Agosto 22nd, 2014 Riccardo Fucile
L’ESIBIZIONISTA DI BATTISTA QUANDO PARTIRA’ PER LA SUA MISSIONE?
E’ unanime il coro che si è levato contro il deputato del Movimento 5 Stelle Alessandro Di Battista.
Il post sul suo profilo facebook, con cui ha provato a spiegare meglio le sue idee sull’Isis e sulla necessità di un dialogo con i terroristi ha provocato accese reazioni.
La classica toppa peggiore del buco.
A Di Battista è arrivata anche la replica dell’ambasciatore iracheno a Roma Saywan Barzani: “Se l’onorevole Alessandro Di Battista ha la possibilità di entrare in contatto con i terroristi e vuole andare nelle zone sotto il loro controllo per intavolare con loro una discussione, sappia che il suo visto di ingresso in Iraq è pronto: può andare ad Erbil, raggiungere in qualche modo Mosul e convincere i terroristi a fermare il genocidio di cristiani e musulmani come sta avvenendo in questi giorni”.
“Diamo il benvenuto a qualsiasi iniziativa lodevole – continua l’ambasciatore – quindi anche a quella dell’onorevole Di Battista, atta a porre fine al massacro della minoranza cristiana e yezidi nel nord del paese dove i terroristi seminano il terrore uccidendo bambini e rapendo donne su base unicamente identitarie”.
Ma critiche sono piovute da ogni parte: “Rimango incredulo e disgustato dalla profonda ignoranza del collega Di Battista rispetto alla natura dell’Isis e la sua profonda ideologia di morte, che non ha risparmiato bambini, donne e uomini con centinaia di sgozzamenti, tombe comuni, crocifissioni e stupri in Siria e Iraq”, ha dichiarato il deputato Pd Khalid Chaouki.
Su Facebook Andrea Mazziotti, capogruppo di Scelta Civica alla Camera scrive: “Faccio appello a tutti i colleghi e giornalisti: smettiamola di rispondere scandalizzati alle stupidaggini storico-geopolitiche di Di Battista come se fossero cose serie. Oramai si è capito che finchè il Medio Oriente sarà sui giornali, ci toccherà leggere quotidianamente una dichiarazione provocatoria del collega M5S fatta al solo fine di destare scalpore e finire sui telegiornali”.
(da “Huffingtonpost”)
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Agosto 22nd, 2014 Riccardo Fucile
CON L”ECONOMIA ILLEGALE MIGLIORA IL NOSTRO RAPPORTO DEBITO-PIL: CON I NUOVI STANDARD EUROPEI STIME MIGLIORI GRAZIE A 35 MILIARDI DI ECONOMIA ILLEGALE
Finora l’aiutino – chiamiamolo così – lo abbiamo chiesto ad Angela Merkel.
Con lei sta andando male: pur non citando chicchessia, di fronte ad un consesso di economisti e di premi Nobel riuniti in bassa Baviera, la Cancelliera ha ribadito che nei confronti di chi non rispetta le regole europee bisognerebbe applicare sanzioni persino «più dure» di quelle già in vigore.
«Con il 7 per cento della popolazione, il 25 per cento del Pil e il 50 per cento della spesa per welfare mondiale» l’unica speranza per dare un futuro all’Europa è puntare su innovazione e competitività . Punto.
Se per Parigi il problema è il deficit stabilmente oltre il 3 per cento, per noi si chiama «obiettivo di medio-termine»: in breve, la regola che ci costringerebbe nel 2015 a ridurre l’entità del debito per almeno nove miliardi di euro.
Con l’inflazione e la crescita a quota zero numeri del genere sono a dir poco irraggiungibili. Tutte le nostre speranze sono riposte nell’abilità diplomatica del nuovo presidente della Commissione Jean Claude Junker, uno che della faccenda si intende.
Preannunciando lo slittamento di dieci giorni della presentazione delle nuove stime ufficiali del governo (dal 20 settembre al primo ottobre) il Tesoro ci ha ricordato però che esiste un altra soluzione.
Nulla che cambi la sostanza delle cose, ma poichè alla fine nelle stanze europee la politica è ancora sovrana sui numeri, la causa se ne potrebbe avvantaggiare eccome.
Già da tempo l’Europa ha deciso di introdurre nel calcolo del Pil la cosiddetta «economia non osservata», in particolare quella illegale: contrabbando, prostituzione e traffico di droga.
A queste voci va aggiunta poi un altra novità : d’ora in poi le spese per armamenti e quelle destinate alla ricerca saranno conteggiate fra gli investimenti.
Sembrerà assurdo, ma la decisione ha a che vedere con il tentativo di valutare in maniera il più possibile omogenea la ricchezza prodotta da ciascun Paese europeo.
Poichè in alcuni Paesi nordici la prostituzione è legale e regolarmente tassata, che senso aveva tenerla fuori dal calcolo del Pil di quelle nazioni in cui invece è ancora vietata?
Insomma, piaccia o no, la questione per noi assume una particolare rilevanza.
La Banca d’Italia stima che l’intera economia illegale varrebbe fino all’11 per cento della ricchezza.
Nello specifico, il fatturato delle droghe è stimato in 20-24 miliardi, quello della prostituzione in 7-8, il resto sarebbe quello del contrabbando di alcool e sigarette: in tutto 30-35 miliardi, circa due punti di Pil.
Ora proviamo a sommare questi numeri ai due noti parametri europei, il rapporto fra deficit e Pil e quello invece fra debito e ricchezza prodotta.
Sul primo l’impatto potrebbe essere minimo, attorno ad un decimale.
Nulla di trascendentale, ma è pur vero che per restare dentro il famigerato tre per cento l’anno scorso il governo Letta si trovò costretto ad una manovrina di tre miliardi di euro.
Sul debito l’impatto potrebbe essere ben più alto, fino a 2,7 punti di Pil, secondo le stime del capo economista di Nomisma Sergio De Nardis.
Enrico Morando, il più rigorista dei politici al Tesoro, quasi inorridisce: «Prendiamo atto di questa novità che è meramente contabile. Ma non illudiamoci che tutto ciò possa essere una scorciatoia rispetto al sentiero che dobbiamo percorrere».
La decisione è nelle mani dell’Istat la quale, attraverso criteri standard, ora ci dirà a quanto ammonti effettivamente l’economia illegale del Belpaese.
Piaccia o no, quanto più sarà ampia la stima, tanto meglio sarà per i conti pubblici.
Mai come stavolta, pecunia non olet.
Alessandro Barbera
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Agosto 22nd, 2014 Riccardo Fucile
A COSTRUIRE LA “CITTADELLA DEL CIBO” DI FARINETTI SARA’ UNA CORDATA GUIDATA DALLE COOP… E A CHI CONTESTAVA IL BANDO ORA VIENE ELARGITA QUALCHE BRICIOLA
Come da attese. A vincere il bando da 39 milioni di euro per la costruzione di Fico Eataly World, la cittadella bolognese del cibo firmata da Oscar Farinetti, è stata la cordata guidata dal Consorzio cooperative costruzioni (Ccc), braccio di Legacoop, e dominata dai colossi Coop Costruzioni di Bologna e Cmb di Carpi (entrambi hanno il 40%).
Ma non restano a bocca asciutta nemmeno le piccole imprese, che pure due mesi fa avevano gridato alla “penalizzazione” perchè il bando .
Al consorzio bolognese Unifica, che riunisce pmi artigiane dell’edilizia e dell’impiantistica, va il 10% della torta, mentre l’ultima fetta è divisa tra la Impresa Melegari del presidente di Ance Bologna Luigi Melegari, firmatario della nota che criticava il bando preparato dalla società di gestione Prelios sgr, e la Montanari.
A permettere la loro partecipazione è stata proprio la discesa in campo di Ccc, che ha fatto da “ombrello” permettendo così di rispettare la contestata clausola in base alla quale avrebbero potuto partecipare alla gara, riservata alle “imprese singole”, anche “i consorzi di cooperative di produzione e lavoro costituiti a norma della legge vigente”.
Il raggruppamento, stando a quanto ha riferito l’edizione di Bologna del Corriere, ha fatto un’offerta inferiore di circa il 20% rispetto alla base d’asta, battendo così l’altro concorrente, il gruppo austriaco Strabag, che ha un avamposto a Bologna da quando, nel 2008, ha rilevato dal gruppo Maccaferri l’azienda delle costruzioni Adanti.
Certo è che il “colpo” è una boccata di ossigeno che arriva proprio al momento giusto per le coop emiliane: Coop Costruzioni, in particolare, è in forte difficoltà e in aprile ha messo 380 dipendenti in contratto di solidarietà .
Fico, che sta per Fabbrica italiana contadini, nelle intenzioni si presenterà come una “Disneyworld del cibo”: 80mila metri quadri con ristoranti, spazi dedicati ai produttori, orti, aree didattiche e esposizioni sulla storia e la cultura dell’alimentazione.
Il piano industriale messo a punto da Farinetti prevede, a regime, 6 milioni di visitatori l’anno.
I lavori di costruzione nell’area del Caab, il Centro agro-alimentare, dovrebbero partire a settembre, mentre la fine dei lavori è programmata per lo stesso mese del 2015 e il taglio del nastro è previsto per novembre.
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Agosto 22nd, 2014 Riccardo Fucile
INIZIANO A CHIEDERE AIUTO ANCHE GLI ITALIANI… AL SUD QUATTRO MEZZI GIRANO PER LE CAMPAGNE PER CURARE I LAVORATORI STAGIONALI CHE SI SPACCANO LA SCHIENA NEI CAMPI
Emergency non offre cure chirurgiche solo nelle zone “calde” del mondo: a fine 2013 l’associazione fondata da Gino Strada ha raggiunto le 120mila prestazioni mediche fornite in Italia.
Soprattutto nelle campagne del Sud, svolge un ruolo importante per la tutela della salute. “Abbiamo iniziato nel 2006 – racconta Andrea Bellardinelli, responsabile per l’Italia – con l’apertura di un poliambulatorio a Palermo, a cui sono seguiti quelli di Marghera (Venezia) a fine 2010 e, un anno fa, di Polistena (Reggio Calabria), insieme a Libera, in uno stabile confiscato alla ‘ndrangheta”.
A Sassari, invece, l’associazione gestisce uno sportello di orientamento socio-sanitario e a Siracusa cura i migranti ospitati nell’ex scuola Umberto I dopo gli sbarchi.
Polibus e Minivan.
Ma al Sud servono anche le unità mobili: “Tante volte – continua Bellardinelli – i presidi sanitari non sono raggiungibili, per esempio per la mancanza di trasporti; inoltre, le persone che subiscono l’emarginazione, come gli stagionali sfruttati nell’agricoltura o le prostitute nel Casertano, accedono difficilmente alle cure”.
Per questo, quattro unità mobili girano le campagne di Puglia, Basilicata, Campania, Calabria e Sicilia.
All’interno di due torpedoni rossi, pullman turistici rivisitati, ci sono l’ambulatorio di medicina di base, la sala d’aspetto, quella per la mediazione, il bagno e il generatore.
Altri due presidi mobili sono invece ospitati nei minivan “Articolo 32” e “Articolo 11”, che percorrono l’area della Capitanata, quella del pomodoro salentino: “Qui l’intervento è in collaborazione con l’Asl locale ed è finanziato dalla Regione”, spiega Bellardinelli. Sulla salute per i migranti, la Puglia è infatti un esempio positivo: “Questo vogliamo fare: supportare e strutturare azioni istituzionali che rendano le cure accessibili a tutti”.
I pazienti italiani.
Negli ambulatori, sempre di più arrivano anche gli italiani. A Marghera, sono uno su cinque.
Soprattutto senza fissa dimora, “nuovi poveri” e numerosi anziani: “Alcune famiglie – racconta il responsabile di Emergency – sono costrette a scegliere se pagare il ticket delle visite specialistiche per i figli piccoli o i genitori anziani”.
Infatti, secondo il Censis, il 31% delle famiglie italiane ha dovuto rinunciare almeno una volta negli ultimi due anni a visite specialistiche, esami diagnostici o cicli di riabilitazione.
Del resto, nel periodo 2011-13, in Italia la spesa per i ticket è salita del 10%, con costi per le visite specialistiche (oculistica, cardiologica, ortopedica e ginecologica) che oscillano secondo le aree geografiche: da un minimo di 20 euro al Nord-Est a un massimo di 45 al Sud.
C’è anche chi bussa ai Polibus perchè ha bisogno di un luogo che ti accolga e ti ascolti. Fernanda, infermiera volontaria, racconta che la scorsa settimana, a Castel Volturno, un’anziana di 79 anni che voleva controllare la pressione si è presentata dicendo: “Oggi non mi sono sentita bene, abito qui vicino e vi vedo sempre. Mi sono detta: provo ad andare, forse possono fare qualcosa per me”.
Vive da sola e aveva bisogno di parlare. Racconta Fernanda: “Mi ha parlato quasi senza interruzioni, come fossimo vecchie amiche, il tempo scorreva, lei chiedeva consigli al medico e, quando si è sentita rassicurata, ci ha ringraziato dicendoci che avrebbe parlato con una sua amica per farla venire”.
Gli uomini trasparenti. I pazienti degli ambulatori mobili rimangono, comunque, soprattutto stranieri, lavoratori in nero che vagano da una campagna all’altra del Meridione seguendo le stagioni: le arance a Gioia Tauro e Rosarno, le primizie a Caserta, i pomodori nel Foggiano, il melone in Basilicata, le olive ad Alcamo.
Vivono come “uomini trasparenti”: presenti quando c’è da spezzarsi la schiena, ma invisibili quando si parla di diritti.
In Puglia, Emergency ha un’intesa con la Regione per la distribuzione di acqua potabile, protocolli che di solito si firmano in altre zone del mondo.
Enrico, un volontario, racconta: “Vivono la fame “vera”, letteralmente giorni e giorni senza niente nello stomaco, in case senza servizi, senz’acqua, sovraffollate, e condizioni di lavoro devastanti. Non possono permettersi le cure, nè possono perdere un giorno di lavoro per andare dal medico”.
I Polibus di Emergency sono aperti dalle 16 alle 21 per intercettare i migranti al ritorno dai campi.
Si curano “patologie da lavoro usurante”, come gastriti da stress, problemi muscolo-scheletrici da affaticamento, raffreddamenti d’inverno, e malattie non curate e quindi aggravatesi, da problemi ai denti a patologie croniche scompensate.
Adu, per esempio, è arrivato sorreggendosi al manico di una vecchia scopa: aveva una ferita alla gamba non curata ed era ridotto male.
Talvolta, c’è poi la componente psicologica, legata al fallimento del progetto migratorio, che aggrava il quadro.
Un ponte verso il Servizio sanitario nazionale.
Spiega Bellardinelli: “Facciamo molto ascolto, prevenzione e medicina di base, poi cerchiamo di indirizzare verso il Sistema sanitario nazionale”.
Secondo Medici per i Diritti Umani, nella Piana del Sele, in provincia di Salerno, il 50% degli stranieri regolarmente soggiornanti non ha la tessera sanitaria anche se ne avrebbe diritto.
“Alla scarsa conoscenza dei propri diritti – aggiunge il coordinatore di Emergency – si sommano difficoltà linguistiche, incapacità di muoversi all’interno di un sistema sanitario complesso, con normative e maglie burocratiche che cambiano da regione a regione”. Invece, per chi non ha il permesso di soggiorno, alcune prestazioni sono negate e in generale c’è la paura – infondata – di essere denunciati come irregolari. Per questo, sui mezzi di Emergency c’è sempre un mediatore culturale: “Cerchiamo di essere un ponte tra chi non riesce a comprendere e le istituzioni; la nostra azione quotidiana è quella di mettere tutte le persone con i loro diritti davanti alle istituzioni”.
Stefano Pasta
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Agosto 22nd, 2014 Riccardo Fucile
MAURIZIO CARBONE: “OCCORRONO PROCESSI PIU’ VELOCI E UNA GIUSTIZIA MIGLIORE”
Un elemento del piano per la giustizia delineato dal ministro Andrea Orlando, il segretario dell’Associazione nazionale magistrati, Maurizio Carbone, lo apprezza: “La priorità data al processo civile, da rendere più veloce, dopo anni in cui la politica ha puntato invece sul processo penale e sull’ordinamento dei magistrati. La priorità al processo civile è un fatto certamente positivo. Come anche il metodo seguito: quello del dialogo, e non dello scontro, con i magistrati”.
Gli apprezzamenti positivi finiscono qui?
È positivo che si proponga anche di riformare il falso il bilancio e di introdurre il reato di autoriciclaggio, per rendere più efficace la lotta alla corruzione: speriamo però che sia la volta buona, perchè è da tanto che se ne parla, senza aver ancora fatto nulla; troppe volte le speranze a questo proposito sono state deluse. Non mi pare invece per niente apprezzabile il rilievo dato alla responsabilità civile dei magistrati. I problemi della giustizia non si risolvono inasprendo le sanzioni alle toghe o concedendo risarcimenti ai cittadini, ma offrendo processi più veloci e una giustizia migliore. Respingiamo il messaggio che sia colpa dei magistrati se la giustizia non funziona, come respingiamo il messaggio che i magistrati non rispondano delle loro azioni: rispondono già oggi in sede penale, come tutti i cittadini, poi in sede civile e infine in sede disciplinare.
Sulla riforma dei tempi di prescrizione l’accordo politico sembra essere più difficile.
Riformare la prescrizione è indispensabile. La legge ex Cirielli ha dimezzato i tempi di prescrizione anche per reati di corruzione, per esempio, e questo rende la lotta alla corruzione, che nel nostro Paese deve essere una priorità , una lotta contro il tempo, con i processi che oltretutto si allungano perchè gli imputati puntano alla prescrizione. Mi pare di notare su questo punto uno slittamento, perchè non sono stati ancora raggiunti accordi politici. Ma riformare la prescrizione è assolutamente necessario, per il contrasto alla corruzione e per accelerare i processi.
Si sta discutendo anche di intercettazioni. Tornerà una legge bavaglio?
Su questo punto dobbiamo trovare una soluzione che tenga conto di tre esigenze ugualmente importanti: la tutela della riservatezza dell’indagato e ancor più dei terzi intercettati e non indagati; il diritto di cronaca, dei giornalisti che devono poter scrivere le notizie e dei cittadini che devono essere informati; l’esigenza di proteggere la segretezza dell’indagine. Per quanto riguarda la pubblicazione delle intercettazioni, le violazioni riguardano di solito norme che già esistono. È necessaria però una maggiore attenzione dei giornalisti a non pubblicare elementi che non riguardino l’indagine ma siano solo gossip; e anche dei magistrati, che devono selezionare e inserire nei loro provvedimenti solo le intercettazioni funzionali al provvedimento che stanno emanando. Non vorremmo però che si tornasse a mettere in discussione le intercettazioni in sè, come strumento d’indagine: sono assolutamente essenziali per individuare i reati, sia di mafia, sia di corruzione, sia finanziari…
Del Consiglio superiore della magistratura si dice che deve cambiare in base al principio che “chi nomina non giudica e chi giudica non nomina”.
Se questo vuol dire una più netta separazione della sezione disciplinare del Csm dentro il Consiglio, allora non c’è contrarietà . Siamo invece assolutamente contrari a istituire una Alta Corte separata dal Csm che gli sottragga la funzione disciplinare. Oltretutto questo vorrebbe dire modificare la Costituzione. Quello che si può invece fare, anche in risposta alle polemiche sull’influenza delle correnti dentro il Csm, è la riforma della legge elettorale: oggi la parte del Csm eletta dai magistrati è eletta con un sistema maggioritario a collegio unico nazionale che offre a chi vota poche possibilità effettive di scelta. Proprio per questo noi abbiamo sperimentato, per la prima volta nell’ultima elezione, il sistema delle primarie per indicare i candidati, offrendo così a chi vota maggiore possibilità di scegliere. Questo può essere di stimolo al legislatore per intervenire sul sistema elettorale: ma c’è tempo per riflettere, visto che le elezioni per il Csm sono appena state fatte. Anche se il Parlamento non ha invece ancora scelto i nomi dei membri di sua competenza.
Gianni Barbacetto
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Agosto 22nd, 2014 Riccardo Fucile
LA STRETTA IN ARRIVO SULLE INTERCETTAZIONI
Intercettazioni? Il tentativo è quello di ridurne l’esplosivo effetto mediatico. Inevitabilmente con una conseguenza anche per i pm, meno telefonate nei provvedimenti, magari i testi solo per riassunto, con un contentino sulla corruzione che verrebbe trattata alla stregua dei reati di mafia.
Non se ne parlerà il 29 agosto, nel consiglio dei ministri sulla giustizia, ma il nodo delle intercettazioni, con quelli del falso in bilancio e della prescrizione, restano i punti più attesi della riforma Orlando.
E ne sa qualcosa proprio il Guardasigilli che ha dovuto tenere testa a Giacomo Caliendo, l’ex sottosegretario che ha posto le condizioni per una possibile intesa con Forza Italia.
La prima protesta è stata proprio sulla mancanza delle intercettazioni, assieme al dissenso per l’intenzione di “ripenalizzare” il falso in bilancio
Nella conferenza stampa del 30 giugno a palazzo Chigi Renzi ha detto che bisogna smetterla di pubblicare le telefonate degli estranei alle indagini.
Come si può tradurre in legge?
Per ora, l’unico progetto trapelato da via Arenula, e che risale proprio ai giorni precedenti a quel consiglio dei ministri e alle parole di Renzi, disegna uno scenario molto preoccupante, sia per i magistrati che per la stampa. Orlando ne ha minimizzato l’esistenza e il contenuto, ma il testo è lì, e coincide perfettamente con quanto lo stesso Renzi ha dichiarato pubblicamente.
Quali sono le restrizioni previste?
L’articolo stabilisce che pm e gip, nello scrivere le ordinanze di custodia cautelare, e le altre misure in cui si utilizzano le intercettazioni, non può utilizzare i testi delle telefonate nella loro versione integrale, ma deve limitarsi “unicamente” al loro contenuto. La modifica riguarda l’articolo 292 del codice di procedura penale che disciplina il contenuto delle ordinanze.
Questo intervento limiterebbe il potere dei magistrati?
Sicuramente, rispetto alla famosa riforma delle intercettazioni di Berlusconi, quella del bavaglio contro cui Repubblica fece la campagna dei post-it gialli, questa consentirebbe ai magistrati di disporre la registrazione delle telefonate. Quando Orlando assicura che non ci sarà alcuna restrizione, dice una cosa vera. Ma il problema, come ha fatto notare l’Anm quando sono uscite le prime indiscrezioni, è che non pubblicare la versione integrale dei testi può rappresentare un grosso problema nella stesura delle ordinanze e indebolire le ragioni che motivano un arresto o una perquisizione o un sequestro.
Per quanto tempo i testi delle intercettazioni resterebbero del tutto segreti?
L’ipotesi dell’ufficio legislativo di via Arenula prevede, per ora, che gli avvocati possano prendere solo visione dei testi in- tegrali delle telefonate, senza ottenere una copia cartacea. Il difensore dovrà recarsi a palazzo di giustizia e leggere i testi, ma non potrà portarli con sè come accade adesso. L’obiettivo è quello di evitare che i media possano pubblicare le conversazioni integrali.
Il top secret sugli ascolti durerà fino al processo? Oppure ci potrà essere una discovery precedente?
Niente da fare, tutto segreto. Perchè anche il tribunale del riesame, nello scrivere le sue motivazioni sulla conferma del carcere o sul suo annullamento, non potrà utilizzare i testi integrali, ma solo il loro contenuto.
Una simile riforma, se dovesse andare in porto, sarebbe simile a quella voluta da Berlusconi?
Riguarderebbe solo un aspetto delle intercettazioni, la loro pubblicazione, ma non i poteri dei pm di disporre gli ascolti. Proprio per questo un intervento del genere, che non è affatto condiviso dai magistrati, non piacerebbe nè a Forza Italia, nè a Ncd, soprattutto perchè, come ha confermato Orlando, l’intenzione è di ampliare il potere di intercettare tutti i reati contro la pubblica amministrazione.
In che modo il governo pensa di rendere intercettabili più di quanto non sia adesso i delitti di corruzione?
La corruzione viene parificata ai reati di criminalità organizzata per i quali esiste una legge speciale, quella ideata da Giovanni Falcone nel 1991 e confluita nel decreto del 13 maggio di quell’anno. Per la mafia bastano “sufficienti” e non “gravi” indizi di colpevolezza, le intercettazioni sono possibili anche nei luoghi dove “non” si ipotizza che venga commesso un reato, possono durare 40 giorni prorogabili di venti in venti, e soprattutto possono essere disposte direttamente dal pm senza la preventiva autorizzazione del gip.
Nella maggioranza sono tutti d’accordo?
Il vice ministro della Giustizia Costa di Ncd già punta i piedi: “Se si interviene sui presupposti, e non solo sulla pubblicabilità , allora cambia tutto e anche noi chiederemo di inserire altre questioni”.
Ecco perchè l’intervento sulle intercettazioni è in alto mare.
In attesa si sentiranno i direttori dei giornali.
Liana Milella
(da “La Repubblica”)
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Agosto 22nd, 2014 Riccardo Fucile
SI MOLTIPLICA LA MOBILITAZIONE INTERNAZIONALE CONTRO LA SUA CATTURA… ORA ANCHE FORZA ITALIA E SEL SI SCHIERANO CON I DIFENSORI DI DANIZA: LA VERGOGNA DI TRENTO RESTANO PD E LEGA.. SONDAGGIO DI UN SITO TEDESCO: IL 90% VUOLE DANIZA LIBERA
Lei continua ad essere libera, ma la sua vicenda sta acquistando risvolti internazionali.
Dopo l’ordinanza della Provincia autonoma di Trento per catturare l’orsa Daniza – che il 15 agosto avrebbe aggredito un sedicente cercatore di funghi per difendere i suoi cuccioli -, un gruppo di animalisti ha occupato la sede dell’amministrazione.
E ha chiesto la revoca del provvedimento — avallato dal ministero dell’Ambiente — che prevede la cattura dell’animale e l’uccisione nel caso in cui l’orsa rappresenti un pericolo per gli operatori.
Una ventina di militanti del Partito Animalista Europeo, del Fronte Animalista e degli Irriducibili Toscani è entrata nell’ufficio dell’assessore provinciale all’Ambiente, Michele Dallapiccola, e ha appeso dalla finestra della stanza uno striscione con la scritta “Daniza libera“.
L’assessore Dallapiccola ha precisato che ogni decisione dovrà essere presa dall’intera Giunta provinciale, che si riunirà giovedì prossimo.
Gli animalisti hanno però rifiutato ogni dilazione e hanno detto di essere decisi a continuare l’occupazione fino a che la Provincia non annullerà l’ordinanza.
”Il presidente della Provincia di Trento, Ugo Rossi, ha determinato l’ordinanza di cattura dell’orsa Daniza con l’unico obiettivo di salvaguardare l’incolumità pubblica — ha commentato il presidente del Partito animalista europeo, Stefano Fuccelli – ma di fatto il risultato ottenuto è tutt’altro. Ha soltanto generato odio sociale con probabili rischi di scontri tra le opposte fazioni, e quando l’orsa verrà catturata, o peggio uccisa, la probabilità si trasformerà in certezza”.
Intanto Daniza continua a sfuggire alla cattura.
Nella notte tra giovedì e venerdì (22 agosto) l’animale si è tenuto lontano dalla trappola a tubo. A
lcuni testimoni l’hanno vista vicino al lago Serodoli, sopra Madonna di Campiglio, ma per ora l’orsa non si è fatta prendere.
Per cercare di farla avvicinare, gli agenti provinciali hanno utilizzato anche del pesce ma lei non ha abboccato. Daniza è dotata di radio collare, per questo gli esperti della forestale riescono a monitorare ogni suo spostamento.
Ma il trasferimento della trappola da un’area all’altra non è facile e richiede tempo.
Anche sul fronte politico rimane alta la tensione sulla storia di Daniza.
Forza Italia si schiera ufficialmente in suo favore, compiendo così una retromarcia rispetto alla posizione espressa dopo l’aggressione, quando il consigliere provinciale azzurro, Giacomo Bezzi, aveva dichiarato: “Ormai il numero di orsi presenti sul territorio è diventato incontrollabile”.
Adesso la senatrice Manuela Repetti si è appellata al ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti e al presidente della Provincia di Trento Ugo Rossi, chiedendo la revoca dell’ordinanza per catturare Daniza. ”La proposta di Legambiente di monitorare il comportamento dell’orsa per poi intervenire con maggior razionalità , mi pare la scelta più giusta” ha sottolineato l’onorevole.
Anche la parlamentare Serena Pellegrino, capogruppo Sinistra ecologia e libertà in Commissione ambiente, è intervenuta: “La vicenda dell’orsa Daniza è l’ennesima dimostrazione dell’incoerenza delle politiche ambientali in Italia, in senso generale e nelle dislocazioni delle diverse competenze territoriali: in questo caso, si aderisce al progetto europeo per la reintroduzione degli orsi nell’habitat alpino salvo poi ritenere che proprio quell’habitat debba avere la fruibilità di un parco giochi cittadino”.
Mentre il caso sta interessando la stampa internazionale per la superficialità con la quale le autorità locali stanno gestendo la vicenda, ad appoggiare la cattura dell’orsa sono rimasti ormai solo gli amici di Renzi e di Salvini.
E ora c’è pericolo anche per l’ordine pubblico.
Chi non ha mai avuto dubbi su quale debba essere la sorte di Daniza è il web.
L’orsa va salvata: lo dice un sondaggio condotto dal sito in lingua tedesca stol.it.
Per gli intervistati l’animale ha semplicemente reagito a quella che credeva una minaccia per i cuccioli che aveva con sè.
Il 13% degli intervistati è invece dell’avviso che Daniza possa essere ricoverata in un centro apposito, ma assieme ai suoi piccoli.
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Agosto 22nd, 2014 Riccardo Fucile
LO SFRUTTAMENTO NEI CAMPI: ORA CI SONO ANCHE RAGIONIERI, GEOMETRI E MURATORI ITALIANI CHE NON TROVANO LAVORO… LE LORO STORIE
Dall’Alfa Romeo a bracciante della terra.
In appena ventiquattro mesi il ragionier Vincenzo Micucci, 57 anni, ha ripercorso un secolo di storia che, attraverso due guerre mondiali, una dittatura e decenni di democrazia aveva portato l’Italia tra le prime potenze industriali al mondo. Un percorso al contrario, però: da responsabile contabilità di una delle concessionarie d’auto più grosse della Puglia a operaio agricolo a giornata.
Un giorno qualunque dopo sei mesi da disoccupato, passando sotto un antico ulivo in provincia di Bari, aveva deciso di appendere la corda e impiccarsi.
L’hanno salvato un amico, la moglie, l’amore dei due figli.
Il ragionier Micucci si è così risvegliato in un mondo diverso in cui nascere cittadino dell’Unione europea non affranca più dal rischio di finire al piano più basso del grattacielo della vita.
Quello scantinato già affollato di africani, arabi, bulgari, polacchi, immigrati a migliaia nell’ultimo decennio per fare nelle campagne, come si diceva una volta, i lavori che gli italiani non fanno più. Ma che adesso la crisi costringe ad accettare.
Così si lavora nei campi
DA GEOMETRA A BRACCIANTE
A fine estate le statistiche diranno quanti sono i nuovi stagionali. Tra loro c’è anche Angelo Rasola, 45 anni, di Cerignola, provincia di Foggia, che finora ha trovato soltanto ingaggi da schiavitù.
Tre figli di 16, 13 e 4 anni, diploma di geometra, un lungo passato di notti a sfornare pane. Nel giro di qualche anno gli hanno ridotto lo stipendio.
Dai mille euro ancora regolari del 2008 ai 650 in nero del 2014. Da far bastare per la famiglia, le spese per i libri di scuola, il desiderio di una vita dignitosa.
Così ha lasciato il forno, per mettersi a cercare uno stipendio sufficiente.
Finora ha trovato un agricoltore italiano che l’ha rimbalzato al caporale romeno: il caporale gli ha offerto 20 euro a giornata, in nero ovviamente, dodici ore al giorno dall’alba al tramonto a raccogliere pesche, un euro e sessanta l’ora, un quinto del minimo sindacale.
Il geometra Rasola ha allora provato a chiedere a un’azienda dove cercavano operai per tagliare i pomodori da essiccare. Ma pure lì la paga era al di sotto del minimo di sussistenza per una famiglia qualunque: 1,90 euro l’ora, tutte le notti dalle cinque di sera alle cinque del mattino.
Laura Prospero, 27 anni, laurea in neuropsicologia e tante porte chiuse, ha invece ottenuto un contratto regolare da stagionale: 35 euro al giorno a raccogliere ciliegie con braccianti marocchini, polacchi, albanesi. Ma la stagione delle ciliegie è finita e Laura ora è a casa in attesa che cominci la raccolta delle olive.
Tra gli italiani che la crisi ha rispedito alla terra c’è anche Antonio Castellana, muratore lasciato senza stipendio dal crollo dell’edilizia. Ha 63 anni, tre figli.
Troppo vecchio per emigrare all’estero, troppo giovane per la pensione. Però si considera fortunato. L’ha salvato il fatto che da ragazzo aveva imparato a guidare il trattore: per questo, adesso, continuano a chiamarlo.
Nell’agosto 2006, in questi stessi giorni, “l’Espresso” aveva indagato sul sistema di sfruttamento nascosto sotto la nostra catena alimentare.
Una clamorosa inchiesta da infiltrato tra i braccianti sottoposti a condizioni di schiavitù. Avevamo scelto la provincia di Foggia perchè era stagione di raccolta dei pomodori.
ULTIMA RISORSA
Durante quell’estate, grazie alla complice assenza di controlli, centinaia di lavoratori stranieri erano stati sequestrati dai caporali, chi protestava veniva massacrato di botte e alcuni operai erano stati addirittura uccisi.
Da allora molto è cambiato, nelle leggi e nel numero di ispezioni nei campi. Ciò che non era immaginabile allora, però, è la rapidità con cui l’economia si sarebbe rovesciata. Tanto da spingere i disoccupati italiani di nuovo a piegarsi sulla terra.
Succede dal Friuli alla Sicilia. Con gli imprevisti e le difficoltà dell’agricoltura stagionale: le paghe minime, la precarietà , il maltempo, la fatica, l’impossibilità comunque di mantenere una famiglia.
E in alcune regioni, l’aggravante del caporalato.
Così accade nelle campagne di Cerignola dove i disoccupati del posto devono fari i conti con i caporali stranieri. Per anni a molte imprese ha fatto comodo controllare gli immigrati attraverso i gangster della manodopera, spesso loro connazionali. Adesso sono gli italiani a doversi confrontare.
Più che una clessidra che gira nel tempo, è la lama di un coltello che cambia verso.
Il caporalato funziona da polizia privata, abbassa il costo del lavoro, mantiene l’ordine.
Come un secolo fa quando, proprio da Cerignola, Giuseppe Di Vittorio prendeva coscienza delle prime lotte sindacali. Anche per questo siamo tornati qui.
LA LEGGE DEI CAPORALI
«Ero andato a chiedere a un coltivatore di frutta. C’erano le pesche da raccogliere», racconta Angelo Rasola, l’ex fornaio: «Il titolare dell’azienda mi indica il suo caposquadra, il caporale romeno. Lui mi dice subito: se vuoi, vieni, sono 20 euro al giorno, si comincia all’alba per dodici ore. Venti euro in nero, sono seicento al mese. Senza contare i giorni di pioggia che non vengono pagati. E quest’anno non ha smesso di piovere. Forse in Romania con 20 euro al giorno si vive. Vengono qui d’estate, vivono ammassati in vecchie case e d’inverno tornano in patria. Ma in Italia con 20 euro al giorno, come fai a mandare avanti la famiglia? Le bollette, le spese per la scuola, 300 euro soltanto di libri. Non posso rassegnarmi alla schiavitù. Per questo non ho accettato. È meglio continuare a cercare. Ho mandato il curriculum ovunque, a un salsificio, perfino all’Alenia. L’edilizia è ferma e non posso nemmeno sfruttare il mio diploma di geometra. L’ultimo pane l’ho sfornato il 19 aprile, il sabato di Pasqua. Il proprietario ha deciso di vendere pane industriale. Costa meno. E non posso dargli torto. Troppe spese, troppe tasse. E non è che prima fossimo ricchi. Le paghe qui sono basse da sempre. Le due commesse in negozio prendevano 80 euro a settimana. Ma noi siamo in cinque e i mille euro di stipendio se ne andavano in gas, luce, mangiare, ringraziando il Signore che il mutuo l’ho finito di pagare lo scorso anno. Dal 19 aprile ho fatto anche il badante, in sostituzione per qualche giorno. Ho chiesto a bar, ristoranti. A parte i caporali e le loro condizioni, è tutto fermo».
E come vivete, se da aprile non avete entrate?
Il ragionier Rasola sorride timido: «Mio padre faceva l’impiegato all’acquedotto, ha una pensione di 900 euro. Mio suocero faceva l’ambulante, gli danno 498 euro al mese. Meno male che ci sono loro che ci pagano la spesa per mettere a tavola il primo o il secondo. Le bollette le pago, ma quando posso. Che devo fare?».
MURATORI ADDIO
C’è un’intera comunità di muratori a Cerignola che lavorava nei cantieri di tutta Italia. Si ritrovano al tramonto, nella calura di piazza Matteotti, ora in cui i caporali italiani pagano la giornata e ingaggiano i braccianti per l’indomani. Saverio, 60 anni, sta parlando con un uomo sulla cinquantina, un caporale del posto.
Li riconosci dalle unghie delle mani pulite, il borsello a tracolla dove tengono il telefonino con i contatti e il taccuino con i nomi dei braccianti ingaggiati, i pantaloni a pinocchietto, i polpacci scoperti, i calzini bianchi corti dentro le scarpe da ginnastica. L’uniforme estiva tipica in Puglia nella gerarchia del lavoro.
Quanto pagate a giornata? «Gli italiani 40-45 euro», risponde il caporale.
A contratto? «Macchè a contratto, qua si fa tutto in nero», si lamenta Saverio e il caporale se ne va.
Saverio ha una figlia adolescente ancora in casa, cinque nipotini dai due figli sposati e da tempo disoccupati. Spiega che dal 1970 al 2012 ha lavorato come carpentiere nei cantieri di tutta Italia, fino a Milano e Bolzano. Anche suo padre faceva il carpentiere. «Ma ora non si costruisce più. E come si fa? Non vendono più neanche una casa. Speriamo nella vendemmia. Stanno preparando le squadre di raccoglitori, ma anche oggi sono venuto qui per sentirmi dire che non c’è posto», ammette lui.
Prima della vendemmia c’è la raccolta dei pomodori… «No, quelli li fanno gli stranieri. Gli stranieri hanno rovinato la piazza. O forse sono stati i padroni che li pagano 25 euro a giornata. Bah, comunque trovi stranieri anche nella vendemmia».
SENZA PAGA
Quando ha preso l’ultima paga? «Autunno 2013, un mese e mezzo di vendemmia e raccolta delle olive».
Come fa a mantenere la famiglia, i suoi figli disoccupati, i nipotini? «Grazie ai genitori». Cioè grazie a lei e a sua moglie? «Non io, i miei genitori e i suoceri. Sono ancora vivi, prendono la pensione, ci aiutano con la spesa. Ormai non vale la pena nemmeno andare a rubare. Ti fai arrestare per 50 euro? Nei negozi non stanno meglio di noi, non girano più soldi».
Ha mai rubato? Saverio ti fissa sorpreso dalla domanda, capelli ricci, occhi blu profondi, guance scavate. «No, dicevo per dire». Perchè non vuole che scriva il suo vero nome? Forse è ancora utile far sapere cosa sta accadendo. «E tu lo credi ancora?», domanda l’ex carpentiere: «Guarda, a me non frega niente di te. Agli italiani non frega niente di me. C’è gente che addirittura si è sparata, gente che si è impiccata e non è cambiato niente. Anzi è peggiorato. Vuoi che interessi che io a 60 anni vivo grazie all’aiuto dei miei genitori ottantenni? Senza lavoro sono io e io da solo. Ognuno di noi è solo. La politica se ne è fregata, attenta ai suoi privilegi. Vengono qui in campagna elettorale a chiedere voti, a destra e a sinistra. Ma loro cosa ci hanno dato in cambio?».
Ha gli occhi lucidi. Si allontana verso il Duomo.
IL RAGIONIERE
Vincenzo Micucci, l’ex ragioniere della concessionaria Alfa Romeo che abita a Conversano in provincia di Bari, il suicidio l’ha visto da vicino: «Sì, avevo preparato un po’ di corde per l’impiccagione. Non poter dare una vita degna alla mia famiglia, ai miei figli, mi ha convinto a farla finita. Nella mia totale solitudine, ero certo che con la mia morte li avrei salvati, perchè loro avrebbero ricevuto la pensione. Perso il lavoro, ho perso l’identità , trattavo male mia moglie, i ragazzi. Sono riusciti a fermarmi che ero già sotto la pianta con le corde. Mi hanno spiegato dopo che al massimo avrebbero preso soltanto 400 euro al mese. Stavo facendo una pazzia che non sarebbe servita a nulla. Il consiglio agli altri è di affrontare la situazione a muso duro, di parlarne senza vergogna, senza isolarsi e sperare sempre in un futuro migliore».
Quanti anni ha lavorato nella concessionaria Alfa Romeo?
«Dal 1983 al 2011. Abbiamo chiuso per la mancanza di modelli di auto vincenti e per gli studi di settore: crollate le vendite, lo Stato pretendeva di incassare le stesse tasse». Dopo 28 anni da ragioniere, come è cambiata la sua vita?
«Come bracciante a giornata, il contratto è di 35, 38 euro al giorno. In passato ho accettato anche il nero pur di sopravvivere. Come fanno tutti. Io do ragione agli agricoltori, che hanno avuto anni difficili con cattive stagioni come quest’anno. Eravamo 14 dipendenti alla concessionaria, sette fanno ora i braccianti stagionali. I miei compagni di lavoro nei campi sono tutti italiani. Non ci sono stranieri».
E con 38 euro al giorno si vive in quattro? «Se non piove, arrivi a 900 euro al mese. Da noi è un’azienda a posto, non c’è il caporale che si tiene parte dei soldi. Ma quest’anno molte giornate sono saltate per il brutto tempo. Se va male, non superi i 400 euro. Mia figlia ha 23 anni, studia lingue all’università . Mio figlio, 30 anni, ha un contratto part-time come pizzaiolo e dà lo stipendio in casa. Altrimenti non vivremmo».
Il suo primo giorno da bracciante ha provato vergogna?
«No, ho pensato che mi stavo salvando dalla fame. Non ho provato nessuna vergogna perchè per me lavorare è fonte di salvezza», sorride il ragionier Micucci, raccontando poi che l’ultima vacanza con la famiglia l’ha fatta dieci anni fa.
E che lui a 19 anni si era già sposato, quando sua moglie di anni ne aveva 17 e l’Alfa Romeo era ancora un simbolo di successo dell’Italia industriale.
COME UN CONTE DECADUTO
Chi prova vergogna quando all’alba si alza per andare nei campi è invece Antonio V., 58 anni.
Faceva l’imprenditore vicino a Bari, come suo padre. Vendita all’ingrosso di articoli per la casa.
«Fatturato sceso a centomila euro, ventimila di guadagno. Ma gli studi di settore dicevano dovevo guadagnare il 45 per cento sul fatturato. Ho usato tutto il mio reddito di un anno per sanare il contenzioso con l’Agenzia delle entrate e ho chiuso. Basta. Adesso non trovo più nulla. Così anch’io sono finito a lavorare in campagna per 40 euro al giorno. Ho quattro figli, due studiano ancora. È dura».
Lavorare la terra non è un’attività di cui vergognarsi. «Non è bello per me, mi fa star male. Mi vergogno, non perchè la terra non sia nobile ma perchè mi sento come un conte decaduto. Lavorare in campagna dopo aver fatto l’imprenditore è deprimente. Ho avuto problemi psicologici. Studiare tanti anni e avere questa gratificazione dal lavoro porta alla depressione. E alla rabbia. Perchè si poteva intervenire prima. Ma i nostri politici non si sono tolti un euro, mentre a noi hanno tolto la dignità . Grillo dice cose giuste, solo che le grida. Se fosse più moderato, sfonderebbe. Io però la supplico: faccia in modo che la mia testimonianza non sia riconoscibile».
LA SPERANZA DELLA PSICOLOGA
Soltanto Laura Prospero, la giovane psicologa di Castellana Grotte, genitori in pensione e un fratello nell’Esercito, riesce a guardare il futuro con fiducia.
Sta finendo la scuola di specializzazione in psicoterapia a Lecce e il lavoro con albanesi, polacchi e marocchini è solo una tappa per aiutare la famiglia: «C’erano molti altri italiani con noi», conferma la dottoressa Prospero: «Una signora originaria di Avellino raccoglieva ciliegie perchè il marito, muratore, aveva perso il lavoro. Hanno anche un figlio. Lei aveva finito di lavorare a ottobre con le olive e ripreso a maggio.
Raccontava che per tutto l’inverno, senza stipendio, hanno mangiato soltanto pasta. L’unica variante a Natale e Capodanno. Hanno mangiato pasta e lenticchie».
Fabrizio Gatti
(da “L’Espresso”)
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Agosto 22nd, 2014 Riccardo Fucile
BLOCCATA L’ABOLIZIONE: I DECRETI ATTUATIVI DELLA LEGGE DELRIO DOVEVANO ARRIVARE A LUGLIO, MA (FORSE) SI VEDRANNO IN SETTEMBRE…. INTANTO IL PARLAMENTO GLI RIDà€ I RIMBORSI SPESE
Non solo le Province restano. Ma continuano a fare quello che facevano, come se ci fosse ancora un domani per una istituzione da 11 miliardi di euro l’anno.
La ragione è fin troppo semplice, ma il problema è grave per le casse pubbliche che languono: dopo quattro mesi dalla data di entrata in vigore del “ddl Delrio” (dal nome dell’allora ministro per gli Affari regionali e attuale sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri, Graziano Delrio) sul riordino delle Province, mancano ancora i decreti attuativi per renderlo operativo.
“Dovevano essere approvati entro l’8 luglio — spiega il presidente dell’Unione province d’Italia (Upi), Alessandro Pastacci —. Ma le Regioni non hanno trovato un accordo con il governo.
Così hanno posticipato al 5 agosto, senza risolvere un bel niente.
Si incontreranno l’11 settembre, speriamo che sia la volta buona”.
Alla vigilia delle votazioni, indette tra il 28 settembre e il 12 ottobre, per le nomine dei nuovi consigli provinciali secondo la legge 56 (cioè la riforma Delrio), è tutto fermo. Eppure la tabella di marcia verso lo svuotamento degli enti era fissata da tempo.
Entro la fine di quest’anno devono scomparire e rinascere sotto nuova sembianza, più snella e, in teoria, meno costosa. In pratica, enti di secondo livello con tre organi: il presidente, carica assunta dal sindaco del capoluogo; l’assemblea dei sindaci, rappresentata dai primi cittadini del circondario; e il consiglio provinciale, costituito da dieci a 16 membri (a seconda degli abitanti) selezionati tra gli amministratori municipali locali .
A partire dal primo gennaio 2015, invece, devono nascere le prime città metropolitane: Milano, Roma, Firenze, Genova, Bari, Bologna, Torino, Napoli.
Poi toccherà anche a Reggio Calabria e Venezia.
Ma le Province fanno finta di niente e continuano a tenere in piedi la loro impalcatura, rinnovando i contratti interni. Anzi, in pieno agosto, sono più dinamiche e propositive del solito.
Tanto per citare qualche esempio, a Salerno il presidente Antonio Iannone, ai primi del mese ha rinfoltito la squadra della sua giunta con quattro nuovi assessori.
Il numero uno di Palazzo Sant’Agostino ha atteso invano i decreti attuativi, “e sono andato anche oltre — scrive in una nota — ma, puntualmente, Renzi ha dimostrato di non essere capace di andare oltre gli annunci. Sono nell’esigenza di completare la squadra di governo viste le responsabilità e gli impegni che continuano a gravare sul nostro ente”.
E conclude, “faremo fino in fondo il nostro dovere nonostante le decisioni criminali del governo Renzi”.
Negli stessi giorni, anche al presidente della Provincia di Bari, Francesco Schittulli, è venuto in mente di nominare un altro assessore alla Formazione professionale e Politiche del lavoro.
La Provincia di Bergamo, addirittura, ha deciso di fare affari comprando un pezzo di terra in Basilicata per 56 milioni di euro (di cui 12 sganciati dall’Ue) dove costruire una centrale a biomasse.
Quella di Rovigo, invece, non sente la crisi e due giorni prima di Ferragosto, con un decreto, ha stanziato premi per merito per sei dirigenti e il segretario generale che ai cittadini costano 146 mila euro.
E poi quella di Torino che ha messo in vendita il palazzo della Questura per fare cassa, scatenando una bufera tra i poliziotti.
Ridotte drasticamente le competenze, trasferite a Regioni e Comuni, fatta eccezione per l’edilizia scolastica e la pianificazione dei trasporti e della tutela dell’ambiente.
E questo è il pomo della discordia tra Stato e Regioni. Le seconde, chiarisce Pastacci, “non vogliono accollarsi delle funzioni che la legge 56 ci ha tolto. Si dovranno occupare di cultura, lavoro, assistenza sociale e turismo, ma non sanno ancora in quali termini”. Perchè, appunto, mancano i decreti attuativi.
“Anche sull’ambiente è un caos totale: alcune cose sono di nostra competenza, altre degli enti regionali, ma oggi chi fa cosa?” si chiede il presidente dell’Upi. E tutta l’Italia è in attesa di una risposta.
Intanto il Parlamento si è premurato di cancellare dagli articoli 114 e seguenti della carta costituzionale con il riferimento alle Province. E poi la beffa.
I primi di agosto, quindi all’ultimo secondo utile, Camera e Senato hanno apportato una piccola modifica, contenuta nel decreto legge 90, che va a vanificare il senso dello smantellamento degli “enti di mezzo”, cioè il risparmio dei soldi dei contribuenti e una maggiore efficienza dei servizi.
Se la legge Delrio in origine vieta in assoluto compensi ai futuri rappresentati provinciali (perchè, ricoprendo già un’altra carica, non possono ricevere due indennità ), i deputati li fanno resuscitare.
Si legge all’articolo 23 che “restano a carico della città metropolitana o della provincia gli oneri per i permessi retribuiti, per i rimborsi spese e le indennità di missione, per la partecipazione alle associazioni rappresentative degli enti locali e gli oneri previdenziali, assistenziali e assicurativi”.
Lanciato il salvagente, le casse tornano a tremare, e con loro i dubbi: chi finirà il mandato nel 2015 e nel 2016 percepirà la doppia indennità ?
Nessuno sa, tutto tace.
Chiara Daina
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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