Luglio 2nd, 2014 Riccardo Fucile
E NELL’INCHIESTA A TORINO SULLA ‘NDRANGHETA” EMERGE L’ADESIONE DEGLI ARRESTATI AL M5S E A “COMPARE PEPPE”
Partiamo dal primo episodio: il 24 giugno, due “presunti” simpatizzanti del Movimento 5 Stelle si presentano alla portineria del Secolo XIX di Genova protestando per un articolo e pretendendo in modo aggressivo di parlare con gli estensori o con qualche giornalista.
In quel momento – la mattina di San Giovanni – in redazione ci sono pochissimi giornalisti e nessuno che si occupi di politica.
I quasi 9 minuti in cui i due interloquiscono con il malcapitato addetto alla portineria vengono ripresi con un telefonino e postati su Facebook da uno di loro.
Il video, presentato come dimostrazione di stampa disinformata e disinformante, diventa virale (oltre 6mila condivisioni) così come gli insulti, le intimidazioni e tutto il ciarpame che si accompagna ai commenti che pullulano in Rete, tanto più odioso quando vengono messi all’indice – persino con la fotografia – i giornalisti.
Dopo una dura presa di posizione dell’ordine dei giornalisti contro l’atto di intimidazione e lo “scontro” in portineria, arrivano le tardive scusa del M5S e la condanna dell’atto compiuto da “due singoli cittadini”, come si sono loro stessi definiti.
Peccato che siano balle come dimostra la foto che pubblichiamo.
Si tratta di un iscritto al Meetup del M5S di Genova: non un “estraneo” quindi, ma un iscritto accreditato dal rigorosissimo (sic) regolamento del M5S di Genova (a cui era sfuggita in passato anche una presunta spacciatrice di Sestri Ponente).
Un personaggio che ha anche incassato una condanna in primo grado per le violenze allo stadio.
E arriviamo al secondo episodio che va localizzato a Torino dove si scopre che Gianluca Donato, uno degli ‘ndranghetisti coinvolti (ed arrestato) nell’indagine “San Michele” della locale DDA, postava le foto del VinciamoNoiTour.
Anche ad Antonio Donato, detto “Antonello”, ‘ndranghetuso in proprio e con famiglia, piace Beppe Grillo.
Oltre ai due fratelli arrestati, c’e’ poi il cugino Salvatore Donato che indica come sua sede di lavoro il gruppo Cinquestelle a Roma (che non ha smentito l’imbarazzante collaborazione).
Un ritratto di famiglia molto rassicurante…
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Luglio 2nd, 2014 Riccardo Fucile
GRANA FONDI: POSSIBILE UNA FIDEJUSSIONE BANCARIA AI PARLAMENTARI PER GARANTIRE UN PRESTITO…MANCANO 94 MILIONI DI EURO
All’ora di pranzo vertice di tre ore a palazzo Grazioli, alla presenza dei capigruppo e di alcuni big di Forza Italia.
Ma alla vigilia dell’incontro con i parlamentari azzurri, Silvio Berlusconi ha fatto il punto sulle riforme.
E non solo: secondo quanto risulta all’Agi, le casse del partito sono vuote e l’ex presidente del Consiglio è intenzionato a correre ai ripari.
Oltre ai debiti pregressi che ammontano a circa 87 milioni di euro, ne mancano all’appello circa 7 per fronteggiare le spese correnti e il leader azzurro ha spiegato più volte di non voler più aprire i cordoni della borsa.
Oggi è stato fatto un passo ulteriore: tra le ‘cure’ sul tavolo – riferiscono fonti azzurre – c’è quella di chiedere una fidejussione bancaria ai deputati e ai senatori per garantire un prestito e ‘coprire’ la somma mancante, necessaria per mandare avanti la macchina di Fi.
I parlamentari, la maggior parte dei quali al secondo mandato, saranno chiamati ad impegnare la liquidazione.
Più o meno, facendo calcoli approssimativi, ogni parlamentare dovrebbe garantire circa 50mila euro.
Ipotesi che ha già messo in fibrillazione molti azzurri. “Piuttosto passo al gruppo Misto…”, protesta un deputato. Un’altra ipotesi è quella di chiedere un contributo ‘una tantum’.
Al momento non sono previste sanzioni per chi non accoglierà il ‘piano d’emergenza’.
Ma pesa anche il rifiuto di molti parlamentari di versare la somma mensile che dovrebbe essere destinata al partito.
La ‘grana’ fondi potrebbe anche essere affrontata domani alla riunione sulle riforme. Anche per trovare risorse partirà la campagna tesseramento.
Chi si iscrive a Fi dovrà versare 50 euro, 25 la quota per i giovani e gli anziani.
L’obiettivo è quello di arrivare almeno a 300mila iscritti.
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Luglio 2nd, 2014 Riccardo Fucile
DOPO VIA LIBERA ALLE RIFORME, DOMANI IL CONTATTO
È previsto per la tarda mattinata di domani (giovedì 3 luglio) il “contatto” tra Berlusconi e Renzi che vale una stretta di mano sulle riforme. Definitiva.
Prima cioè che l’ex premier affronti i suoi perplessi gruppi parlamentari di Camera e Senato, riuniti per le quindici.
Sarà quello il luogo del grande annuncio di Berlusconi in versione “padre della patria”: via libera al nuovo Senato in nome della “responsabilità ”.
Tanto che, per evitare che l’assemblea possa trasformarsi in uno sfogatoio, l’orientamento è quello di non discutere le “comunicazioni del presidente”.
È telefonico il contatto tra Berlusconi e Renzi, preparato in questi giorni dagli ambasciatori.
In un clima di omaggi a Renzi da parte di tutto il mondo berlusconiano, da Piersilvio a Toti, tra i primi a stringere la mano al premier, appenato finito il discorso a Strasburgo.
Domani il contatto tra i Capi. Anche se è stata presa in considerazione anche l’ipotesi di un incontro per cui però non ci sarebbero le condizioni visto il carattere “tecnico” più che “politico” degli ultimi dettagli.
Almeno così la vede Renzi, mentre Berlusconi avrebbe preferito il faccia a faccia.
E non solo perchè ha un valore simbolico più alto. Ma anche perchè, dopo aver affrontato l’argomento Senato, la sua richiesta a Renzi riguarda altro.
Ovvero il “salvataggio” di Galan, sul cui arresto la prossima settimana si pronuncerà la Camera.
Per favorire il “salvataggio” Berlusconi chiede (al premier) due cose: il voto segreto e l’indicazione (per i deputati del Pd) della libertà di coscienza.
Sulla pratica da giorni è lavoro Niccolò Ghedini che, oltre ad essere avvocato del Cavaliere, assiste anche — nel procedimento su cui si discute l’arresto — lo stesso Galan.
Ghedini sostiene che, in punta di diritto, la richiesta di arresto si presta a un giudizio in chiaroscuro da parte della Giunta.
Nella richiesta, in particolare, sarebbero parecchi gli omissis, e le parti insufficienti a motivare l’arresto.
E poi c’è Galan, il quale ha chiesto, da settimane, di essere ascoltato dai magistrati per “chiarire” la posizione: “Perchè — è l’argomento dei difensori di Galan — il Parlamento deve sostituirsi ai giudici mandandolo in galera?”
Un confronto su punti deboli della richiesta di arresto, riferiscono fonti autorevoli, c’è stato tra Ghedini e il relatore in Giunta, Mariano Rabino (di Scelta civica).
Il quale, non a caso, si sta muovendo senza fretta alcuna e con tutta la prudenza del caso.
L’aggiornamento alla prossima settimana deciso in Giunta oggi dà il tempo utile per passare al livello politico.
Ghedini ha già effettuato un sondaggio con qualche renziano che ha consuetudini con palazzo Chigi. Non avrebbe trovato una preconcetta ostilità . Ora tocca a Berlusconi.
Il quale chiederà a Renzi di sostenere il “voto segreto”, come è accaduto nella scorsa legislatura consentendo il salvataggio di Milanese.
È possibile, trattandosi di un voto sulle persone. E chiederà di non dare una direttiva di partito, lasciando il caso alla coscienza dei parlamentari.
In fondo, è il retropensiero berlusconiano, queste inchieste rischiano di essere un baratro per tutti (vedi Orsoni che è del Pd).
Ed è meglio fare del Parlamento uno scudo buono per tutti, piuttosto che una ghigliottina in attesa della prossima vittima.
Si capisce perchè su una questione così delicata Berlusconi avrebbe preferito un colloquio guardandosi negli occhi. E invece sarà telefonico.
A margine della chiusura della trattativa sulle riforme. Verdini più volte negli ultimi giorni ha sentito il ministro Boschi, per sciogliere gli ultimi nodi.
Che riguardano la “proporzionalità ” tra numero di senatori e ampiezza della regione e l’allargamento della platea che elegge il capo dello Stato, inserendo altri consiglieri regionali oltre ai senatori di diritto.
Ipotesi su cui Forza Italia ha posto un veto insuperabile.
Ma, al quartier generale berlusconiano, in molti confidano che “domani si chiude”: “FI – dice Romani – attende le ultime risposte dal governo e poi il percorso delle riforme è segnato”.
Tra le risposte attese c’è anche quella sui tempi della legge elettorale che Forza Italia vorrebbe prima dell’estate ma che appare difficile visto “l’imbuto” nei lavori d’Aula al Senato.
Non c’è il “salvataggio” di Galan. Richiesta “slegata” dalle riforme.
Anche se, qualora venisse accolta, renderebbe migliori i rapporti.
(da “Huffingtonpost“)
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Luglio 2nd, 2014 Riccardo Fucile
LE PRIVATIZZAZIONI DI RENZI: LE BANCHE ITALIANE INFILANO IN TASCA AI LORO CLIENTI LE AZIONI DELLE SOCIETA’ CHE I FONDI STRANIERI NON HANNO VOLUTO
Dicono che l’Italia stia cambiando verso, ma se si deve giudicare dal collocamento in Borsa delle azioni Fincantieri c’è poco da stare allegri.
Anzi, l’impressione è che il premier Matteo Renzi stia mettendo la faccia, come ama dire, sull’ennesimo sconcio ai danni dei risparmiatori.
Per capire la gravità della vicenda proviamo a ricostruirla nei dettagli.
Il 13 giugno scorso la Fincantieri ha comunicato di aver ottenuto dalla Consob l’approvazione del prospetto per la quotazione in Borsa.
L’operazione è stata così descritta: collocamento di 704 milioni di azioni, a un prezzo compreso tra 0,78 e 1 euro; di questi titoli 104 milioni sono venduti dall’azionista finora unico di Fincantieri, la Cassa Depositi e Prestiti, mentre i restanti 600 milioni sono a titolo di aumento di capitale, cioè risorse che gli investitori versano nelle casse della società per rafforzarne il patrimonio e la capacità di investimento.
In particolare, dei 704 milioni di titoli, 141 milioni sono destinati al pubblico dei risparmiatori (in gergo retail, che in inglese indica la vendita al dettaglio), mentre 563 milioni saranno offerti agli investitori istituzionali, cioè banche, fondi d’investimento e simili.
I clienti degli istituti usati come carne da cannone
Il comunicato della Fincantieri non dice che dentro il prospetto informativo – centinaia di pagine che il risparmiatore in genere non legge – è prevista la facoltà di claw-back. Che cos’è? Lo scoprirete più avanti.
Il 16 giugno il pool delle banche collocatrici comincia a battere i mercati finanziari di mezzo mondo per piazzare le azioni.
In Italia collocano le due maggiori banche nazionali, Intesa Sanpaolo e Unicredit. All’estero grossi nomi della finanza: Credit Suisse, Jp Morgan (che si avvale dell’ex ministro dell’Economia Vittorio Grilli) e Morgan Stanley, che schiera l’ex ministro dell’Economia Domenico Siniscalco. Una bella rimpatriata.
Il 27 giugno si chiude il collocamento e si scopre che, ohibò, i mitici mercati finanziari internazionali hanno mandato al diavolo i provetti venditori capitanati dai Grilli, Siniscalco e soci.
Dei 563 milioni di azioni proposte ne hanno comprato appena una dozzina di milioni: in pratica le brillanti banche collocatrici hanno venduto la cinquantesima parte di ciò che il presidente della Cassa Depositi e Prestiti Franco Bassanini aveva affidato alle loro abili mani.
Gli investitori istituzionali italiani per parte loro comprano una trentina di milioni di azioni, un ventesimo della quota offerta.
Tra essi i grandi fondi di investimento che pure, in alcuni casi, fanno capo alle banche collocatrici.
Che cosa fa a questo punto il numero uno di Fincantieri Giuseppe Bono?
Non si perde d’animo e corre ai ripari. Cancella l’offerta di azioni della Cassa Depositi e Prestiti in vendita, e riduce anche l’aumento di capitale, cosicchè il collocamento si riduce da 704 a 450 milioni di azioni.
Poi fissa il prezzo al minimo della forchetta, 0,78 euro. Ma il colpo del maestro si chiama claw-back. È la clausola che consente, in qualsiasi momento, di spostare i pesi del collocamento tra istituzionali e retail.
I fondi internazionali hanno buone ragioni per tenersi alla larga dalle azioni Fincantieri?
Benissimo, senza indagare oltre le hanno mollate ai risparmiatori italiani.
Così agli istituzionali vanno 49 milioni di azioni (gliene avevano proposte 563 milioni), e ai poveri piccoli investitori privati che ancora si fidano della loro banca arrivano 401 milioni di azioni (313 milioni di euro sull’unghia) anzichè i 141 milioni proposti.
Ci si potrebbe chiedere: ma se i risparmiatori i 400 milioni di azioni le hanno chieste, che male c’è?
C’è che nessuno li ha avvertiti che i fondi internazionali su quelle azioni ci stavano sputando sopra.
Chiunque frequenti le filiali delle banche conosce il ritornello che i funzionari sono addestrati a ripetere in cambio di un premio per ogni azione piazzata : “Guardi, è un’affarone, le Fincantieri andranno a ruba, la domanda sarà il triplo dell’offerta, quindi lei chieda tre lotti minimi da quattromila azioni, così quando si andrà al riparto avrà il suo pacchetto pari pari”.
Puntualmente la domanda è stata il triplo dell’offerta (“un grande successo”), e adesso i nostri apprendisti stregoni si chiedono storditi: “Ma come mai i risparmiatori hanno capito la convenienza dell’affare e i soloni della finanza internazionale no?”.
“I fondi d’investimento non capiscono, i piccoli risparmiatori invece sì”
L’austero Sole 24 Ore, ha dato fiato a una considerazione indecente, suggerita dai trombettieri della grande operazione: “Chi ha seguito il dossier non addebita l’esito non brillante alla mancata distribuzione di dividendi per tre anni, quanto piuttosto alla difficoltà di far digerire l’operazione in breve tempo a investitori poco avvezzi al complesso business di Fincantieri”.
Avete capito bene: i “poco avvezzi” sono i grandi fondi internazionali.
I risparmiatori italiani invece hanno capito al volo il “complesso business”. Totò direbbe: “Ma mi faccia il piacere…”.
Se Renzi consente che sotto il suo governo vengano fatti pasticci del genere poi magari non si lamenti se sente in giro un clima ostile alle imprese
Domani il titolo Fincantieri fa il suo esordio in Borsa.
Visto che nessuno ha voluto le azioni al collocamento c’è da vedere chi le vorrà comprare al listino.
Allacciate le cinture.
Giorgio Meletti
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Luglio 2nd, 2014 Riccardo Fucile
ANCHE MARIO MAURO ESCLUSO DAL PROGRAMMA DELL’INCONTRO
“Guardate la cronaca”. Giorgio Vittadini, uomo forte di CL e architetto del relativo Meeting, apre ai presenti scenari da tregenda.
Non si riferisce al caso Expo, come si temeva, ma elenca: Palestina, Nigeria, Iraq. “Ultimamente di queste cose non gliene frega niente a nessuno”, si duole.
Un immediato desiderio di coscienza – non disgiunto da un sospiro di sollievo – percorre il romano Tempio di Adriano, dove è appena iniziata la presentazione dell’appuntamento di Rimini di quest’anno (dal 24 al 30 agosto) e s’aggirano i politici d’area: il ministro delle Infrastrutture Maurizio Lupi, che sta una mezz’ora e poi se ne va, e gli ex potenti in cerca di nuova sistemazione Mario Mauro e Roberto Formigoni, compostamente seduti in prima fila per tutto l’happening ciellino
Vittadini, tornando alla cronaca, è assai accorato.
Di fronte a quel che accade, dice citando il cardinale Tauran, o si sta nel “cuore del potere” che “organizza guerre ventennali e poi si dimostra impotente” oppure si sceglie “il potere del cuore”, che “cambia la storia”.
Ebbene, il potere del cuore ci sarà sicuramente all’appuntamento di Rimini (titolo: “Verso le periferie del mondo e dell’esistenza. Il destino non ha lasciato solo l’uomo”), ma pure il cuore del potere non manca davvero: tra i main sponsor – quelli che pagano il Meeting, per capirci – ci sono Enel, Eni, Finmeccanica, Ferrovie (per inciso i grandi gruppi pubblici avevano annunciato pesanti tagli a questo tipo di spese), Wind, Sky, Nestlè, Sisal e Lottomatica, la cooperativa La Cascina, la società Illumia (testimonial: Cesare Prandelli) e Autostrade per l’Italia.
Pure tra gli ospiti il cuore del potere non scarseggia: oltre ai manager delle aziende paganti (molti di recente nomina renziana), ci sarà Sergio Marchionne, quattro anni dopo la prima apparizione riminese, il presidente di Confindustria Giorgio Squinzi, persino l’informale ambasciatore del premier Oscar Farinetti parteciperà a un convegno (per non parlare dell’avatar dell’ex sindaco di Firenze, il nuovo inquilino di palazzo Vecchio Dario Nardella).
Il capo, invece, non ci sarà . “Lo abbiamo invitato, ci farà sapere”, dicono dal palco alle ore 18.30.
Matteo Renzi “ha declinato l’invito”, smentiscono da Palazzo Chigi un paio d’ore dopo. Bello schiaffo, non c’è che dire, che fa il paio con quello che invece Comunione e Liberazione ha assestato proprio a Maurizio Lupi e Mario Mauro, i due politici che volevano intestarsi la rappresentanza ciellina dopo la giubilazione per eccesso di scandali del Celeste Formigoni: nessuno dei due compare nel programma ufficiale del Meeting.
Il rapporto con la politica è proprio il tallone d’achille dell’happening riminese.
Dopo gli andreottismi dantan e le più recenti ovazioni a Silvio Berlusconi, magari c’è la consuetudine, forse l’affetto, ma manca l’amore.
“Non ci interessano i talk show politici – scandisce Vittadini – che poi secondo me sono il punto più basso della politica : noi vogliamo che chi sarà a Rimini scopra protagonisti nuovi. Questo sarà un meeting alternativo perchè noi vogliamo, se mai ce ne siamo spostati, tornare all’ispirazione originale dell’incontro”.
I protagonisti nuovi e lo spirito orignario lo declina a seguire Bernhard Scholz, presidente della Compagnia delle Opere: a parte Marchionne, Squinzi e un’altra quantità di manager di grandi aziende (dalla Ferrero a Deutsche Bank, da Siemens a Snam eccetera eccetera), ci saranno nomi mai sentiti come il segretario della Cisl Raffaele Bonanni, i ministri Poletti (Lavoro), Guidi (Sviluppo), Galletti (Ambiente) e Stefania Giannini (Istruzione), unica ospite politica sul palco di ieri.
Pure per parlare di giustizia c’è una scelta di rottura: Luciano Violante. Non manca, ovviamente, il lato Expo 2015: il ministro delegato Maurizio Martina (Agricoltura) e il commissario Giuseppe Sala, protagonista di un succoso pomeriggio col governatore lombardo Roberto Maroni.
Alla presidente del Meeting, Elena Guarnieri, però, piace poco “il gossip”, già esecrato da Vittadini, e decide quindi – in chiusura – di riportare l’uditorio, magari distratto dall’attesa del buffet, ad un livello più alto (forse troppo) con splendido ritorno circolare all’urgenza della cronaca: “Questo Meeting – spiega – pone una domanda radicale a ognuno di noi: ma l’uomo è una risorsa adeguata per affrontare tutto questo? Il potere del cuore basta?” (per i curiosi, la risposta pare sia sì).
Marco Palombi
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Luglio 2nd, 2014 Riccardo Fucile
LE MOTIVAZIONI DELLA CONDANNA: “FU IL GARANTE DELL’ACCORDO TRA BERLUSCONI E BOSS MAFIOSI”
Per vent’anni, Marcello Dell’Utri è stato è stato il garante di un «accordo» tra Silvio Berlusconi e Cosa nostra.
Un accordo «di protezione », nato nel 1974, quando a Milano imperversavano i sequestri degli imprenditori e dei loro familiari.
Negli anni seguenti, fino al 1992, i boss garantirono a Berlusconi protezione per i suoi ripetitori tv piazzati in Sicilia. E intanto Dell’Utri continuava a consegnare con «sistematicità » cospicue somme di denaro al boss Tanino Cinà : «Queste erogazioni – scrive adesso la Cassazione – sono indicative della ferma volontà di Berlusconi di dare attuazione all’accordo al di là dei mutamenti degli assetti di vertice di Cosa nostra».
Le motivazioni della sentenza che il 9 maggio ha condannato definitivamente Marcello Dell’Utri a sette anni di carcere, per concorso esterno in associazione mafiosa, consacrano anche il silenzio di Berlusconi rispetto alle minacce dei boss: «Il patto di protezione è andato avanti senza interruzioni », scrivono i giudici della suprema corte.
Dell’Utri garantì «la continuità dei pagamenti di Silvio Berlusconi in favore degli esponenti dell’associazione mafiosa, in cambio della complessiva protezione da questa accordata all’imprenditore».
E così Dell’Utri si ritrovò a svolgere un ruolo di «rilievo per entrambe le parti: l’associazione mafiosa, che traeva un costante canale di significativo arricchimento; l’imprenditore Berlusconi, interessato a preservare la sua sfera di sicurezza personale ed economica ».
Oggi, Dell’Utri sta scontando la sua condanna a Parma: dopo l’estradizione dal Libano è ricoverato al centro diagnostico terapeutico del carcere.
Il collegio presieduto da Maria Cristina Siotto ricorda che non gli sono state concesse le attenuanti generiche, perchè il «reato commesso è espressione di particolare pericolosità sociale » e la «condotta si è protratta per un lasso di tempo assai lungo».
Nelle 74 pagine della motivazione, la Cassazione ripercorre il «ruolo decisivo » (così viene definito più volte) di Dell’Utri: «ruolo decisivo nel dare vita a un accordo fonte di reciproci vantaggi dei contraenti».
Secondo i giudici Dell’Utri avrebbe fatto anche di più, fornendo «un contributo determinante, che senza il suo apporto non si sarebbe verificato, alla conservazione del sodalizio mafioso e alla realizzazione, almeno parziale del suo programma criminoso».
I contatti tra Dell’Utri e i boss sarebbero proseguiti anche nel periodo in cui l’allora manager lavorava per il finanziere Filippo Alberto Rapisarda, alla fine degli anni Settanta.
Pure allora, rilevano i giudici, Dell’Utri aveva una «costante proiezione verso gli interessi dell’amico imprenditore Berlusconi ».
Scrive la Cassazione: «Questa circostanza veniva logicamente desunta dai giudici di Palermo dall’incontro, avvenuto nei primi mesi del 1980, a Parigi, tra l’imputato, i capimafia Bontate e Teresi, incontro nel corso del quale Dell’Utri chiedeva ai due mafiosi 20 miliardi di lire per l’acquisto di film per Canale 5».
Fu Rapisarda a svelare questo episodio.
E adesso, per la Cassazione diventa un elemento importante. Ma la difesa di Dell’Utri insorge. Dice l’avvocato Giuseppe Di Peri: «Rapisarda fu ritenuto dal tribunale inattendibile, quell’incontro a Parigi non è mai stato riscontrato. Così come non è mai emersa la prova che soldi di Cosa nostra siano finiti nelle società di Berlusconi. Piuttosto, da una vecchia telefonata con Della Valle, rimasta intercettata, emerge la volontà di Berlusconi di non cedere ad alcuna estorsione ».
La difesa di dell’Utri valuta adesso un ricorso alla Corte europea per i diritti dell’uomo.
E, intanto, è un continuo via vai di esponenti del centrodestra dal carcere di Parma.
Daniela Santanchè lancia un appello: «Ogni giorno da Dell’Utri dovrebbe esserci un deputato, un senatore».
A Parma è arrivata anche Iva Zanicchi, al suo ultimo giorno da europarlamentare.
Salvo Palazzolo
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Luglio 2nd, 2014 Riccardo Fucile
DOPO UN INTERROGATORIO DI 15 ORE APERTA UN’INDAGINE PER CORRUZIONE
Rilasciato in piena notte, dopo 15 ore di fermo, Nicolas Sarkozy si è visto notificare l’apertura di un’indagine per reati pesantissimi.
Ma senza nessun provvedimento restrittivo della libertà .
Il fermo, scattato ieri mattina alle 8, è durato fin quasi alla mezzanotte, ora in cui Sarkozy è stato portato dagli uffici della polizia di Nanterre a quelli del pool finanziario di Parigi.
Dopo la notifica dell’apertura dell’inchiesta, Sarkozy è rientrato a casa sulla stessa auto che lo aveva accompagnato martedì a Nanterre.
Questa sera Sarkozy darà un’intervista congiunta alla radio Europe 1 e all’emittente privata Tf1, alle 20.
Le ipotesi di reato nei suoi confronti sono pesantissime: corruzione attiva di un giudice, complicità in violazione del segreto istruttorio.
Rischia fino a 10 anni di carcere, i vertici dell’UMP, il suo partito, hanno smesso di difenderlo. In piena notte, i giudici gli hanno notificato l’apertura dell’inchiesta, stessa sorte toccata pochi minuti prima di lui all’avvocato di fiducia, Thierry Herzog, e al magistrato di Cassazione, Gilbert Azibert.
Quest’ultimo sarebbe stato corrotto da Sarkozy, che gli avrebbe promesso il posto desiderato nel Principato di Monaco in cambio di preziose informazioni sull’andamento dei suoi affari giudiziari in Cassazione. Non indagato e rimesso in libertà il secondo magistrato coinvolto, Patrick Sassoust.
Si tratta di accuse gravissime anche se tutte ancora da dimostrare, come afferma la difesa degli imputati, che punta soprattutto sulla illegalità delle intercettazioni. Particolarmente controverse quelle effettuate sui colloqui fra un indagato (Sarkozy) e il suo avvocato (Herzog), o di quest’ultimo con i suoi colleghi.
Scaricato dal suo partito
L’UMP, il partito di destra del quale Sarkozy avrebbe ripreso il controllo come prima tappa verso la ricandidatura, ha difeso ieri l’ex presidente ma in modo piuttosto tiepido.
Con il passare delle ore, i leader si sono defilati e l’atteggiamento si è fatto piuttosto attendista.
Diversi suoi sostenitori nel partito Ump hanno invece gridato al complotto, parlando di giustizia a orologeria per impedire il ritorno di Sarkozy sulla scena politica.
Hollande: «Innocente fino a prova contraria»
Mercoledì sulla vicenda ha espresso un parere anche Hollande , secondo il quale, per Nicolas Sarkozy deve valere la «presunzione d’innocenza» come per chiunque altro: il presidente francese lo avrebbe ribadito nel corso di una riunione di gabinetto.
Secondo quanto riferito dal portavoce del governo, Stephane Le Foll, il capo dell’Eliseo avrebbe insistito sull’ «indipendenza della giustizia, rispetto al caso giudiziario che vede coinvolto l’ex presidente, incriminato stamane per corruzione, traffico di influenze illecite e violazione del segreto istruttorio».
Fillon: «Fare piena luce»
Interviene anche l’ex primo ministro della presidenza Sarkozy, Fillon: «È urgente che sia fatta piena luce. Indagato, Nicolas Sarkozy è presunto innocente. È urgente che piena luce sia fatta per l’uomo che attraversa una prova dolorosa come per il Paese che si affossa nella crisi di fiducia», afferma Fillon. «Ex-presidente della Repubblica, ha diritto al rispetto», ha continuato Fillon, che intende presentarsi alle primarie dell’Ump, il grande partito francese di centrodestra, nel 2016, in vista del voto presidenziale del 2017.
Pressione psicologica ingiustificata
Intanto l’avvocato di Thierry Herzog, ex legale di Nicolas Sarkozy, anche lui accusato di corruzione, ha contestato il ricorso allo stato di fermo deciso nei confronti del proprio assistito e dell’ex presidente della Repubblica, e denuncia una «pressione psicologica» ingiustificata.
«Avete a che fare con un avvocato, un alto magistrato ed un ex presidente della Repubblica. Non e’ gente che si metterà in fuga», ha affermato Paul-Albert Iweins su Europe 1.
«Non c’è nessun motivo di ascoltarli sotto questa pressione psicologica». Herzog potrà riprendere la propria attività professionale, compresa la difesa di Sarkozy, assicura Iweins. Tranne che per quel che riguarda il dossier delle intercettazioni che lo riguarda e dal quale si deve ritirare per motivi deontologici.
(da “il Corriere della Sera”)
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Luglio 2nd, 2014 Riccardo Fucile
DOPO IL DISCORSO INAUGURALE E’ PRASSI LA CONFERENZA STAMPA, MA L’ESIBIZIONISTA PREFERISCE APRIRE L’IMPERMEABILE DA VESPA CHE RIAPRE I GIARDINETTI PER L’OCCASIONE
Il presidente del Parlamento europeo, Martin Schulz, ha confermato che non ci sarà la conferenza stampa congiunta con il presidente del Consiglio Matteo Renzi ed il presidente della Commissione europea, Josè Manuel Barroso, al termine della presentazione del programma del semestre di presidenza italiana della Ue.
Una decisione “inusuale”, dunque, secondo fonti dello staff di Schulz, che tuttavia ha pubblicamente minimizzato l’importanza della questione.
“E’ solamente, esclusivamente ed eccezionalmente a causa di restrizioni di orario e impegni del primo ministro italiano, che ripartirà subito dopo il suo intervento in plenaria”, ha detto il presidente dell’europarlamento, rispondendo in conferenza stampa alla domanda di un cronista.
“Non è la prima vola che succede, era già successo”, ma molti anni fa, all’inizio di questi appuntamenti tradizionali all’europarlamento per la presentazione della presidenza semestrale europea, ha ricordato ancora Schulz.
Alla domanda se non consideri irrispettoso il fatto che Renzi abbia tanta fretta perchè deve partecipare a una trasmissione tv in italia (alle 20,30 Renzi sarà ospite in diretta su Raiuno dello speciale di “Porta a porta” di Bruno Vespa che appositamente riapre per una serata) , il presidente dell’europarlamento ha replicato: “non sta a me giudicare l’orario e l’agenda di un primo ministro. Ma sapete che è un uomo che lavora molto con la stampa, non si nasconde di certo. Ha sicuramente degli impegni con un programma molto denso e tempi limitati”, ha conclsudo Schulz.
(da “Huffingtonpost“)
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Luglio 2nd, 2014 Riccardo Fucile
INVECE CHE SBLOCCARE GLI SCATTI DI ANZIANITA’ FERMI DA ANNI E PORTARE LA REMUNERAZIONE NELLA MEDIA EUROPEA, I COMPAGNI DI MERENDE DI RENZI PENSANO A RIDURRE GLI ORGANICI E RADDOPPIARE L’ORARIO DI LAVORO
I soliti giornali del regime renziano, proni alla propaganda del grande pataccaro, oggi titolano “Scuola: un premio ai professori ma dovranno lavorare di più”.
Arrivano (pilotate) le prime anticipazioni sul piano di riforma della scuola preparato dal ministro Giannini e dal sottosegretario Reggi che dovrebbero “rivoluzionare” il mondo dell’istruzione (nel senso di sfasciarlo).
Il messaggio che il governo vorrebbe far passare è che “verrà dato un premio economico fino al trenta per cento ai prof che si impegnano di più, che sono impegnati in ruoli organizzativi (vicepresidi, presidi e docenti senior) o in attività specializzate come lingue o informatica”
E’ previsto un nuovo contratto di lavoro: “più ore per tutti i docenti, 36 a settimana, e aumenti di stipendio a chi si prende responsabilità , offre competenze specifiche”.
Il contratto riguarda un milione di insegnanti.
Il sindacato Anief ha chiesto preventivamente di fermare tutto, “prima si portino gli stipendi ai livelli dei paesi industrializzati, poi discutiamo”.
Reggi ha ribaltato la questione e avanzato una proposta: scatti d’anzianità invariati e premi stipendiali fino al 30 per cento per i docenti impegnati in ruoli organizzativi (vicepresidi, docenti senior) o attività specializzate (lingue e informatica).
In cambio il ministero chiede agli insegnanti una maggiore disponibilità : più ore a scuole per un periodo più lungo.
Ma Reggi mente sapendo di mentire.
In primo luogo gli scatti sono bloccati da anni e dovrebbe persino vergognarsi a citarli, altro che dichiarare che “rimarranno inalterati”.
Secondo aspetto: se raddoppi l’orario devi avere il coraggio di dire che lo scopo è dimezzare gli insegnanti e stipare più alunni nella singola classe, non c’e’ alternativa.
Reggi mente quando parla di aumenti di stipendio: riguarderà solo 1 insegnante su 100 nella migliore delle ipotesi (vicepresidi e affini), gli altri secondo lui dovrebbero lavorare il doppio e guadagnare come ora.
Un’altra novità riguarda anche le supplenze brevi. Attualmente ci si affida alle chiamate brevi, “costose” per i bilanci del Miur: l’idea è quella di far coprire le supplenze ai prof già in cattedra nell’istituto senza riconoscimenti economici extra.
Che originale pensata, ci voleva un ministro per proporre di lavorare gratis.
Avranno più potere i dirigenti scolastici che potranno decidere a chi assegnare il bonus stipendiale (i loro raccomandati).
Il tutto per “garantire investimenti nei premi ai più disponibili e nell’offerta formativa scesa a 600 milioni e da raddoppiare”.
Se volete fare investimenti nella scuola pubblica, cari renziani, cominiciate con utilizzare i milioni di euro che regalate alle scuole private, iniziate da lì invece di insultare gli insegnanti definendo la scuola italiana “un ammortizzatore sociale”.
Non esiste Paese europeo dove un ministero definisca così i propri dipendenti, come in effetti in Europa non esiste una classe dirigente di livello infimo come in Italia.
Ribadiamo il concetto: a guidare la Pubblica istruzione ci devono essere intelligenze sensibili al recupero della “funzione pubblica” della scuola, non quinte colonne di interessi privatistici.
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