Agosto 30th, 2014 Riccardo Fucile
LA FOLGORANTE CARRIERA DELLA MOGHERINI, SFRUTTANDO CORRENTI E RELAZIONI PERSONALI… PRIMA CON D’ALEMA, POI CON VELTRONI CHE PROMOSSE ANCHE IL MARITO, POI CON FRANCESCHINI, QUINDI CON BERSANI PER FINIRE CON RENZI SU CUI SPARAVA A ZERO
Il suo nome era stato la vera sorpresa della lista dei 16 ministri del Governo Renzi. Ma anche quello che ha fatto discutere Napolitano, che avrebbe preferito la conferma di Emma Bonino, e Renzi di cui invece è donna fidata.
Federica Mogherini, 40 anni, responsabile Europa e Affari Internazionali della segreteria del PD, ministro degli Esteri per sei mesi, da ieri sera Lady Pesc.
Il suo nome è stato fatto pubblicamente la prima volta da Renzi all’inizio dell’ultima direzione del partito, quella della sfiducia al Governo Letta, per ringraziarla del lavoro fatto a Bruxelles per l’ingresso del Pd nel Pse europeo.
Da allora è stata sulla rampa di lancio e ha spuntato incarichi di prima grandezza, accompagnati sempre da freddezza e riserve — sia in Italia che all’estero — soprattutto (ma non solo) per la mancanza di competenze specifiche nel ruolo e un curriculum tutto dentro il partito, che rispecchia il classico cursus honorum dei funzionari di una volta.
Prestando sempre il fianco alla corrente dominante del momento, fino alla partenza per l’Europa.
Nel caso degli Esteri, il ruolo si è tradotto in una continuità senza svolte sul caso Marò, da qualche (timido) tentativo di fare spending review alla Farnesina, dalla riforma della Cooperazione già istruita dal governo Letta e dalla decisione di inviare armi ai curdi.
Qualche polemica, ma il peso dell’Italia in politica estera non sembra aumentato.
E tuttavia per il ministro italiano si spalancano ora — dopo un lungo braccio di ferro tra governi — le porte dell’Europa, con la carica di Alto rappresentante dell’Unione per la politica estera e di sicurezza comune (Pesc).
Una nomina quasi imposta ai partner europei, sulla quale Renzi ha messo la faccia e ingaggiato un lungo braccio di ferro con gli altri capi di governo, fino a sfidare l’aperta resistenza dei Paesi dell’Est perplessi di fronte all’atteggiamento di amicizia apertamente espresso dalla Mogherini alla Russia di Putin.
Le resistenze sono crollate solo grazie a un accordo di scambio sulla presidenza dell’Unione a favore del polacco Tusk.
Tutto per equilibrare e assecondare la pretesa italiana che ha di fatto complicato per mesi il puzzle.
L’ostinazione di Renzi era parsa tanto più “curiosa” alla luce dell’inconsistenza dell’incarico.
La poltrona in pallio è solo di alta rappresentanza, sopratutto in un’Europa in cui nessuno cede la politica estera.
Ma il contorno, secondo le analisi che hanno cercato di codificare l’impuntatura del governo italiano, sarebbe in realtà il piatto forte.
Perchè mr Pesc, fanno notare, è anche vicepresidente della Commissione e partecipa alle riunioni del Consiglio.
Sul suo tavolo, dunque, passerebbero i dossier europei che interessano a Renzi.
Una lettura meno benevola guarda invece a un’altra storia.
Fatta di poca strategia e di tante “appartenenze”, di strappi e cuciture consumati tutti dentro al Pd.
Altro che politica estera dell’Unione.
Intanto con lei Renzi riesce laddove Massimo D’Alema fallì. Cinque anni fa l’ex premier, anche lui fresco di una breve parentesi agli Esteri, era in lizza per il ruolo di ministro degli Esteri dell’Unione.
Alla fine, nel gioco delle nazioni e dei veti incrociati, la spuntò Catherine Ashton.
A compromettere la candidatura italiana, si disse allora, era stata una foto di Ferragosto del 2009 che lo ritraeva a passeggio col deputato Hezbollah Hussein Haji Hassan, mentre si aggirava per le strade di Beirut bombardata da Israele.
Cinque anni dopo il nome di D’Alema è balenato ancora nell’aria, per poi dissolversi nel vento, a favore di quello della Mogherini.
Ma anche lei , in realtà , ha la sua foto ricordo che fa storcere il naso, ma stavolta non è bastata a comprometterne il “prestigio”.
Appena nominata ministro circolò in rete uno scatto che la ritraeva accanto al leader palestinese Arafat. Risale probabilmente agli anni della Seconda intifada, quando il PD manteneva le posizioni filo-arabe e terzomondiste di derivazione Pci.
Era il tempo della militanza nella Sinistra giovanile negli anni universitari, del lavoro al dipartimento Esteri ai tempi della segreteria Fassino (prima come responsabile del rapporto coi movimenti poi come coordinatrice), l’ingresso nel Consiglio nazionale dei Ds, la direzione.
E infine, col Pd, l’approdo in segreteria con Walter Veltroni e Dario Franceschini nel ruolo di responsabile Istituzioni (agli Esteri c’era il suo attuale vice alla Farnesina, Lapo Pistelli).
Ne ha fatta di strada, Federica Mogherini. Ad aiutata nella corsa anche il marito, Matteo Rebesani, compagno di militanza politica e poi assistente di Walter Veltroni in Campidoglio, che lo volle a capo dell’Ufficio relazioni internazionali del comune di Roma.
E dove — grazie anche alla grandeur dell’allora sindaco — ebbe modo di spaziare dai diritti umani alla cooperazione fino ai summit coi premi Nobel e la visita del Dalai Lama.
Come racconta il Corriere, del resto, il rapporto con Veltroni era suggellato anche da una lunga amicizia di Isa Mogherini, la zia di Federica, con la madre di Walter.
Tutti ingredienti che hanno avuto certo un peso anche nell’approdo parlamentare, culminato nel 2008 con l’elezione a 35 anni a Montecitorio e la presidenza della delegazione italiana all’Assemblea parlamentare della Nato.
La carriera si accompagna alle capacità di navigare tra le correnti.
Prima, come detto, dalemiana, poi vetroniana, franceschiniana, poi sostenitrice di Bersani e adesso di Renzi. Adesso.
Perchè prima di adeguarsi alla corrente, con il sindaco di Firenze ancora rottamatore, non si curò di sparargli contro al motto “Renzi ha bisogno di studiare un bel po’ di politica estera… non arriva alla sufficienza” (28 novembre 2012). Ma furono gli ultimi colpi perchè l’avanzata del sindaco l’ha portata a più miti consigli.
E da allora per lei è stata “la svolta buona”.
Da oggi si smetterà , forse, di parlare di Lady Pesc e si tornerà a Roma.
Perchè la nomina della Mogherini a Bruxelles libera una casella importante nel governo e quella poltrona vuota potrebbe avviare il valzer ministeriale di cui si vocifera da settimane.
In predicato di sostituirla, l’ex collega nella segreteria PD esteri e suo attuale vice alla Farnesina, Lapo Pistelli.
Ma su questo pesa il diktat di Renzi sulle quote rosa, per cui si è fatta l’ipotesi di coprire la casella facendo traslocare dalla Difesa Roberta Pinotti e mettendo l’ex sottosegretario Marta Dassù alla Farnesina.
E’ fatale, a questo punto, che il risiko per Bruxelles ne spalanchi uno a Roma.
Thomas Mackinson
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Agosto 30th, 2014 Riccardo Fucile
UN DECRETO CHE NON SBLOCCA UN BEL NULLA, ANZI SI BLOCCANO GLI INTERVENTI SUL DISSESTO IDROGEOLOGICO E SI TOGLIE IL BONUS EDILIZIA
Il tempismo, sul piano della comunicazione, è perfetto.
Nel giorno in cui l’Istat certifica il ritorno dopo 50 anni alla deflazione e con un mercato del lavoro sempre più in sofferenza il governo vara un decreto dal titolo molto promettente: sblocca-Italia.
Interviene in ritardo rispetto allo scadenziario che lo prevedeva per metà luglio, ma proprio per questo permette al governo di reagire ai dati sui consumi degli italiani dopo l’introduzione del bonus di 80 euro, dati che confermano l’impressione che lo sgravio non abbia avuto gli effetti sperati di stimolo della domanda.
Se si va al di là dei titoli e dei relativi cinguettii telematici, affiorano però non pochi dubbi sull’efficacia delle misure varate ieri e, a dispetto delle rivoluzioni annunciate, in molte di loro si respira l’odore stantio del dèjà vu.
Di sblocco sulla carta ci sono quasi solo i cantieri delle opere su rotaia.
Il bonus edilizia viene semmai bloccato, non rinnovato nel 2015 almeno fino all’approvazione della legge di Stabilità .
Le 1617 mail ricevute dai Comuni con segnalazioni di ritardi in piccole opere dovranno aspettare.
Non ci sono fondi per le misure contro il dissesto idrogeologico.
Non è la prima volta che un governo italiano si affida ai trasporti e soprattutto alle Ferrovie dello Stato (che continuano a non assicurare la pulizia dei treni su gran parte delle tratte) per rilanciare un’economia che non riesce a ripartire.
I fallimenti del passato, quando peraltro c’erano ben più risorse da destinare a queste opere, non sembrano essere stati metabolizzati.
Sono lastricate le strade di Palazzo Chigi di comunicati in cui si annunciano miliardate di opere pubbliche di immediata attuazione, a partire dalla faraonica legge obiettivo del 2001 per arrivare al “decreto del fare” (e disfare) lasciato in testamento da Letta.
Il fatto stesso che si peschi una volta di più dall’elenco annunciato da Berlusconi a Porta a Porta, attuato solo in minima parte (attorno al 10 per cento) in 15 anni, certifica che non basta decretare per avviare i lavori.
E anche questa volta, quando si studiano i singoli dossier, ci si accorge che gran parte delle opere non sono immediatamente cantierabili.
Tre quarti di queste potranno, nella migliore delle ipotesi, partire nel 2018.
Del resto è lo stesso profilo temporale dei finanziamenti a certificare che non si tratta di misure di impatto immediato: 40 milioni nel 2014, 415 nel 2015, 888 nel 2016. Non è questo tipicamente l’orizzonte delle misure congiunturali che vogliono evitare una nuova prolungata recessione agli italiani.
Una volta di più si annunciano queste misure a costo zero, come se destinassero nuove risorse alle infrastrutture senza sottrarle ad altri interventi.
Ma come può un governo che chiede un consenso attorno ad un’operazione politicamente costosa come la spending review, come può un esecutivo che dovrà racimolare nella legge di Stabilità qualcosa come 16 miliardi di tagli alla spesa nel 2015, dire agli italiani che ci sono tutti questi miliardi piovuti dal cielo?
È fin troppo evidente a tutti che le risorse che verranno destinate a queste opere, anche quelle che vengono da fondi europei, verranno sottratte a destinazioni alternative.
È dovere di un governo spiegare perchè queste opere sono più importanti di altre cose che si potevano fare con questi soldi.
A partire dalle stesse opere infrastrutturali alternative che potevano essere avviate (perchè, ad esempio, il terzo valico Milano-Genova e non il raccordo Fiumicino-alta velocità verso Firenze?).
Le analisi costi-benefici delle singole opere servono proprio a questo, ma non ce n’è traccia. Offrono le stesse valutazioni che ogni imprenditore compie quando deve decidere se fare o meno un investimento.
Perchè i contribuenti italiani, al pari degli azionisti privati, non devono avere il diritto di sapere come vengono utilizzati i loro soldi rispetto a diversi scenari e opzioni alternative?
La dimensione del dispositivo entrato in Consiglio dei ministri (125 pagine e, come ormai è prassi, non c’è un testo in uscita) e i commi e sottocommi dei diversi articoli danno l’impressione di burocrazie ministeriali tutt’altro che rottamate.
Se il decreto avesse mantenuto l’obiettivo della semplificazione normativa, avremmo un precedente cui appellarci sul piano del metodo.
Speriamo che dietro al formalismo non si celino troppi giochi di potere: homo homini lupus . E l’impressione è che almeno al ministero dei Trasporti siano ancora le alte burocrazie a governare.
Forse sarebbe stato più saggio ieri limitarsi alle misure sulla giustizia civile, che hanno potenzialmente un rilievo economico molto importante se sapranno davvero intervenire sugli arretrati, e rinviare le altre misure alla prima legge di Stabilità del Governo Renzi, nella quale confluiranno anche le norme sulle società partecipate.
Ci dirà qual è la strategia di politica economica di questo governo.
Tito Boeri
(da “La Repubblica”)
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Agosto 30th, 2014 Riccardo Fucile
ALTRA PROMESSA RIMANGIATA, NON CI SONO I TRE MILIARDI NECESSARI… PER 27.000 INSEGNANTI ADESSO LO STATO RISPARMIA OGNI ANNO DUE MENSILITA’ E PER ALTRI 42.000 NON PAGA L’ANZIANITA’…QUANTE DECINE DI MILIARDI LO STATO NEGLI ANNI HA SOTTRATTO AI DOCENTI ?
Il rinvio della riforma ha generato nel mondo della scuola delusione. E diffidenza.
Il timore è che dietro lo slittamento si nascondano difficoltà economiche.
A riguardo Matteo Renzi è stato categorico : «Nessun problema di coperture», ha smentito ieri in conferenza stampa.
Non è un mistero, però, che il nodo principale sia quello del costo del «pacchetto», in particolare del piano assunzioni da 100mila posti.
Sul tema non c’è ancora stato un confronto col Ministero dell’Economia. Il premier si è impegnato per un miliardo di euro, secondo i sindacati ce ne vogliono molti di più. Ma quanto costerebbe stabilizzare un precario, anzi 100mila precari?
Alla fine la domanda che attanaglia il governo è soprattutto questa.
Trovare una risposta precisa è molto difficile.
Un docente di ruolo di scuola secondaria superiore, al primo contratto a cattedra piena, guadagna circa 1.300 euro netti al mese (che diventano 1.900 lordi, tra Irpef e ritenute pensionistiche).
Un supplente di pari grado anche: sul piano salariale non ci sono differenze (nè possono esserci, come stabilisce la normativa europea). Eppure la stabilizzazione avrebbe un costo, anche abbastanza alto.
Innanzitutto perchè tutti i precari che vengono chiamati in servizio per completare l’organico di fatto (senza fare parte di quello di diritto) firmano un contratto fino al 30 giugno, e non al 31 agosto.
Nel 2014/2015 saranno circa 27mila in tutta Italia, e su di loro lo Stato risparmia già due mensilità .
Poi c’è il problema della ricostruzione di carriera.
Passato il primo anno di «prova», un insegnante matura un’anzianità che diventa fondamentale ai fini retributivi: la «scala» prevede sei «gradoni» in totale, con una differenza anche di 12mila euro l’anno fra il primo e l’ultimo.
Nelle pieghe di questo sistema risiede la vera discriminazione fra docenti di ruolo e precari: il supplente viene retribuito sempre col minimo contrattuale.
La situazione però cambia nel momento in cui viene stabilizzato: a quel punto ha diritto alla ricostruzione della carriera pregressa, e quindi ad essere assunto non all’interno del primo scalino, ma nel secondo, o magari addirittura nel terzo.
Lo stesso docente che prima prestava servizio per 20mila euro l’anno, dunque, da assunto potrebbe gravare sulle casse pubbliche per 24mila o 26mila euro.
E in questa casistica rientrerebbero in tanti, considerato l’alto numero di precari «storici» che da anni attendono un posto fisso in graduatoria, lavorando intanto da supplenti. Da tali variabili, moltiplicate per migliaia e migliaia di situazioni, nasce il costo della stabilizzazione.
Questo per quanto riguarda gli annuali, circa 42mila.
Poi si entra nella salva delle supplenze brevi, che il Ministero vorrebbe coprire con gli organici funzionali. E qui il discorso si complica ulteriormente: perchè si deve ragionare su spezzoni di cattedre e periodi frammentati.
Lo Stato ci spende già 600 milioni l’anno. Altra cosa sarebbe assumere un docente di ruolo (che va pagato tutti i mesi, ferie, festività e scatti compresi).
Nè sarebbe possibile reinvestire su questi contingenti tutte le risorse delle supplenze brevi, perchè — come sottolineano gli stessi dirigenti del Ministero — queste non potranno scomparire completamente.
C’è anche un precedente che svela le difficoltà dell’operazione.
Un paio d’anni fa l’ex ministro Carrozza aveva provato a stabilizzare i 14mila posti vacanti (quelli accumulatisi per mancato turnover).
Il Tesoro aveva dato l’ok, a patto che le assunzioni avvenissero a costo zero. E come soluzione si era pensato ad una modifica del contratto, innalzando il primo scatto a 11 anni di anzianità , proprio per farvi rientrare la maggior parte degli interessati dal provvedimento.
Ma l’ipotesi sarebbe stata irricevibile per i docenti (i cui stipendi sono già bloccati dal 2009), e non se ne fece nulla.
Adesso il governo ci riprova, ed è pronto a mettere risorse importanti sul tavolo. Quante di preciso lo si capirà nei prossimi mesi.
Ci sono tante variabili di cui tenere conto: al Ministero nelle ultime settimane hanno lavorato soprattutto su questo.
Ma il quadro resta complesso, come testimonia anche il rinvio deciso all’ultimo momento. «Aspettavamo dei numeri per ieri, aspetteremo ancora», commenta Rita Frigerio, della Cisl Scuola.
«Su una questione di tale importanza ci vuole chiarezza. Di certo un miliardo non basta. Almeno se si vuole fare tutto subito. Se invece l’intenzione è di spezzettare il piano il discorso cambia. Ma cambia anche il valore della riforma».
Lorenzo Vendemiale
(da “La Stampa”)
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Agosto 30th, 2014 Riccardo Fucile
A DESTRA TROPPE VISIONI, FRAMMENTAZIONI E DISTINGUO…OCCORRE UNA SINTESI E RIPARTIRE DA COMITATI TERRITORIALI DI BASE CHE GENERINO UN “TAVOLO DELLE IDEE”
Possiamo dipingerla come vogliamo ma il “sistema”, quello economico-affaristico, quello delle lobby di potere, anche straniere, alla fine ha vinto.
Dopo la sentenza della Corte Costituzionale sulla legge elettorale era giuridicamente palese come l’attuale legislatura non potesse in alcun modo arrogarsi una propria durata, una propria sopravvivenza, oltre il tempo strettamente necessario all’approvazione di una nuova legge elettorale: la “parola” doveva ritornare prestissimo al popolo.
Il Presidente della Repubblica avrebbe dovuto garantire il massimo rispetto di questo principio ma non l’ha fatto e non credo proprio che lo farà .
Il governatore Draghi, ogni tanto “manda chiari messaggi di fumo”: del resto ci sta mantenendo a galla, nonostante tutto. Gli input sono chiari. La legislatura deve durare fino al 2018: pseudo-stabilità , insomma.
Intanto è Stato di diritto, molto ma molto sbiadito…
L’equivoco fiorentino non ha molte armi e nemmeno qualità : è un imbonitore; il plastico prodotto della politica da hashtag.
A destra, invece, il nulla. Nessuna proposta. Nessuna personalità di spessore.
Alla fin fine è “politica del Nazareno”, quella di un patto per molti versi oscuro. Ma tant’è…
Berlusconi è troppo esperto e navigato per non avere contezza del fatto che una nuova fase costituente per il centrodestra sarebbe, non solo deleteria per sè, ma addirittura controproducente perchè potrebbe minare le basi di un patto comunque strumentale e benvoluto dai “poteri forti”.
In ogni caso, il giovanilismo avanza, a mani basse, e non sempre è di qualità purtroppo.
E’ vero che oggi si comunica sui social e con gli hashtag, ma il mezzo non dovrebbe mai tradire la sostanza, e questo non sempre avviene per la verità . Ed è cosa triste, tristissima, perchè la politica non è uno spot ma è soluzione dei problemi, visione del mondo, proposizione, anche critica all’occorrenza…
A noi altri resta poco da fare a patto che quel poco si faccia, però.
Destra, destra, destra… La si cita in continuazione.
Ognuno pare che ne sia l’esclusivo titolare anche se il concetto in sè è sempre più oscuro e indefinito. La vera destra… La destra che non c’è… La destra finiana. La destra storaciana. Quella liberale. Quella sociale.
Troppe visioni, troppe frammentazioni, troppi sterili distinguo.
Al “sistema” queste cose piacciono molto perchè è proprio nella frammentazione che esso rinviene la linfa per conservarsi sempre uguale a sè stesso.
Immaginiamo, invece, se anzicchè remare ognuno nel proprio fiumiciattolo, facessimo massa critica comune dando realmente vita ad una nuova fase di impegno culturale e pre-politico sul territorio declinando poche idee, pochi principi, ma chiari e senza distinguo sterili e fuorvianti.
Immaginiamo se il tutto avesse la forma non del partito politico ma del movimento strutturato con un sito internet quale piazza virtuale di “raccordo ed incontro” quotidiano
Semplici comitati territoriali nascenti nelle singole vie – composti dalla società civile (potrebbe anche trattarsi delle varie associazioni “a tema” già presenti sul territorio) – e semplici referenti di comitato.
Immaginiamo un semplice speaker nazionale per l’operatività di sintesi e di proposizione ad ampio raggio.
Un movimento pre-politico-culturale nascente dal basso, insomma, sulla scorta di un “tavolo per le idee”: quella sì che sarebbe “rivoluzione”, e sarebbe la rivoluzione delle idee e delle proposte, non certo quella della mera rottura fine a sè stessa.
Il contrario di quanto posto in essere dal M5S, tanto per intenderci, perchè la vera mutatio non la consuma l’abbattimento violento della realtà ma la sua pregnante trasformazione dall’interno: un piccolo mondo di idee incendiarie — come “arma” – unito alla coerenza, alla pazienza ed alla capacità di non mollare mai — come strategia metodologica, insomma – dandosi il senso dell’impresa titanica di sostanza, quella del ritorno alla militanza attiva ed organica, sinergica, nelle vie della città e sui social, in rete, ovunque…
La società civile ha voglia reale di “contare”, anzi, sarà proprio la società civile ad esprimere i nuovi leader, disegnando il futuro da propugnare: non capire questo vuol dire essere fuori dalla storia.
Una sintesi ad esempio diventa contenutisticamente necessaria: quella tra destra sociale e destra liberale. Sintesi necessaria, proprio per togliere linfa al sistema… Personalmente declino l’idea della Destra Liberale per conservarne la dimensione, per portare avanti l’idea culturale e metodologica di una destra che sappia davvero essere meritocratica — nella sfumatura “thatcheriana”, tanto per intenderci – anche se sarei ben felice di andare oltre pervenendo ad una sintesi programmatico-valoriale di un movimento ad ampio respiro…
Per la verità mi capita spesso di parlarne. Quando affermo di essere un liberale noto ritrosia. Poi, però, nel ragionare con l’interlocutore di turno, va sempre a finire che me lo ritrovo seduto di fianco, pronto sostenitore. piccola magia.
Il fatto è che senza spiegarsi, senza ascoltarsi, senza confrontarsi, si finisce col restare solo distanti.
Il nostro paese, ad esempio, ha sempre conosciuto l’assistenzialismo.
Non è un “male assoluto”, anzi, ma il “modus” va modificato. Immaginiamo di continuare ad affermare il principio a condizione che “l’assistito” sia disponibile a mettere a disposizione della collettività le proprie energie per scopi di pubblica utilità sulla scorta di “rapporto di messa a disposizione pubblica” che duri l’intero periodo “d’assistenza”.
“Dipingiamo” quel rapporto come una relazione che, lungi dall’inquadrarsi come rapporto di lavoro, realizzi quel do ut des che è l’essenza di qualsivoglia rapporto giuridico sinallagmatico e, quindi, a prestazioni corrispettive.
Immaginiamo, poi, lo Stato o gli Enti pubblici comunque preposti, mettano gli “assistiti” a disposizione di imprese operanti in convenzione o degli stessi Enti locali – col solo onere della stipula di una copertura assicurativa per l’ipotesi di danni o infortuni — per attività di recupero del patrimonio paesaggistico o culturale, o di solidarietà sociale o a rilevanza comunque sociale (anche spazzare le strade ha una vocazione del genere, per esempio)…
“Solidarietà meritocratica”.. un piccolo principio rivoluzionario, perchè una cosa è la solidarietà che si deve agli ammalati o agli invalidi civili, ben altra cosa è quella che si deve a chi ha perso il lavoro o a chi non è mai riuscito a trovarne uno, o a chi ha deciso di mettersi in ascetica attesa che qualcosa accada dall’alto…
Frammenti, pensieri, piccole cose, insomma…
La verità è che “a destra”, non ci sono “praterie” da conquistare ma “solo” cuori da riappassionare e da far ritornare a battere, ad iniziare dai nostri, per quella speranza da vivere nel presente ma anche da “lanciare” verso il futuro per lasciarla in dote, concreta e viva, anche a chi verrà dopo…
E per poterlo fare bisognerà darsi un metodo culturalmente diverso, incendiario, democraticamente rivoluzionario.
Il resto sono soltanto chiacchiere, quelle “chiacchiere” che il sistema adora.
Salvatore Totò Castello
Right BLU — La Destra Liberale
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Agosto 30th, 2014 Riccardo Fucile
E’ IL VALORE ANNUO DI TRANSAZIONI ILLECITE, TRAFFICO DI ARMI, RICICLAGGIO E CONTRABBANDO… BOOM DI SEGNALAZIONI ALLA BANCA D’ITALIA, IN TESTA LOMBARDIA E LAZIO
Operazioni finanziarie illecite, riciclaggio, traffico di armi, contrabbando, sfruttamento della prostituzione: l’economia criminale è l’unica a non aver risentito della crisi.
Secondo una stima della Cgia, è un giro d’affari che in Italia vale 170 miliardi di euro l’anno e negli ultimi cinque anni è aumentato del 212%.
«La stima del valore economico prodotto dalle attività criminali – dichiara il segretario della Cgia, Giuseppe Bortolussi – è il frutto di una nostra elaborazione realizzata su dati della Banca d’Italia. Va ricordato, in base alle definizioni stabilite dall’Ocse, che i dati prodotti dall’Istituto di via Nazionale non includono i reati violenti come furti, rapine, usura ed estorsioni».
Si parla di «transazioni illecite concordate tra il venditore e l’acquirente»: contrabbando, traffico di armi, smaltimento illegale di rifiuti, gioco d’azzardo, ricettazione, prostituzione e traffico di stupefacenti.
Attività criminali che fruttano 170 miliardi di euro l’anno, «l’equivalente del Pil di una regione come il Lazio» precisa Bortolussi.
La conferma dell’escalation del giro d’affari in capo alle organizzazioni criminali emerge anche dal numero di segnalazioni pervenute in questi ultimi anni all’Unità di informazione finanziaria (Uif) della Banca d’Italia: si tratta delle operazioni giudicate sospette e segnalate alla Uif, da parte di intermediari finanziari, nella maggior parte dei casi banche (80%), ma anche uffici postali, assicurazioni, società finanziarie.
Tra il 2009 ed il 2013 queste segnalazioni sono aumentate di quasi il 212 per cento: se nel 2009 erano 20.660, nel 2013 hanno raggiunto quota 64.415, anche se va detto che il livello record è stato toccato nel 2012, con 66.855 segnalazioni.
Ricevute le segnalazioni, la Uif avvia approfondimenti sulle operazioni sospette e le trasmette, arricchite dell’analisi finanziaria, al Nucleo speciale di polizia valutaria della Guardia di finanza (Nspv) e alla Direzione investigativa antimafia (Dia).
Solo nel caso le segnalazioni siano ritenute infondate, la Uif le archivia.
«Ovviamente – prosegue Bortolussi – le organizzazioni criminali hanno la necessità di reinvestire i proventi delle loro attività illecite nell’economia legale. E il boom di denunce avvenute tra il 2009 e il 2013 è un segnale molto preoccupante. Pur non conoscendo il numero delle segnalazioni archiviate dalla Uif e nemmeno la dimensione economica di quelle che sono state successivamente prese in esame dalla DIA e dalla Polizia Valutaria, abbiamo il forte sospetto che l’aumento delle segnalazioni registrato in questi ultimi anni ci dimostri che questa parte dell’economia nazionale è l’unica che non ha risentito della crisi».
L’analisi condotta dall’ufficio studi della Cgia è riuscita a «mappare» il numero delle segnalazioni di riciclaggio avvenute nel 2013 anche a livello regionale.
Le Regioni più colpite sono state la Lombardia (11.575), il Lazio (9.188), la Campania (7.174), il Veneto (4.959) e l’Emilia Romagna (4.947).
Quasi il 60 per cento delle segnalazioni registrate a livello nazionale è concentrato in queste cinque Regioni. In riferimento ai dati regionali, fa sapere l’Ufficio studi della Cgia, oltre alle segnalazioni di riciclaggio sono incluse anche quelle relative al finanziamento del terrorismo e dei programmi di proliferazione di armi di distruzione di massa.
Tuttavia, il numero riferito a queste ultime due aree è statisticamente molto contenuto: nel 2013 è stato pari a 186.
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Agosto 30th, 2014 Riccardo Fucile
FIRENZE, A CASA 60 DIPENDENTI NEGLI ULTIMI SEI MESI.. OGGI LO SCIOPERO DEI DIPENDENTI: “FARINETTI SANTONE? NO, SQUALO CAPITALISTA”
Da 120 dipendenti a meno della metà in appena otto mesi. No, non è un piano messo in atto da Sergio Marchionne per rilanciare la Fca che inchioderà al tavolo per mesi i sindacati a discutere. No. È quanto già accaduto a Eataly Firenze, senza neanche disturbare Cgil, Cisl e Uil perchè i contratti in questione erano di quelli atipici, senza garanzie, e la rappresentanza sindacale lì dentro non c’è.
Solo nell’ultimo mese, 13 lavoratori del supermercato di lusso sono stati lasciati a casa. E così gli “schiavi”, come si definiscono, hanno deciso di rispolverare i vecchi metodi di lotta: sciopero e picchetti. Per 48 ore.
Da questa mattina e per tutta la domenica. Certo a incrociare le braccia saranno in pochi, per timore delle possibili ritorsioni, ma quelli che sono stati già lasciati a casa (e sono ormai quasi la maggioranza) si presenteranno fuori dal negozio a protestare e illustrare a chi si avvicina quali sono le condizioni di lavoro nel meraviglioso mondo Eataly.
Il negozio ha aperto nel dicembre 2013. Dei 120 dipendenti iniziali, una dozzina avevano contratti a tempo indeterminato, gli altri sono stati reclutati attraverso due società interinali, Openjob e Adecco.
Al rinnovo dopo il primo mese ai “dipendenti” viene proposto un part time da 20, 24 o 30 ore, che però in realtà è un full time: la fascia oraria prevista è dalle ore zero alle 24, da lunedì alla domenica.
Le paghe? Dai 6 agli 8 euro lordi orari. Gli stipendi variano in media tra 600 e i 1.000 euro.
Dopo quattro o sei mesi il contratto scade di nuovo. E a giugno iniziano i problemi. Molti non vengono rinnovati. L’azienda inizia a tagliare.
Sulla bacheca appare un avviso con cui Eataly riduce l’acqua ai dipendenti e comunica loro che hanno a disposizione una bottiglietta da mezzo litro al giorno.
Sull’avviso qualcuno scrive: “Siete degli schiavisti”. Q
uel ‘siete’ è Eataly ed Eataly è Natale Farinetti detto Oscar, grande sostenitore e amico del premier Matteo Renzi, che aveva intenzione di nominarlo ministro del suo esecutivo.
Farinetti è “uno di quelli che ci indica la strada”, per usare le parole precise pronunciate da Renzi per presentare Farinetti alla Leopolda 2013.
Ma aveva già partecipato a quella del 2012. E distribuito ricette. Non di cibo ma di riforma del lavoro.
“Governo e parti sociali devono trovare un accordo più profondo per il futuro del Paese: mettere in condizione chi fa impresa di poter arricchire l’azienda e i collaboratori e di potersi liberare di chi non ha voglia di lavorare”, dice al Corriere della Sera nell’ottobre 2012.
Al Fatto Quotidiano che aveva sollevato il problema delle forme contrattuali adottate nei suoi supermercati, garantì: “Entro due anni assumiamo tutti, abbiamo dato lavoro a tremila persone”. Era il dicembre 2013.
A Firenze ne sono rimaste una sessantina. All’ingresso, però, come in tutti i santuari del buon cibo sparsi in Italia, è appeso il “Manifesto dell’armonia di Eataly”, redatto di suo pugno da Farinetti. Una sorta di decalogo motivazionale.
“Il primo modo per stare in armonia con le persone è saper ascoltare cercando spunti per cambiare o migliorare le proprie idee”, recita il punto due.
“Il denaro può allontanare dall’armonia. Bisogna avere sempre ben presente che il denaro è un mezzo e non un fine. Deve essere meritato”, si legge al punto tre.
Ma allora, si chiedono i lavoratori di Eataly, perchè l’azienda non ha mai accettato di incontrare i dipendenti?
E perchè se il denaro non è così importante le paghe sono minime?
Risposte che cercano di avere con lo sciopero di oggi e domani. Intanto hanno ricevuto il sostegno dei Cobas e la solidarietà dell’unica opposizione presente a Palazzo Vecchio: i consiglieri Tommaso Grassi, Giacomo Trombi e Donella Verdi.
“È il nuovo modello renziano di azienda: costruire un impero, aprire negozi a ripetizione, tutto a spese della collettività e dei dipendenti che hanno contratti da fame”, ha detto Grassi ieri annunciando che sarà presente al presidio davanti Eataly. Infine è arrivata la Cgil cittadina che ha bollato come “inaccettabile che si viva solo di interinale” e ha proposto a Farinetti di avviare un tavolo.
Ma intanto i contratti scadono. Non è mica Marchionne.
Davide Vecchi
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Agosto 30th, 2014 Riccardo Fucile
MARIO RENZI BOCCIA IL PREMIER: “SONO DELUSO DA LUI E DAL SUO GOVERNO. LA RIFORMA DELLA P.A.? E’ UNA PUTTANATA”… “GLI 80 EURO? GLI SONO SERVITI PER VINCERE LE ELEZIONI”
“Diciamo che nei primi 6-7 mesi le poteva azzeccare di più. Sono molto deluso da Matteo e dal suo governo”.
Un gufo in famiglia per il premier. Dopo i dati economici sempre più negativi e la poca efficacia delle prime riforme del suo governo, Matteo Renzi deve fare i conti con le critiche crescenti.
Critiche che arrivano anche dalla sua cerchia familiare.
Il cugino del premier, Mario Renzi, infatti non usa mezzi termini per definire la riforma della Pubblica amministrazione : “Quella l’è ‘na put….a”.
Intervistato dal Fatto Quotidiano, il parente del presidente del Consiglio boccia il dl Madia.
Lui, Mario, fa il sindacalista di mestiere (segretario generale della Uil Toscana, settore Pa): “Matteo avrebbe potuto invertire la rotta. Ma appena è arrivato si è adeguato allo spoil system e spartito incarichi come tutti i suoi predecessori.
La riforma della Pa è un’opera scenica. Gli effetti concreti sono zero”.
Il cugino di Renzi ci va giù pesante sul testo di legge: “E’ un provvedimento senza significato, senza senso: non incide sui problemi e non responsabilizza la dirigenza. Ha fatto un annuncio, tra un anno avremo la stessa identica Pa “.
E sulla riforma del lavoro? “Di lavoro ha solo il nome – dice Mario – forse qualche sfumatura, ma sfumatura proprio”.
Bocciatura senza appello quindi: “Imprese e lavoratori avevano altre necessità , reali. Lo sanno bene i suoi ministri e so che in cuor suo lo pensa anche lui: quel decreto non serve a nulla”.
Ma alcuni pregi nel cugino premier, Mario Renzi li trova: “Matteo non l’è mica così bischero da credere che gli 80 euro avrebbero risolto i problemi del Paese. Sapeva benissimo che ci vinceva le elezioni, e così è stato”
(da “Huffingtonpost”)
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Agosto 30th, 2014 Riccardo Fucile
LE CONFESSIONI DEL CAPO DEI CAPI: “AI CATANESI DICEVO: SE NON PAGA BRUCIATEGLI LA STANDA. SALDAVA OGNI SEI MESI”
Berlusconi? “… si è ritrovato con queste cose là sotto, è venuto, ha mandato là sotto a uno, si è messo d’accordo, ha mandato i soldi a colpo, a colpo, ci siamo accordati con i soldi e a colpo li ho incassati”.
Quanti soldi? “A noialtri ci dava 250 milioni ogni sei mesi”.
Parola di Totò Riina, che il 22 agosto dello scorso anno nell’ora d’aria nel carcere di Opera smette di parlare di Berlusconi in termini politici, generici o rancorosi (“È un buffone”) e racconta al co-detenuto Alberto Lorusso la sua verità sul rapporto tra l’ex presidente del Consiglio e Cosa Nostra fin dagli anni 80, ormai consacrato in una sentenza della Cassazione: il pagamento di un “pizzo” milionario a fronte di un patto per ottenere reciproci e futuri vantaggi.
La conversazione depositata agli atti del processo per la trattativa Stato-mafia, parte dalla sorte giudiziaria di Berlusconi, in bilico in quei giorni di agosto dell’anno scorso, e il discorso cade subito sulle somme versate dall’imprenditore milanese ai boss palermitani e sulle analoghe richieste provenienti dai catanesi.
Era la fine degli anni 80, e partendo dalle rivelazioni di un testimone oculare, Salvatore Cancemi, i giudici hanno accertato che dal 1989 era Pietro Di Napoli, uomo d’onore della famiglia di Malaspina, a ricevere da Dell’Utri le somme di denaro per poi “girarle” a Raffaele Ganci, reggente del mandamento della Noce (cui fa capo la famiglia di Malaspina), e infine al destinatario ultimo delle somme, Totò Riina.
Che il 22 agosto dell’anno scorso rivela a Lorusso: “I catanesi dicono, ma vedi di… — dice il capo dei capi —. Non ha le Stande, gli ho detto, da noi qui ha pagato. Così, così li ho messi sotto, gli hanno dato fuoco alla Standa. Minchia, aveva tutte le Stande della Sicilia, tutte le Stande erano di lui. Gli ho detto: bruciagli la Standa. A noialtri ci dava 250 milioni ogni sei mesi, 250 milioni ogni sei mesi”.
Dal capo di Cosa Nostra arriva dunque la conferma delle parole del pentito Salvatore Cancemi, che per primo parlò della consegna del denaro proveniente da Milano: “Sicuramente più volte… due, tre volte io ero presente — ha detto Cancemi —. Lui (Di Napoli, ndr) veniva in via Lancia di Brolo, proprio con un pacchettino in un sacchetto di plastica e ci diceva: ‘Raffaele, questi i soldi delle antenne’, e loro poi… Raffaele Ganci questi soldi li metteva da parte, da parte nel senso che non li portava subito a Riina, diciamo per questa minima cosa andare a disturbare Riina… Appena il primo appuntamento, che c’era il primo incontro con Riina, ce li portava e capitava… è capitato più volte che c’ero anch’io… e ci diceva: ‘Zu’ Totuccio, questi sono… Pierino ha portato i soldi delle antenne’”.
Il racconto si fa dettagliato anche nella conversazione di Riina con Lorusso del 22 agosto: “È venuto il palermitano — continua Riina — mandò a lui, è sceso il palermitano, ha parlato con uno… si è messo d’accordo… dice, vi mando i soldi con un altro palermitano, c’era quello a Milano. Là c’era questo e gli dava i soldi ogni sei mesi a questo palermitano. Era amico di quello… il senatore”.
E a questo punto Riina chiede: “Il senatore si è dimesso? ”.
“Sì, sì”, risponde Lorusso.
La replica è un attestato di stima per Marcello Dell’Utri: “È una persona seria”, dice il boss che di Berlusconi sembra non nutrire la stessa considerazione.
“È un buffone”, aveva detto sempre a Lorusso nella conversazione del 6 agosto 2013, dopo che il detenuto pugliese lo aveva informato che a Roma “stanno vedendo come fare per salvarlo”.
Giuseppe Lo Bianco
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Agosto 30th, 2014 Riccardo Fucile
MILLE RIFORME, POCHI DECRETI E QUASI ZERO EURO
Si capisce che non è il momento migliore per Matteo Renzi, da centravanti di sfondamento deve improvvisarsi mediano, difendere invece che attaccare.
E gli costa fatica. “Il carretto passava e quell’uomo gridava gelati, al 21 del mese i nostri soldi erano già finiti”.
Lucio Battisti, I giardini di marzo, offre la sintesi della giornata politica
CREMA&LIMONE.
Cortile interno di Palazzo Chigi: Matteo Renzi scende al termine del Consiglio dei ministri e c’è un gelataio della catena Grom con apposito carretto.
Un cono crema e limone per rispondere all’Economist che ha ritratto il premier sulla barca di carta dell’economia europea mentre fissa il vuoto e tiene un gelato in mano.
“Il gelato artigianale è buono, non ci offendiamo per le critiche, perchè facciamo un lavoro serio”, il premier lecca e offre ai giornalisti di condividere (non succede), abbronzato dopo le vacanze a Forte dei Marmi, ma ancora un po’ appesantito nonostante il tennis pomeridiano. Poi conferenza stampa.
PASSODOPOPASSO
Ormai ci vuole un dizionario per orientarsi nella propaganda governativa: Renzi presenta una nuova serie di slide, nome in codice “passodopopasso” che servono a indicare la traccia del “programma dei mille giorni” che verrà presentato in un’altra conferenza stampa e servirà a dare sostanza alla promessa di “cambiare verso” all’Italia.
Tutto questo si sostanzia in una serie di provvedimenti, qualche decreto e molti disegni di legge delega dai tempi lunghi, testi — come sempre — non se ne possono leggere, bisogna affidarsi alla trasmissione orale delle promesse.
Che sono, ovviamente, tantissime. Ma per una volta non trasmettono la consueta frenesia renziana, bensì un po’ di affanno.
“Tanta roba”, dice l’ex sindaco di Firenze con una delle espressioni più à la page del vocabolario renziano, ma non ci crede neppure lui.
I SOLDI.
Quanto vale il decreto sblocca Italia? Non si sa.
“Zero”, dice il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, riferendosi all’impatto netto sulla finanza pubblica.
Renzi aveva promesso di “sbloccare” 43 miliardi di euro per le opere pubbliche. A sentire il ministro delle Infrastrutture Maurizio Lupi, ce ne sono giusto 3,8. Soldi che già c’erano e che cambiano destinazione.
Il premier prova a riassumere: il decreto Sblocca Italia “tenta di risolvere e anticipare una serie di problemi burocratici che si sono creati”. Sbadigli in sala.
LA MINISTRA.
Renzi sa che giornali e tg si eccitano per i numeroni e le grandi riforme, questa volta non ne ha da offrire e quindi snocciola elenchi di misure che sembrano più da amministratore di condominio che da presidente del Consiglio.
Il colpo doveva essere la riforma della scuola, ma il ministro dell’Istruzione Stefania Giannini ha rubato i titoli dei giornali al premier, anticipandone i contenuti.
Risultato? Niente riforma. “Si farà mercoledì”, dice Renzi che si riappropria del dossier e anticipa che “non ci sarà la stabilizzazione dei precati”, ma un misto di posti per chi è in graduatoria combinato con la valutazione della performance. Vedremo.
Di giustizia Renzi non vuole parlare troppo: si capisce che la considera una fastidiosa eredità della Seconda repubblica segnata dai guai di Silvio Berlusconi.
Al premier piace presentare la riforma della giustizia civile, “dimezzeremo i processi”. Il resto lo lascia al Guardasigilli Andrea Orlando
80 EURO SBIADITI.
La deflazione, la recessione, i consumi che continuano a crollare. Anche sull’unica misura importante del suo governo, il bonus Irpef da 80 euro al mese per i redditi bassi, Renzi deve giocare in difesa, parare critiche di aver speso male 6,6 miliardi e di prepararsi a buttarne 10 all’anno con la legge di Stabilità .
“Apprezzo chi mi contesta sugli 80 euro perchè dimostra d avere un’altra filosofia, un’altra idea dell’Italia. Noi il bonus lo confermeremo”.
Traduzione: io taglio le tasse ai dipendenti, mentre gli economisti, Forza Italia e la Confindustria vorrebbero usare quei soldi a favore delle imprese (il Pil salirebbe, ma non i voti al Pd).
MOGHERINI FOREVER.
Renzi elenca la lunga teoria di vertici domestici e internazionali che lo attendono. Ma soltanto uno gli interessa davvero: quello di oggi a Bruxelles, il Consiglio europeo che ratificherà la nomina di Federica Mogherini, oggi ministro degli Esteri, ad alto rappresentante per la politica estera dell’Unione.
Il premier si è impuntato, si è giocato la reputazione su una nomina di prestigio e — nonostante una vasta opposizione di giornali e governi — dovrebbe vincere.
Questa notte, quando arriverà in conferenza stampa a Bruxelles, Renzi confida di tornare ai toni trionfalistici che gli sono più consoni.
Stefano Feltri
(da “il Fatto Quotidiano”)
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