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LA GUERRA AI POVERI CONTINUA, SONO ORMAI 4,8 MILIONI: TAGLIATI I FONDI, RENZI SE NE FREGA

Luglio 12th, 2014 Riccardo Fucile

DALL’INIZIO DELLA CRISI I POVERI ASSOLUTI SONO RADDOPPIATI; DA 2,4 A 4,8 MILIONI, MENTRE LA SPESA SOCIALE E’ STATA TAGLIATA DA 2,5 A 964 MILIONI

La crisi ha aumentato la povertà  assoluta in Italia.
Nel 2007, ultimo anno di crescita del Pil, i poveri erano 2,4 milioni (il 4,1% della popolazione), mentre nel 2012 vivevano in povertà  assoluta 4,8 milioni di italiani, l’8% del totale.
Da Berlusconi fino a Renzi, i governi hanno fatto finta di nulla occultando la gravità  di questo flagello.
E così hanno continuato a tagliare la già  esigua quota di risorse pubbliche stanziate per fronteggiarla.
Se nel 2008 i fondi statali per il contrasto della povertà  erano pari a 2 miliardi e mezzo di euro, tagliando e ritagliando nel 2013 gli stanziamenti sono arrivati a 766 milioni di euro.
Il goveno Letta ha fatto sgocciolare qualche spiccolo sul fondo famiglia, su quello per le pari opportunità , sulle politiche giovanili e sul fondo per la non autosufficienza, portando il livello a 964 milioni.
Un miliardo 536 mila euro in meno dall’inizio della crisi, quando i poveri ufficialmente censiti erano 2,4 milioni in meno.
Il rapporto Caritas «Il bilancio della crisi», presentato ieri a Roma da Don Francesco Soddu (direttore Caritas Italiana) e Cristiano Gori dell’università  Sacro Cuore di Milano, è interessante perchè specifica i numeri di questa guerra ai poveri.
Solo nell’ultimo anno il fondo per le politiche sociali è stato tagliato di altri 27 milioni di euro, passando da 344 a 317 milioni di euro. E non si può dire che a qualcuno sia sfuggito il fatto che in Italia i poveri assoluti siano aumentati, senza contare quelli «relativi», i precari e i disoccupati. Questa cecità  non è improvvisa, bensì programmatica, è il risultato del darwinismo economico che considera le tutele sociali come variabili dipendenti dell’imperativo del pareggio di bilancio e
del patto di stabilità  interno.
I tagli, uniti alla riduzione dei trasferimenti erariali ai comuni e ai vincoli imposti dal suddetto patto di stabilità  interno hanno imposto il contenimento dei livelli di spesa sociale da parte dei comuni.
Le ripercussioni peggiori di questi tagli sono state registrate al Sud e nelle isole, scrive Nunzia De Capite nel rapporto, dov’è maggiore l’incidenza dei fondi nazionali sulle politiche sociali.
In Calabria, ad esempio, la spesa è di 25 euro a persona. Nella provincia autonoma di Trento è pari a 282 euro.
Si tratta di una spesa tutta concentrata su interventi per famiglie o minori e disabili, inadeguata per le loro necessità  e oltre tutto discriminatoria rispetto ad altre categorie della povertà , della precarietà  e della disoccupazione.
A causa dell’austerità , gli enti locali hanno tagliato la spesa del 2% dal 2010 al 2011, mentre le integrazioni al reddito sono diminuite da 762 euro nel 2010 ai 736 euro a persona nel 2011.
Tutto questo mentre aumentava la platea dei beneficiari: dagli 11.800 del 2010 ai 13 mila del 2011.
È la legge direttamente proporzionale dell’austerità : meno hai oggi, meno avrai in futuro, fino a non ricevere nulla. che ha partecipato alla presentazione del rapporto, il direttore della Caritas Soddu ha rinnovato l’invito a pensare almeno ad «una misura nazionale contro la povertà  assoluta».
La Caritas l’ha chiamata «reddito d’inclusione sociale».
Ogni famiglia riceve mensilmente una somma pari alla differenza tra il proprio reddito e la soglia di povertà , così da disporre dell’insieme di risorse economiche necessarie ad uno standard di vita minimamente accettabile.

«Diventerà  realtà  — sottolinea l’organismo della Cei nel rapporto — se Renzi e Poletti faranno della lotta alla povertà  una priorità  politica».
Il «Ris» dovrebbe costare più di 7 miliardi all’anno.
Poletti ha escluso che questo possa avvenire. «Immediatamente è difficile — si è giustificato Poletti — poichè abbiamo bisogno di costruire anche un’infrastruttura che ci consenta di farlo, il nostro paese non ha una dotazione del tipo banche dati o elementi di analisi».
Insomma, in attesa che il governo istituisca un’«anagrafe» per i 4.8 milioni di poveri «assoluti», i comuni continueranno a tagliare i fondi.
Non è mancato un riferimento al bonus Irpef da 80 euro per il lavoro dipendente.
Il «contributo» non ha ovviamente avuto effetti sulla povertà , anche perchè Renzi ha preferito il lavoro dipendente agli «incapienti».
Poletti sostiene che il bonus verrà  esteso anche a loro nel 2015. Prima il «ceto medio impoverito». Poi le urgenze innominabili.
Questa è la visione non proprio universalistica che ha il governo.
«Queste dichiarazioni ci lasciano preoccupati — ha detto il presidente delle Acli Giuseppe Bottalico — non abbiamo riscontrato una volontà  ad avviare un percorso strutturato contro la povertà ».
Solo interventi a pioggia e compassionevoli. Sono le politiche sociali in tempo di guerra.
Quella dell’austerità .

Roberto Ciccarelli
(da “La Repubblica“)

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LA GRANDE BALLA DELLA PRODUZIONE “ECO-SOSTENIBILE”

Luglio 12th, 2014 Riccardo Fucile

INCOGNITA SICUREZZA: LE ESPLORAZIONI SONO SPACCIATE PER INNOCUE

A ben vedere qualcosa s’è mosso, anche nella parte italiana dell’alto Adriatico e sono le carcasse di delfini e tartarughe marine, a centinaia, trasportati un anno fa dalle correnti sulle spiagge italiane, dal Veneto alle Marche.
Per i biologi cetacei e caretta sono stati uccisi dalle onde d’urto utilizzate per setacciare i fondali a caccia dei giacimenti di gas e petrolio che fan gola al governo dalmata (e ora pure a quello italiano).
La prova autoptica – se ce ne fosse bisogno – che il mito dell’esplorazione “pulita” è un falso, così come quello delle trivelle che non provocano danni all’ambiente.
Un pozzo esplorativo “tipo”, per dire, scarica tra le 30 e le 120 tonnellate di sostanze tossiche nell’arco della sua (breve) vita, spiegano gli esperti che lavorano per Onu, Fao e Oms. Soprattutto fanghi sintetici utilizzati nelle ordinarie attività  di trivellazione e produzione.
E tuttavia la Strategia energetica nazionale, che punta al raddoppio della produzione di gas e petrolio entro il 2020, sembra non tenerne conto ed evoca una fantomatica “produzione sostenibile di idrocarburi”.
I rischi dell’offshore
Sono 105 le piattaforme di produzione disseminate lungo i 7.500 km di coste italiane.
Da 67 pozzi di coltivazione estraggono 4,9 milioni di tonnellate di olio e 6 Msm3 di gas.
Presto potrebbero essere molte di più.
Ad oggi si contano 20 permessi di ricerca nei fondali cui si aggiungono 44 istanze di permesso di ricerca (6 in fase decisoria) e 6 di prospezione in aree marine ancora libere da attività  mineraria.
Il governo punta sbloccarle per rilanciare l’offshore italiano, un’espressione che subito evoca i grandi disastri ambientali che hanno impressionato il mondo (British Petroleum, 2010 e Pi-per Halfa del ’88).
Per stare in casa nostra, l’incidente alla piattaforma Paguro (Agip) nel ’65 che costò la vita a tre persone.
Proprio un anno fa, l’affondamento della Perro Negro 6 (Saipem, Eni) durante le operazioni di posizionamento della piattaforma tra Angola e Congo.
La sicurezza di questi giganti del mare è dunque un altro mito da sfatare. “Non è vero che gli incidenti sono rarissimi, sono invece numerosi”, spiegava il dirigente di ricerca dell’Ispra, Silvio Greco, a commento della tragedia messicana.
“Negli ultimi vent’anni se conta uno all’anno. Può succedere anche da noi, solo che i nostri mari hanno un ricambio minimo, sono bacini chiusi, e l’impatto anche minore potrebbe essere devastante”
Il gigante malfermo
Altri due esempi, recenti e nostrani , sul “trivellare senza rischi”.
La Scarabeo 9 è l’unità  di perforazione Saipem di ultima generazione che ha inaugurato l’attività  estrattiva al largo di Cuba (in predicato di scavare il pozzo Vela 1 nel Canale di Sicilia, al largo di Licata).
Ebbene durante il suo trasferimento da Yantai (Cina) a Singapore ha imbarcato acqua, “cosa che ha causato forzatamente lavori di riparazione e un’approfondita ispezione per assicurare la sua capacità  di stare in mare”, racconta un rapporto sulla sicurezza citato da Greenpeace Italia (“I vizi di Eni”, 2013).
Un’altra piattaforma, la Scarabeo 8, nel 2012 si è inclinata di 7 gradi perforando il campo “Salina” nel mare di Barents, in Norvegia.
Senza conseguenze, ma ottenendo un ordine dell’autorità  di controllo norvegesi di assicurare “la gestione dei processi in conformità  con la salute, la sicurezza e l’ambiente”.
Parole come pietre. Del resto, c’è chi ha apertamente messo in dubbio gli standard di sicurezza della flotta italiana. E dice di aver subito per questo pesanti rappresaglie, fino al licenziamento.
Denunce zittite
Due ex dirigenti Saipem, Gianni Franzoni e Giulio Melegari, hanno trovato sponda nel M5S e in particolare nel senatore Vito Petrocelli che ha portato la loro vicenda in Parlamento. Denunciano di essere stati allontanati dopo le loro denunce sulle procedure di sicurezza dentro Saipem (trasmesse anche all’ex ad Eni, Paolo Scaroni, una delle ragioni del licenziamento). Nelle rispettive cause di lavoro hanno presentato documenti a sostegno della tesi secondo cui “Saipem avrebbe eseguito operazioni navali, di perforazione petrolifera e lavori industriali in acque profonde, senza il personale idoneo, in violazione delle certificazioni emesse o addirittura senza i certificati necessari come richiesto dalla legge italiana e dalle normative internazionali”, come si legge nell’interrogazione del M5S.
Tra i dettagli che sottolineano i due dirigenti: i mezzi Saipem battono bandiera delle Bahamas, dove si applica un codice marittimo che rende difficile perseguire i tecnici che fanno certificazioni di sicurezza disinvolte.
“Le denunce non hanno avuto alcun impatto sul loro licenziamento”, replica l’azienda. “Le loro segnalazioni sono sempre state prese in seria considerazione e verificate con audit che hanno avuto esito negativo”.
Ma Franzoni e Melegari non si arrendono. Ora il nuovo ad di Eni Claudio Descalzi pare intenzionato a mettere sul mercato una quota di Saipem, per fare cassa.

S. Feltri e T. Mackinson

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