Luglio 21st, 2014 Riccardo Fucile
L’EX CAVALIERE GALVANIZZATO INVITA L’EX DELFINO E TENTA LA LEGA… SALVINI PER LE PRIMARIE PENSA A TOSI E CERCA LA POLTRONA DI SINDACO DI MILANO
Se mai avete pensato che la separazione tra Angelino Alfano e Silvio Berlusconi fosse definitiva, ricredetevi. Ci stanno pensando.
Nel centrodestra è infatti tempo di grandi manovre, perchè se è vero che la magistratura non si fa guidare dal clima politico, è vero anche il contrario e, con l’assoluzione incassata da Silvio Berlusconi nel processo Ruby, in politica cambia tutto.
Cambia il rapporto tra Matteo Renzi e i 5 stelle, con Beppe Grillo che coglie la palla al balzo per sfilarsi (ma non troppo) dal dibattitto sulla legge elettorale: «si rafforza il patto del Nazareno» scrive guardando un Pd effettivamente rincuorato dalla sentenza. E cambia il rapporto tra Forza Italia, Nuovo centro destra e Lega Nord.
La prima apertura arriva proprio dai fedelissimi dell’ex Cavaliere, che sta ancora scontando la condanna in via definitiva per frode fiscale nel processo sui diritti Mediaset, ma che in virtù dell’assoluzione nel processo Ruby, vuole riprendere il comando della barca alla deriva.
Per questo, secondo il direttore del giornale Alessandro Sallusti, le linee telefoniche di Arcore sono tornate calde.
Giovanni Toti fa un appello chiarissimo: «Gli elettori moderati, per tornare a vincere, ci chiedono di trovare una piattaforma comune».
«Stiamo parlando di una federazione di forze che si considerano alternative al centrosinistra» spiega al Messaggero: «una consulta del centrodestra, una sorta di Stati generali dei moderati, da tenersi dopo l’estate».
Così Toti traduce l’idea di Silvio Berlusconi, che non vuole far tornare i suoi tutti sotto lo stesso tetto, ma almeno nella stessa palazzina sì.
Se Angelino Alfano è stato tra i primi a chiamare l’ex capo dopo l’assoluzione, le reazioni tra gli afaniani sono di due tipi.
C’è chi ha sorriso alla prospettiva, come Andrea Augello e Barbara Santamartini, e chi ha cominciato a mettere i suoi paletti, pur stando ben attento a non chiudere la porta. Per Fabrizio Cicchito e Renato Schifani, soprattutto, il problema è Berlusconi. Cicchitto auspica che «Berlusconi si ponga il problema di passare la mano», Schifani dice a Toti (o alla Gelmini che chiede che «Silvio venga risarcito») di non farsi illusioni: «Se qualcuno pensa che questo verdetto ci restituisca Berlusconi nuovamente leader incontrastato del centrodestra si sbaglia. Una sentenza non sposta indietro le lancette della storia, nè quelle del centrodestra».
Maurizio Lupi, ministro delle Infrastrutture, fa da pontiere e chiede però di placare «i personaggi, politici o opinionisti del giornale di famiglia, che sembrano avere come unico obiettivo e pensiero fisso quello di insultare e denigrare il Nuovo centro destra». Non ci si può corteggiare a giorni alterni, dunque: «abbiamo perso 10 milioni di voti e se 10 milioni di elettori ci voltano le spalle significa che non abbiamo saputo cambiare con coraggio l’Italia. Il dialogo parte da qui».
La reunion, comunque, non è così distante.
Certo gli alfaniani vorrebbero far durare Renzi il più possibile, ma con Forza Italia, presto o tardi, si tornerà .
Ben più complicata è la partita con la Lega. Lupi a Salvini lo dice chiaro: «Vada avanti così, predicando la rivolta al governo, all’euro, agli immigrati, e si troverà da solo».
La prospettiva non preoccupa, in realtà , il riconfermato segretario del Carroccio. Continuando la recita della sua parte in commedia Matteo Salvini parla dell’assoluzione di Silvio Berlusconi nel processo Ruby, non senza una vena polemica. “Sostiene le riforme di Matteo Renzi, vota con il Pd a Bruxelles e in 15 giorni hanno assolto prima il figlio, poi lui. Non so se è una coincidenza”, ha detto
Salvini continua, comprensibilmente, sulla strategia con cui ha salvato la Lega.
Poi però, dimostrando che anche in Padania c’è chi pensa che alla fine lì, con Berlusconi, si finirà , per le primarie lancia Flavio Tosi, suo competitor interno: «Tosi ha dimostrato di amministrare bene la sua città , se ci fosse un accordo di programma con le altre forze del centrodestra potrebbe essere il nostro candidato».
Salvini cede volentieri il posto, preferendo per sè una più realistica candidatura a Milano: «confermo», risponde a Repubblica.
Luca Sappino
(da “L’Espresso”)
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Luglio 21st, 2014 Riccardo Fucile
NEL 2010 SOLO OTTO COMUNI AVEVANO I BILANCI IN DISSESTO: A FORZA DI TAGLI STATALI ORA MOLTI SONO ALLA FRUTTA
Renato Natale, sindaco di Casal di Principe da un mese, sa che la sua è una città unica in Europa a causa dei camorristi.
Ma da quando è entrato in ufficio ha subito trovato qualcosa che lo accomuna a centinaia di primi cittadini in ogni parte d’Italia. Ha il bilancio in dissesto.
Gli enti in crisi, circa 180, sono ormai una nuova categoria sociale del Paese: hanno persino le proprie proteste e rivendicazioni, perchè si sentono trattati peggio dei grandi debitori seriali come le amministrazioni di Roma o di Napoli.
In gioco non c’è solo la contabilità , perchè a Casal di Principe il dissesto è un problema pratico.
Debiti per 16 milioni in una città di 20 mila abitanti costringono l’amministrazione a comportarsi come un’impresa in procedura fallimentare.
Deve tagliare le spese all’osso, alzare le entrate e vendere i beni in fretta per liquidare i creditori a una frazione del valore teorico dei debiti. Ma un’impresa fallita di solito smette di esistere, mentre un Comune deve continuare a garantire la sicurezza nelle strade, il servizio idrico o gli aiuti alle famiglie in difficoltà .
Non è facile, quando i bilanci sono già stati portati al ministero dell’Interno come si fa con i libri d’impresa in tribunale.
A Casal di Principe 700 domande di assegni familiari restano in un cassetto perchè in Comune non ci sono più assistenti sociali in grado di leggerle, e il sindaco non può assumerne altri.
A oltre metà della popolazione non arriva l’acqua corrente e nessuna scuola ottiene il certificato di agibilità sanitaria, ma mancano i soldi e gli uomini per fare le bonifiche. Presto il solo geometra comunale andrà in pensione e i vigili urbani sono sei, di cui due spesso in malattia.
Nel frattempo, un commissario del ministero dell’Interno paga i creditori e aiuta a fare chiarezza in un bilancio in cui figuravano come poste all’attivo delle bollette dell’acqua neppure mai emesse.
Casal di Principe è un punto estremo, non un’aberrazione dell’Italia all’ottavo anno dall’inizio della crisi. Nel 2009 i Comuni ufficialmente in dissesto erano due, l’anno dopo erano otto, a metà di quest’anno erano saliti a 63.
Fra questi si contano casi di parziali, pilotati e concordati default verso i creditori per molte centinaia di milioni di euro.
Al suo arrivo come primo cittadino di Alessandria, 93 mila abitanti, Maria Rita Rossa (Pd) ha trovato debiti per 200 milioni di euro su un bilancio di 90: la Corte dei Conti l’ha costretta a dichiarare il dissesto.
Anche a Caserta, 77 mila abitanti, il sindaco di destra Pio Del Gaudio ha trovato 200 milioni di debiti e un deficit annuale di altri 24.
Questi e altri Comuni come Terracina, Latina, Velletri e decine di altri stanno liquidando i fornitori con somme fra il 40% e il 60% di quanto scritto nelle fatture.
C’è poi una seconda categoria di enti costretti a rivedere le loro promesse ai creditori. Sono quelli in “pre-dissesto”, soggetti a quello che la legge chiama un piano di riequilibrio.
Quando è così la ristrutturazione è meno dura, spesso limitata a un lungo rinvio delle scadenze di pagamento e alla cancellazione degli interessi di mora.
In questa categoria rientrano circa 120 città , a volte con miliardi di debiti e milioni di elettori: fra queste Napoli, Catania, Messina, Reggio Calabria, Frosinone.
Non che fare default sui creditori degli enti locali sia sempre un’ingiustizia: i dati del Tesoro mostrano che le forniture di beni e servizi in molti casi si sono fatte a prezzi più che doppi rispetto alla norma.
Ma Maria Rita Rossa di Alessandria, che da sindaco di capoluogo in dissesto guadagna meno di quando insegnava Italiano e Latino alle superiori, pensa che la crisi non sua uguale per tutti.
“È una questione di equità fra cittadini di città diverse – accusa – non possiamo fare due pesi e due misure fra chi abita a Roma o a Napoli e chi sta ad Alessandria”.
I debiti del comune di Roma sono stati spostati in quella che Rossa chiama “una bad company” e Roma Capitale è potuta ripartire senza dissesto.
Nel frattempo Alessandria, Caserta, Casal di Principe e decine di altri enti più piccoli sono stati costretti ad alzare le tariffe e le tasse comunali al massimo, consolidare i debiti delle società partecipate, mettere in cassa integrazione molti dipendenti, bloccare gli investimenti.
Nuovi prestiti della Cassa depositi e prestiti vengono concessi solo a breve termine e per liquidare i creditori privati, mai per chiudere le buche nell’asfalto.
Non è un dettaglio da poco: fare causa ai Comuni per la condizione delle strade in caso d’incidente ormai è così diffuso fra gli italiani che certi enti sono finiti in dissesto per i danni e altri usano le riprese da satellite per difendersi dai tentativi di truffa dei cittadini.
Intanto a Napoli e soprattutto a Roma, grandi fonti di debiti e di voti, non vengono richiesti pari sacrifici.
Il piano per Roma non prevede gli stessi interventi drastici sulle partecipate del Comune, come l’Ama o l’Acea. Di qui la rivolta degli enti in dissesto conclamato.
Del Gaudio a Caserta nota che il ministero dell’Interno gli impone di alzare tutte le tasse, ma è moroso di un anno sul pagamento dell’affitto per i palazzi della Questura e della Prefettura.
Rossa da Alessandria vorrebbe allontanare i dirigenti che hanno creato il buco di bilancio, usando il nuovo decreto sulla mobilità dei funzionari, ma non lo fa perchè non potrebbe sostituirli. “Vorrei che i miei cittadini avessero le stesse opportunità degli altri”, osserva.
A Casal di Principe Renato Natale questa settimana spera di riaprire il campo sportivo. Per le pulizie delle strade, per adesso, conta su qualche volontario che si presenti.
Federico Fubini
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Luglio 21st, 2014 Riccardo Fucile
SFORBICIATA SOLO APPARENTE: SE ALLA RETRIBUZIONE SI AGGIUNGONO LE SPESE DI UFFICIO, TELEFONO E CORSI INFORMATICI, IL CONTO SALE PARECCHIO
Quanto costa ogni anno un singolo deputato? A conti fatti una media di 380 mila euro.
Basta moltiplicare per i 630 scranni e il risultato impietoso è di 240 milioni di euro l’anno.
Certo, non si tratta di un numero subito visibile, ben schermato tra le voci del bilancio interno di Montecitorio, che da oggi verrà discusso dall’Aula, in attesa dell’approvazione prevista per giovedì.
Si tratterà di una quattro giorni in cui, al grido di “ammazza la casta”, ciascun Gruppo, come gli anni passati, vorrà vincere la coppa del più virtuoso e del “grazie a noi si risparmia su”, in un prevedibile ping pong sulle responsabilità delle spese e relativi meriti delle efficienze.
Il messaggio che, comunque, dovrà arrivare forte e chiaro è che la politica stavolta fa sul serio e che la spending review parte dalle tasche dei deputati.
Ma è proprio così?
A una prima occhiata, in effetti, gli eletti di Palazzo avrebbero di che essere soddisfatti: su un bilancio complessivo di 1.037 milioni di euro (oltre un miliardo, più esplicitamente), la spesa destinata ai deputati in carica è di “soli” 145 milioni di euro, vale a dire il 14 per cento del totale. E’ questo il mantra che i tre deputati questori responsabili dei conti della Camera (Stefano Dambruoso di Scelta Civica, Paolo Fontanelli del Pd e Gregorio Fontana di Forza Italia) cercheranno di affermare in Aula, puntando il dito, se dovesse farsi necessario, su altri “cattivi”; per esempio l’esercito di commessi e impiegati che costa 254 milioni l’anno, una cifra che, nelle intenzioni di Laura Boldrini, verrà troncata con provvedimenti rigorosi, attesi già nelle prossime settimane.
Resta che, intanto, i capitoli di bilancio non vanno esattamente nel verso della virtù per i nostri deputati.
Già , perchè i 145 milioni trascurano un piccolo dettaglio: i costi per i beni e i servizi che vanno a unico vantaggio dell’eletto.
E così si scopre che la spesa per gli affitti degli immobili in cui sono collocati i loro uffici vale quasi 40 milioni, che le spese di trasporto per assicurare loro la libera circolazione sul territorio nazionale (e anche all’estero, per quelli eletti Oltremare) ammontano a quasi 11 milioni di euro, che il personale esterno addetto alle segreterie dei fortunati titolari di incarichi (Presidente, Vicepresidenti, Questori, Segretari, Presidenti di Commissione, Giunte, Comitati e via compitando) pesa per 10,5 milioni di euro, previdenza compresa.
E non è tutto.
In ordine crescente, la spesa per la telefonia mobile a loro uso e consumo è di 200 mila euro, 300 mila impiegati per alfabetizzarsi in corsi di lingue e di informatica, 455 mila per l’assicurazione in caso disgraziato di morte o incidenti.
Non per il primo soccorso: in questo caso, se si trovano a Palazzo, il servizio è garantito da medici e infermieri di guardia al costo di quasi un milione di euro, un servizio che — fanno notare in Transatlantico — “certo non esisterebbe se non ci fossero i deputati, come non esiste in nessun altro ufficio pubblico”.
A voler, poi, tralasciare un gruzzoletto di altri 900 mila euro circa che se ne vanno in spese per la mobilità (compresa l’autorimessa e la benzina per le auto blu di cui godono i più fortunati tra i parlamentari), ecco brillare il mega contributo di 32 milioni di euro per i Gruppi parlamentari, soldi destinati — manco a dirsi — prevalentemente al personale di fiducia politica che lavora per gli eletti.
Messi in colonna e tirata la somma si torna così alla cifra record di oltre 240 milioni di euro, di molto superiore — quindi — agli striminziti 145 di partenza, legati al pagamento delle sole indennità e dei rimborsi.
Anche per questo, i Sindacati di Palazzo si sentono capretti sacrificali e hanno rotto ogni regola di fair play con la politica; obiettano, in sostanza, che i fari puntati sui loro stipendi servono solo da diversivo per non far rilucere troppo l’anello d’oro nel becco della gazza; dove la gazza sta per “mantenimento degli eletti”.
Fatto sta che al fischio di inizio dei lavori, i deputati dovranno affrontare un’arrampicata su parete liscia, per cercare di non perdere alcun privilegio ed evitare di farsi troppo facili bersagli mobili.
Giovanni Manca
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Luglio 21st, 2014 Riccardo Fucile
TENSIONI E INCIAMPI ANCHE PER IL PD
L’hanno già ribattezzata la “politica del solleone”.
Ed effettivamente con l’afa da 36 gradi degli ultimi giorni (prima della tregua con pioggia di lunedì), non è stato facile essere lucidi e qualche abbaglio c’è stato a Livorno.
Anche e soprattutto in politica, dove gaffe e scivoloni si sono alternati tra maggioranza (pentastellata) e opposizione del Pd.
L’ultimo colpo di scena è stata la richiesta da parte di un gruppo minoritario dei Cinque Stelle livornesi di dimissioni di un assessore (reo di essersi candidato in passato con il Pd, anche se lui nega) e di “revisione” di altri due, anch’essi poco graditi regolamento alla mano.
Anniversari e assessori
Un altro amministratore, Simona Corradini, era già stata “congedata” dal sindaco, il giorno dopo la nomina: si era presentata alle elezioni nelle liste di un altro movimento, pratica assolutamente vietata dal regolamento dei pentastellati.
Se poi aggiungiamo che alla giunta livornese manca ancora l’assessore al Bilancio (poltrona fondamentale per una città in crisi totale) la svolta labronica sembra apparire molto fragile e stentata.
Dall’altra parte delle barricate, nel Pd ancora ferito dalla dèbà¢cle elettorale arrivata dopo 69 anni di potere ininterrotto, è arrivato un inciampo a dir poco clamoroso.
Per la prima volta dal Dopoguerra a oggi nessuno del partito si è presentato alle cerimonie per il settantesimo anniversario della Liberazione della città .
Un’assenza che ha fatto imbestialire i partigiani dell’Anpi e scandalizzato la città .
Il capogruppo del Pd ha chiesto scuse immediate: «Siamo stati disattenti e disorganizzati, non ci sono scuse», ha detto Marco Ruggeri, ma intanto la frittata è già stata fatta.
Con molti mugugni e accuse, a microfoni spenti, di una svolta a destra dell’ex granitico partitone capace di ottenere percentuali bulgare.
I motivi del malcontento interno al Pd? Dopo la sconfitta elettorale, il partito sta subendo di fatto un commissariamento da Firenze detestato dai più.
Non solo perchè la base (e i vertici) del partito labronico non sono renziani (a parte qualche adesione forzata dell’ultim’ora), ma perchè l’ingerenza del capoluogo viene guardata con sospetto per motivi economici-campanilistici (porto, aeroporto, investimenti nelle infrastrutture).
Sul fronte grillino, intanto, si cerca di dare una svolta e a far ingranare la giunta accelerando la nomina dell’assessore al Bilancio.
Il sindaco Nogarin (che alla cerimonia dei partigiani c’era e si è pure commosso) sta puntando a dare uno scossone alla città .
Puntando ai poteri consolidati che a suo parere hanno rallentato lo sviluppo del porto, la più importante risorsa della città , e dando nuovo impulso a cultura, commercio e ambiente.
Nogarin è un ecologista convinto. Sabato ha partecipato applauditissimo al convegno nei No Autostrada-Tirrenica a Capalbio e da sempre si è schierato contro il rigassificatore, oggi realizzato, ma rivelatosi un flop che nonostante realizzato da privati i contribuenti dovranno pagare con l’aumento delle bollette.
Nogarin sta anche tentando un pacificazione tra Livorno e Pisa (si è schierato a favore della città per difendere l’aeroporto contro Firenze che vorrebbe il suo più grande e potente) e sogna un’area metropolitana comune.
Ma adesso deve combattere la contingenza politica e la fronda nel suo movimenti. «Una piccola minoranza, quattro gatti», minimizza lo staff del primo cittadino.
Ma intatto ci sono e continuano a infilzare la giunta su regolamenti e contro regolamenti.
Rischiando di paralizzarla.
Marco Gasperetti
(da “il Corriere della Sera”)
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Luglio 21st, 2014 Riccardo Fucile
CHE VERGOGNA: DAL MINISTRO DEGLI ESTERI DOPO 48 ORE NESSUNA PRESA DI POSIZIONE CONTRO IL GOVERNO ISRAELIANO…E IN PARLAMENTO TUTTI ZITTI
Non è stato il “casuale” errore in seguito a un bombardamento aereo.
Asilo, mensa, e centro donne sono stati “rasi al suolo con i bulldozer israeliani”.
A raccontarlo è Massimo Annibale Rossi, presidente dell’ong italiana Vento di Terra, che gestiva il Centro per l’infanzia di Um al Nasser ‘La Terra dei Bambini’, struttura finanziata dalla Cooperazione italiana.
Il progetto nella Striscia di Gaza ospitava un asilo con 130 bambini dai tre ai sei anni, il centro donne per 70 madri e uno sportello pediatrico.
Oltre al Centro è stata demolita la nuova mensa comunitaria inaugurata due mesi fa, che forniva pasti ai bambini e alle famiglie povere del villaggio.
“Inaccettabile e incomprensibile. Non ci sono spiegazioni per un atto del genere”, continua il presidente dell’ong Vento di Terra, chiarendo che “La Terra dei Bambini rappresentava un’oasi a difesa dei diritti dell’infanzia che l’esercito israeliano, messo al corrente di tutte le fasi del progetto, ha deciso di distruggere” senza alcuna giustificazione.
”Il centro era un punto di riferimento importante per la comunità locale beduina”, racconta Rossi, sottolineando come la struttura non sia mai stata utilizzata per scopi militari.
Secondo gli operatori del Centro, le autorità israeliane erano perfettamente a conoscenza della sua esistenza dal 2011, ed erano state informate del progetto umanitario costato 300mila euro e finanziato dallo Stato italiano, dalla Cooperazione italiana, dalla Cei e dall’Ue che avevano promosso strutture di eccellenza con pannelli solari e una tecnica di costruzione particolare con sacchi di sabbia per attutire onde d’urto.
“Ci sono delle regole dettate dalla Convenzione di Ginevra, dei doveri dell’esercito occupante”, continua il presidente dell’ong. “Visto che la struttura era stata finanziata dalla Cooperazione italiana chiediamo al nostro governo di chiedere conto alle autorità israeliane di quanto hanno fatto, e che sia presentata anche una richiesta di un risarcimento“, continua Rossi, sottolineando quanto i diritti dei minori palestinesi siano in pericolo.
Un appello che dopo 48 ore continua a cadare nel vuoto del servilismo del governo italiano verso Israele.
“Le parti non possono continuare a ignorare gli appelli della comunità internazionale per una tregua umanitaria immediata ed un accordo per il cessate il fuoco”, è la “non risposta” che arriva da Federica Mogherini, “lavoreremo affinchè il monito per la tregua ed il cessate il fuoco sia rinnovato con forza alla riunione dei ministri degli Esteri dell’Ue martedì a Bruxelles”.
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Luglio 21st, 2014 Riccardo Fucile
IL TUTTOFARE DEL POLITICO SI DOVRA’ OCCUPARE “DELL’ANALISI DEI COSTI DELLA SPESA FARMACEUTICA”…PECCATO ABBIA SOLO UN DIPLOMA E DELLA MATERIA NON SAPPIA NULLA
Mario Mantovani, vicepresidente di Regione Lombardia e assessore alla Sanità , ha garantito una consulenza da 16 mila euro per il suo autista-segretario, il 21enne Fabio Gamba, per occuparsi di “analisi dei costi delle spesa farmaceutica territoriale e ospedaliera, oltre che presidio ai tavoli tecnici”.
C’è da chiedersi con quali competenze.
E infatti è lo stesso Gamba il 6 maggio scorso in un comune alle porte di Milano, Arconate, a svelare l’arcano: “Non ho nessuna esperienza – dice – e questo potrebbe essere apparentemente un problema, ma in realtà fortunatamente so di poter contare sulla competenza e sull’esperienza del nostro fuoriclasse, Mario Mantovani”.
O più semplicemente basta essere il vicepresidente della Regione, per procurare al proprio autista-segretario un incarico.
Non di certo il primo perchè già nel 2013, il “fuoriclasse” Mantovani assicura al suo tuttofare una consulenza, da maggio a dicembre, per 10 mila euro per svolgere mansioni ancora oggi avvolte nel mistero.
Il sito web di Regione Lombardia, alla voce consulenze, non brilla per trasparenza e l’interessato, interpellato all’epoca dei fatti, aveva risposto in modo evasivo: “Lavoro nello staff del vicepresidente”.
“Non ho nessuna esperienza, ma so di poter contare sul nostro fuoriclasse, Mario Mantovani”. Chi parla è Fabio Gamba: 21 anni, diplomato al liceo di Arconate e autista dello stesso Mantovani.
L’occasione per questo discorso è la presentazione, lo scorso 6 maggio, di una lista per le elezioni comunali.
Dopo Gamba a prendere la parola è lo stesso Mario Mantovani, assessore della Sanità e vicepresidente forzista della Lombardia, che ricorda come lui preferisca “segnalare la gente di Arconate”.
Detto, fatto: l’autista tuttofare, senza alcuna competenza, ha ottenuto una consulenza al Pirellone da 16 mila euro per “analisi dei costi della spesa farmaceutica territoriale ospedaliera, oltre che presidio tavoli tecnici”.
Anno nuovo, consulenza nuova. Ed ecco il nome di Gamba compare ancora nell’elenco degli incarichi fiduciari, ai sensi della legge regionale 20 del 2008.
La normativa, 57 pagine, regola ogni tipo di rapporto di lavoro dentro il Pirellone.
Leggendo il testo ci si imbatte decine di volte nelle parole “merito”, “controllo” e “trasparenza”. Fino all’articolo 23, quello relativo alle segreterie degli assessori.
Il comma 7 recita testualmente: “Può essere assunto personale esterno all’amministrazione regionale”.
E tanti saluti, fatta salva la competenza che deve possedere chi riceve un incarico. Nello specifico, l’autista-segretario di Mantovani dovrà dimostrare di intendersene del costo dei farmaci e pure del lavoro utilizzo negli ospedali.
E vantando solo un diploma al liceo linguistico di Arconate non deve essere particolarmente facile.
Il curriculum del ragazzo di bottega di Mantovani è comunque ricco di spunti interessanti.
Nel 2009 è in stage “presso la segreteria politica del sottosegretario di Stato Sen. Mario Mantovani in via Giolitti 20 ad Arconate”; nel 2010 fa l’educatore al “centro vacanze giovani di Igea Marina, in provincia di Rimini”, gestito da una cooperativa della famiglia Mantovani; nel 2011 lavora nella sede romana del fu ‘Popolo della Libertà ‘ in via dell’Umiltà ; nel 2012 presta una collaborazione occasionale in Rai, sempre a Roma, dove però nessuno si ricorda del suo passaggio.
E’ iscritto all’università Bocconi di Milano, anche se gli esami, causa la sua intensa attività al fianco del vicepresidente della Lombardia, vanno un po’ a rilento.
Il suo curriculum si chiude con una perla: “Ulteriori informazioni: La mia più grande passione è la Politica”. ‘P’ maiuscola, per carità .
Ma per quale motivo questa grande passione deve essere spesata dai lombardi con consulenze fantasiose?
Spesata dai lombardi pure la spedizione del mese scorso in terra giapponese in occasione della festa della Repubblica: tre notti a Tokyo da 2 giugno al 5 giugno.
La Procura di Busto Arsizio ha aperto un’inchiesta sulle missioni internazionali del ‘World Expo Tour’, alle quali lavora anche Maria Grazia Paturzo, una delle due donne che il governatore Roberto Maroni avrebbe fatto assumere nella società Expo 2015 (stipendio mensile: 5 mila euro), mentre l’altra, Mara Carluccio, è finita in Eupolis, ente controllato dal Pirellone.
Per i magistrati bustocchi quello di Tokyo sarebbe stato un “viaggio in stile prima Repubblica”.
Di diverso avviso il capogruppo di Forza Italia al Pirellone, Claudio Pedrazzini, ex assistente di Mantovani a Strasburgo nel 1999: “Il viaggio sarebbe finito nel mirino dei magistrati. Ma sulle altre missioni analoghe nessuno ha nulla da dire?”
Difesa rocciosa. Ma Pedrazzini riesce persino a peggiorare la situazione: “A quel viaggio hanno partecipato quattro persone (doveva andare il presidente Maroni, sostituito il giorno prima della partenza dallo stesso Mantovani) e il costo totale è stato inferiore ai 25mila euro”. In pratica, 6 mila euro a persona. Fra volo, alberghi e ristoranti i rappresentanti della Regione devono essersi trattati bene.
Assieme all’assessore alla sanità c’era anche, non è ben chiaro a che titolo, il suo autista-segretario Gamba.
Il quale, lo stesso 2 giugno, postava su Facebook una foto di Mantovani a Tokyo con tanto di messaggio del vicepresidente lombardo, che con la consueta modestia si attribuiva il merito di aver portato Expo a Milano: “Questa mattina ho preso parte alle celebrazioni per la festa della Repubblica presso l’ambasciata italiana a Tokyo, in rappresentanza della Lombardia e del nostro paese. Dopo essermi impegnato nel 2008, da parlamentare europeo, affinchè Milano ottenesse l’assegnazione di Expo 2015, in questi giorni con il ‘World Expo Tour’ stiamo promuovendo con soddisfazione l’evento in tutto il mondo. Buona festa della Repubblica a tutti! Viva l’Italia!”.
Gamba, interpellato il 6 giugno di ritorno dal Giappone dal cronista Paolo Puricelli del settimanale ‘Libera Stampa l’Altomilanese’ sulle spese del viaggio, aveva replicato: “Fortunatamente posso pagarmelo da solo (la famiglia Gamba-Trimboli è fra le più ricche di Arconate). Visto però il vostro interesse per i miei viaggi, la prossima volta vi manderò una cartolina”.
Intanto basterebbe sapere a che titolo possa redigere un’analisi dei costi della spesa farmaceutica degli ospedali lombardi.
Per le cartoline c’è sempre tempo.
Marzio Brusini e Ersilio Mattioni
(da “L’Espresso”)
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Luglio 21st, 2014 Riccardo Fucile
INIZIANO LE VOTAZIONI SUL DECRETO CHE MODIFICA LA COSTITUZIONE
Il Senato così come lo conosciamo non esisterà più.
I 315 membri di Palazzo Madama, eletti direttamente dai cittadini, verranno sostituiti da 100 senatori: 5 nominati dal Presidente della Repubblica, 95 espressione delle autonomie territoriali.
Tra questi, 21 sindaci e 74 consiglieri eletti dai Consigli regionali con metodo proporzionale (tutte ne avranno almeno due). Non percepiranno un’indennità , ma continueranno a godere dell’immunità parlamentare riservata ai deputati.
Ma cosa farà il nuovo Senato?
Molto meno di quello attuale, visto che di fatto scompare il bicameralismo perfetto. Per esempio non voterà più la fiducia e non avrà competenza sulle leggi ordinarie, ma continuerà a legiferare su riforme costituzionali, leggi costituzionali, leggi elettorali degli enti locali e ratifiche dei trattati internazionali.
Quando la Camera approverà una legge, il Senato potrà «proporre» delle modifiche. Anche per la legge di bilancio, ma le proposte non saranno vincolanti.
Tra le novità in campo legislativo, c’è la possibilità per il governo di istituire una corsia preferenziale per alcuni provvedimenti considerati prioritari: la Camera dovrà approvarli entro 60 giorni (dopodichè non potrà più apportare modifiche).
Questo dovrebbe ridurre la decretazione d’urgenza. Stop anche ai decreti omnibus.
I PUNTI CONTESTATI
Questa è la parte della riforma più sostanziosa, ma anche la più contestata. C’è un fronte trasversale che vuole l’elezione diretta dei senatori, altri chiedono di abolire l’immunità per i 100.
Altri ancora vogliono ridurre i deputati (fino a 500) per riequilibrare il rapporto eletti-elettori e per evitare un peso eccessivo della Camera nell’elezione del Presidente della Repubblica.
E poi c’è chi, come il presidente dell’Anci Fassino, avverte: 21 sindaci sono troppo pochi.
Per l’elezione del Presidente della Repubblica maggioranza assoluta solo dal nono scrutinio
Con la modifica dell’articolo 83 della Costituzione, cambia il metodo di elezione del Presidente della Repubblica. Oggi viene eletto dal Parlamento in seduta comune: ai deputati e ai senatori si aggiungono 58 delegati regionali.
La riforma prevede la loro eliminazione: a partecipare al voto saranno solo i 730 parlamentari.
Modificato anche il quorum: se prima erano necessari i due terzi nelle prime tre votazioni e dalla quarta bastava la maggioranza assoluta, ora serviranno i due terzi (67%) nei primi quattro scrutini, i tre quinti (60%) fino all’ottavo scrutinio e soltanto dal nono basterà la maggioranza assoluta.
Piccola modifica ai poteri del Presidente: potrà rinviare al Parlamento anche soltanto una parte di una legge.
I PUNTI CONTESTATI
Visto il maggior peso della Camera sul Senato (630 contro 100), c’è il rischio che la maggioranza alla Camera si elegga un suo Capo dello Stato, rendendo superflui i senatori.
Per questo, nonostante la modifica del quorum, restano i malumori. E c’è anche chi, come Casini, propone: senza maggioranza nei primi tre scrutini, il Presidente deve essere eletto direttamente dai cittadini.
Crescono le firme per i referendum ma si abbassa il quorum
Una delle novità più consistenti riguarda le consultazioni popolari. La modifica dell’articolo 75 eleva a 800 mila (oggi ne bastano 500 mila) le firme necessarie per proporre un referendum abrogativo. In compenso scende il quorum: fino a oggi era necessaria la partecipazione della metà più uno degli elettori.
Quando il ddl verrà definitivamente approvato basterà che alle urne si rechi il 50% più dei votanti all’ultima elezione per la Camera.
Altra novità : i quesiti non potranno più riguardare l’abrogazione «parziale» di una legge, ma solo l’intero testo (o un solo articolo purchè questo abbia un valore normativo autonomo). Cresce anche il numero delle firme necessarie per le leggi di iniziativa popolare: da 50 mila a 250 mila.
I PUNTI CONTESTATI
Per i Radicali, l’elevato numero di firme è «la morte dei referendum». Il divieto generalizzato di referendum manipolativi, quelli che modificano solo una parte di una legge, rischia inoltre di escludere dalle consultazioni popolari le leggi elettorali. La Lega ha chiesto di introdurre i referendum propositivi, come in Svizzera, e pure quelli sui temi legati all’Unione Europea. Diversamente voterà contro.
Ridefinite le competenze tra lo Stato e le Regioni
Oltre ad abolire il Cnel (Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro), la riforma cancella definitivamente dalla Costituzione le Province, che già oggi sono state svuotate dei loro poteri.
Ma l’intervento più importante è sull’articolo 117 che, di fatto, elimina le materie di competenza legislativa concorrente tra lo Stato e le Regioni, riducendo la possibilità di ricorsi tra l’amministrazione centrale e quelle locali.
Saranno di competenza esclusiva dello Stato materie come ambiente, beni culturali, turismo, scuola, governo del territorio, protezione civile, energie, infrastrutture strategiche e grandi reti.
Le Regioni si occuperanno di servizi sanitari e sociali, sviluppo economico locale, istruzione locale e formazione al lavoro, promozione del diritto allo studio, mobilità locale, disciplina regionale di attività culturali e turistiche. Comuni, Città Metropolitane e Regioni avranno risorse autonome ma le dovranno gestire «sulla base di indicatori di costo», i cosiddetti costi standard.
I PUNTI CONTESTATI
Alcune associazioni ambientaliste hanno criticato il testo, sostenendo che su temi ambientali la competenza resta concorrente, con il rischio di molti ricorsi.
Con l’Italicum il vincitore è assicurato ma resta da sciogliere il nodo preferenze
La legge elettorale non fa parte del ddl sulle Riforme attualmente in discussione al Senato, ma i due provvedimenti sono legati a doppio filo. Per questo ne parliamo qui, anche perchè l’Italicum è già stato approvato dalla Camera, ma è facile prevedere che il passaggio a Palazzo Madama non sarà indolore.
Il testo prevede una legge elettorale proporzionale con una forte correzione maggioritaria: la prima coalizione (o il partito) che supera il 37%, ottiene un premio di maggioranza che le assegna 340 seggi.
Se nessuno arriva a tale soglia, si va al ballottaggio tra le prime due coalizione: chi vince prende 321 seggi. Esistono soglie di sbarramento: 12% per le coalizioni, 8% per le singole liste, 4,5% per le liste in coalizione.
Non esistono le preferenze: i deputati (perchè l’Italicum si applica solo alla Camera) sono eletti in mini-listini bloccati nei 120 collegi.
I PUNTI CONTESTATI
I partiti più piccoli premono per abbassare le soglie di sbarramento, mentre quella per il premio di maggioranza potrebbe essere rivista al rialzo. Dibattito aperto anche sull’introduzione delle preferenze, come richiesto dal M5S e dalla minoranza del Pd.
Marco Bresolin
(da “La Stampa“)
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Luglio 21st, 2014 Riccardo Fucile
“NON BASTERA’ TELEMACO PER CONVINCERE BERLINO”
L’ex Cavaliere rimonta a cavallo. E ieri, nella villa di Arcore, dove ancora non si sono spenti i festeggiamenti che lo hanno trasformato da Perseguitato ad Assolto, Silvio Berlusconi ha cominciato a pianificare la strategia del doppio binario.
Il primo è quello della lealtà al patto con Renzi sulle riforme istituzionali – «Gli italiani le chiedono da decenni e finalmente c’è un leader della sinistra che non li prende in giro e non si muove per convenienze di piccola bottega partitica» – e il secondo è quello che il leader di Forza Italia ha riassunto così sia nel pranzo con i figli sia nei colloqui telefonici che sta avendo in queste ore con i maggiorenti del partito-partito e del partito-azienda: «Io da subito farò il leader della battaglia economica degli italiani».
«Una battaglia durissima», osserva Berlusconi, e «vengono tutti a piangere da me. I negozi chiudono, le imprese non ce la fanno, il fisco sta stritolando i lavoratori e i risparmiatori. Su queste cose, Renzi non c’è. E questa sarà il terreno su cui sfidarlo».
DOPPIO FRONTE
Ecco, Berlusconi prepara la federazione del centrodestra e sta apprezzando le aperture di Alfano, con cui si è sentito ieri. Mantiene la barra dritta nel dialogo con Renzi. Ma si ritiene adesso, più di quanto lo fosse giorni fa, più forte per competere con il premier su due fronti che cruciali in cui «Matteo zoppica vistosamente»: economia ed Europa.
LA CURA
L’ex Cavaliere tornato a cavallo – ma anche consapevole della propria incandidabilità , del tempo che passa, della stanchezza personale che divide la scena con l’euforia della riabilitazione giudiziaria e in prospettiva della necessità di darsi un ruolo non più da front runner ma da padre nobile – sta pianificando una ripartenza sulla base del seguente ragionamento condiviso sia nel partito sia nel Cerchio Magico, e non sempre questa coincidenza si verifica ultimamente nell’universo berlusconiano.
Insomma: «Gli italiani hanno bisogno di una cura molto più forte di quella che sta somministrando il governo. Altro che 80 euro. Ci vuole uno choc fiscale».
E ancora: «In autunno, Renzi deve trovare venti miliardi di euro. E l’Europa gli sta con gli occhi addosso e con il fiato sul collo. E non basta Telemaco per convincere Merkel che l’Italia fa sul serio».
OLTRE TELEMACO
Silvio, che apprezza in tutto l’amico Matteo, lo vede poco energico sul piano europeo. «Renzi non riesce a farci contare davvero nei luoghi che contano», è il ragionamento del leader che si sente riabilitato e che sta vivendo momenti di euforia dopo lo choc emozionale derivato dal «miracolo» dell’assoluzione nella quale lui sperava più di tutti ma alla quale credeva meno degli altri ed è stato, fortunatamente per lui, smentito.
Non vuole infierire troppo, è intenzionato a mantenere la polemica sul piano della correttezza in linea con l’aplomb istituzionale che sta cercando di darsi, e frena i rinfocolatori alla Brunetta, e tuttavia – anche per non lasciare troppo spazio alla Lega che ha scatenato un’opa sul centrodestra – del governo dice che «si sta dimostrando incapace di tagliare la spesa pubblica. E si continua ad usare, secondo la tradizione del Pd, la classe media come bancomat».
L’ORIZZONTE
L’orizzonte di Berlusconi è il 2018. Niente elezioni anticipate. E il format è quello di un partito di lotta e di governo.
Molto attento a come si svilupperà la dinamica economica a proposito della quale Berlusconi non sembra ottimista. Non vede barlumi di ripartenza. Non scorge segnali di crescita.
Anche per questo, nonostante prenda in considerazione l’eventuale opportunità di un governissimo, cioè di un ritorno al governo su cui alcuni degli amici più fidati gli chiedono di ragionare, vede i rischi politici di una scelta del genere: «Il governo sarà chiamato a intervenire pesantemente, perchè le cose non vanno bene. Noi da fuori incalzeremo Palazzo Chigi ma senza nessun intento distruttivo. L’Italia in questa fase ha bisogno di spirito di responsabilità . E noi su questo abbiamo dimostrato di non poter prendere lezioni da nessuno».
Silvio il federatore del centrodestra. Silvio il difensore delle tasche degli italiani. Silvio lo sfidante di Renzi ma senza esagerare troppo nei toni. Ecco il format in tempo di pace, e così Berlusconi rispolvera i panni del mattatore.
Mario Ajello
(da “il Messaggero”)
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Luglio 21st, 2014 Riccardo Fucile
CON 24 ORE DI RITARDO LA MOGHERINI DICHIARA DI “AVER SAPUTO” CHE LE TRUPPE ISRAELIANE HANNO RASO AL SUOLO SENZA MOTIVO L’ASILO “TERRA DEI BAMBINI”… HA PAURA PERSINO DI COMMENTARE IL GRAVE FATTO, FIGURIAMOCI DI CONVOCARE L’AMBASCIATORE ISRAELIANO… MA LO SA CHE L’ITALIA HA FINANZIATO L’ASILO?… ORA IL GOVERNO DI ISRAELE LO RICOSTRUISCA A SUE SPESE E CI CHIEDA SCUSA: CAPITO MOGHERINI?????????
Ieri sera abbiamo ripreso la grave notizia della distruzione da parte dell’esercito israeliano del centro per l’infanzia “La Terra dei Bambini”, un’oasi di pace a difesa dei diritti dell’infanzia nel villaggio di Um al Nasser, Striscia di Gaza.
La fanteria e i blindati israeliani hanno occupato il villaggio di Um Al Nasser nella notte del 17 luglio, obbligando l’intera comunità a lasciare le case.
Una lunga fila di civili, in prevalenza a piedi, si è diretta sotto un intenso bombardamento verso il campo profughi di Jabalia dove mancano medicinali, cibo, generi di prima necessità e acqua potabile.
Successivamente è stata confermata la notizia che l’esercito israeliano ha raso al suolo “La Terra dei Bambini”, struttura finanziata dalla Cooperazione italiana e visitata lo scorso 17 gennaio dalla Presidente della Camera Laura Boldrini.
Il centro per l’infanzia ospitava un asilo con 130 bambini e un ambulatorio pediatrico. Oltre al Centro per l’infanzia, che rappresentava un modello di eccellenza in termini di architettura bio climatica e di metodologia educativa, è stata demolita la nuova mensa comunitaria, inaugurata solo due mesi fa, che forniva pasti ai bambini e alle famiglie povere del villaggio.
La Ong “Vento di Terra” gestisce il progetto dal suo avvio nel 2011, ed è testimone del fatto non sia mai stata utilizzata per scopi militari e non sia avvenuto alcun contatto tra lo staff e le milizie armate islamiste.
La “Terra dei bambini” rappresentava un’oasi a difesa dei diritti dell’infanzia, che l’esercito israeliano, messo al corrente di tutte le fasi del progetto, ha deciso senza alcuna giustificazione di demolire.
Non è stata bombardata per errore, è stata volutamente rasa al suolo.
Un’esperienza unica, in un panorama caratterizzato da decenni di conflitto, occupazione e devastazione è stata messa cinicamente a tacere.
Vento di Terra Ong ha richiesto al Ministero degli Esteri Italiano e alla Unione Europea, alla Conferenza Episcopale Italiana, principali finanziatori del progetto, di realizzare gli opportuni passi verso il Governo Israeliano perchè renda conto di un’azione gravissima che coinvolge, oltre la comunità locale, direttamente il Ministero stesso, l’Unione Europea e la Cooperazione Italiana, che il progetto hanno finanziato e sostenuto in questi anni.
Da ieri il nostro blog chiede (con notevoli riflessi mediatici) che la Mogherini condanni l’accaduto e spieghi cosa intenda fare.
La Mogherini alla fine ha emanato una nota disarmante: “Di ora in ora cresce il numero dei morti e dei feriti, bombe e razzi stanno distruggendo abitazioni ed edifici pubblici. Abbiamo saputo che è stato raso al suolo anche l’asilo di Um el Nasser, alla cui apertura aveva contribuito la Cooperazione italiana”.
E questo sarebbe un Ministro degli Esteri?
Una che ambisce a guidare la politica estera della Ue?
Una che dice di “aver saputo” e non annuncia alcuna iniziativa di protesta?
Ma lo sa la Mogherini che fuori dall’asilo era issata la bandiera tricolore?
Lo sa che quell’asilo era stato finanziato anche dallo Stato Italiano?
Ma dov’e’ finita la nostra dignità se si permette a quattro delinquenti di radere al suolo una nostra istituzione?
Non ci interessa chi è stato, ci interessa avere un ministro degli Esteri che non si nasconda e che abbia il coraggio di convocare l’ambasciatore di Israele a Roma e fargli un mazzo così.
Prima le scuse, poi 30 giorni di tempo per ricostruire il “nostro asilo” a spese del governo di Tel Aviv.
Dimenticavo: mi raccomando, quella destra di pataccari che vegeta in Italia, continui a far finta di nulla, guai a fare una interpellanza al governo, proni a Tel Aviv come sempre, eh?
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