Agosto 26th, 2014 Riccardo Fucile
IL VIMINALE NEGA AGLI AGENTI ALTRI CELLULARI DI SERVIZIO … SCOPPIA ANCHE IL CASO DIVISE: QUELLE NUOVE NON BASTANO
Per un controllo dei documenti, un agente di polizia deve chiamare il 113. Un po’ come telefonare a se stesso. E sperare che dalla centrale operativa lo richiamino sul suo cellulare, privato, in tempi brevi e se c’è “campo”.
Altrimenti, se l’attesa è troppo lunga, non c’è altra scelta: bisogna lasciare andare il sospettato.
“Perchè non possiamo mica tenere una persona ferma mezz’ora senza motivo e confessare che non basta l’unico ponte radio che abbiamo, per fare un lavoro di routine e che stiamo aspettando di farci richiamare sul nostro telefonino…”.
È clamoroso quello che denuncia Roberto Traverso, segretario provinciale del sindacato di polizia Silp-Cgil: agli agenti capita di non aver modo di comunicare con il Cot, la Centrale Operativa Telecomunicazioni, il cuore pulsante della Questura, dove vengono diretti tutti gli interventi.
La questione è stata messa nero su bianco da due circolari interne. Il sindacato ha chiesto che i poliziotti vengano dotati di cellulari di servizio, ma è arrivato un secco no.
“Quando si registrano, in ragione dell’elevato numero di pattuglie presenti sul territorio e delle consistenza degli interventi – rispondono dall’Ufficio di Gabinetto -, accavallamenti e sovrapposizioni nelle comunicazioni sul canale dedicato, viene adottata una prassi per cui l’operatore sul territorio ricorre all’ordinario canale radio per chiedere di essere richiamato sulla propria utenza cellulare”.
E viene aggiunto. “Considerato che la stragrande maggioranza del personale è titolare di utenza Tim – operatore convenzionato con la polizia di Stato -, si ritiene incongruo l’inoltro di richieste per la fornitura di cellulari”.
Traverso sbotta. “E se qualcuno non ha con sè il proprio cellulare, si rimanda l’intervento? Senza contare, ed è il colmo, che molto spesso per mancanza di copertura, i colleghi devono chiamare sul 113, occupando una linea di emergenza”.
Il problema parte da lontano: gli agenti da anni hanno a disposizione un solo ponte radio che copre tutto il territorio e non è sufficiente per tutte le chiamate.
Per allestirne un altro servono 15 mila euro, ma c’è la crisi.
Dunque, che fare? “Abbiamo chiesto all’amministrazione di essere dotati di telefonini aziendali – va avanti Traverso – ma il vero motivo per cui ci è stato risposto di no, è che i dipendenti della polizia possono aderire alla convenzione stipulata tra Ministero dell’Interno e la Tim, che prevede mille minuti gratis di chiamate tra poliziotti Ma questa era nata per agevolare le telefonate tra i colleghi, non per chiamare il Cot a nostre spese!”.
Ecco, allora, la prima circolare, del 14 agosto: dove si spiega che la Centrale Operativa Telecomunicazione chiamerà chi non ha attivato la “promozione” sul proprio cellulare. Gli altri usino i minuti a prezzo scontato.
Dopo le proteste del sindacato, la nuova decisione: sarà il Cot a richiamare tutti gli agenti.
Ma come può la Centrale intuire quando il poliziotto vuole mettersi in contatto? “L’unico modo – spiega Traverso – è che l’agente chiami il 113 come un qualsiasi cittadino, e chieda di essere richiamato al più presto. Una situazione che segna una deriva preoccupante: proprio in un momento delicatissimo, in cui rischiamo un blocco contrattuale per altri due anni”.
Altro tasto dolente, è quello – annoso – delle divise. Una circolare di giugno del dipartimento parla chiaro: entro il 20 luglio dovevano essere distribuite le divise nuove per le Questure e le Volanti. Ma siccome non c’erano uniformi per tutti, sono state assegnate agli agenti delle Volanti della Questura: e non a quelli delle Volanti dei nove commissariati, che sono rimasti con le divise rabberciate.
“Il risultato è che abbiamo Volanti di serie A e di serie B – denuncia Traverso – e possono anche capitare casi di pattuglie spaiate, con divise diverse. Come un’armata Brancaleone”.
(da “La Repubblica”)
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Agosto 26th, 2014 Riccardo Fucile
L’ELENCO DI CHI CI SARA’ E DI HA DATO FORFAIT
Governo, governo e ancora governo. Ma nella lunga sfilata di ministri che sfileranno al Parco Nord di Bologna, prima festa dell’Unità dell’era Renzi, manca Angelino Alfano, titolare dell’Interno e leader del principale partito alleato del Pd.
Ma non perchè il premier non l’ha invitato, ma perchè lo stesso Alfano ha detto di no. “Il ministro è stato invitato, ma per motivi logistici e impegni precedenti non ha potuto accettare”, confermano gli uomini del ministro.
“L’invito è stato mandato, problemi di agende che non si sono incastrate”, prova a gettare acqua sul fuoco il responsabile delle feste Pd Lino Paganelli.
Non è l’unico ministro a non essere presente a Bologna, con lui anche Federica Guidi, titolare dello Sviluppo.
Ma l’assenza di Alfano spicca su tutte le altre, anche perchè la festa è tutta concentrata sulla sfida di governo, sul programma dei 1000 giorni che fa da filo rosso a tutti i dibattiti.
Di immigrazione e sicurezza si parlerà eccome, negli oltre dieci giorni della festa Pd. Ma a parlarne ci sarà il viceministro Marco Minniti, che da mesi i rumors romani indicano come successore di Alfano al Viminale, nel rimpasto che prenderà il via dopo l’eventuale nomina di Federica Mogherini alla commissione europea.
E che potrebbe vedere Angelino dirottato proprio alla Farnesina.
L’assenza di Alfano brilla anche perchè la pattuglia Ncd è molto folta: i ministri Lupi e Lorenzin e due big come Fabrizio Cicchitto e Gaetano Quagliariello (che si confronterà con il ministro Boschi).
“Impegnatissimo sul fronte immigrazione”, Alfano non aggiunge una riga in più per motivare il suo forfait: “Precedenti impegni e motivi logistici”.
“Capita spesso che dica dei no”, spiegano dal suo staff. Solo che stavolta è un no pesante, un no alla lunga kermesse che Renzi dedica al rilancio dell’azione di governo.
Assenze di peso si segnalano anche in casa democratica, a partire dall’ex premier Enrico Letta, che non risulta presente nel programma.
Così anche la presidente della commissione Affari costituzionali del Senato Anna Finocchiaro, reduce dal duro lavoro sulla riforma della Costituzione.
Il suo nome non compare neppure quando si parlerà , il primo settembre, di legge elettorale: a discutere ci saranno Lorenzo Guerini, Maurizio Lupi e Giovanni Toti, unico big di Forza Italia presente in casa Pd.
Dall’opposizione all’appello ha risposto il leader di Sel Nichi Vendola, nonostante gli ultimi mesi di tensioni con i dem; mancano invece grillini e leghisti.
Il Pd, dopo le polemiche scatenate dall’invito (poi respinto) a Federico Pizzarotti, hanno rinunciato a invitare Luigi Di Maio e Roberto Fico.
“Non vogliamo intrufolarci in casa d’altri per cercare interlocutori”, spiega Paganelli. “Non ci è sembrato che da parte loro ci fosse voglia di dialogare”.
Con Salvini invece ci sarebbe stato realmente un problema di agende incompatibili. Problemi di agenda anche per i due capigruppo Roberto Speranza e Luigi Zanda, che non figurano nel programma.
“Ma ci stiamo lavorando”, assicurano dallo staff. Molto presenti sindaci e governatori, da Fassino a Merola, da Zingaretti a Nardella e Chiamparino, Decaro, Enzo Bianco. Così come i giovani della segreteria, da Alessia Morani a Francesco Nicodemo e Davide Faraone e le capolista alle europee, da Alessandra Moretti a Simona Bonafè. Assente invece Pina Picierno.
Ci saranno i due ex segretari Bersani ed Epifani, e così anche Massimo D’Alema (in faccia a faccia con Pierfedinando Casini sull’Europa nell’occhio del ciclone) e Walter Veltroni, con una serata dedicata al suo film su Berlinguer.
Presente anche Rosy Bindi, in una serata dedicata alla lotta alle mafie con Caterina Chinnini e Nando Dalla Chiesa.
E così anche Franco Marini, silurato da Renzi ai tempi della corsa al Colle, che parteciperà a un dibattito (mattutino) con Giorgio Benvenuto sul periodo tra la Grande Guerra e la Resistenza.
Della minoranza spazio anche a Stefano Fassina, che presenterà il suo libro “Lavoro e Libertà “.
Mentre Pippo Civati se la vedrà con Matteo Orfini, Gennaro Migliore e i sindaci Doria e Pisapia sul tema della sinistra.
Molto presenti le parti sociali, nonostante i complicati rapporti col premier: ci saranno i tre leader sindacali, e il leader degli industriali Giorgio Squinzi (a dialogo con Graziano Delrio).
Il numero uno della Cisl Bonanni discuterà di lavoro con il ministro Poletti, Angeletti di burocrazia e sprechi con il ministro Marianna Madia.
A Susanna Camusso infine toccherà un super dibattito il 6 settembre con il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan e il responsabile economico Pd Filippo Taddei.
Lo stesso giorno Federica Mogherini sarà a confronto con il presidente dell’Europarlamento Martin Schulz, uno degli ospiti internazionali di peso insieme al neoleader del Psoe Pedro Sanchez.
A coronare il parterre anche i presidenti delle due Camere Pietro Grasso e Laura Boldrini.
Tra i giornalisti-moderatori, si segnala una presenza duplice di Monica Maggioni, direttore di Rainews24, che coordinerà un dibattito con Fassino e Zingaretti e sarà ospite in una discussione con Roberta Pinotti e Fabrizio Cicchitto su difesa e sicurezza.
Tra i direttori spiccano i nomi di Mario Orfeo (Tg1), Giovanni Morandi (Qn) e Stefano Menichini di Europa.
Tra le firme presenti anche Maria Latella, Marco Damilano, Fabrizio Roncone, Alessandra Longo e Marcello Sorgi, oltre ai giornalisti tv Serena Bortone, Giuliano Giubilei e Paola Saluzzi.
Spicca l’assenza di habituè delle feste dell’Unità come Bianca Berlinguer ed Enrico Mentana
La serata d’apertura, dopo un dibattito con Sandro Gozi e Piero Ignazi sul semestre europeo, sarà dedicata a un concerto della cantante israeliana Noah e della collega palestinese Mira Awad, perchè “per noi del Pd ci deve essere un’altra strada”.
Secondo il tesoriere Bonifazi, i “conti dell festa saranno in assoluto pareggio, 480 mila euro di costi già coperti da alcuni contratti pubblicitari”.
Bonifazi si è definito “l’uomo del pareggio”, con l’obiettivo di portare in pari i conti del Pd nonostante il taglio del finanziamento pubblico.
Per questo al Parco Nord ci sarà un “banchino” dove sperimentare il 2 per mille (previsto dalle nuove norme), il crowfunding e le iscrizioni online.
A tagliare il nastro domani al Parco Nord non ci sarà Renzi, ma il vicesegretario Debora Serracchiani, insieme al segretario regionale Stefano Bonaccini (possibile candidato anche alla guida della Regione Emilia Romagna).
Il leader chiuderà con un comizio (vecchio stile?) il 7 settembre.
(da “Huffingtonpost“)
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Agosto 26th, 2014 Riccardo Fucile
OBIETTIVO COINVOLGERE FRANCIA, PORTOGALLO E SPAGNA NEI SOCCORSI: OGNUNO FARSI CARICO DI UNA QUOTA DI PROFUGHI
Nel medio periodo, una manciata di mesi, campi di accoglienza profughi in Tunisia, Egitto e Marocco con la supervisione delle Nazioni Unite e finanziati dalla Comunità europea. Nell’immediato, navi europee, gestite dall’agenzia europea Frontex, in servizio di pattugliamento e soccorso nel Mediterraneo che poi dovranno garantire assistenza nei rispettivi paesi. Ovverosia, se il recupero lo fa una nave spagnola, la prima assistenza sarà garantita in Spagna. E così via in Francia, Portogallo. Sembra già escluso a priori il coinvolgimento di Malta e Cipro in passato spesso causa di drammatici fraintendimenti.
Sono i due dossier usciti dalla riunione tecnica tra gli sherpa di Frontex e i rappresentanti del Dipartimento dell’Immigrazione del ministero dell’Interno per cercare di condividere, a livello europeo ma anche internazionale (sullo sfondo si muovono le Nazioni Unite), l’esodo biblico, inarrestabile e drammatico dall’Africa e dal Medioriente verso l’Europa.
Cinque ore di discussione e confronto che prenderanno forma politica domani a Bruxelles quando al tavolo ci saranno il ministro dell’Interno Angelino Alfano e il commissario europeo Cecilia Malmstrom.
“Vediamo cosa ci chiede l’Italia, di cosa ha bisogno” è stato il presupposto dell’incontro. Presupposto che ha un vago sapore retorico visto che le Nazioni Unite hanno stimato oggi che sono 1889 i morti nel canale di Sicilia dall’inizio dell’anno, di cui 1600 da giugno, persone, vite, storie, uomini e donne, bambini, che volevano fuggire dalle guerre e dalle persecuzioni e raggiungere l’Europa.
Anche ieri la nave Fenice ha portato a terra, a Pozzallo, 24 cadaveri tra cui sette donne e un neonato. Più di cento risultano dispersi nell’ultimo naufragio. Per non parlare della spiaggia di al Qarbouli a 50 km a est di Tripoli diventato in queste ore l’obitorio di almeno 170 cadaveri restituiti dalle maree.
Di fronte a queste notizie, alle immagini che corrono sul web, il tavolo tecnico Frontex e Viminale non ha potuto che prendere atto di una tragedia che va avanti da mesi e che il quadro geopolitico tra Siria, Iraq, Palestina, Eritrea, Somalia e la stessa Libia ormai fuori controllo non potrà che peggiorare.
Persino le Nazioni Unite hanno alzato la voce. “L’Italia non sia lasciata sola” ha detto la portavoce del Palazzo di Vetro Stefane Dujarric.
Così, con grave ritardo, l’Europa sembra voler assumere qualche responsabilità .
Le linee di intervento al momento sembrano essere due.
La prima coinvolge direttamente Frontex, l’agenzia europea nata nel 2005 per occuparsi delle frontiere europee. Frontex non ha uomini e mezzi per sostituire “Mare nostrum”, la missione italiana di recupero e salvataggio avviata un anno fa dopo la tragedia di Lampedusa (340 morti). Deve però aiutarla.
Si prevede così l’impiego nel canale di Sicilia di navi militari di altri paesi. Che oltre a soccorrere in mare dovranno anche farsi carico della prima accoglienza.
I paesi che dovrebbero aderire al progetto Frontex-plus sono Francia, Spagna e Portogallo che già dispongono di flotte.
Non è escluso che anche altri paesi si facciano poi carico in prima battuta dei profughi.
Evitando così gli ulteriori viaggi dall’Italia alla Germania, al Belgio e agli altri paesi del nord che sono già in partenza la destinazione finale di molti profughi.
Tutto questo dovrebbe alleggerire l’Italia del doppio carico: il salvataggio e poi l’accoglienza.
Sotto le regia delle Nazioni Unite, poi — e in questo senso sono di buon auspicio le parole della portavoce dell’Onu che auspica “uno sforzo internazionale” — si sta pensando a un piano di campi di accoglienza profughi in Tunisia, Egitto e Marocco.
Luoghi dove chi fugge da guerre e carestie troverà un primo centro di assistenza e soccorso per l’identificazione e, se ci sono i requisiti per lo status di rifugiato, per un’eventuale partenza con destinazione Europa o resto del mondo, dove ci sono parenti o occasioni per rifarsi una vita.
Un piano che dovrebbe almeno tagliare le gambe ai trafficanti e risparmiare vite umane.
Insomma, Italia non più attore unico e solitario dell’emergenza che d’ora in poi sarà condivisa “in termini di finanziamenti, uomini e mezzi nel bilancio dell’Unione europea”.
Questa la proposta italiana, ora dipende da cosa deciderà la Ue.
(da “Huffingtonpost”)
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Agosto 26th, 2014 Riccardo Fucile
BONELLI MANDA A RENZI IL PROGETTO DI RICONVERSIONE CHE PUà’ GENERARE 35 MILA POSTI DI LAVORO
“I fondi sequestrati dalla magistratura milanese ai Riva non vanno usati per il risanamento degli impianti, ma per la bonifica dei suoli inquinati dall’Ilva”.
Lo sostiene Angelo Bonelli, co-portavoce nazionale dei Verdi e consigliere comunale del capoluogo ionico durante una conferenza nella quale ha illustrato il suo progetto per la riconversione industriale della città secondo il modello già seguito in altri centri come Bilbao o Pittsburgh.
Un progetto, inviato al presidente del Consiglio Matteo Renzi, che prevede l’istituzione per 5 anni di un’area “No Tax” a favore di imprese e attività produttive “non insalubri”.
Bonelli e il movimento “Taranto Respira” indicano come destinatari delle agevolazioni fiscali imprese che si occupino di ricerca nel settore della green economy , dell’innovazione, dell’efficienza energetica, del terziario e anche dell’edilizia per il recupero del centro storico di Taranto che giorno dopo giorno si sgretola tra incuria e degrado.
Nel documento consegnato alla stampa si parla di riduzione delle accise e degli oneri di sistema su benzina, gasolio e bollette, tagli fino al 50 per cento di Irap e Ires, contributo alle aziende per la costruzione di nuove strutture fino a un massimo di 500 mila euro.
Non solo. Il co-portavoce dei Verdi, infatti, chiede l’istituzione di un fondo per il sostegno dell’agricoltura, duramente colpita a seguito delle emissioni nocive dell’Ilva, ma soprattutto propone la “riqualificazione, la trasformazione e rigenerazione urbana e ambientale, a partire dai suoli contaminati, con un gruppo operativo di urbanisti, architetti coordinati da Renzo Piano”. Una serie di cantieri, quindi, che secondo Bonelli garantirebbe 35 mila nuovi posti di lavoro per circa sette anni.
E i fondi? Secondo l’ambientalista sono cinque le strade da seguire per le coperture: un contributo per 10 anni grazie a un prelievo dello 0,7 per cento sui redditi compresi tra 120 mila e 250 mila e pari a 1 per cento per quelli superiori a 250 mila euro; lo storno del prezzo di 12 aerei F-35 pari a oltre 1,5 miliardi di euro; l’imposizione di 1 centesimo come accisa sui carburanti per 10 anni; fondi statali per le bonifiche da aggiungere a quelli già stanziati e, infine, il recupero dei fondi regionali per la costruzione di una piattaforma logica collegata collegata al porto ionico.
“Il capoluogo ionico — spiega Bonelli — non può continuare a essere la discarica dei veleni italiani. Guardando a importanti progetti come quelli di Bilbao e Pittsburgh, noi proponiamo un piano di riconversione, a partire da agevolazioni fiscali e burocratiche che saranno direttamente proporzionali ai livelli di nuovi occupati”.
Infine, il leader dei Verdi ha spiegato che l’esistenza dell’area a caldo dell’Ilva, quella composta dai sei reparti sequestrati dal gip Patrizia Todisco il 26 luglio 2012, è “incompatibile con la città e la salute della sua popolazione” e quindi è necessario prevederne “la chiusura”.
Ma oltre all’Ilva, Bonelli ha definito incompatibile anche “Tempa Rossa”: il progetto dell’Eni avallato dai ministeri dell’Ambiente e dello Sviluppo lo scorso 17 luglio nonostante tre giorni prima il consiglio comunale avesse ufficializzato il suo no al potenziamento della raffineria.
Un progetto che prevede l’assunzione di 53 operai per 24 mesi e che alla fine della costruzione dei due mega-serbatoi per lo stoccaggio del greggio proveniente dalla Basilicata produrrebbe, secondo la stessa Eni, l’aumento delle emissioni del 12 per cento l’anno.
Francesco Casula
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Agosto 26th, 2014 Riccardo Fucile
DOPO LA SENTENZA DELLA CONSULTA, IL TRIBUNALE DE MINORI DI FIRENZE PRECEDE IL PARLAMENTO
“Finalmente la stanno cercando la mia mamma», dice Mariagnese con un filo di voce. E da una borsa mostra un documento.
È l’ordinanza del tribunale dei minori di Firenze nella quale si delega «il giudice relatore a disporre, con le dovute cautele, le necessarie ricerche».
Un atto giudiziario rivoluzionario che, di fatto, scardina la legge 184 del 1983 e rende nullo l’articolo 28, quello che imponeva il divieto ai figli non riconosciuti alla nascita (il così detto parto in incognito) di conoscere il nome dei genitori.
Un’ordinanza che segue la sentenza della Consulta che alcuni mesi fa ha giudicato incostituzionale la legge 184, ma che anticipa le nuove normative (ci sono quattro proposte di legge) in discussione in Parlamento.
Non è soltanto una storia di giurisprudenza quella di Mariagnese Bellardita, 59 anni, una casa a Pontassieve (non lontana da quella del premier Matteo Renzi), quattro figli e due nipoti.
Perchè il cuore e i sentimenti s’intrecciano con le carte bollate e rendono questa vicenda unica nella sua incredibile verità .
Mariagnese, quando nasce nel 1955, appartiene a quell’esercito numerosissimo di bambini di madre sconosciuta.
Viene affidata a un istituto religioso nel Bergamasco e adottata a dieci mesi da una coppia siciliana. Il padre e la madre adottivi decidono di non raccontarle niente, nè da bambina nè da adulta.
«La verità la conoscerò solo dopo la morte di mio padre da una zia – racconta Mariagnese -. Verità parziale, però. Prima la zia mi dice che sono stata abbandonata davanti a una chiesa. Anni dopo, finalmente, mi svela che i miei genitori naturali erano due ragazzini di 16 e 14 anni. Non hanno mai saputo di avere una figlia in vita perchè gli raccontarono una terribile menzogna: “Vostra figlia è morta durante il parto”»
Mariagnese ha un attimo di commozione. Poi continua: «La rivelazione è sconvolgente. Eppure in un primo momento non ho sentimenti. Sono fredda, insensibile. Scatta un meccanismo di rimozione, di rifiuto. Poi cresce la voglia immensa di cercare quei due ragazzini che forse non mi hanno neppure abbandonata. Faccio appelli ovunque, ma inutilmente. La legge mi osteggia, vieta che io sappia la verità . Poi, finalmente, arriva la sentenza della Corte Costituzionale. Torna la speranza».
Siamo nel dicembre 2013. Grazie al sostegno di Emilia Rosati, fondatrice insieme ad Anna Arecchia del Comitato nazionale per il diritto alle origini biologiche, un’associazione che si batte per il diritto alla conoscenza dei genitori naturali, parte l’istanza al tribunale di Firenze patrocinata dall’avvocato Roberto Continisio.
Nel documento si chiede il diritto di conoscere il nome della madre biologica negato dalla legge 184 ma ritenuto incostituzionale dalla Consulta
«Il risultato è straordinario e per la prima volta un tribunale accoglie pienamente la nostra richiesta – spiega Emilia Rosati -. Il tribunale di Firenze dice sì, si muove personalmente per avviare la ricerca anche se la limita alla volontà dell’eventuale madre naturale a conoscere la figlia»
Mariagnese ha uno strano presentimento. Da quando sa che è iniziata la ricerca è convinta di essere vicina alla verità .
«Non so se mia mamma è ancora in vita e se lo è mio padre – spiega Mariagnese -. Erano giovani, quando sono nata, ma sono passati 59 anni e sono tanti. Però spero di ricostruire comunque un pezzo della mia vita, di riuscire a capire da dove sono arrivata. Mi piacerebbe raccontare un giorno ai miei nipoti una favola a lieto fine. C’era una volta una bambina che oggi è una nonna felice”.
Marco Gasperetti
(da “il Corriere della Sera”)
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Agosto 26th, 2014 Riccardo Fucile
LA RISPOSTA DELLE ORGANIZZAZIONI DEI DOCENTI E DEGLI STUDENTI AL MINISTRO … E SALVINI RIESCE A RIMEDIARE UNA FIGURA DELLE SUE
“Il ministro dell’Istruzione, Stefania Giannini, dice che vuole eliminare i supplenti? Allora si metta all’opera, perchè non deve fare altro che assumerli”.
La prima replica alle anticipazioni del piano per la scuola del governo arriva dal sindacato Anief.
“I numeri — si sottolinea in una nota — ci dicono che i supplenti servono, solo che vanno stabilizzati. Dal 2001 a oggi lo Stato ha assunto nelle scuole pubbliche 258.206 insegnanti, ma in quegli anni ne sono andati in pensione 37 mila in più. E i posti liberi erano 311.364. Tanto è vero che le supplenze sono aumentate da 105 mila a 140 mila. E la maggior parte sono su posti vacanti”.
“Se veramente Giannini vuole risolvere il problema del precariato — sostiene Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir — ha una sola via d’uscita: chiedere al suo Governo di farla finita di ignorare i richiami dell’Ue e tramutare in contratti a tempo indeterminato almeno la metà delle 140mila supplenze di lunga durata, la metà di tutta la Pa, che gli uffici scolastici periferici sottoscriveranno nei prossimi giorni. Solo una scelta radicale di questo tipo — aggiunge Pacifico — rappresenterebbe la svolta nell’affrontare il problema della mancata stabilizzazione di tanto personale”.
L’Anief ricorda “che dal 2001 a oggi lo Stato ha assunto nelle scuole pubbliche 258.206 insegnanti. Ma rispetto alle necessità effettive e al turn over dovevano essere oltre 50mila in più”. “Dal 2001/2002 le scuole hanno utilizzato 1.241.281 insegnanti precari assunti con contratto sino al termine dell’anno scolastico. Una buona parte di questi posti andrebbero però considerati a tutti gli effetti liberi. Quindi utili per ulteriori assunzioni. Inoltre, a dispetto della direttiva comunitaria i contratti annuali o fino al termine dell’anno scolastico conferiti ai docenti si sono incrementati di oltre il 20%, passando da 96.915 a 120.339″.
“Allora — conclude Pacifico — basterebbe rivisitare il numero di organici a disposizione per svuotare le graduatorie dei docenti precari. Occorre attuare da subito un piano straordinario di immissioni in ruolo pari a 125 mila unità , di cui almeno 60mila da attuare subito, tra cui 13 mila Ata, perchè tali sono i posti vacanti e disponibili”.
Esprime le sue perplessità anche il coordinatore nazionale dell’Unione degli studenti Danilo Lampis. “Ad oggi gli studenti non sono stati minimamente interpellati”, “nonostante vivano ogni giorno le scuole. Siamo pronti a dar battaglia e a mobilitarci nei prossimi mesi, a partire dalle manifestazioni studentesche del 10 ottobre”.
Così il coordinatore nazionale dell’Unione degli studenti, Danilo Lampis.
“Le dichiarazioni del ministro dell’Istruzione Stefania Giannini sono sconcertanti — dice in una nota Lampis — e sembrano voler portare a termine le idee degli ultimi governi Berlusconi sulla scuola pubblica. Innanzitutto riteniamo inaccettabile procedere a nuove agevolazioni sulle scuole private, proprio mentre la pubblica paga le conseguenze peggiori dopo anni di tagli. Il miliardo e mezzo di risorse recuperate non sono nulla rispetto alle reali esigenze: non pensino di abbindolare il mondo della scuola e il Paese con piccole concessioni!”.
Non ci sono solo i sindacati e i rappresentanti degli studenti a criticare l’annuncio. Gaffe del segretario della Lega Nord Matteo Salvini che su Twitter scrive: ”Ministra dell’Istruzione: ‘Aboliremo le supplenze’. E se manca un professore? Fa lezione uno studente estratto a sorte??”.
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Agosto 26th, 2014 Riccardo Fucile
RENZAO MERAVIGLIAO: NON CI SONO LE COPERTURE E RIMANDA ALLA LEGGE DI STABILITA’
Non c’è nessuna pioggia di miliardi in arrrivo a sostegno della crescita nel piatto forte del “Big bang” annunciato da Matteo Renzi per il consiglio di ministri di venerdì.
Il decreto Sblocca Italia “mira prevalentemente a sbloccare la burocrazia”.
A spiegarlo è il ministro delle Infrastrutture e Trasporti Maurizio Lupi, rispondondendo ai cronisti che gli chiedevano conto sulle difficoltà in corso nel reperire risorse fresche per il provvedimento.
“Tra legge di stabilità e decreto sblocca Italia si troveranno le coperture per le azioni necessarie al rilancio del Paese”, ha provato ad assicurare Lupi.
“Lo Sblocca Italia e la legge di stabilità viaggiano parallelamente. Può essere che una parte delle coperture sia anticipata nello Sblocca Italia e un’altra parte scatti al primo gennaio 2015”.
L’obiettivo principale del provvedimento a cui sta lavorando il governo è prima di tutto quello di far partire cantiere per piccole e grandi opere già finanziate.
Opere che – secondo il governo – tutte insieme potrebbero valere circa 43 miliardi in termini di risorse “mobilitate”, stando almeno a quanto annunciato dal presidente del Consiglio.
Non sono questi soldi, però, che i tecnici dei ministeri stanno cercando.
Ci sono, nelle intenzioni del ministro Lupi, nuovi interventi sulla casa che richiedono fondi freschi: agevolazioni per chi acquista e concede l’abitazione in affitto e altri vantaggi fiscali più la proroga degli ecobonus.
Alcuni di questi, i primi, necessitano di risorse fin da subito. Per altri, come gli stessi ecobonus, si può attendere ottobre e inserire le nuove risorse per il 2015.
(Huffingtonpost”)
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Agosto 26th, 2014 Riccardo Fucile
ANTICIPARE NEI PAESI DELLA COSTA AFRICANA LA PROCEDURA DI RICHIESTA DELLA PROTEZIONE
Ma è possibile fermare questa strage?
C’è un metodo o un’idea, uno strumento o una strategia – qualora ce ne sia la volontà – che non consista nell’affidarsi al buon Dio o a un destino diventato improvvisamente propizio?
Nel corso dell’ultimo quarto di secolo, il mare Mediterraneo è diventato una tomba d’acqua o, se si preferisce, un cimitero marino che accoglie ogni giorno i suoi morti
Sono state, innanzitutto, le cifre crudeli di questa macabra contabilità , che ci hanno indotti a elaborare una proposta di «ammissione umanitaria».
Un piano, formulato nei mesi scorsi, all’indomani del naufragio del 3 ottobre a largo di Lampedusa.
Oggi quel piano, già sottoposto ai rappresentanti del governo, alle più alte cariche istituzionali e alle principali organizzazioni internazionali, e che ha raccolto consensi e osservazioni, appare più che mai indifferibile.
In estrema sintesi, si tratta di anticipare geograficamente, territorialmente, diplomaticamente, giuridicamente, nei Paesi della Costa settentrionale dell’Africa, il momento e la procedura di richiesta della protezione.
E si deve cominciare a progettare tutto ciò da subito.
Altri corpi si sono aggiunti al tragico computo dei morti nel canale di Sicilia, nonostante gli sforzi della nostra marina militare a cui dobbiamo la vita di oltre sessantamila migranti tratti in salvo grazie all’operazione «Mare Nostrum ».
Un movimento inarrestabile, carico di dolore, che non cesserà con le misure che l’Ue ha adottato finora nè con quanto la task force «Mediterraneo» si appresta a fare in materia di frontiere e di cooperazione giudiziaria e di polizia.
Occorre ampliare il raggio di intervento a livello europeo, alzare lo sguardo e realisticamente percorrere una strada comune che veda l’Europa protagonista di una politica d’asilo efficace, in grado di farsi carico di uomini, donne e bambini, in fuga da guerre e persecuzioni, offrendo loro un’opportunità di vita futura.
Una soluzione duratura nell’ambito della gestione delle migrazioni e della politica di protezione dell’Unione europea nei confronti dei rifugiati
Al centro di questa azione umanitaria, la necessità di garantire asilo e protezione dando ai profughi la possibilità di chiedere soccorso senza dover rischiare la vita attraversando il Mediterraneo.
E senza l’intermediazione dei trafficanti di esseri umani.
Un programma di reinsediamento nei paesi europei che garantisca viaggi legali e sicuri per poterli raggiungere, con il coinvolgimento di tutti gli Stati membri, stabilendo quote di accoglienza per ciascuno stato
Si tratta, dunque, di istituire centri e strutture nei paesi della sponda sud del Mediterraneo (Giordania, Libano, Tunisia, Egitto, Algeria, Marocco), da cui partono o dove transitano o si addensano i movimenti migratori verso l’Europa.
Il primo passo è la realizzazione di presidi internazionali in quei paesi per l’avvio della procedura di concessione di protezione, presidi da istituire sulla scorta di quelli delle organizzazioni umanitarie internazionali che accolgono i profughi lì presenti.
I presidi andrebbero realizzati dalla stessa Ue, d’intesa con le organizzazioni umanitarie internazionali, attraverso ambasciate e consolati dei singoli stati o la rete del Servizio europeo per l’azione esterna.
Le necessarie intese con i Paesi interessati potrebbero rientrare nella cooperazione Ue sul modello dei partenariati per la mobilità , già conclusi con Marocco e Tunisia
Questa proposta vuole essere una traccia, delineata guardando ad esperienze già esistenti – si pensi alla Germania che ha aderito a un programma di resettlement (re-insediamento) dell’Unhcr accogliendo migliaia di siriani – e la sua articolazione può essere differente ricorrendo a strumenti giuridici e procedure di altra natura.
E proprio perchè è forte la consapevolezza delle difficoltà di rendere concreto un piano europeo di ammissione umanitaria.
Ma è una traccia che va assolutamente segnata e ulteriormente definita.
Le statistiche pubblicate da Eurostat nei giorni scorsi riguardanti i rifugiati accolti in re-insediamenti nella Ue nel 2013 parlano chiaro: sono in tutto 4.840 i profughi siriani inseriti nei paesi europei.
A queste cifre ridottissime vanno accostati i 2,5 milioni di profughi rifugiati all’estero che l’Unhcr stima siano la conseguenza della guerra in Siria.
Ora tocca all’Italia e al nostro governo, fare in modo che la volontà politica degli Stati europei si indirizzi verso scenari nuovi, scelte consapevoli e condivise, lungimiranti e coraggiose.
Nessun piano sarà efficace se non si parte dalla necessità di porre fine alla politica degli ultimi anni che ha causato solo morte, incapace di guardare a quanto avviene al di là del Mediterraneo.
Luigi Manconi
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Agosto 26th, 2014 Riccardo Fucile
“LA LEGGE DEL MARE È L’UNICA A SALVARE I MIGRANTI” … ORGOGLIO ITALIA: 113.000 VITE SALVATE IN 10 MESI
È un macabro conteggio che si aggiorna quasi di ora in ora, come se qualcuno in fondo al mare avesse in mano quelle macchinette con cui le hostess contano e ricontano le persone a bordo degli aerei.
Solo che in questo caso l’overbooking è incluso nel prezzo del biglietto e la macchinetta conta invece i cadaveri che il Mediterraneo mangia e spesso non restituisce.
Oltre 230 persone in 48 ore, a partire dal naufragio di sabato al largo delle coste libiche con 200 vittime; il secondo nella notte tra sabato e domenica, con 18 cadaveri; il terzo, la notte tra domenica e lunedì, quando la macchinetta del conteggio ha fatto sei clic. Almeno.
Perchè questi sono soltanto i morti accertati. “Il mare non è una strada, dove se il pulmino ha fatto salire troppe persone si accosta ai lati e le fa scendere. In mare se scendi sei morto”.
L’ammiraglio Giovanni Pettorino è il capo del III Reparto — Piani e Operazioni del Comando generale delle Capitanerie di Porto.
È un uomo che va dritto al sodo e le polemiche politiche le liquida in poche parole: “Se finisse Mare Nostrum sarebbe un’ecatombe”.
Alfano o chi verrà dopo di lui, Frontex o Italia lasciata sola, cinismi alla Giampaolo Pansa (che domenica ha scritto, su Libero, che è ora di finirla con “buonismo” e “spirito di carità ”), la sostanza non cambia: l’operazione che vede impegnata anche la Marina Militare ha portato a terra, sani e salvi, circa 113 mila migranti (il numero è stato dato ieri dal capo di Stato maggiore della Marina, Giuseppe De Giorgi), la maggior parte dei quali in fuga da guerre e persecuzioni.
“Non potremmo fare altro che salvare le vite — spiega l’ammiraglio Pettorino — ce lo impone la legge e ce lo chiede la nostra morale”.
Presso il comando generale delle Capitanerie, a Roma, è presente la centrale nazionale cui arrivano le richieste di soccorso: “Ci chiamano appena partiti dalle coste libiche — racconta il comandante — perchè hanno già il nostro numero. Parlano un inglese stentato e dicono quasi tutti le stesse cose, a prova del fatto che sono ben istruiti: ‘Abbiamo a bordo bambini e donne incinte, stiamo imbarcando acqua e rischiamo di affondare’.
Grazie ai telefoni satellitari, che vengono dati loro da chi organizza i viaggi, riusciamo a rintracciarli. E a quel punto abbiamo il dovere di intervenire”.
L’Italia ha firmato, con altri 140 paesi, la Convenzione di Amburgo, che obbliga ogni firmatario a dotarsi di una centrale nazionale per la ricerca e il soccorso in mare.
In Italia, il comando delle Capitanerie esercita questa funzione per conto del ministero delle Infrastrutture.
Una legge nazionale determina le acque di nostra giurisdizione, circa 500 mila chilometri quadrati sottoposti al controllo delle Guardie Costiere, circa il doppio della superficie del Paese.
Ma quando si tratta di salvare vite umane, i centimetri di territorialità contano poco, perchè la legge più importante, quella che ogni marinaio conosce bene, è quella del mare. “Se soccorriamo qualcuno a sole 40 miglia dalle coste libiche non possiamo certo riaccompagnarlo su quella terra — spiega Pettorino —. La normativa stabilisce che il centro nazionale di soccorso che riceve per primo una chiamata si deve comunque attivare, anche se le acque non sono di sua giurisdizione, fino a quando le autorità competenti non intervengono e portano a termine il soccorso. Ma i libici non intervengono e quindi ci troviamo a dover gestire da soli tutte le informazioni. Poi non dimentichiamoci che la Libia non rispetta la convenzione sui rifugiati”.
E se pensiamo che dalla Libia parte il 94 per cento del flusso migratorio proveniente dall’Africa, capiamo perchè l’idea del respingimento sarebbe contro le leggi internazionali.
“Una volta arrivata la chiamata alla centrale operativa, individuiamo il mezzo più vicino — prosegue l’ammiraglio —: può essere uno dei nostri, una nave della Marina o anche un mercantile privato. Dall’inizio dell’anno ne sono stati coinvolti un centinaio. È grazie a questa imponente macchina operativa che siamo riusciti a salvare tante persone: 60 mila la Marina, 22 mila noi, più o meno altrettanti i mercantili. Se quest’operazione non ci fosse stata, sarebbe stata una strage continua”.
I numeri dell’immigrazione sono in crescita geometrica: quest’anno è arrivato in Italia il doppio dei migranti sbarcati nel 2011 e tre volte quelli giunti lo scorso anno.
“È un business talmente forte — conclude l’ammiraglio — che le barche sono sempre più fatiscenti: sono fatte per navigare per poche miglia, potrebbero portare al massimo una ventina di persone, ne portano persino 800. Non hanno dotazioni di salvataggio, nè individuali nè collettive. Se non vengono soccorse nel giro di qualche ora sono destinate a perdersi. E in caso di rovesciamento, la maggior parte di questa gente non sa nuotare. Lasciarli annegare? Sono parole che non possiamo ricevere, perchè siamo uomini di Stato e quindi rispettiamo le leggi, e perchè rispondiamo alla nostra legge morale”.
Silvia D’Onghia
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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