua espulsione e dopo 24 ore madre e figlia vengono imbarcate su un volo per il Kazakistan.
Il 31 luglio 2013 Ablyazov viene arrestato in Francia e suo figlio, su Facebook, scrive: «No all’estradizione com’è successo a Roma».
Ma l’Italia continua a premere per ottenere il ritorno della donna, e il 24 dicembre 2013, vigilia di Natale, Shalabayeva ottiene il permesso di lasciare il Kazakhstan.
Tre giorni dopo arriva in Italia con la piccola Aula e il 18 aprile scorso ottiene dal nostro Paese l’asilo politico.
Il caso dei marò è diverso? Certo, ma dopo due anni e mezzo è una legittima spiegazione?
Anche per i 31 bambini congolesi l’impegno del governo italiano è stato continuo ed efficace.
Nel dicembre scorso 26 famiglie adottive italiane, volate in Congo per portare a casa quelli che ormai sono loro figli, restano bloccate nel paese africano.
Il ministro dell’Interno di Kinshasa ha appena sospeso le procedure di adozione. Intanto gli allora ministri degli Esteri e dell’Integrazione, Emma Bonino e Cècilie Kyenge, assicurano «il forte impegno» del governo mentre continuano «le pressioni» sulle autorità locali.
Il 28 maggio i 31 bambini atterrano a Ciampino con un airbus della presidenza del Consiglio.
Ma, ancora una volta, i nostri marò?
Nel marzo 2013 l’Isis, Stato islamico dell’Iraq e del Levante, rapisce in Siria il 31enne Federico Motka, un cooperante italo-svizzero.
Federico verrà torturato e trasferito più volte. I nostri servizi segreti lavorano sodo, silenziosamente, finchè il 25 maggio, il ragazzo non viene rilasciato «grazie a un complesso e delicato lavoro dei nostri servizi di informazione e dell’Unità di crisi del ministero degli Esteri», si legge in una nota della Farnesina.
Bene, più che bene. Ma Latorre e Girone?
Due giorni fa finisce anche l’incubo di Meriam. La giovane sudanese viene condannata a morte per apostasia. La sua «colpa» è di non voler abbandonare la fede cristiana per convertirsi all’islam.
Sull’aereo con lei c’è il viceministro degli Esteri, Lapo Pistelli, che appena mette piede a terra spiega che il caso di Meriam e quello dei marò «sono molto diversi» e che «il governo è impegnato pancia a terra a risolvere il caso dei fucilieri».
Ma quanto si dovrà ancora lavorare «pancia a terra» per vedere finalmente a casa, dalle loro famiglie, Massimiliano e Salvatore?
Luca Rocca
(da “il Tempo”)
argomento: Giustizia, governo | Commenta »
Luglio 26th, 2014 Riccardo Fucile
CONFLITTO D’INTERESSI INFINITO, BERLUSCONI HA PRETESO E OTTENUTO: PIANO DELLE FREQUENZE FAVOREVOLE, DIRITTI TV CALCIO E TETTI PUBBLICITARI FANTASMA
L’ultimo, decisivo contatto c’è stato nelle ore di sospensione di giovedì scorso a Palazzo Madama, prima dei tumulti e del corteo al Quirinale.
Al telefono Matteo Renzi e il suo amico Denis Verdini, lo sherpa berlusconiano dell’inciucio sulle riforme: “Denis, non ci sono alternative al contingentamento, voi ci siete?”. “Matteo, non ti preoccupare, lo voteremo”.
E così è stato. Anche se, quando poi è toccato al capogruppo azzurro al Senato, Paolo Romani, spiegarlo in aula, decine di forzisti sono andati via per protesta.
È il patto del Nazareno, bellezza, e nessuno può farci nulla.
Nel marzo scorso il socialista Rino Formica, non Beppe Grillo, lo definì il patto scellerato Bierre “che sta smontando pezzi di Costituzione come nemmeno Mussolini, Napolitano sa che è un golpe?”.
Parole sempre più attuali. Le priorità di Berlusconi. Nel venerdì dopo l’Aventino, i forzisti “nazareni” rivendicano, al pari del premier, la linea dura. Due di loro se la ridono: “È stato un trionfo, andiamo avanti sino alla fine”.
Più renziani di Renzi.
Il patto sta ribaltando equilibri e posizioni. Per B. e i suoi, il Senato non è la parte decisiva del testo scritto e segreto e custodito dai due contraenti del Nazareno.
In ordine d’importanza vengono prima la nuova legge elettorale, l’Italicum (e il timore diventato retropensiero in questi giorni è che Renzi faccia saltare tutto con un pretesto e vada al voto con un Mattarellum approvato in 15 giorni), la riforma della giustizia (proprio ieri il guardasigilli Orlando ha detto che le sentenze non sono “un ostacolo”), finanche il delicatissimo dossier televisivo.
Al Fatto, questo quarto punto, affrontato a quattr’occhi da B. e Renzi nel loro storico incontro nella sede del Pd (senza streaming, ovviamente) è riferito da più fonti berlusconiane .
È la garanzia senza scadenze per l’eterno conflitto d’interessi dell’ex Cavaliere, quasi ottantenne e sempre più ossessionato dalla “roba” da lasciare ai cinque figli.
Il partito del Biscione
Tranne Verdini e i suoi, forse più in quota Renzi che B., questo l’ironico paradosso, quello del Nazareno è il patto tra un partito diventato padronale, il Pd, e un partito azienda, Mediaset.
Ed è per questo che i mal di pancia di Forza Italia si possono riassumere in questo lamento: “Abbiamo subìto un accordo voluto dal partito Mediaset”.
Il Biscione vanta fautori di altissimo rango del renzusconismo: l’onnipresente Gianni Letta (Panorama ha rivelato che avrebbe mostrato a B. un sms ricevuto da Renzi: “Il Capo… Un Gigante”), Fedele Confalonieri, Ennio Doris.
Senza dimenticare che, agli inizi di luglio, prima della battaglia del Senato e prima della sentenza d’appello del 18 luglio di assoluzione per Ruby, è arrivato l’endorsement di Pier Silvio B., vicepresidente di Mediaset: “La crisi che stiamo vivendo è troppo lunga. Non c’è più un minuto da perdere: come italiano e come imprenditore, tifo per le riforme subito e per la fretta del governo. Renzi ha una chance unica e una grandissima responsabilità . Renzi è il più grande comunicatore dopo mio padre”.
Il risparmio bipartisan
Nei tre anni del Napolitanistan e dei governi tecnici, il saggio Confalonieri ha sempre ripetuto all’amico Silvio che l’inciucio fa bene a Mediaset.
L’ultima conferma l’altro giorno, giovedì, quanto il titolo ha avuto la terza migliore performance a Piazza Affari (+ 6,90 %) e il suo prezzo continua a superare i tre euro abbondanti (3, 286).
Ieri invece una flessione, a causa del superaccordo europeo in casa Sky. Ma in Italia, Medieset è sempre in una botte di acciaio, non di ferro.
Agli inizi di luglio, nella commissione Trasporti, Poste e Telecomunicazioni, un documento della Confindustria Radio Tv (formata da tutti i broadcaster nazionali) spinge per il congelamento dell’attuale situazione e difende Mediaset sulla questione della banda a 700 megahertz contro la creazione di nuove reti nell’agenda digitale. Non solo.
Il piano delle frequenze, attualmente in una fase di consultazione fino al prossimo settembre, è liquidato come un “vero bluff” dagli esperti del settore.
In ogni caso, Rai e Mediaset risparmieranno 80 milioni di euro nei prossimi cinque anni alla voce canone per le frequenze.
Il ministero che se ne occupa è quello dello Sviluppo Economico, occupato dall’unica berlusconiana dichiarata del governo Renzi, Federica Guidi.
Spot, l’ultimo inciucio
Un altro dossier messo a giacere riguarda la direttiva europea sui tetti pubblicitari da abbassare alle reti commerciali.
Facile immaginare perchè non vengano adeguati. Per Mediaset sarebbero tanti, troppi milioni in meno.
Un colpo che non potrebbe permettersi dopo essersi svenata per l’inciucio epocale tra Sky e Mediaset sui diritti tv del campionato di calcio di Serie A, triennio 2015-2018, alla fine di giugno.
Alla vigilia la stessa Sky aveva mandato un avvertimento a Renzi: la Lega Calcio non favorisca Mediaset. È finita con un altro inciucio.
(da “Il Fatto Quotidiano”)
argomento: Berlusconi, Renzi | Commenta »
Luglio 26th, 2014 Riccardo Fucile
IL PRESIDENTE DEL SENATO SORVOLA SULLE PRECEDENTI CRITICHE (“COSTRUTTIVE”) AL DDL BOSCHI E ADOTTA LE RIFORME RENZIANE: “LE ASPETTIAMO DA VENT’ANNI E SONO LARGAMENTE CONDIVISE”
Roberto Calderoli, nonostante il busto e il braccio ingessato, ride entrando in Aula. L’uomo, d’altronde, è sempre stato in grado di trovare elementi di divertimento anche laddove sembrano non esserci: per esempio, nel consiglio di presidenza del Senato di ieri mattina, ha di nuovo intortato la maggioranza e ora si diverte perchè, scandisce, “entro l’8 agosto non ce la faranno mai”.
È l’allegria dei naufragi. Com’è dolce morire a Palazzo Madama.
All’indomani del corteo delle opposizioni verso il Quirinale per denunciare la deriva autoritaria di Matteo Renzi uno s’aspetterebbe di trovare un’atmosfera elettrica. Niente. Il Senato muore dolcemente, sussurrando nella penombra disegnata dalla sua splendida boiserie, dal suo parquet eternamente scricchiolante, appoggiato al suo mobilio antico: perfino chi ci vive ha ormai introiettato la propria dipartita e aspetta il colpo di grazia in quello stato sospeso che Heine definiva droit de moribondage.
Prima di andarsi a prendere un caffè, Aldo Di Biagio, ex An, senatore eletto all’estero con Scelta civica e oggi assiso coi democristiani Mauro e Casini, la mette giù dura: “Non ho nessuna difficoltà a votare questo impianto costituzionale. Più sto qua dentro e più sono convinto che il Senato vada eliminato del tutto”.
Intanto, in Aula, sta parlando il leghista Sergio Divina: “Come fa questo Parlamento ad affidare i pieni poteri a una sola persona e pensare di essere ancora in un sistema democratico?”.
Sarà uno dei pochi interventi che accennano al cosiddetto ddl Boschi, mentre nella sala Garibaldi (il Transatlantico di palazzo Madama) si parla quasi solo delle ferie e del week end: treni prenotati che rischiano di saltare, spiagge agognate che si teme restino solo un feroce desiderio.
Nel naufragio collettivo, d’altronde, ognuno cerca la sua scialuppa di salvataggio. Persino il capitano.
La cerimonia del ventaglio e i conti senza l’oste
Mentre nell’aula di palazzo Madama il governo poneva la sua 12esima fiducia sul decreto Competitività (lunedì probabilmente seguirà la 13esima su quello Cultura), il presidente Piero Grasso salutava la stampa parlamentare prima delle ferie con la tradizionale “Cerimonia del Ventaglio”.
Niente domande all’uomo che ha accettato di far discutere una profonda riforma costituzionale in due settimane, l’ex capo dell’Antimafia ha portato un tema a piacere. Titolo: Renzi, ricordati degli amici.
Parte, Grasso, spiegando che “lo spettacolo offerto dal duro scontro politico di questi giorni mi ha molto addolorato e, in alcuni momenti, indignato”,poi passa a rivendicare il suo ruolo di “garante” super partes (“respingo con forza qualsiasi illazione o sospetto sulla mia decisione”), e poi adotta senz’altro l’intera agenda del governo.
Le riforme costituzionali? “Sono attese da decenni e largamente condivise nelle loro linee essenziali: superamento del bicameralismo paritario, nuovo equilibrio tra i due rami del Parlamento,snellimento del processo legislativo e riduzione del numero dei parlamentari”.
Certo, a suo tempo, ebbe modo di criticare Renzi proprio su queste riforme, ma fu “un contributo costruttivo” e del resto il testo è molto migliorato.
Ma alla seconda carica dello Stato mica piace solo il ddl Boschi: pure la riforma della giustizia e gli interventi economici incontrano il suo favore: “Liberalizzazioni, privatizzazioni, riforma del mercato del lavoro, revisione della spesa pubblica, modernizzazione della P.A.”, l’agenda non proprio fantasiosa.
Tanto per non dimenticarsi del passato Grasso parla pure del “freno alla crescita” determinato dall’economia criminale e rivela di aver chiesto all’ufficio di presidenza di non pagare più il vitalizio ai senatori condannati “per mafia,corruzione e altri gravi reati”. Fatto? Non proprio: “Si è deciso di coordinarsi con la Camera”. ”.
Conclude un senatore del Pd: “Oggi Grasso ha iniziato la sua campagna per il Quirinale, ma Renzi non fa prigionieri: il prossimo capo dello Stato sarà una donna. Alta”.
Intanto Roberta Pinotti, ministro della Difesa, corre in aula per votare.
Guerre finte e ferie vere: come far slittare tutto
Resta il problema delle ferie, ma quello — dice Calderoli — è risolto: “Dobbiamo fare 5mila voti, ci sono i decreti e stamattina gli ho fatto pure approvare il bilancio del Senato: non si ricordano che ora, da Regolamento, lo devono portare in aula”, spiega ridacchiando.
Quindi? “Tra qualche giorno trionferà il buon senso e ci sarà un accordo per far slittare i tempi. L’8 agosto chiudiamo e ci rivediamo lunedì 25 per continuare con le riforme costituzionali”, prevede una fonte di maggioranza.
D’altronde i grandi ardori, i petti offerti al fuoco sono solo una finta.
Raccontano che Stefano Esposito, pasdaran piddino delle riforme, subito dopo aver dettato una vibrante agenzia in cui chiedeva che si lavorasse anche a Ferragosto, sia corso da uno degli oppositori del progetto Renzi: “Mica mi farete perdere il treno, no?”.
Anche ieri sul decreto Competitività , un omnibus pasticciatissimo approvato a tappe forzate in commissione, c’è stata una di queste guerre finte.
L’opposizione non ha partecipato al voto tentando di far mancare il numero legale: quelli di Forza Italia e della Lega se ne sono subito andati in stazione o in aeroporto, i grillini aspettavano col trolley pronto.
Sospiro di sollievo finale quanto Grasso legge che i votanti sono stati 160 e successiva corsa al portone.
Il dissidente Corradino Mineo, ultimo rimasto in Transatlantico, si volta verso i suoi. Sorride: “Posso dire di aver salvato la fiducia al governo? 160 votanti significa che il mio voto è stato decisivo”.
Veramente, gli spiegano, tra congedi e missioni il quorum oggi era 149: “Dai, sarà per la prossima volta”.
Marco Palombi
(da “Il Fatto Quotidiano“)
argomento: denuncia | Commenta »