Luglio 19th, 2014 Riccardo Fucile
IL MAGISTRATO IN VIA D’AMELIO: “NON SI PUO’ RICORDARE PAOLO E ASSISTERE AI TENTATIVI DI RIDURRE L’INDIPENDENZA DELLE TOGHE A VUOTA ENUNCIAZIONE FORMALE CON IL FINE DI ANNULLARNE L’AUTONOMIA”
È in via D’Amelio, durante la commemorazione di Paolo Borsellino, che arrivano le parole che più faranno discutere nel giorno del ricordo del magistrato barbaramente ucciso.
Parole che arrivano dal pm antimafia Antonino Di Matteo: “Non si può assistere in silenzio al preminente tentativo di trasformare il magistrato inquirente in un semplice burocrate – dice Di Matteo dal palco – inesorabilmente sottoposto alla volonta all’arbitrio del proprio capo, di quei dirigenti degli uffici sempre più spesso, purtroppo, nominati da un Csm che rischia di essere schiacciato e condizionato nelle sue scelte di autogoverno dalle pretese correntizie e politiche e dalle indicazioni sempre più strigenti del suo presidente”.
“Non si può ricordare Paolo Borsellino e assistere ai tanti tentativi in atto, dalla riforma dell’ordinamento giudiziario, a quella in cantiere sulla responsabilità civile dei giudici, alla gerarchizzazione delle Procure anche attraverso sempre più numerose e discutibili prese di posizione del Csm – dice ancora – non si può ricordare Paolo Borsellino e assistere in silenzio a questi tentativi finalizzati a ridurre l’indipendenza dei magistrati a vuota enunciazione formale con lo scopo di annullare l’autonomia del singolo pm”.
Il pm è poi intervenuto sui tentativi di minimizzare il processo Stato-mafia: “Sono tanti e concreti gli elementi che ci portano a dire che non fu solo una strage di mafia quella di via d’Amelio e che il movente non era solo una vendetta mafiosa, dobbiamo imparare il rispetto della verità . La volontà di fare piena luce è intendimento di pochi servitori dello Stato rimasti. Dal progredire delle indagini sappiamo che in molti sanno dentro le istituzioni ma rimangono in silenzio, perchè il potere aumenta se si tace. Dobbiamo gridare la nostra rabbia”.
Poi ha attaccato Matteo Renzi: “Oggi il premier discute di riforme con un condannato: tutti abbiamo il dovere di evitare che anche da morto Paolo Borsellino debba subire l’onta di vedere calpestato il suo sogno di giustizia”.
Parole dure, che arrivano al termine di una giornata caratterizzata dai tanti attestati di stima ad uno dei simboli alla lotta a Cosa Nostra. “È indispensabile non dimenticare che un’azione di contrasto sempre più intensa alla criminalità organizzata trae linfa vitale dallo sforzo di tutti nell’opporsi al compromesso, all’acquiescenza e all’indifferenza”, aveva detto lo stesso Napolitano.
“Ancora oggi abbiamo fame e sete di giustizia”, ha ricordato Pietro Grasso.
Attimi di gelo a via D’Amelio si sono registrati all’arrivo di Rosy Bindi, presidente della Commissione Antimafia, accolta dalla protesta di alcuni attivisti, fino a quando Salvatore e Rita Borsellino non sono intervenuti per scortarla fino al palco, all’altezza dell’ulivo simbolo della strage.
I militanti delle Agende Rosse in silenzio hanno alzato le agende dando le spalle alla Presidente, in chiaro segno di non approvazione della sua presenza.
Hanno chiesto che venga fatta giustizia sulle stragi.
Si leva un urlo “Di Matteo non sei isolato: sei tu il nostro Stato”.
(da “L’Huffington Post“)
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Luglio 19th, 2014 Riccardo Fucile
IL NUOVO COMMISSARIO PER L’ECONOMIA BOCCIA IL PALLISTA: “MISURE DI CRESCITA CHE COMPORTANO UN AUMENTO DEL DEBITO POSSONO VARARLE I PAESI CHE POSSONO PERMETTERSELO”
Sono passati solo due giorni dalla sua conferma ufficiale, anche se pro tempore, nel ruolo di commissario europeo per gli Affari economici e monetari al posto del connazionale Olli Rehn. Ma il finlandese Jyrki Katainen ha preferito non perdere tempo e chiarire subito come la pensa sull’interpretazione flessibile del Patto di stabilità invocata da Matteo Renzi anche all’avvio del semestre di presidenza italiana della Ue. In una parola: “Pericoloso”.
Anche solo “discutere di una maggiore flessibilità nell’interpretazione del patto” è un rischio. Qualche dettaglio in più? “E’ un dibattito sbagliato”.
E occorre “evitare qualsiasi ipotesi sulla possibilità di trovare un modo creativo per eludere” il Patto.
Per il bene dell’Eurozona in generale, ma anche per Roma, che dovrebbe piuttosto “varare finalmente le importanti riforme” promesse dagli ultimi governi.
Insomma, nell’intervista che apparirà domenica sul giornale tedesco Die Welt il giovane ex premier di Helsinki (classe 1971, quattro anni più di Renzi) non usa mezzi termini.
Anzi, entra a gamba tesa negli affari romani e mette pure il dito nella piaga delle centinaia di decreti attuativi che mancano all’appello e rallentano l’entrata in vigore delle leggi.
“I due precedenti governi (Monti e Letta, ndr) hanno varato importanti riforme e l’attuale esecutivo ha obiettivi ambiziosi”, ricorda.
Dunque meglio concentrarsi sulla realizzazione effettiva, invece che pensare a chiedere deroghe o anche solo un’interpretazione morbida dei paletti esistenti.
“Sarebbe d’aiuto se si realizzasse ciò su cui si è già trovato un accordo”. Poi l’ulteriore richiamo: “Le medicine fanno bene solo se vengono assunte”.
Da Katainen arriva poi un veto assoluto a misure di stimolo dell’economia che passino attraverso una crescita del debito: “Le possono varare solo quei paesi che possono permetterselo. E nell’Eurozona ci sono paesi vulnerabili che non possono farlo”.
“La loro crescita debole non è solo un problema ciclico, ma è il risultato di una scarsa competitività . E contro questo dato non sono di nessun aiuto misure” del genere.
Insomma: pessime notizie per il governo Renzi, già alle prese con il pessimo andamento dell’economia e lo spettro di una manovra correttiva autunnale.
Soprattutto perchè il finlandese non è una figura di passaggio: è anzi tra i papabili per la sostituzione di Rehn anche nella prossima Commissione Juncker, che si insedierà a novembre. Mentre sono in calo le quotazioni dell’ex ministro delle finanze francese Pierre Moscovici, il socialista su cui l’ex sindaco di Firenze contava come sponda per ottenere qualche apertura sul versante delle misure pro-crescita.
La sparata del finlandese arriva il giorno dopo una nuova uscita a muso duro del presidente della Banca centrale tedesca, Jens Weidmann. Il “falco” di Berlino, che già a fine giugno, smentendo la stessa cancelliera Angela Merkel, si era fatto sentire chiedendo un rafforzamento delle regole di bilancio, è tornato sull’argomento.
Avvertendo che “qualsiasi tentativo di barattare le riforme con i disavanzi strutturali elevati aprirebbe la strada a un’arbitrarietà di bilancio, minando la credibilità delle regole”.
Non solo: il numero uno della Bundesbank ha anche evocato la necessità di “irrigidire” le regole “per far rispettare il principio della responsabilità individuale” dei Paesi dell’eurozona. Esattamente il contrario rispetto alla flessibilità di cui il governo di Roma ha bisogno.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Luglio 19th, 2014 Riccardo Fucile
RIFORMA DEL SENATO: GLI ITALIANI NON SANNO COSA LI ASPETTA, MEGLIO DIRGLIELO
La riforma della Costituzione proposta da Renzi produce effetti collaterali.
Per esempio rafforza i poteri del premier e indebolisce quelli del presidente della Repubblica. Non sarebbe il caso di dire ai cittadini come stanno le cose?
Si fa, ma non si dice. Un inno all’ipocrisia?
No: è l’inno (silenzioso) della riforma costituzionale benedetta dal governo Renzi.
Perchè non è vero che la riforma supera il bicameralismo paritario, disegna un nuovo Senato, corregge il Titolo V sulle competenze regionali, si sbarazza del Cnel e di vari altri ammennicoli.
O meglio: è vero, ma non è tutta la verità .
Nel suo complesso, nonchè attraverso il combinato disposto fra i ritocchi alla Costituzione e i rintocchi dell’Italicum, questo progetto determina altresì un effetto occulto sulla forma di governo, ne cambia i connotati per vie oblique e indirette, ma non perciò meno incisive.
Dopo di che l’effetto può piacere o non piacere, a seconda dei palati.
Basta saperlo, basta conoscere il menu che ci stanno propinando; ma gli italiani, per lo più, non lo conoscono.
Sta di fatto che in ogni Costituzione tout se tient. Se sposti una pedina, quel movimento si comunica, per vibrazioni successive, alle altre pedine, in un gioco di scambi e di reciproche influenze.
Così, la tutela dei diritti dipende dalla separazione dei poteri, come scoprirono i rivoluzionari francesi del 1789; la legalità può entrare in crisi per l’onnipotenza delle Regioni, come abbiamo scoperto qui in Italia dal 2001 in avanti, dopo la revisione del Titolo V; il capo dello Stato dimagrisce quando mette pancia il presidente del Consiglio, ed è precisamente questo che sta per accadere.
Ma come, non ci hanno raccontato che ogni intervento sulla forma di governo è prematuro, che se ne discuterà semmai dopo la riforma del bicameralismo?
E non è forse vero che il testo all’esame di palazzo Madama non detta una parola sui poteri del Premier, nemmeno per concedergli la modesta facoltà di sostituire i suoi ministri?
Vero, ma al contempo falso.
In quel testo gli unici due riferimenti alle attribuzioni del governo riguardano i decreti legge e i disegni di legge prioritari.
Rispetto ai primi la riforma pianta dei paletti per arginarne l’abuso, ma in realtà quei limiti li aveva già codificati la Consulta.
Viceversa i secondi esprimono una novità assoluta, e non di poco conto: 60 giorni per le iniziative legislative sposate dal Consiglio dei ministri, prendere o lasciare.
Dunque governo più forte, Parlamento più debole.
Ma il rafforzamento dell’esecutivo deriva soprattutto dall’eliminazione della doppia fiducia: senza la fossa dei leoni del Senato — che ha già divorato Prodi e Berlusconi, e che adesso ruggisce contro Renzi — ogni governo diventerà più stabile, e quindi più autorevole. Tanto più se potrà contare sul premio di maggioranza donato dall’Italicum, e su una maggioranza di fedeli maggiordomi, scelti attraverso le liste bloccate.
Chi ci rimette? Il capo dello Stato.
Chiunque sia in futuro, si scordi i governi del presidente, quali abbiamo via via sperimentato da Dini a Monti a Letta.
Addio al ruolo di regnante: con questa nuova legge elettorale, Sua Maestà Repubblicana sarà soltanto il presidente del Consiglio.
D’altronde quest’ultimo rappresenterà tutti gli italiani; il primo, unicamente il suo partito. Cui basterà ottenere il 37 per cento alle elezioni, nonchè un terzo dei senatori-consiglieri regionali, per accaparrarsi pure il Quirinale.
Un altro effetto occulto della riforma, che il subemendamento Gotor non neutralizza: si limita ad allungare il brodo, spostando il quorum sufficiente dalla quarta alla nona votazione.
Sicchè in ultimo ci rimettono le stesse garanzie costituzionali, oltre ai garanti. Dopotutto, anche il bicameralismo offriva una garanzia, nel bene e nel male; senza il Senato, le leggi ad personam brevettate dai governi Berlusconi sarebbero state il doppio.
Morale della favola: metteteci una pezza.
Per esempio innalzando l’asticella del premio di maggioranza, rafforzando la Consulta, introducendo nuove garanzie.
Però, allo stesso tempo, togliete la pezza che ci impedisce di vedere il gioco.
Che è un gioco d’illusioni e di doppioni, oggi come ieri. In passato era la Costituzione materiale contro quella scritta; ora è la Costituzione scritta contro la Costituzione riscritta.
Michele Ainis
costituzionalista
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Luglio 19th, 2014 Riccardo Fucile
AUMENTA IL DIVARIO TRA RENZI E BELLE GRILLO, CROLLA FORZA ITALIA, FERMI LEGA AL 6,5% E NCD AL 4%, FDI IN CALO AL 3,2%… MA 18 MILIONI DI ITALIANI NON VOTANO PIU’ E IL 45% DI CHI VOTA HA CAMBIATO PARTITO NELL’ARCO DI UN SOLO ANNO
Gli avversari frenano, Renzi non rallenta. E il PD stacca il Moviemento 5 stelle.
Il Barometro Politico di luglio dell’Istituto Demopolis registra un’ulteriore crescita del consenso del Partito Democratico, che otterrebbe oggi il 44 per cento: è un dato clamoroso se si pensa che che nell’autunno scorso si attestava intorno al 28 per cento.
“L’effetto Renzi — spiega il direttore di Demopolis Pietro Vento — risulta determinante, ma va considerata anche l’attuale, estrema debolezza dei suoi principali competitor. Il declino di Berlusconi incide significativamente sull’identità del Centro Destra e sul consenso a Forza Italia, che crolla dal 23,5 per cento di gennaio al 14per cento odierno, perdendo quasi 10 punti in sei mesi.
Nello stesso periodo è parzialmente diminuito il peso del M5S di Grillo, attestato al 19 per cento dopo la delusione del 25 maggio”.
Se si tornasse oggi alle urne per le Politiche, il Partito Democratico sarebbe, con il 44 per cento, il partito nettamente maggioritario nel Paese, con il Movimento 5 Stelle al 19 per cento e Forza Italia al 14 per cento, entrambi fortemente penalizzati da una crescente propensione all’astensione dei propri elettorati.
La Lega di Salvini è stabile al 6,5per cento, l’NCD-UdC di Alfano al 4per cento, FdI-AN in calo al 3,2 per cento.
Sotto il 2 per cento tutte le altre liste.
Senza dimenticare che quasi 18 milioni di elettori oggi resterebbero a casa.
Il dato più significativo, rilevato dall’Istituto Demopolis, è rappresentato dalla distanza odierna tra i primi due partiti, da sempre molto vicini negli ultimi vent’anni: un punto staccava FI e Pds nel ’94 e, a parti invertite, nel ’96.
Il Pdl superava nel 2008 di 4 punti il PD, che sarebbe poi arrivato alla pari nel 2013 con il Movimento di Grillo.
“Oggi — sostiene il direttore di Demopolis Pietro Vento — il PD supererebbe il M5S, secondo partito, di 25 punti percentuali (44-19).
Questa distanza tra le prime due forze politiche non ha precedenti nella storia del dopoguerra: il precedente più vicino — prosegue Vento — risale al 1958, quando la DC di Fanfani staccò di 20 punti il PCI di Togliatti”.
Ma a differenza di allora con la profonda personalizzazione dei partiti, è scomparsa anche la fedeltà del consenso.
Se alle Politiche del 2008, così come nel 2001 e nel 2006, appena 1 elettore su 10 aveva votato una lista differente rispetto alla precedente consultazione, da circa due anni il voto appare sempre più mobile: alle Politiche del 2013 il 39 per cento degli italiani ha optato per un partito diverso da quello votato alle precedenti elezioni.
Alle ultime Europee il 45 per cento degli italiani ha fatto una scelta diversa rispetto a quella compiuta poco più di un anno prima.
Al di là della riforma del Senato e della legge elettorale, che interessano solo in parte l’opinione pubblica, la vera scommessa di Renzi e la stabilizzazione del consenso al PD, oggi senza precedenti, si giocheranno soprattutto — conclude Pietro Vento — sulla capacità del Governo di rimettere in moto il tessuto produttivo e di rilanciare l’occupazione in Italia.
(da “L’Espresso”)
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Luglio 19th, 2014 Riccardo Fucile
NON E’ TEMPO DI FIORETTI MA DI SCIMITARRE
Gianfranco Fini, neo-allenatore della futura squadra della “destra che non c’è”, ha così commentato l’assoluzione di Silvio Berlusconi : “Al di là del giudizio politico su Berlusconi, tutti gli italiani, e quindi anche i suoi avversari, devono essere lieti della sua assoluzione, perchè la magistratura, annullando una sentenza di primo grado che ha pesantemente discreditato le nostre istituzioni in ogni angolo del mondo, ha confermato di essere pienamente autonoma ed imparziale”.
La nota ha suscitato diverse polemiche: tralasciamo quelle provenienti dai frequentatori di viali alberati e dagli specializzati in fanghi termali, limitiamoci al vasto mondo dei “ben” pensanti di area.
Concordiamo sul fatto che la sentenza smentisce la vulgata berlusconiana dei “giudici comunisti” che perseguitano un povero innocente: in realtà i tre gradi di giudizio consentono a ciascun imputato di difendersi “nel processo” ed essere giudicato in base alle norme vigenti.
E sulla base di queste Silvio è stato assolto.
Anche noi avremmo preso atto “con letizia” dell’assoluzione di un avversario politico se fosse stato ritenuto “realmente” innocente dai reati ascrittogli.
Altra cosa aver cambiato le leggi nel periodo intercorrente tra la contestazione del reato, il processo di primo grado e la sentenza di appello.
Come abbiamo ampiamente documentato infatti sia il reato di prostituzione minorile è stato “ammorbidito” da un piccolo cavillo al momento di recepire la convenzione di Lanzarote ( la famosa “questio” di aver chiesto l’età alla minore), sia, attraverso la legge Severino, il reato di concussione per costrizione è stato derubricato a concussione per induzione, richiedendo la “prova evidente” di un vantaggio per il concusso.
E’ come allenare la propria squadra in vista di un incontro, studiando la formazione di avversari alla nostra portata, e poi ritrovarsi improvvisamente in campo nella squadra ospite Messi e Cristiano Ronaldo, tanto per restare in tema calcistico.
O magari dover giocare una partita con un arbitro che ha misteriosamente ereditato due milioni di euro da investire a Dubai.
Ecco perchè non abbiamo motivo di essere lieti: perchè la legge deve essere uguale per tutti fin dal momento della sua concezione da parte del legislatore, senza poi dover accusare l’anello terminale che si limita solo ad applicarla.
Poi ogni allenatore fa le sue scelte: chi accetta di giocare ad handicap una partita truccata e chi invece denuncia il tarocco e dice ai suoi giocatori di “lisciare” qualche caviglia, tanto per far capire che “non è aria”.
Ultima osservazione: non è stata certo “la sentenza di condanna in primo grado a gettare discredito sulle nostre istituzioni in ogni angolo del mondo”.
Non ce n’era bisogno: Sivio Berlusconi il discredito a livello internazionale se lo era già guadagnato da solo con il suo personale “codice etico”.
In ogni caso consigliamo di attendere il terzo grado di giudizio sul caso Ruby, l’esito del Ruby ter e degli altri processi in corso a Napoli, non dimenticando le motivazioni che hanno portato alla condanna in terzo grado di Marcello Dell’Utri e il ruolo riconosciuto a Berlusconi.
Perchè oggi “chi vuol essere lieto sia”, ma “di doman non v’e’ certezza”.
E l’unica Letizia che Berlusconi può ricordarci è solo Noemi.
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Luglio 19th, 2014 Riccardo Fucile
IL PREMIER IRONIZZA SU NO DEI GRILLINI: “SONO COME LE TARGHE ALTERNE”
«Per me non cambia niente. Facciamo le riforme perchè servono all’Italia e perchè ci crediamo, a prescindere dalle sentenze», dice Matteo Renzi ai suoi collaboratori. Stando molto attento a rimanere lontano dai commenti ufficiali, il premier ora è molto più ottimista sulla riforma del Senato.
Non è un caso che abbia deciso, ieri, di spostare la direzione del Pd dal 24 al 31, senza prevedere un ulteriore slittamento ad agosto.
Per la fine del mese è sicuro di potersi presentare davanti al suo partito avendo in tasca l’approvazione in prima lettura della modifica costituzionale.
«Sarà l’occasione per dimostrare a tutti che anche in Italia si possono cambiare le cose. E la fine del bicameralismo perfetto è una riforma enorme».
Questa fiducia dipende anche dall’assoluzione di Berlusconi.
A Palazzo Chigi non ne nascondono l’impatto positivo soprattutto pensando all’ipotesi contraria. «Se l’appello avesse confermato la condanna a 7 anni Berlusconi sarebbe politicamente morto. Forza Italia sarebbe diventata una polveriera e i frondisti avrebbero avuto campo aperto», ripetono i renziani più stretti. Così no.
Così «Berlusconi è molto più tranquillo, non teme ricatti ».
E, come dice spesso Renzi, nei suoi discorsi privati «farà il percorso delle riforme fino in fondo provando ad uscirne con l’immagine dell’uomo di Stato ».
Un’immagine che, da ieri, non ha la macchia di una condanna per prostituzione minorile e concussione.
«Siamo in dirittura di arrivo – spiega Renzi facendo finta che non sia successo niente a Milano – . Lavoriamo sodo per portare a casa il risultato. Dimostriamo che si può cambiare se si vuole davvero».
Ieri notte Renzi è partito per una visita di Stato in Africa: Mozambico, Congo e Angola. Tornerà in Italia lunedì sera.
Ora ha molte più certezze sulla riforma del Senato. Non vede nubi nemmeno sull’Italicum. Anche se il piano B del dialogo con i 5stelle ha registrato un blocco totale.
Beppe Grillo ha fatto saltare il tavolo dopo la sentenza Ruby. «Colloqui finiti, non ci saranno altri vertici», ha ordinato ai suoi.
Commento del premier: «Se mi voleva fare un regalo, non potevo sperare in uno più grande».
E il secondo forno? «Grillo dimostra che voleva entrare in partita solo per mettere i bastoni fra le ruote alle riforme, voleva solo crearci problemi», spiega al suo staff l’ex sindaco di Firenze.
Una mossa «pazzesca e sbagliata», secondo lui. «Come volevasi dimostrare non hanno fatto in tempo a sedersi al tavolo che subito arriva la voce del Padrone, la sconfessione a mezzo blog».
Ma non è un motivo sufficiente per far saltare il ponte. Palazzo Chigi cercherà di mantenere i contatti.
Al premier interessa molto il ballottaggio di lista (invece di quello di coalizione) e una via d’uscita sulle preferenze, che rappresentano l’ultimo ostacolo dentro il Pd. «Voglio continuare ad avere fiducia nei ragazzi grillini – insiste Renzi mettendo il dito nella piaga – . C’è evidentemente una tensione dentro il movimento».
Allora Renzi proverà «a tenerli in gioco fino all’ultimo ». Senza rinunciare a fare breccia nelle contraddizioni grilline. Per allargare il solco tra falchi e colombe. Il bersaglio è sempre Grillo: «Ieri era dispari ed erano favorevoli, oggi è pari e cambiano idea. Sono come le targhe alterne, bisogna prendere il giorno giusto ».
Il punto, al di là delle battute velenose, è che Renzi non molla il fronte 5stelle. E l’approvazione della riforma del Senato gli darà una mano, questa è la sua convinzione.
La nuova data della direzione significa che il Pd e il suo segretario considerano superato lo scoglio dell’ingorgo parlamentare, ultima scialuppa dei dissidenti per far slittare il voto a settembre e segnare un punto contro Renzi.
«Faremo tutto entro luglio», giura il premier. Il commento ufficiale del Pd sulla sentenza Ruby è affidato al vicesegretario Debora Serracchiani. «Il nostro rispetto per le sentenze della magistratura non è uno slogan: vanno rispettate sempre, anche oggi», dice la governatrice. «Rimango convinta – aggiunge – che le vittorie elettorali non si costruiscono nelle aule di giustizia ma con la forza delle idee e il lavoro quotidiano per affermarle. Il nuovo corso del Pd sta concretizzando questa idea». È la rivendicazione del 40,8 per cento delle Europee.
Su Grillo Serracchiani è secca: «La sua intolleranza non è neanche più una scelta politica, è una patologia del conducator».
Anche lei gioca sulle divisioni interne al Movimento: «Grillo dovrebbe sapere che la credibilità personale in politica conta e che lui se la sta giocando un pezzo alla volta, anche nei confronti dei parlamentari».
Goffredo De Marchis
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Luglio 19th, 2014 Riccardo Fucile
E LA CORTE DEI MIRACOLATI SI RICOMPATTA
“Chi mi ripaga ora di tanto fango addosso?» Lo sfogo amaro verrà dopo, però.
Perchè nei primi istanti quasi non ci crede, il fulmine dell’assoluzione lo coglie di sorpresa. L’agente di scorta, uno della vecchia guardia, entra in via eccezionale nell’istituto di Cesano Boscone, gli si avvicina all’orecchio e sussura: «Dottore, è stato assolto del tutto».
Silvio Berlusconi è alle prese con gli anziani, come ogni venerdì mattina, è quasi scosso, racconteranno: «Ma dici sul serio?»
Poi si riprende, abbozza: «Ora devo pensare alle mie vecchiette», ma riesce a restare lì ancora per poco e fugge via sorridente ma muto davanti alle telecamere, destinazione Villa San Martino.
Ad Arcore sono lacrime quando lo abbraccia Francesca Pascale, già piangente di suo. Ci sono i figli Marina e Piersilvio, c’è la portavoce Deborah Bergamini e Mariarosaria Rossi, l’avvocato Niccolò Ghedini, poco dopo li raggiungeranno i veri “trionfatori” della giornata, i professori Franco Coppi e Filippo Dinacci.
Giovanni Toti arriverà più tardi.
Superata l’emozione qualcuno porta lo Champagne, si brinda e sarà l’unico momento concesso ai festeggiamenti, lascia trapelare chi è rimasto lì. Perchè subito dopo subentra l’amarezza, quasi la stizza: «Troppo tardi e troppo poco, chi mi ripaga dei tanti anni di umiliazione subita, hanno distrutto la mia credibilità internazionale, sono riusciti a far cadere il mio governo su quelle accuse infamanti e infondate».
Arrivano le telefonate di Gianni Letta, Fedele Confalonieri, tra i primi. Decine di parlamentari saranno messi in coda per ore dal centralino. Pochi riescono a congratularsi, tra loro l’amico Pier Ferdinando Casini, che già nel pomeriggio inoltrato lo troverà risollevato.
Berlusconi si riprende presto e ha subito chiara tutta la portata del provvedimento. Torna a parlare di «pacificazione nazionale: adesso sì che può partire, resteremo al fianco di Matteo sulle riforme».
Solo fino a un paio di giorni prima confessava ai fedelissimi che se fosse stato condannato di nuovo, stavolta avrebbe «mollato tutto».
Alle 13 di ieri la sentenza scrive una pagina nuova. «È la conferma che con questa linea io mi salvo», confida alla cerchia riunita in Villa. E guai a chi la mette in discussione.
Tanto più ora che i grillini hanno fatto un passo indietro, lui resta il solo interlocutore al tavolo delle riforme, può continuare a vestire i panni del «padre della Patria».
La linea è quella doppia dettata dallo strano tandem Coppi-Verdini.
Il low profile da deputato modello nelle aule dei tribunali e il pieno sostegno alle riforme nelle aule parlamentari.
Il leader è sicuro che da lunedì nessuno nel partito oserà alzare il dito. «Riforma del Senato e Italicum andranno approvate così come sono» e in tempi rapidi, è il diktat confermato da Arcore.
Non a caso, già due ore dopo la sentenza la Bergamini fa partire la nota firmata da Berlusconi con cui si ribadisce che «il percorso politico di Forza Italia non cambia, possiamo andare avanti».
Un messaggio al premier, certo, ma soprattutto a coloro tra i suoi che proprio in attesa di questa sentenza si erano imposti una tregua: una conferma della condanna avrebbe stravolto lo scenario.
È accaduto invece l’esatto opposto. Succede allora che il capo- gruppo al Senato Romani chiami uno per uno i dissidenti e convinca tutti e 22 a firmare la lettera dei 58 forzisti che si dicono «ricompattati, felici e riconoscenti, a Berlusconi fiducia incondizionata».
Altrettanto faranno tutti i deputati con passaggi del tipo «ora respiriamo con te l’aria profumata della giustizia» («Le poesie per Kim Il Sung erano migliori» twitta Andrea Romano di Scelta civica).
Lo stesso Raffaele Fitto, capofila degli oppositori sulle riforme, pur non chiamandolo come tutti gli altri, è stato il primo a commentare con soddisfazione la sentenza («C’è un giudice anche a Milano »).
Altra storia è capire che accadrà da lunedì a Palazzo Madama.
Augusto Minzolini, firmatario di 34 emendamenti, giura: «Non indietreggio, non c’è mica Stalin». Ma il clima è cambiato.
Brunetta che invoca la grazia resta isolato. Denis Verdini ha già spiegato all’ex Cavaliere che non gli serve nemmeno, gli effetti della Severino sulla incandidabilità restano comunque in piedi per cinque anni.
La commissione d’inchiesta sui fatti del 2011 invece è «indispensabile», sottolinea non a caso il braccio destro Giovanni Toti.
Ma non è il giorno dei rancori, d’ora in poi guai ad alzare i toni contro i giudici, per dirla con l’enfasi della fedelissima Mariastella Gelmini «si è ristabilito un rapporto corretto tra politica e magistratura».
Quando basta una sentenza per cambiare un mondo.
Carmelo Lopapa
(da “La Repubblica“)
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Luglio 19th, 2014 Riccardo Fucile
CAMBIATA LA LEGGE, SALVATO IL CAIMANO: MA IL RUBY TER POTREBBE FAR EMERGERE LA CORRUZIONE DEI TESTIMONI E ALLORA….
Ormai è un giochino un po’ frusto, ma ben si attaglia al nostro caso: Silvio Berlusconi è innocente a sua insaputa.
Da settimane sia lui sia i suoi legali davano per scontata una condanna anche in appello, almeno per le telefonate intimidatorie alla Questura di Milano per far affidare Ruby al duo Minetti-Conceicao, ed escludevano dal novero delle cose possibili la sconcertante assoluzione plenaria che invece è arrivata ieri.
Speravano in uno sconto di pena per la concussione; e confidavano nella vecchia insufficienza di prove per la prostituzione minorile.
Non era scaramanzia, la loro. E neppure sfiducia congenita nelle “toghe rosse”, nel “rito ambrosiano” e nei giudici “appiattiti” sui pm: questa è propaganda da dare in pasto agli elettori-tifosi più decerebrati.
Ma B. e i suoi avvocati sanno benissimo che ogni collegio giudicante fa storia a sè, come dimostrano i tanti verdetti favorevoli al Caimano proprio a Milano (molte prescrizioni, anche grazie a generose attenuanti generiche, e poche assoluzioni).
Perchè allora l’avvocato Coppi confessa, in un lampo di sincerità , che l’assoluzione va al di là delle sue più rosee aspettative?
Perchè sa bene che il primo dei due capi di imputazione, quello sulle ripetute telefonate di B. dal vertice internazionale di Parigi ai vertici della Questura, è un fatto documentato e pacificamente ammesso da tutti: ed è impossibile negare che, quando un capo di governo chiede insistentemente un favore a un pubblico funzionario, lo mette in stato di soggezione o almeno di timore reverenziale.
Che, nel diritto penale, si chiama concussione. Magari non per costrizione (come invece ritenne il Tribunale), ma per induzione (come sostennero la Procura e, nel nostro piccolo, anche noi con l’articolo di Marco Lillo di qualche giorno fa.
Se il processo si fosse concluso entro il 2012, entrambe le fattispecie di concussione sarebbero rientrate nello stesso reato, con pene graduate.
Il 30 dicembre 2012, invece, il governo Monti e la maggioranza di larghe intese Pd-Pdl varò la legge Severino che scorporava l’ipotesi dell’induzione, trasformandola in un reato minore, di cui rispondono anche le ex-vittime trasformate in complici (ma la Procura di Bruti Liberati, testardamente, ha sempre difeso i vertici della Questura, insistendo a considerarli vittime).
In pratica, nel bel mezzo della partita, si modificò la regola del fuorigioco, alterando il risultato finale.
Cambiata la legge, salvato il Caimano.Ora vedremo dalle motivazioni della sentenza in che misura quella scriteriata “riforma” — fatta apposta per salvare Penati e B., nella migliore tradizione dell’“una mano lava l’altra”, anzi le sporca entrambe — ha inciso sul verdetto di ieri. Ma il sospetto è forte, anche perchè — come osserva lo stesso Coppi — “i giudici non potevano derubricare il reato” dalla concussione per costrizione al nuovo reato di induzione: le sezioni unite della Cassazione, infatti, hanno già stabilito che l’induzione deve portare un “indebito vantaggio” a chi la subisce. E i vertici della Questura non ebbero alcun vantaggio indebito, affidando Ruby a Minetti&Conceicao: al massimo evitarono lo svantaggio indebito di essere trasferiti sul Gennargentu. Dunque pare proprio che la sentenza di ieri, più che Tranfa (il presidente della II Corte d’appello), si chiami Severino.
Vedremo se reggerà davanti alla Cassazione. Che potrà confermarla, chiudendo definitivamente il caso; oppure annullarla per motivi di illegittimità , ordinando un nuovo processo di appello e precisando esattamente i confini della costrizione e dell’induzione.
E non osiamo immaginare che accadrà se nel processo Ruby-ter si accerterà che le Olgettine, principali testimoni del bunga-bunga, sono state corrotte dall’imputato del Ruby-uno per mentire ai giudici: ce ne sarebbe abbastanza per una revisione del processo principale, inficiato dalle eventuali false testimonianze di chi avrebbe potuto provare ciò che, a causa delle loro menzogne, non fu ritenuto provato.
Nell’attesa, alcuni punti fermi si possono già fissare:
1) Chi sostiene che questo processo non avrebbe mai dovuto iniziare non sa quel che dice. Il giro di prostituzione, anche minorile, nella villa di Arcore, così come le telefonate di B. alla Questura, sono fatti assolutamente accertati, dunque meritevoli di una verifica dibattimentale (doverosa, non facoltativa) in base a due leggi del governo B. (Prestigiacomo e Carfagna sulla prostituzione minorile) e a una terza votata anche dal Pdl (Severino).
Tantopiù che la Corte d’appello, se giudica insussistente il fatto (cioè il reato) della concussione/ induzione, ritiene che invece il fatto degli atti sessuali a pagamento con Ruby sussista eccome, ma non costituisca reato (forse per mancanza di dolo o “elemento soggettivo”: cioè perchè non è provato che B. sapesse della minore età di Ruby).
2) L’assoluzione in appello non significa che la Procura che ha condotto le indagini e il Tribunale che ha condannato B. abbiano sbagliato per dolo e colpa grave e vadano dunque puniti in base alla tanto strombazzata “responsabilità civile”: sia perchè gli errori giudiziari non sono soltanto le condanne degli innocenti, ma anche le assoluzioni dei colpevoli, sia perchè tutti i magistrati hanno deciso in base al proprio libero convincimento sulla base di un materiale probatorio che, dal punto di vista fattuale, è indiscutibile (i soli dubbi riguardavano se B. avesse consumato atti sessuali con Ruby e se fosse consapevole dell’età della ragazza, che indubitabilmente si prostituiva lautamente pagata).
3) Il discredito nazionale e internazionale per B. non è dipeso dalla condanna di primo grado (giunta soltanto un anno fa, dopo la sconfitta elettorale), ma dai fatti emersi dalle indagini con assoluta certezza: il giro di prostituzione nelle sue ville, l’abuso di potere delle telefonate alla Questura, i milioni di euro alle Olgettine dopo l’esplodere dello scandalo e le tragicomiche giustificazioni (“nipote di Mubarak”, “cene eleganti” e simili) sfoderate dal protagonista su quelle condotte indecenti. Indecenti in sè: lo erano ieri e lo sono anche oggi.
A prescindere dalla loro rilevanza penale, visto che nessuna sentenza di assoluzione potrà mai dire che quei fatti non siano avvenuti.
4) Sarebbe puerile collegare la sentenza di ieri con l’atteggiamento remissivo di B. sulle “riforme” e sul governo Renzi: se il Caimano s’è trasformato in agnellino, anzi in zerbino del Pd, è perchè spera sempre nella grazia da Napolitano o da chi verrà dopo (che lui confida di concorrere a eleggere con la stessa maggioranza delle “riforme”). Non certo perchè i giudici, giusti o sbagliati che siano i loro verdetti, prendano ordini dal governo o dal Pd.
Altrimenti non si spiegherebbero le tre condanne in primo grado che B. si beccò fra il 1997 e il ’98, nel bel mezzo dell’altro inciucio: quello della Bicamerale D’Alema.
5) Nessuna sentenza d’appello può più “riabilitare” B.: nè per i fatti oggetto del processo Ruby, che sono in gran parte assodati; nè per quelli precedenti, che appartengono ormai alla storia, anzi alla cronaca, e nera.
Ieri si è deciso in secondo grado sulle telefonate alla Questura e sulla prostituzione minorile di Ruby, non si è condonata una lunga e inquietante carriera criminale. Quale reputazione può mai invocare un pregiudicato per frode fiscale, ora detenuto in affidamento in prova ai servizi sociali, che per giunta si circondava di un complice della mafia come Dell’Utri, attualmente associato al carcere di Parma, e di un corruttore di giudici per comprare sentenze in suo favore come Previti, cacciato dal Parlamento e interdetto in perpetuo dai pubblici uffici?
Mentre si discute sul reato o meno di riempirsi la casa di mignotte, e si chiede ai giudici di dirci ciò che sappiamo benissimo da noi, si dimentica che in quella stessa casa soggiornò per due anni il mafioso sanguinario Vittorio Mangano.
Nemmeno quello è un reato: ma è un fatto. Molto più grave di tutti i reati mai contestati all’imputato B. Erano i primi anni 70 e Renzi non era ancora nato.
Ma è bene ricordarglielo, specialmente ora che il Caimano rialza il capino.
Quousque tandem, Matteo, gabellerai l’ex Papi Prostituente per un Padre Costituente?
Marco Travaglio
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Luglio 19th, 2014 Riccardo Fucile
SENSO DELLO STATO, QUESTO SCONOSCIUTO
Dunque non era un reato, ma solo una gigantesca figura di m.
Prima che, sull’onda della sentenza di assoluzione, l’isteria superficiale dei media trasformi il fu reprobo Silvio in un martire, ci si consenta (direbbe lui) di ricordare che il bunga bunga potrà anche essere legale, ma rimane politicamente incompatibile con un ruolo istituzionale quale quello che il sant’uomo rivestiva all’epoca dei fatti.
Tocca ricorrere al solito esempio stucchevole, ma non c’è purtroppo altro modo per fare intendere a certe crape giulive il nocciolo della questione.
Se il capo di qualsiasi governo occidentale, poniamo Obama, avesse telefonato dalla Casa Bianca a un funzionario della polizia di New York per informarlo che la giovane prostituta da lui fermata per furto era la nipote del presidente messicano e andava subito consegnata a Paris Hilton invece che ai servizi sociali — e si fosse poi scoperto che Obama medesimo nella sua casa privata di Chicago si intratteneva in dopocena eleganti con la medesima prostituta e una fitta schiera di «obamine» — forse il presidente americano sarebbe stato costretto a dimettersi l’indomani, ma più probabilmente la sera stessa.
E allora quell’erotomane di John Kennedy che si intratteneva con due donne al giorno?
Intanto è morto prima che lo si scoprisse, ma soprattutto agiva con discrezione, appunto, presidenziale.
Non è moralismo. E’ la consapevolezza di rappresentare un Paese senza mettersi nelle condizioni di sputtanarlo a livello planetario.
E’ senso dello Stato.
Qualcosa che Berlusconi e i suoi seguaci non comprenderanno mai.
Massimo Gramellini
(da “La Stampa”)
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