Agosto 6th, 2014 Riccardo Fucile
IERI SI ERA SALVATO PER DUE VOTI, OGGI CAPITOLA: CON IL VOTO SEGRETO IL GOVERNO NON REGGE
La riforma del Senato corre verso il primo sì.
Ma se in giornata la maggioranza aveva approvato un articolo dopo l’altro senza particolari ostacoli, in serata il governo è andato sotto su un emendamento presentato da Sel sul quale la Lega Nord aveva ottenuto il voto segreto.
Si tratta della modifica numero 30.123, prima firmataria Loredana De Petris, sull’articolo 30 del ddl riforme che modifica il Titolo V.
L’emendamento, approvato con 5 voti di scarto (140 sì, 135 no), introduce nella Costituzione la competenza delle Regioni sulle materie che riguardano la “rappresentanza in Parlamento delle minoranze linguistiche“.
L’accaduto sottolinea una particolare debolezza del governo nei casi di voto non palese: il 31 luglio l’esecutivo aveva dovuto ingoiare un ko su un emendamento, a firma del senatore della Lega Stefano Candiani, che assegna al nuovo Senato la possibilità di legiferare su alcune materie «eticamente sensibili» come bio-testamento, matrimonio e diritti civili.
E un grosso rischio l’esecutivo lo aveva corso anche ieri, quando l’Aula si era trovata a votare un emendamento firmato da Felice Casson (Pd) che avrebbe mantenuto tra i poteri del Senato quello di votare amnistia e indulto (che invece saranno materia solo della Camera): è finita 143 a 141, con il governo a un passo da un ko ancora una vota propiziato dal voto segreto.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Agosto 6th, 2014 Riccardo Fucile
CHI DAL 2008 PREVEDE LA RIPRESA O E’ UN INCOMPETENTE O UN IMBROGLIONE
Alla fine anche l’Istat certifica ciò che la maggioranza della popolazione italiana vive direttamente ogni santo giorno: la crisi si aggrava e la recessione avanza.
Il dato economico della nuova caduta del PIL è pesantissimo, molto più grave di quanto la solita informazione di regime cercherà di presentare per minimizzare.
Il segno negativo giunge alla fine di una caduta economica che dura sostanzialmente dal 2008, dunque è peggio che nella terribile crisi del 1929.
Ulteriore aggravante è il fatto che tutte le previsioni e i programmi economici del governo parlavano di ripresa.
Qui c’è da stendere un velo pietoso su economisti e presunti tecnici di palazzo.
È dal 2008 che prevedono la ripresa senza prenderci neppure per sbaglio, o sono particolarmente incompetenti o particolarmente imbroglioni, o tutte e due le cose assieme come spesso capita.
Ma la cosa che dovrebbe suscitare indignazione e scandalo è il fatto che mentre tutto ciò avviene Renzi e i suoi mettono tutte le loro forze al servizio della non eleggibilità del futuro Senato.
Qui siamo alla cialtroneria diventata sistema di governo.
Nel passato si erano cominciati a conteggiare i costi per il paese di venti anni di berlusconismo. Anche tenendo conto del fatto che nella metà di quei venti anni ha governato un centrosinistra totalmente subalterno al Cavaliere, quel conteggio ci stava.
Ma ora con la benedizione del capo storico della destra Renzi governa e lancia quelle riforme che il suo ventennale predecessore ha sempre auspicato.
E la crisi si aggrava perchè le politiche economiche son sempre le stesse ed i risultati negativi pure. Berlusconi aveva alzato a 500 euro le pensioni minime, Renzi ha dato 80 euro a una parte dei lavoratori dipendenti, le loro risposte a chi li ha criticati sono state le stesse: voi non capite la gente è contenta.
No, sono loro che sono ottusi e non capiscono che redistribuire qualche soldo mentre non si fa nulla per ridurre la disoccupazione di massa, mentre l’impoverimento complessivo cresce, significa spargere acqua nel deserto.
Acqua che magari dura il tempo necessario per vincere una elezione, ma poi sparisce lasciando tutti più assetati di prima.
Naturalmente i danni Renzi e Berlusconi non li han provocati da soli.
Con loro c’è tutto un establishment politico economico e intellettuale che sostiene le politiche liberiste, da venti anni spiegando che se esse non hanno successo è perchè si è stati poco coraggiosi nel realizzarle.
Così mentre la politica economica reale è sempre la stessa da decenni, Berlusconi prima e Renzi poi si sono assunti il ruolo di organizzare la distrazione di massa, di imbrogliare il paese facendo credere, almeno alla sua maggioranza, che le loro riforme cambierebbero le cose.
Mentre in realtà servono solo a costruire una cappa di autoritarismo che tuteli la pura continuità nelle decisioni che contano.
Sì a Berlusconi e a Renzi bisognerebbe chiedere i danni, ma in realtà la maggioranza degli italiani li dovrebbe chiedere a sè stessa per aver creduto in loro, se non fosse che questi danni la maggioranza del paese già li paga in continuazione.
E continuerà a farlo fino a che non ci si libererà delle politiche di austerità e degli imbroglioni che le realizzano parlando d’altro.
Giorgio Cremaschi
ex segretario nazionale Fiom
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Agosto 6th, 2014 Riccardo Fucile
IL DOCENTE ALL’UNIVERSITA’ DI PAVIA: “RENZI VUOLE CREARE OTTIMISMO SENZA DIRE DOVE PRENDERE I SOLDI”… “OCCORRONO RIFORME DEL LAVORO, DELLA GIUSTIZIA E DELLA P.A., MA ANCHE IL PAGAMENTO DEI DEBITI DEGLI ENTI PUBBLICI E UN TAGLIO DELL’IRAP”
Matteo Renzi? “Ha la fortuna dalla sua, e questa è una grande qualità per un politico”, sentenziava Silvio Berlusconi a fine luglio in un’intervista al settimanale Oggi.
I dati, deludenti, sull’andamento del Pil (forchetta tra -0,1% e +0,3%) e sulla produzione industriale (a maggio -1,2% rispetto all’aprile 2014 e -1,8% rispetto al maggio 2013) erano già arrivati, ma l’ottimismo profuso a piene mani dal premier era riuscito a tener lontano gli spettri che già si intravedevano all’orizzonte.
Il verdetto emesso oggi dall’Istat (nel secondo trimestre il Pil è calato dello 0,2%), ha certificato che l’Italia è rimpiombata in recessione e ha risvegliato tutti dal sogno: per guidare un Paese la fortuna non basta.
”Il governo ha posto una forte enfasi sulle riforme istituzionali, tralasciando le quelle di carattere economico — spiega Riccardo Puglisi, ricercatore di Economia Politica e docente di Analisi delle scelte pubbliche all’università di Pavia, ma anche editorialista del Corriere della Sera — che invece avrebbero potuto aiutare l’Italia ad evitare una nuova fase recessiva”.
La lista è lunga e corrisponde in gran parte all’elenco dei compiti a casa che l’Europa chiede da anni e che l’Italia non fa o svolge a rilento.
“Il problema principale di questo paese è la disoccupazione, su quella il governo doveva intervenire per tempo e invece non l’ha fatto — continua Puglisi — le faccio l’esempio del Jobs Act: il testo presentato in origine era molto diverso da quello uscito dalla conversione del decreto legge Poletti, in cui la parte che riguardava i contratti a tempo determinato è stata annacquata. In questo modo la flessibilità è diminuita e, al contempo, il contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti studiato da Pietro Ichino è svanito nel nulla perchè avversato dalla Cgil, bloccato dall’ambiguità di fondo di questo Pd dall’anima ‘camussiana-renziana’. Una flessibilità buona, garantita cioè da un sistema efficiente di tutele e ammortizzatori sociali, avrebbe potuto aiutare a far ripartire le assunzioni”.
Una strada che poteva essere intrapresa anche partendo dal bivio del taglio al cuneo fiscale.
“Prenda il bonus di 80 euro: va benissimo dare alle persone un reddito aggiuntivo, per quanto piccolo: il problema è che non esiste la certezza che questi soldi saranno reinvestiti e reimmessi nell’economia. Ed è ancor meno certo che la gente comprerà principalmente prodotti italiani. Gli annunci non contano, non sta nè in cielo nè in terra quello che un paio di mesi fa Pina Picierno, del Pd, annunciò agli italiani a Otto e Mezzo: secondo lei, con gli 80 euro di Renzi i consumi sarebbero aumentati del 15%: nulla di più falso“.
La strada migliore per Puglisi, sarebbe stata quella di tagliare il costo del lavoro: “Certo, perchè se tagli l’Irap inneschi un circolo virtuoso: il lavoro costa meno, di conseguenza costa meno produrre, i prezzi dei prodotti scendono e si esporta più facilmente, le aziende si rafforzano e possono ricominciare ad investire e ad assumere. Recenti studi hanno dimostrato che l’Irap pesa maggiormente sulle imprese che hanno un fatturato inferiore ai 20 milioni di euro, quindi le aziende piccole che costituiscono il tessuto produttivo del paese. Ma qui c’è un altro problema”.
Quale? “Quel piccolo taglio dell’Irap del 5% che il governo ha fatto è stato finanziato aumentando le aliquote su dividendi e interessi. Questo purtroppo è il metodo Padoan: tagliare le tasse da una parte e alzarle dall’altra”.
La doccia fredda dell’Istat è arrivata dopo mesi di battaglia sulla riforma del Senato e sulla legge elettorale, intervallati da una pletora di provvedimenti economici il cui iter solo in alcuni casi è andato oltre lo stadio dell’annuncio iniziale: “E’ il caso della riforma della Pubblica amministrazione, la cui efficienza è un fattore importante nella competitività delle imprese ma che è stata affrontata con una timidezza estrema — spiega ancora Puglisi — il modus operandi del governo Renzi è molto simile a quello adottato ai suoi tempi da Giulio Tremonti e si basa essenzialmente sul cosiddetto expectation management: gestire quella che è la percezione dei provvedimenti da parte dell’opinione pubblica nel tentativo di creare ottimismo. In linea di principio non è sbagliato: il problema è che le coperture non sono mai state chiare”.
Le risorse, secondo Puglisi, che fa parte del team di esperti del commissario alla spending review Carlo Cottarelli, potevano essere trovate intervenendo sulla spesa pubblica: “Anche se in una prima fase i tagli avrebbero avuto un effetto recessivo, i fondi recuperati potevano essere usate per finanziare il taglio delle imposte e dare fiato all’economia privata”.
Anche il pagamento dei debiti della P.A. (per il quale Bruxelles il 19 giugno ha aperto contro l’Italia una procedura d’infrazione dopo una lunga serie di avvertimenti) avrebbe aiutato: tra il 24 febbraio al Senato e il giorno successivo a Ballarò il premier annunciava “lo sblocco totale, non parziale” di 60 miliardi; il 13 marzo prometteva a Bruno Vespa a Porta a Porta che non si andrà oltre il 21 settembre.
“Aveva iniziato Monti nel 2012, Renzi qualcosa ha fatto ma non abbastanza — continua Puglisi — se lo Stato è esigente nel richiedere ai contribuenti, dovrebbe essere in egual misure efficiente nel pagare i suoi debiti: quei miliardi che mancano nei conti delle aziende le avrebbero aiutate ad avere risorse da investire“.
Poi ci sono riforme che non hanno a che fare con tassazioni, bonus e tagli ma che avrebbero un effetto sull’andamento dell’economia.
“La corruzione ha un costo altissimo sulla competitività perchè induce le imprese, specie quelle straniere, a non investire”.
Di nuovo, l’Unione Europea ci tiene il fiato sul collo. L’ultimo richiamo è del 5 marzo: “L’alto livello di corruzione riduce l’efficienza nell’uso delle risorse nell’economia”, sentenziava Bruxelles. E il 3 febbraio la Commissione Ue aveva sottolineato l’inadeguatezza della legge approvata nel 2012. Il ddl anti-corruzione, però, giace inerte in Senato.
Analogo il discorso sulla giustizia: i contenuti della riforma del ministro Orlando stanno venendo pian piano fuori nelle ultime settimane, ma il problema è vecchio di decenni e neanche Matteo Renzi l’ha ancora affrontato compiutamente: “La lunghezza delle cause civili è uno dei fattori che inducono le aziende straniere a non investire in Italia”, conclude Puglisi.
Ma anche questa riforma è stata superata nell’agenda del governo dalla riforma del Titolo V della Costituzione e dall’Italicum.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Agosto 6th, 2014 Riccardo Fucile
LE PRIORITA’ NON SONO IL SENATO MA LA RIFORMA DEL LAVORO E DELLA GIUSTIZIA CIVILE
Il Wall Street Journal avverte il premier Matteo Renzi: “A meno che non siano approvate le riforme economiche, ci saranno pochi motivi per essere ottimisti”.
Nel giorno in cui i dati diffusi dall’Istat certificano la recessione italiana, Richard Barley, dalla testata economica statunitense ricorda la gerarchia delle riforme italiane per uscire da una congiuntura negativa. In primis riforma del Lavoro e riforma della Giustizia (civile).
L’agenda del governo invece ha messo in testa il nodo delle riforme costituzionali.
Secondo il Wsj Renzi “ha parlato molto di come trasformare l’Italia” e l’ampio consenso popolare delle europee “ha mostrato” che il premier avrebbe un buono spazio di manovra per agire in modo incisivo.
Tuttavia finora “sono stati compiuti solo piccoli progressi” rispetto alle due riforme “vitali per la crescita”: quella giudiziaria e quella del lavoro appunto.
Dunque “l’interminabile recessione” italiana potrebbe essere “un problema per l’intera eurozona a meno che Renzi non cominci a mantenere le sue grandiose promesse”.
Se ciò non dovesse accadere “ci potrebbero essere dei problemi in futuro”.
Quella italiana viene considerata dal Wsj una recessione permanente dal momento che, praticamente dall’entrata in vigore dell’euro, la situazione economica è stata un continuo “insuccesso”.
Inoltre per la testata americana “la conclusione che la Spagna stia beneficiando” delle riforme economiche di cui “l’Italia ha solo parlato è difficile da non considerare”.
Gli iberici, infatti, hanno chiuso l’ultimo trimestre registrando un +0,6%.
C’è insomma la convinzione che l’Italia sia in una condizione economica difficile da raddrizzare. Nonostante “gli economisti sono ancora fiduciosi che l’economia italiana possa superare la crisi quest’anno”, per Barley ” gli investitori non dovrebbero avere troppa fiducia in merito”.
Un riferimento anche alle misure anti-spread di Mario Draghi: “Erano mirate a respingere le paure irrazionali sulla fine dell’eurozona, non le preoccupazioni razionali che un Paese non mantenga le sue promesse”.
(da “Huffingtonpost“)
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Agosto 6th, 2014 Riccardo Fucile
LA CONTROMISURA: L’ACCESS0 AI BINARI SOLTANTO A CHI HA IL BIGLIETTO
L’allarme arriva dai numeri: 1.437 i furti in stazione, 2.045 sui treni. Totale: 3.482 nei primi sette mesi del 2014.
E poi 182 dipendenti di Fs aggrediti, 795 persone arrestate e 7.425 denunciate all’autorità giudiziaria.
Cifre tutto sommato contenute, quelle diffuse dalla Polfer, considerato che sono centinaia di migliaia ogni giorno, superando in alcuni casi il milione, i passeggeri che transitano nelle stazioni italiane.
«Quattrocentomila solo a Roma Termini», fa notare il direttore della protezione aziendale del gruppo Fs, Franco Fiumara.
«Ma ciò non vuol dire che il fenomeno debba essere sottovalutato» – prosegue, presentando la nuova campagna di prevenzione “Stai attento! Fai la differenza” -. Anche perchè a fronte di poche migliaia di reati predatori, la percezione da parte degli utenti è molto più rimarcata rispetto alla portata effettiva».
La Lombardia la fa da padrona: 495 furti in stazione, 597 a bordo.
In tutto 1.092, il 31,4% del totale nazionale.
Seguono il Lazio (231 e 243), la Toscana (163 e 250), l’Emilia-Romagna (134 e 236), il Piemonte-Valle d’Aosta (97 e 171) e la Liguria (110 e 102).
Cifre ben lontane da quelle della Sardegna (2 e 1), della Calabria (2 e 19) e della Sicilia (10 e 12).
Ciononostante, un’indagine di Fs su circa 12mila viaggiatori, rivela che il 78% considera il treno il mezzo di trasporto che dà maggior sicurezza.
«Anche se siamo in un periodo di spending review e di assenza di turn over — spiega il direttore del servizio di Polizia Ferroviaria, Claudio Caroselli — riusciamo ad assicurare una presenza visibile nelle stazioni e sui treni. A Roma Termini, come a Milano, operano ogni giorno 20-22 pattuglie, in uniforme e in abiti civili».
Se i furti sui treni si sono notevolmente ridotti, lo stesso non si può dire delle grandi stazioni. «Abbiamo proposto al ministero dell’Interno una modifica alla legge — rivela Caroselli — perchè, qualora una persona non osservi il foglio di via, dopo l’allontanamento dalle ferrovie, in caso di recidiva la sanzione non sia più amministrativa, ma penale».
E a proposito di sicurezza, molto ci si aspetta dalla prossima iniziativa di Fs.
Quella di consentire l’accesso ai binari ai soli passeggeri muniti di biglietto. «Un’iniziativa che riguarderà Termini, Firenze (teatro finora dell’unico caso di associazione a delinquere scoperto dalla Polfer, ndr), per proseguire con Milano e gli altri grandi scali», spiega Fiumara.
A Firenze, dove una sperimentazione in tal senso è stata già messa in pratica, i risultati sono stati stupefacenti.
«I proventi illeciti di ladri di bagagli e borseggiatori, che derivano principalmente dall’attività criminale posta in essere lungo i binari, ha subito un crollo dell’80-85% – fa notare Carosellli —. Ripulita l’area dei binari la stazione è diventata poco attrattiva per chi delinque».
L’ingresso all’area binari sarà filtrata da personale specializzato. Niente tornelli.
«Sono facilmente aggirabili – ha osservato Fiumara – e poi abbiamo 18 tipi di biglietti tra i quali quelli telematici, rischieremmo di bloccare la stazione».
Antonio Pitoni
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Agosto 6th, 2014 Riccardo Fucile
IL VICEDIRETTORE DI “REPUBBLICA” LASCIA IL QUOTIDIANO E FIRMA CON LA RAI
Il 16 settembre, Massimo Giannini inizierà la sua avventura come conduttore di Ballarò, sulla terza rete della Rai.
Spetta al vicedirettore di Repubblica, dunque, raccogliere il testimone di Giovanni Floris, che ha lasciato Viale Mazzini per traslocare a La7. Giannini firma un contratto biennale con la televisione di Stato (anche come autore del programma) e si dimetterà dal quotidiano di Largo Fochetti, dove ha lavorato per 28 anni.
A Repubblica, il giornalista romano è stato a capo della redazione economica e della redazione politica, ha diretto il supplemento del lunedì Affari&Finanza e, per un anno, anche Repubblica Tv, nei mesi del lancio del canale.
Ha scritto due libri: “Ciampi. Sette anni di un tecnico al Quirinale” (nel 2006) e “Lo statista. Il ventennio berlusconiano tra fascismo e populismo” (2008).
La trasmissione non cambierà nome.
Un’indagine di mercato ha confermato la forza del marchio Ballarò, di cui la Rai resta proprietaria. Ma le novità non mancheranno.
Gli autori vogliono che il nuovo programma abbia una forte riconoscibilità e identità politica.
Gli inviati della trasmissione saranno più sul campo, sul terreno, alla ricerca di notizie ed esclusive mentre lo studio proverà a sfuggire al rituale delle liti tra politici che ha già affossato tanti talk-show nella passata stagione televisiva.
Meno parole, dunque. Meno opinionismo. E più fatti.
Niente di più facile che il ministro dell’Istruzione debba confrontarsi con un gruppo di insegnanti o di mamme piuttosto che con il leader dell’opposizione.
Giannini, infine, tenderà l’orecchio ai social network.
L’arrivo del giornalista a Ballarò non piace al sindacato dei giornalisti della Rai (l’Usigrai), che dice: “Siamo alla spending review a giorni alterni. O più probabilmente agli spot personali quotidiani. L’ennesima chiamata di un cronista esterno è uno schiaffo ai 1.700 in forza alla Rai. E anche alla tanto decantata revisione della spesa. Il direttore generale Gubitosi riveli con massima trasparenza i contenuti del contratto siglato con Giannini: la Rai deve essere una casa di vetro, quindi parli con chiarezza. E già che c’è dica quanti giornalisti esterni (compresi i pensionati di altre aziende) sono contrattualizzati con le nostre testate e reti, e quanto costano ai cittadini”.
La linea dell’Usigrai è condivisa da Salvatore Margiotta (senatore Pd).
Al vertice di RaiTre ricordano bene, però, che anche Floris era ormai un esterno. Prodotto del vivaio della Rai, nel 2008 il conduttore si era dimesso da dipendente della televisione di Stato sottoscrivendo un contratto (più ricco dei precedenti) come lavoratore autonomo.
Aldo Fontanarosa
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Agosto 6th, 2014 Riccardo Fucile
INVECE CHE CHIEDERE SCUSA, ORA UN’ALTRO ANNUNCIO: “GLI INDICI MIGLIORERANNO NEL 2015”
Al momento i gufi restano in partita. O piuttosto come dicono dalle parti di Forza Italia è Matteo Renzi è il vero gufo di se stesso.
A forza di ripetere che il meglio doveva venire, è successo che dopo quasi 6 mesi il meglio deve ancora venire e ora il presidente del Consiglio è costretto alla battuta sul tempo atmosferico: la ripresa, dice “è come questa estate: un po’ in ritardo, ma arriva”.
Ora che l’Italia torna in recessione, tutte le sue fiches finiscono sull’approvazione delle riforme costituzionali, che snelliscono, sburocratizzano, “efficientano” eccetera. Dopo 6 mesi la velocità di parola non è proporzionata a quella dell’azione, i ritmi delle cose del governo si sono scoperti più lenti del previsto.
L’andamento beffardo dell’economia, “pazzerello” come ha l’ha definito Renzi alla direzione del Pd, ha messo i numeri giusti mentre Enrico Letta stava per entrare nel suo consiglio dei ministri di commiato, poche ore prima di essere accompagnato alla porta.
Non ora che c’è quello che Letta l’ha messo alla porta indicando l’uscita.
La “svolta buona” è diventata una giravolta: dal segno più al segno meno. I gufi sono diventati mese dopo mese una bestia nera da sconfiggere.
Gambler in a rush, l’aveva definito l’Economist, un giocatore d’azzardo che va di fretta.
La priorità per l’Italia sono “lavoro e crescita, crescita e lavoro”, si raccomandava Renzi il 6 marzo, su questi temi “abbiate la pazienza di aspettare mercoledì”.
Cioè il giorno della presentazione della “Svolta buona”.
Quello delle scadenze serrate: aprile pubblica amministrazione, maggio fisco, giugno giustizia.
Pochi giorni e il presidente del Consiglio intraprese il suo tour europeo. Andò a Berlino e Angela Merkel rimase “veramente impressionata”.
La Confcommercio, quella che l’altro giorno lo ha fatto imbufalire dicendo che gli 80 euro in più in busta paga hanno un “effetto minimo”, in quei giorni metteva in vetrina cifre da capogiro: “Se a maggio, così come previsto dal governo, saranno erogate risorse per 12 miliardi netti alle famiglie (anche tramite le imprese) il Pil potrebbe crescere di un ulteriore 0,3% portando la stima di Confcommercio per l’anno a un +0,8%”.
Clima di festa, ci credevano tutti. I toni, come sempre, evocativi: “Dobbiamo mettere le cose a posto e lo faremo, torneremo a sorridere” insisteva il capo del governo dall’Aja. Anzi, ribadiva — un po’ à la Berlusconi – bisogna fare “il tifo” per il Paese.
E’ di quel periodo — alle porte della primavera — l’inaugurazione dell’immagine che — dopo falchi e colombe — ha alimentato il linguaggio ornitologico in politica: il gufo.
I gufi, disse, gli amanti dello status quo, i burocrati che pensano che “il mondo si cambia con 42-43 decreti”: fu l’elenco dei suoi “nemici”, cioè i frenatori che remano contro o non credono alla sua svolta buona, politica, culturale.
Sono loro, i frenatori, ad avergli impedito di far partire gli 80 euro in busta paga già prima delle Europee. Ma proprio in quell’occasione volle parare il colpo e rilanciare più in alto: o riesco a fare in 100 giorni “un’operazione di portata storica”, riforma del Senato inclusa, o chiudo con la politica. Nessuno gli diceva di stare sereno, ma lui lo era. All’entusiasmo mescolava la moderazione: la previsione dell’ex ministro dell’Economia Saccomanni dell’1% di crescita per il 2014 è “ahimè un po’ ottimistica — spiegava il 28 marzo — Le nostre cifre non sono queste: nel Def avremo un dato tra lo 0,8% e lo 0,9% di crescita. Con gli 80 euro in busta paga spero che alla fine si arrivi all’1% e lo si superi”.
Proprio nel Def, a proposito, le stime erano dettate da “estrema prudenza e aderenza alla realtà : spero che saranno smentite in positivo” spiega Renzi alla fine di un consiglio dei ministri di inizio aprile.
“L’urgenza e l’ambizione delle azioni di riforma che il Governo intende attuare sono senza precedenti — scrivono nel Def insieme al ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan — Il percorso che si delinea prevede il passaggio fondamentale dello stato di gestione della crisi ad una politica di cambiamento riassumibile in due concetti: il consolidamento fiscale sostenibile e l’accelerazione sulle riforme strutturali per favorire la crescita”.
E Padoan, quasi quasi, ci crede anche di più: “Il 2014 potrà essere l’anno della svolta per l’economia italiana — spiegava a metà aprile — La ripresa è ancora fragile, ma è finalmente arrivata e le riforme messe in campo dal governo contribuiranno a sostenerla in modo determinante. Non sarebbe quindi così sorprendente se poi la crescita fosse anche un po’ superiore allo 0,8% indicato prudenzialmente nel Def”. Renzi ingaggia (e poi stravince) il derby paura vs speranza.
“O salviamo noi l’Italia o coi gufi e coi pagliacci non andiamo da nessuna parte” motteggia il capo del governo in piena campagna elettorale. “Non mi faccio facili illusioni quando il Pil è +0,1%, non mi deprimo quando, come oggi, è 0,1% — ammette — Valuteremo con grande attenzione i dati Istat che sicuramente non ci fanno piacere”.
Ma “resto molto fiducioso, molto ottimista” sull’economia italiana, “i numeri sono molto incoraggianti”.
Il dato del Pil (quello del primo trimestre) “avremmo preferito non leggerlo, ma è poco significativo in termini di futuro del Paese. Ho visto alcuni commentatori che erano quasi contenti, come se il racconto dell’Italia dovesse essere sempre in negativo”.
Dopo il bagno elettorale, Padoan va di slancio: ”Sono convinto che l’Italia ha tutte le possibilità per iniziare un circolo virtuoso molto positivo e duraturo”.
Anzi, “sul fatto che il governo Renzi non ce la farà invito a vedere cosa sarà successo nei prossimi sei mesi”. Quindi dicembre. Il trionfo nelle urne galvanizza.
“Nei mille giorni prevediamo un aumento di un punto di pil solo lavorando sull’export. Il viceministro Calenda dice addirittura due punti” dichiara Renzi dall’Angola, durante il suo viaggio in Africa.
Quale occasione migliore per tirare al gufo: “I polemici che ora dicono che ci vuole più export e poi si lamentano per la perdita dell’italianità . Ma io guardo alla realtà delle cose e sono convinto che il pil in mille giorni aumenterà solo lavorando sull’export”.
Il meglio deve ancora venire, arriverà con le riforme, ma nè il meglio nè le riforme arrivano con la velocità che si sperava.
“La nostra priorità è il lavoro — dice Renzi a fine luglio, moderando i toni — Ma le statistiche, credo, inizieranno a migliorare solo dal 2015″.
E’ l’epifania: “Non siamo in condizioni di avere un percorso virtuoso che avevamo immaginato”. Raggiungere lo 0,8 messo nero su bianco 3 mesi prima è “molto difficile”, ma tanto “che la crescita sia 0,4 o 0,8 o 1,5% non cambia niente per la vita quotidiana delle persone”.
Per dirla meglio: “Non nego i dati negativi — risponde in un’intervista all’Avvenire — Sul Pil, il dato allo 0,8% che ora viene rivisto al ribasso da tutte le istituzioni che fanno previsioni non è una peculiarità italiana, ma di tutta l’eurozona. Se dico che non è lo ‘zero virgola’ a cambiarci il destino, non sto sottostimando nulla. In sintesi, non c’è un temporale, ma non c’è neanche il sole: è un po’ come questa estate”.
D’altra parte la linea non è distante da quella pensata da Padoan prima che fosse nominato ministro: “Ho sempre lavorato con i numeri — disse a febbraio l’allora presidente in pectore dell’Istat — Occorre andare oltre una valutazione quantitativa della ricchezza. Il Pil non basta più, conta il benessere dei cittadini, che ha più dimensioni”.
Sperando che, invece, non avesse ragione Mario Monti quando a maggio si lasciò scappare quello che nelle stanze di Palazzo Chigi dev’essere risuonato come un anatema: “La linea che Renzi sta con capacità politica affermando è, mi permetto di dire, la linea del mio governo”
Diego Pretini
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Agosto 6th, 2014 Riccardo Fucile
A RISCHIO LA CRESCITA DELL’ANNO PROSSIMO… IL DATO SPINGE IL DEFICIT VERSO IL 3%
Dunque siamo tornati ufficialmente in recessione.
Dopo il -0.1 del primo trimestre il secondo chiude a -0,2%. Un dato peggiore delle peggiori stime.
E se è vero – come sostiene Renzi – che tra un +0,1 e un -0,1% non c’è grossa differenza, e per la gente comune cambia ben poco perchè tanto in crisi stiamo ed in crisi restiamo, è anche vero che a questo punto non solo l’obiettivo dello 0,3% previsto (al ribasso) per l’intero 2014 è a rischio, ma soprattutto è a rischio la crescita dell’anno prossimo, stimata tra l’1,1 e l’1,3 per cento.
Questo perchè la velocità di entrata nel 2015 sarà oggettivamente più bassa e quindi anche quegli obiettivi saranno più difficili da raggiungere.
Ma in concreto questo brutto numeraccio che conseguenze comporta?
Il governo ha escluso da tempo, e lo ha fatto ancora oggi col ministro dell’Economia, l’esigenza di varare una manovra correttiva per il 2014.
Ma un pil piatto spinge il deficit di quest’anno verso la pericolosissima soglia del 3% dal 2,6 previsto dal governo del Def.
E quindi non è escluso che a fine anno si renda necessario un ritocchino. Di certo, già ora si può dire, che dai conti del prossimo anno in questo modo mancheranno 7-10 miliardi che si vanno a sommare alle spese già di fatto impegnate, ad iniziare dalla conferma del bonus da 80 euro (costo 10 miliardi), che renderanno particolarmente problematica la costruzione delle prossima legge di stabilità .
Tanto più che le privatizzazioni non stanno funzionando e quindi mancano pure i 10-12 miliardi destinati a ridurre il debito.
Il meno 0,2% di Pil però ci dice anche un’altra cosa: che dalla terribile crisi dei mesi passati, che ha visto soffrire l’Italia più degli altri Paesi, non siamo ancora usciti. Anzi, stiamo arretrando di nuovo.
Ci dice che nemmeno l’obiettivo minimo di stabilizzare l’economia – immaginiamoci un moribondo in terapia d’urgenza – è riuscito.
E’ vero che ci sono altri segnali che fanno sperare in qualcosa di meglio (come i dati della produzione industriale, più 0,9 a giugno) ma evidentemente gli sforzi messi in campo fino a oggi e l’ottimismo sparso a piene mani non bastano.
Come probabilmente non basta accelerare sul terreno delle riforme, tutte le riforme, non solo quelle istituzionali.
E’ vero che l’Italia sconta forti ritardi in molti settori ma purtroppo non c’è nessuno oggi in grado di sfoderare la bacchetta magica.
Occorrono nervi saldi, è vero. Ma servono nuove misure. Più incisive, più efficaci. Per far correre le imprese che già vanno bene e per rimettere in carreggiata quelle che ancora soffrono.
Occorre un drastico taglio delle tasse. Serve creare più lavoro, come servono pure meno incertezze e pasticci nel varo delle nuove leggi.
Perchè ogni tira e molla, manovra sì manovra no, bonus sì bonus no, alla fine influisce in maniera fortemente negativa sulla fiducia, che in questa fase deve essere uno dei pilastri su cui costruire una svolta.
Una avvertenza finale: il dato Istat di oggi è solamente una stima preliminare, quello definitivo arriverà solo fra qualche settimana.
Potrebbe essere corretto al rialzo, ma è quasi impossibile che torni in terreno positivo, e se anche fosse cambierebbe poco della sostanza delle cose.
L’Italia è ferma, anzi peggio, rischia di affondare di nuovo.
Facciamocene una ragione.
Paolo Baroni
(da “La Stampa”)
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Agosto 6th, 2014 Riccardo Fucile
SERVIRANNO 24 MILIARDI… MENTRE RENZI CONTINUA A RACCONTARE FAVOLE, L’ITALIA CORRE COME I GAMBERI: ALL’INDIETRO
Una manovra più pesante per il 2015. E forse anche per tutto il triennio che porta fino al 2018.
Unica consolazione: nessuna correzione dei conti per quest’anno.
È il succo dell’intervista che il viceministro all’Economia, Enrico Morando, ha dato ad Affari Italiani, pochi minuti dopo la diffusione dei dati Istat che certificano il ritorno alla recessione per il nostro paese.
In quanto consisterà questa stretta? Morando ovviamente non si sbilancia, tuttavia i primi calcoli possono condurci in una forchetta che oscilla fra i 6-8 miliardi, se le cose non migliorano nei due trimestri che restano da qui fino a fine anno.
Morando ha ammesso le difficoltà in cui versa l’economia italiana e soprattutto di come al Tesoro non si aspettassero un dato cosi negativo.
“L’economia va male, molto peggio di come avevamo previsto. Bisogna accelerare sulla strada delle riforme. Il problema non è cambiare la rotta, ma confermarla e accelerare per riportare il Paese su un sentiero di crescita stabile che è ancora lontana da essere conseguita”.
E non si nasconde sul destino che attende milioni di italiani: “La manovra 2014 non ci sarà , ma naturalmente sarà molto impegnativa la sessione di bilancio 2015-2018 perchè entreremo nel 2015, ormai lo sappiamo, con un ritmo di crescita inferiore rispetto a quello che avevamo previsto”.
Il viceministro però non se la sente di fare previsioni sulla stretta: “Nessuno, se parla seriamente, è in grado di fissare numeri. Dipenderà dall’andamento dell’economia nella seconda parte di quest’anno e tutti ci auguriamo che contenga un’inversione di tendenza, che il segno sia più. Ma è già chiaro che non conseguiremo l’obiettivo previsto in termini di aumento del prodotto interno lordo nel 2014 e questo, naturalmente, avrà un effetto di trascinamento negativo sul 2015. Questo è già chiaro. Le quantità le vedremo quando presenteremo la nota di aggiornamento al documento di economia e finanzia ai primi di settembre e poi via via durante la sessione di bilancio”.
Se Morando non fa previsioni, visto anche il suo ruolo, qualche calcolo comunque lo si può fare.
L’Istat fa sapere che se nulla cambia negli ultimi sei mesi del 2014, il pil su base annua si attesterà allo -0,3%.
Quindi a un livello ben lontano dallo 0,8% previsto dal Def. Insomma, più di un punto percentuale di differenza.
Questo cosa significa? Essenzialmente che Renzi e Padoan si troveranno con meno ricavi fiscali e più costi sociali da sostenere.
In poche parole meno entrate e più uscite.
Quanto sarà grande il buco? Il punto in meno di pil rispetto alle previsioni del Def apre una crepa che si può quantificare in una forchetta che va dai 6 agli 8 miliardi, che vanno quindi aggiunti ai 16 miliardi circa che erano previsti per la legge di stabilità 2015.
Alla fine la manovra autunnale rischia di attestarsi su una cifra considerevole, attorno i 22-24 miliardi.
Dove si trovano?
Renzi ha promesso che non aumenterà le tasse. Quindi non gli resta che accelerare sull’unica altra misura possibile: la spending review.
Probabilmente però i tagli alla spesa non basteranno e infatti fra Tesoro e palazzo Chigi ormai si fa sempre più strada la possibilità di far lievitare il rapporto deficit/pil dal 2,6% previsto al 2,9%, giusto un pelo sotto il limite del 3%.
Per fare questo tuttavia ci dovrà essere il via libera della prossima commissione europea.
Anche perchè così si allontana sempre più l’obiettivo del pareggio di bilancio da raggiungere entro l’anno prossimo.
Ma a Bruxelles le partite non sono mai facili. Lo dimostra il gelo con cui il portavoce del commissario agli affari economici Katainen ha commentato i dati sul pil. “Ci attendiamo un impatto negativo sulle finanze pubbliche” dai dati deludenti sul pil italiano. Ma “è troppo presto per aggiornare le previsioni sul deficit”, che “saranno pronte a novembre” assieme alle valutazioni sui piani di bilancio per il prossimo anno. A novembre non ci sarà più Katainen, certo, perchè in scadenza, ma la partita per Renzi sarà difficile lo stesso anche con un commissario amico.
(da “Huffingtonpost“)
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