Agosto 11th, 2014 Riccardo Fucile
TELEFONA AL PRIMO MINISTRO INDIANO E AUSPICA “UN SOLUZIONE RAPIDA”, POI DIFFONDE LA NOTIZIA AI MEDIA… NON AVEVA PREVISTO LA REPLICA DEL PREMIER INDIANO: “IL PROCESSO DEVE FARE IL SUO CORSO”
Botta e risposta tra il premier italiano, Matteo Renzi e quello indiano Narendra Modi sul caso marò.
Una soluzione “rapida e positiva” al lungo e complicato caso che vede al centro i due fucilieri di Marina Massimiliano Latorre e Salvatore Girone.
E’ questo l’auspicio espresso dal presidente del Consiglio al primo ministro indiano nel corso di una telefonata.
Ma la mossa mediatica di Renzi non sembra aver sortito l’effetto voluto.
Il capo del governo indiano ha chiesto infatti all’inquilino di palazzo Chigi di “permettere al processo di fare il suo corso”.
Sottolineando che ”il sistema giudiziario indiano è libero, giusto e indipendente e siamo convinti che decidendo sul caso ne prenderà in considerazione tutti gli aspetti”.
Insomma, poche parole per mettere in chiaro che l’India non vuole subire pressioni dall’Italia.
A una settimana dalla visita a New Delhi del ministro della Difesa Roberta Pinotti, il governo continua la strada diplomatica che non ha portato a nulla nella vicenda dei due militari italiani, bloccati in India dal febbraio del 2012 con l’accusa di aver ucciso due pescatori del Kerala.
Già a inizio mese Renzi s’era detto “molto fiducioso nel nuovo governo indiano” e aveva espresso la speranza che l’esecutivo Modi “nelle prossime settimane” avesse “la possibilità di affrontare” la vicenda dei due marò” e di “recuperarla in una dimensione di collaborazione” sulla base “del diritto internazionale”.
Per la verità , durante la sua campagna elettorale, il premier indiano aveva assunto posizioni dure sui due fucilieri del San Marco.
Sul piano giudiziario, il caso di due militari italiani vive una fase di stallo.
Anzi, sui due ricorsi alla Corte Suprema indiana non si prevedono novità per molte settimane. Anche il procedimento presso la Procura di Roma non è stato archiviato ma è fermo, sono le parole del procuratore capo Giuseppe Pignatone, “in attesa che l’autorità indiana dia corso alle commissioni rogatorie da tempo presentate, e già sollecitate”.
E le due udienze di fine luglio nel tribunale speciale e nella Corte Suprema di New Delhi per il rinnovo delle garanzie bancarie a sostegno della libertà dietro cauzione dei marò si sono rivelate pura routine e non hanno modificato la situazione.
Passati diversi mesi dal suo insediamento, Renzi non è riuscito a sbloccare di un millimetro la situazione.
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Agosto 11th, 2014 Riccardo Fucile
TRA VU CUMPRA’, ART. 18, STADI E SPIAGGE
Con mossa da pugile ferito, il Nuovo centro destra prova ad uscire dall’angolo dell’irrilevanza politica e dell’abbraccio mortale con il Pd renziano.
E con il segretario ministro Angelino Alfano infila due, tre mosse nel giro di pochi giorni che sanno di propaganda ma sembrano azzeccate.
Venerdì scorso l’operazione stadi sicuri con misure choc come il Daspo fino a 8 anni che mettono gli ultras più o meno sullo stesso piano dei boss di mafia (del resto Jenny la carogna non è certo un damerino da compagnia).
Nel lunedì della settimana di Farragosto annuncia l’operazione spiagge sicure e la stretta sui “vu cumprà ” in spiaggia.
È certamente tardiva e contiene una insopportabile gaffe lessicale ma si guadagna un ideale “mi piace” da parte della lobby dei commercianti.
Infine la battaglia per l’abolizione dell’articolo 18 del codice del lavoro: è una questione più di forma che di sostanza ma, per quanto abbia il gusto della strumentalità , riesce a bucare e ad imporre l’agenda del dibattito politico.
Il Nuovo centrodestra ci prova. Deve farlo.
“Dobbiamo essere noi i riformatori della destra al governo sui temi economici e il lavoro, noi la calamita per Forza Italia” detta la linea il coordinatore Gaetano Quagliariello.
Alfano esegue, diligente, forte anche di un dicastero che gli può consentire ampia operatività e quindi visibilità .
Non sono da meno gli altri ministri: Lupi, alla guida di Infrastrutture e Trasporti, si pregia di aver concluso la trattativa Alitalia-Eithiad “salvando non solo migliaia di posti di lavoro ma anche potenziando lo scalo di Malpensa ridotto ad uno scalo quasi residuale”; Beatrice Lorenzin ha qualche problema in più sull’eterologa ma può rivendicare, come ministro della Sanità , di aver evitato un micidiale taglio delle spese.
Ncd batte più colpi per ricordare al premier che “prima di Forza Italia ci siamo noi che siamo già al governo per tirare fuori il Paese da questo pantano economico ed istituzionale”.
E anche, suggeriscono gli stessi parlamentari del gruppo, “per mettere in chiaro che i nostri posti non sono disponibili qualora si creino le condizioni per un rimpasto di governo”.
Quello di Alfano, soprattutto.
Il gruppo parlamentare dei Popolari ancora non si è creato. Difficilmente nascerà in autunno perchè non conviene a nessuno: un gruppo solo prende meno soldi di tre diversi (Udc, Scelta civica e Popolari) e anche per i capigruppo sarebbero sacrifici.
Ma, un altro messaggio veicolato in queste ore a Renzi è proprio quello dei numeri: se il premier dice di fare a meno di Forza Italia, sappia che al senato il secondo gruppo siamo proprio noi, i centristi”.
Lo scalpo di giornata per Alfano e Ncd è l’articolo 18.
Individuato già come tema durante la direzione del partito a fine luglio, torna utile in questi giorni per spiazzare Forza Italia e alzare la posta nella maggioranza e nel governo di Renzi che dice di “fare da solo” e di “non dipendere da Berlusconi” ma che ha bisogno di alleati.
Il ministro dell’Interno e presidente di Ncd ne pretende l’abolizione “entro fine agosto per i nuovi assunti inserendolo nel testo del decreto sblocca-Italia”.
Scimmiotta Renzi è detta “tre scadenze in tre mesi”: la restituzione di 15 miliardi di debiti della pubblica amministrazione alle imprese; la “centralità di famiglie e imprese nel testo della delega fiscale”.
Un fuoco pirotecnico che ha il risultato di agitare il Pd.
Se il ministro Madia aveva gelato la proposta con un categorico “l’abolizione dell’articolo 18 non crea posti di lavoro, non è quindi una priorità ed è solo divisivo”, il vice segretario Lorenzo Guerini è costretto invece ad aprire uno spiraglio.
“La questione sarà affrontata con la delega che in questo momento è in discussione al Senato. In quest’ambito affronteremo senza chiusure pregiudiziali le proposte che verranno messe in campo. Anticipare quella discussione a strumenti che non sono propri credo sia sbagliato”.
Goal, meta, la prima messa a segno da Angelino.
Forza Italia si divide: il capogruppo Renato Brunetta arranca e già si sente scippato di un tema; la vicepresidente della commissione Lavoro Polverini rispolvera le radici sindacali e avverte: “Giù le mani dai diritti”.
Anche il Pd si divide: la sinistra del partito con Cesare Damiano insorge e si porta dietro sindacati, Cgil e Cisl, e Sel (“è solo una battaglia ideologica”).
Quando in giornata entra in pista Sacconi, capogruppo Ncd al Senato e soprattutto presidente della Commissione lavoro dove è fermo il pacchetto di norme sul lavoro, è un trionfo.
“Bene Guerini: ci dice che dell’art. 18 si può e si deve parlare senza pregiudizi nel contesto della legge delega sul lavoro considerandolo alla luce del rafforzamento delle politiche di tutela dei disoccupati. È la nostra tesi, finora negata dai parlamentari del Pd che non hanno accettato come criterio di delega nemmeno quel riferimento alla riforma del contratto a tempo determinato che era stato già votato quale premessa del decreto legge”.
Ora, se poi tutto questo servirà non tanto ad abolire l’articolo 18 ma a portare a casa “quelle misure che sbloccano la propensione delle aziende ad intraprendere e ad assumere se vengono superate le rigidità su licenziamenti e mansioni e che sono la stella polare di Ncd”, Alfano e soci potranno cantare vittoria.
E non è detto che al Pd renziano questo possa dispiacere.
(da “Huffingtonpost“)
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Agosto 11th, 2014 Riccardo Fucile
SECONDO COTTARELLI POSSIBILI RISPARMI FINO A 3 MILIARDI… L’ATAC ROMANA DA SOLA GENERA META’ DELLE PERDITE DI TUTTO IL TRASPORTO LOCALE ITALIANO
Le società controllate da Comuni e Regioni? Un vero e proprio poltronificio.
Se per magia si riuscisse davvero a ridurre di colpo da 8000 a 1000 le società controllate dagli enti pubblici salterebbero 26mila poltrone, tra presidenti, amministratori delegati, consiglieri e sindaci.
Per un risparmio diretto di almeno 4-600 milioni di euro di emolumenti.
I dati non possono essere fissati con certezza, ed in realtà la forbice oscilla tra 21 e 30mila posti, ovvero da un minimo di 2,9 a 4,3 membri per consiglio (stime dell’Istituto Pio La Torre), perchè il mondo delle partecipate è in continuo rivolgimento.
Un «mondo oscuro» l’ha definito la Corte dei Conti.
L’ultimo Rapporto del ministero dell’Economia parla di 8.146 società , la magistratura contabile arriva a 7.472, anche se poi tolte quelle che fanno capo allo Stato, 50 gruppi con 520 controllate di secondo livello, il conto si riduce a 5.258.
Il rapporto di Cottarelli, consegnato giovedì sera al governo, ne conta 7.726, ma 1250 non sono operative, 37 mila seggiole e circa 450 milioni di emolumenti.
Il tutto da sforbiciare per bene per arrivare a risparmiare in tutto 2-3 miliardi.
Stringendo la lente sulle città con oltre 100mila abitanti e le province sopra i 500mila una indagine recente di R&S Mediobanca mette a fuoco molto bene il capitalismo municipale e regionale «all’italiana».
I suoi pro (pochi) ed i suoi contro (che sono tanti).
Filtrando i dati e analizzando al microscopio i bilanci delle 67 società detenute dai 115 più importanti enti locali che presentano un fatturato consolidato superiore ai 50 milioni di euro viene alla luce un universo che con le controllate lievita ad un totale di 435 imprese, che conta 132mila dipendenti e vale 31,7 miliardi di fatturato.
Un mondo composto dalle ricche multiutiliy e dalle società energetiche, che tra il 2006 ed il 2012 hanno realizzato utili per 3,3 miliardi, e imprese come quelle di igiene urbana e quelli che gestiscono tram e busi in rosso fisso.
In sei anni la romana Atac ha accumulato oltre un miliardo di perdite (e da sola, sostiene Cottarelli, genera metà delle perdite di tutto il trasporto pubblico locale italiano), la milanese Asam 312 milioni, la romana Ama 290, la napoletana Ctp 210, la laziale Cotral 168.
Di contro A2A ha fatto utili per 1,1 miliardi, Acea per 701 milioni ed Hera per 693. Molte producono ricchi dividendi, ma tante altre rappresentavano un pozzo senza fondo assorbendo tra l’altro 4,4 miliardi di euro di contributi legati ai contratti di servizio: 2,9 miliardi le aziende di trasporto e 1,5 quelle di igiene ambientale.
Costi che alla fine pagano i cittadini con un esborso procapite di 160 euro l’anno.
Si accumulano grosse perdite, insomma, ma in parallelo anche potere, poltrone e clientele da spartire e consulenze da assegnare a pioggia.
A tutto il 2012 i 115 enti locali azionisti delle società analizzate da R&S avevano insediato negli organi societari delle partecipate ben 2.345 propri rappresentanti dei quali mille in posizioni apicali (presidente, amministratore delegato, ecc).
A queste nomine poi se ne aggiungono a cascata altre 2.287 in enti, fondazioni e consorzi.
I comuni hanno espresso 1.089 nomine, mentre Regioni e Province si sono divise le altre 1300.
Il numero dei nominati è mediamente pari a 15 persone per ciascuna provincia, 22 per ogni comune e 32 per le regioni.
Venezia (65), Roma e Parma, prima del disboscamento avviato da Pizzarotti causa rischio-default, con 53 ognuna, sono le città che hanno espresso il maggior numero d’incarichi.
Trento con 105 e Bolzano con 59 sono le province più prolifiche, il Friuli (66), la Valle d’Aosta e la Sicilia (58) le Regioni più attive.
Detto questo, Mediobanca non nasconde che nell’ultimo triennio sia stato fatto un certo sforzo per contenere i costi: un po’ ovunque il numero di nomine è calato del 16,5%, il monte stipendi è sceso del 21,2% ed il compenso medio per carica ha subito uno decurtazione del 9%, da 26 mila a 23.700 euro.
Cottarelli va ovviamente oltre: accorpa, cede e taglia società ed inoltre propone cda formati da appena 3-5 componenti, divieto di cumulo degli incarichi e rigidi tetti ai compensi.
Una vera e propria sfida nella sfida.
Paolo Baroni
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Agosto 11th, 2014 Riccardo Fucile
LA RIORGANIZZAZIONE DELL’INFORMAZIONE ITALIANA IN STILE BBC
La parola d’ordine è “riorganizzazione”.
Non solo negli assetti editoriali, dove il rilevamento dell’Unità pare essere diventata, secondo le ultime indiscrezioni, una corsa a due: da una parte il gruppo finanziario Sator guidato da Matteo Arpe, dall’altra il quotidiano online Lettera 43.
La vera e propria rivoluzione che sta interessando il sistema informativo italiano passa soprattutto per la televisione e investe i due principali contendenti: la Rai e Mediaset.
Il motivo pare essere, neanche troppo nascostamente, lo stesso per entrambi: accorpamento delle risorse per favorire il risparmio ed evitare inutili sperperi.
Tuttavia, sia il direttore del Tg5 Clemente Mimun, sia il dg della Rai Luigi Gubitosi dicono di tendere alla “modernizzazione”, all’ottimizzazione del “passaggio al digitale”, con un occhio al modello anglosassone, alla Bbc in particolare.
Insomma, nessun ribasso nell’offerta, anzi.
“Un cambiamento strutturale, ma non formale, non estetico. La nostra idea si basa su una semplificazione produttiva e sulla specializzazione delle testate”, ha detto Gubitosi in una recente intervista a L’Espresso.
E dopo l’annuncio di Gubitosi che ha promesso accorpamenti massicci e una unica redazione a fornire servizi per i telegiornali di tutte le reti, arriva anche quello di Mimun.
Mediaset, infatti, ha deciso di rivedere il suo gioiello, il Tg5. La rinascita del Biscione passa attraverso una data: 8 settembre.
Quel giorno, secondo quanto annunciato da Mimun e secondo quanto riporta Aldo Fontanarosa su La Repubblica, molti giornalisti del Tg5 (per la precisione 19, di cronaca e di esteri), passeranno alla redazione di News Mediaset, l’agenzia interna al gruppo, “fabbrica comune dei servizi giornalistici per tutte le testate di Mediaset”.
Anche in questo caso, lo scopo è ottimizzare le risorse: “Le mie scelte dolorose per tutti, sono basate esclusivamente sui numeri aziendali e le esigenze del giornale”, specifica il direttore del Tg5.
E se il cdr è già sul è piede di guerra e chiede il ripensamento delle scelte editoriali, Mimun va avanti per la sua strada che passa anche per il ridimensionamento del canale all news – TgCom24 – che offrirà dirette proprie solo per 10 ore al giorno: dalle 8.55 alle 19:05.
Lo schema ricalca di fatto quello messo a punto dal dg della Rai, si diceva.
Mentre si assiste al “valzer delle poltrone”, con Giovanni Floris che lascia la guida di Ballarò per trasferirsi nelle sedi de la Cairo Communication e l’ormai ex vice direttore de La Repubblica Massimo Giannini a prendere il suo posto, infatti, nella televisione pubblica italiana si pensa agli accorpamenti, con la riduzione delle testate giornalistiche televisive dalle attuali sette a due sole: Rai Sport per i notiziari sportivi, e poi Rai Informazione con quest’ultima a fare da testata responsabile per la realizzazione dei servizi per tutti i canali tv e il web del gruppo.
“Una sola testata per tutti i canali”, con un risparmio di circa il 20% nelle casse del servizio pubblico televisivo. Ma non solo.
Saranno eliminate alcune edizioni dei telegiornali. “Su RaiUno, RaiDue e RaiTre saranno mantenute solo “le edizioni principali dei tg” e proprio la prima rete pagherà il prezzo più alto. Oggi offre 4 edizioni lunghe (tutte salve) e 8 brevi (invece da ridimensionare). Nessun canale europeo propone 12 notiziari al giorno”, spiega Aldo Fontanarosa su La Repubblica.
Ma la vera rivoluzione del “15 dicembre”, secondo il piano Gubitosi, è la nascita di due Newsroom: la prima unirà le redazioni di Tg1, Tg2 e Rai Parlamento.
Tutti i marchi storici saranno salvati (a partire da Tg1, Tg2 e Tg3) mentre le forze giornalistiche verranno unificate.
La seconda Newsroom porterà “un’evoluzione dell’all news integrando offerta nazionale, internazionale e locale”, ha spiegato il dg.
(da “Huffingtonpost”)
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Agosto 11th, 2014 Riccardo Fucile
META’ DEL DEMANIO MARITTIMO OCCUPATO PER USI PRIVATI
I recenti dati sullo stato delle coste italiane sono terribili.
Probabilmente nessun Paese, con uno sviluppo costiero così cospicuo (quasi 8000 km), ha maltrattato e distrutto il fulcro del suo patrimonio turistico.
E lo ha fatto con una perseveranza che non trova riscontro neppure in Grecia o in Spagna, e che non si ferma nemmeno davanti ai ripetuti allarmi per l’eccessivo consumo di suolo lanciati negli ultimi anni.
In Italia l’occupazione delle coste è al 60% contro una media mediterranea del 40%, ma raggiunge vette dell’85% nel Lazio; in Liguria solo 19 km di coste su 135 sono liberi dal cemento, in Emilia Romagna 24 su 104.
Il tutto aggravato da una feroce erosione delle coste che le ha ridotte del 40% negli ultimi decenni; erosione che trova la sua ragione nella moltitudine di dighe e cave lungo il corso dei fiumi che così non possono ripascere le spiagge.
Con le spiagge ce la siamo presa particolarmente: su circa 3500 km, quasi 1000 sono occupati dagli stabilimenti ufficiali, poi bisogna aggiungere campeggi, villaggi turistici, infrastrutture varie e le opere residenziali (molte abusive), arrivando a circa una buona metà del demanio marittimo occupato per usi privati.
Solo il 29% delle coste italiane (circa 2200 ettari) è libero da insediamenti e integro.
Quasi il 60% è invece stato già fatto oggetto di occupazione intensiva che ha comunque sempre comportato almeno la cancellazione della duna e della macchia. Come se non bastasse, il restante 11% è in via di occupazione.
Una volta la grande bellezza italica era anche il mare, ma negli ultimi 25 anni le nostre coste si sono sostanzialmente trasformate in aree urbane.
Se aggiungiamo che siamo il paese più caro del Mediterraneo, per quale ragione i turisti stranieri dovrebbero venire, e soprattutto tornare, al mare da noi?
E’ vero, il patrimonio artistico, storico e monumentale dell’ex Belpaese è ancora attraente, ma è sommerso dalla grande bruttezza di periferie inguardabili o assediato da costruzioni moderne nemmeno completate.
Il valore di contesto, quello che rendeva unico un paese in cui, passeggiando in riva al mare, trovavi il teatro greco o il porto romano, le tagliate etrusche e i villaggi padani, è sfregiato orribilmente.
Soprattutto è l’ambiente a essere stato improverito e distrutto, così la qualità dei soggiorni, soprattutto dei turisti nord-europei è scaduta e ci lasciano a favore delle mete tradizionali (Grecia, Croazia e Spagna) o di quelle nuove (Cina e Sudest asiatico).
Perchè dovrebbero cercare una natura che non esiste più in Calabria o in Sicilia quando in Thailandia o Indonesia è ancora in gran parte intatta, costa molto meno e viene offerta con una ospitalità che noi abbiamo dimenticato?
Forse fra dieci anni anche questi luoghi saranno ricoperti di costruzioni, ma questo è il nodo cruciale del turismo mondiale, la legge non scritta per cui, quando l’infrastrutturazione supera un certo limite, allora il godimento si abbassa in maniera intollerabile e arrivano le infiltrazioni malavitose.
E la costa perduta è perduta per sempre.
Se vogliamo conservare e potenziare il motore economico del nostro sistema turistico estivo, abbiamo davanti una strada obbligata, che serve anche a tutelare natura e ricchezza della vita. Portare a 1000 metri dal mare il divieto di costruire (oggi è di 300) e applicare una moratoria di almeno cinque anni alle nuove costruzioni.
Le coste sono i nostri gioielli di famiglia esattamente come i monumenti, per via di un legame fra cultura e natura che è da noi più stretto che altrove.
Il nostro patrimonio non è tanto la somma dei monumenti, ma il contesto: quello che rende(va) unico in tutto il mondo un Paese che dovrebbe ancora porre a perno della propria identità nazionale e della propria memoria collettiva i valori culturali e naturalistici.
Mario Tozzi
(da “La Stampa“)
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Agosto 11th, 2014 Riccardo Fucile
MAGNATE SI AFFITTA MEZZA ISOLA PER UNA FESTA FRA VODKA, FUOCHI, PUPO E RICCHI E POVERI
Si è preso mezza Capri per quattro giorni. Con fuochi, luci, tanta vodka, “Mamma Maria” e “Gelato al cioccolato” per celebrare il suo quarantaduesimo compleanno.
Anacapri è pronta a issare bandiera russa, con un piccolo ( o forse non tanto piccolo) risvolto politico, perchè nonostante le sanzioni dell’Europa contro Mosca, e il clima da nuova Guerra fredda, un facoltoso imprenditore – sull’identità del quale si mantiene per ora il riserbo – si è innamorato di Capri al punto da riservare per sè e i suoi amici la parte più affascinante ed esclusiva dell’isola.
Il magnate ha fatto le cose in grande: per cinque giorni, dal 12 al 16 agosto, ha affittato quasi per intero le maggiori strutture di Anacapri, il paesino che dalla cima dell’isola si affaccia sulla Grotta Azzurra per festeggiare il compleanno.
Cento invitati raggiungeranno l’isola con un transfer privato, con tre yacht a loro disposizione. Per l’alloggio ha riservato tutte le 72 camere e suite (alcune con giardino e piscina privata) del Capri Palace Hotel – un resort 5 stelle superlusso con una delle migliori Spa mediche al mondo. Avrà a sua disposizione anche i ristoranti, quello interno, L’Olivo, e (non in esclusiva) anche Il Riccio, dove si cena a livello della Grotta Azzurra.
Per i bagni ha preso l’intero Lido del Faro, stabilimento balneare sopra le rocce di Punta Carena, unica bandiera blu dell’isola e unica spiaggia che gode del sole fino al tramonto.
IL PROGRAMMA DELLA FESTA
La prima cena verrà servita al Ristorante 2 Stelle Michelin L’Olivo con intrattenimento musicale del soprano Nicole Renaud con la sua fisarmonica.
La festa di gala, il 14 agosto, sul roof terrace dell’Hotel, non passerà inosservata.
Si prepara uno spettacolo di luci e fuochi, fiumi di vodka portata direttamente dalla Russia e non mancheranno musicisti d’eccezione, chiesti personalmente dal festeggiato: stanno per raggiungere l’isola Pupo e i Ricchi e Poveri, vere e proprie celebrità per il popolo russo, ormai ben più che in Italia.
Tra gli altri interventi musicali, la posteggia napoletana di Marco Cantarella e la musica di piano bar della cantante Sara Grieco insieme al pianista Placido Frisone.
A seguire dj e karaoke. Per Ferragosto,invece, è prevista una cena a bordo piscina con uno spettacolo di luci sull’acqua.
COME CAMBIA IL TURISMO DI CAPRI.
Non è certo la prima volta che accade qualcosa di simile in location così affascinanti ed esclusive.
D’altra parte c’è un turismo di superlusso che non conosce frontiere. Nè geografiche, nè tantomeno economiche. Capri è sempre Capri, la Piazzetta, i Faraglioni, la Grotta Azzurra non perdono il loro fascino.
Ma il turismo sull’isola è cambiando completamente negli ultimi anni: la crescita vertigionosa dei costi ha reso l’isola ormai quasi off limits per gli italiani e si trascorre sempre meno tempo sull’isola.
Sono finiti i tempi in cui clienti, spesso americani, si fermavano per mesi a trascorrere l’intera estate. La crisi a Capri non si sente, perchè il rimedio è il turismo straniero, il turismo superlusso. L’isola è sempre più meta di ricconi di tutto il mondo, dagli Stati Uniti all’India, dall’Inghilterra al Giappone, dal Medio Oriente alla Russia, che sempre piu’ spesso quando ne hanno bisogno requisiscono le esigue strutture dell’isola per se stessi.
IL RISVOLTO POLITICO.
C’è anche un tema politico dietro questo sfizio che si sta togliendo l’imprenditore russo.
Dopo le sanzioni imposte da Usa e Ue alla Russia, Vladimir Putin ha risposto con un decreto per «limitare o bloccare» per un anno le importazioni di prodotti agricoli e alimentari dai Paesi che hanno agito contro Mosca per la sua posizione nella crisi ucraina.
Un muro contro muro, una strategia autarchica russa che finisce per penalizzare tutti, tanto l’economia russa, quanto quella europea, molto anche quella italiana.
Non certo le tasche dell’imprenditore “caprese” per qualche giorno.
Chissà , però, come prenderà Putin la notizia che un imprenditore russo sceglie Capri e non, ad esempio, Sochi per la sua festa extralusso.
Non seguire la linea del presidente, in certi casi, in Russia non è una buona scelta.
C. Renda
(da “Huffingtonpost“)
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Agosto 11th, 2014 Riccardo Fucile
LA QUESTIONE MORALE E’ SEMPRE ESISTITA
Una medaglietta scintillante fu il battesimo aureo dei privilegi parlamentari.
Era il tempo dell’Italia appena unita e liberale e in cui alle prime elezioni del nuovo Regno del 1861 votò il 57 per cento di 419.938 aventi diritto su 22 milioni di abitanti, neanche il due per cento della popolazione.
Nei collegi uninominali, per essere eletti, erano sufficienti un paio di centinaia di preferenze. “Giuseppe Spadini, ricco industriale che da qualche tempo aveva dato un addio agli affari, faceva pure lui l’occhio di triglia alla medaglietta da deputato, ed era deciso a qualunque sacrificio pur di addiventare onorevole”.
Su una faccia della medaglietta era scolpito il profilo del sovrano sabaudo, Vittorio Emanuele II, sull’altra cognome e nome dell’onorevole, il numero della legislatura, la dicitura “Camera dei deputati”.
Spadini è una semplice comparsa di un noto reportage parlamentare dell’epoca, I misteri di Montecitorio, oggi riportato alla luce dalle edizioni di Studio Garamond.
Lo vergò Ettore Socci nell’ultimo decennio del 1800. Fervente mazziniano, cioè repubblicano, Socci lo pubblicò dapprima a puntate su La Democrazia, giornale che aveva fondato, e poi in volume.
Lo stesso Socci fu deputato nel 1892.
La storia è ambientata nel biennio 1874-1876 e ha come protagonista il giovane Alfredo Guidi, personaggio inventato che diventa onorevole sconfiggendo nel suo collegio il già citato Spadini e il marchese di Altaforte.
“I biglietti da cento e da mille non furono risparmiati da una parte e dall’altra: si offrirono i voti al migliore offerente; i principii non erano più in circolazione su quel mercato di interessi”.
In galera per aver favorito uno sciopero Alfredo Guidi è un politico onesto. Avvocato benestante viene eletto mentre è in galera.
Arrestato perchè ha favorito uno sciopero di minatori nel suo paesino.
È un democratico, un idealista dell’Estrema Sinistra, secondo la collocazione parlamentare. La spinta rivoluzionaria del Risorgimento è minoritaria. Mazziniani e garibaldini sono una sparuta pattuglia.
Destra e sinistra liberali, quelle definite storiche, hanno una vocazione ministeriale. Spesso si dividono in maggioranza e opposizione, talvolta sono inclini al connubio, l’avo dell’inciucio. La Destra è cavouriana.
Nella Sinistra moderata spiccano il trasformista Agostino Depretis e l’autoritario Francesco Crispi, nonchè Giovanni Giolitti.
Guidi arriva a Roma ed è risucchiato subito dai vizi atavici del nostro Paese, che assestano un colpo mortale al patriottismo della classe dirigente.
Retroscena e pettegoli
La politica è “accademia di cinismo”, “si vive a furia di favoritismi” e “la legge è fatta per i minchioni”, “gli appaltatori” corruttori formano un cordone asfissiante attorno alla Camera. Non solo.
A Montecitorio sono di moda il retroscena e il pettegolezzo parlamentare e una campagna acquisti permanente.
Quest’ultima è catalogata alla voce “extra-vaganti”. “Si chiamano gli extra-vaganti, e costituiscono una vera schiera di soldati di ventura. La loro proclamata indipendenza è il più bel sistema per sgranare ogni giorno qualche cosellina. Fanno tutte le moine possibili ai radicali e, nel tempo stesso, sono tutti i giorni nell’anticamera dei ministri a sollecitare affari. La loro esistenza è quasi sempre avvolta nel più profondo mistero”.
Nel 1876 la Destra storica, al governo con Marco Minghetti, cade sulla nazionalizzazione, “l’esercizio governativo”, delle ferrovie.
In questo affare, per tutelare le grandi società private, Guidi viene irretito da un collega faccendiere, Civetti, che lo vuole tenere lontano dall’aula al momento decisivo.
La figura chiave è Adelina, titolare del salotto più famoso e trasversale della capitale. “L’Adelina era una di quelle ragazze diabolicamente graziose che piantano quartiere d’inverno nelle città capitali, speculando sulle loro bellezze, che mettono all’incanto sul mercato della pubblica vanità . Quanti, mercè la potente intercessione di questa donna, che il popolano accennava con disprezzo alle proprie figliuole, avevano ottenuto impieghi, sussidi e appoggi”.
Un solo pasto al giorno
Adelina e Alfredo si conoscono e s’innamorano. Poi lei lo scarica e cede agli intrighi di Civetti. L’onorevole Guidi ritrova però lo spirito iniziale grazie a Salvatore, deputato garibaldino che Socci identifica col solo nome di battesimo.
“Uscito dalle galere del Borbone, ove avea passato dieci anni di inenarrabili sofferenze, non avea, come tanti altri, liquidato il proprio patriottismo. Povero in canna, erasi trovato sbalestrato in una società corrotta fino nelle barbe, speculatrice fino nelle midolla delle ossa: e fu deriso, calunniato e perseguitato.
I suoi concittadini lo vollero deputato”. Salvatore abita in una stamberga e mangia solo una volta al giorno, sovente caffè e latte solamente. La sua miseria è il lato opposto della casta e dei privilegi parlamentari.
Il motivo per cui in seguito i deputati verranno pagati: “Fino a tanto che il rappresentante del Paese non sarà remunerato per l’opera che presta, esisteranno tali vittime ignorate, tali disperati combattenti colle esigenze quotidiane delle vita”.
Un cronista da dentro
Come Ettore Socci, anche Ferdinando Petruccelli della Gattina fu giornalista e deputato repubblicano. Raccontò, dall’interno, il primo Parlamento italiano, quello di Torino, per i lettori francesi della Presse.
Lo fece con stile “naturalista” e scoppiettante, come Socci. I suoi articoli andarono a formare il notissimo I moribondi di Palazzo Carignano, arricchito da strepitosi ritratti delle varie fazioni e dei loro leader. Impressionante la somiglianza tra l’attuale premier Matteo Renzi e Pasquale Stanislao Mancini, ministro in quota “centro, il sito più prediletto dei deputati napoletani”, specialisti che vanno a caccia di tutte le “utilità ” della politica: “Mancini non sa nulla, ma comprende tutto, e se non lo comprende, vi tiene persuaso che l’abbia compreso: ve ne parlerà per due ore. E’ (inteso come ei, cioè egli, ndr) non farà nulla ma niuno avrà tanto detto di fare, di voler fare, di poter fare, di saper fare, di avere a fare, e di tutte le combinazioni possibili che potete trovare a questo verbo magico, eccetto il preterito passato: ho fatto!
Mancini, con un po’ di pratica, diventerà il tipo dei ministri parlamentari; vale a dire, dei ministri minchionatori.
Il no, nella sua bocca, sarà una parola introvabile, impossibile a proferire”. Ma a Petruccelli della Gattina non sfuggono neanche le difficoltà della sua parte politica, la Sinistra, variegata e frammentata e sempre tentata dalla vocazione ministeriale.
E la sua è una lezione di politica , che viene utile anche per spiegare i fallimenti della Seconda Repubblica, quando la sinistra postcomunista e la destra sdoganata da Berlusconi andranno al governo: “Questa è la storia di tutti i governi parlamentari: dir rosso quando si aspira, e bianco quando si è arrivati”.
Con riferimento al suo gruppo democratico, Petruccelli della Gattina fa un’analisi che suggerisce un parallelo con il Movimento 5 Stelle: “Vi sarebbe ancora un’altra circostanza che potrebbe, non dico già riunire, ma ravvicinare tutti gli elementi della sinistra, e sarebbe la presenza del capo, vale a dire Garibaldi, il quale virtualmente primeggia tutti i partiti. Ma Garibaldi non è presente. Egli ha una capacità parlamentare molto discutibile”.
Al di là dei dettagli diversi (in ogni caso, Garibaldi fu deputato) il punto è “la presenza del capo”. Grillo è garibaldino, a modo suo.
Nella crisi di questo sistema ha rivoluzionato la politica con un movimento arrivato subito al venti per cento. Però il capo è fuori dal Parlamento (per motivi giudiziari) e questo incide, e parecchio anche.
Senza opposizione
La mancanza di un’opposizione vera è un altro dei mali antichi del nostro Paese. Petruccelli della Gattina lo rileva e dà anche i numeri del primo Parlamento con sede a Torino, a Palazzo Carignano: la maggioranza ministeriale ha 350 deputati su 443.
La medaglietta ha il suo peso: “Voi viaggiate gratuitamente. Voi non pagate spese di posta. La vostra medaglia in oro è un passapertutto, generalmente rispettato. Voi non potete essere giudicati per tutto il tempo che dura la sessione. Voi potete fare dei debiti, si fa credito a un deputato!”.
Ma come è fatta la casta dell’unità d’Italia?
“Il Parlamento italiano componesi di 443 membri. La Camera ha validate 438 elezioni. Si è in via di rifare le altre. Su questi 438 deputati vi sono: 2 principi; 3 duchi; 29 conti; 23 marchesi; 26 baroni; 50 commendatori o gran croci; 117 cavalieri, di cui 3 della Legion d’onore; 135 avvocati; 25 medici; 10 preti; 21 ingegneri; 4 ammiragli; 23 generali; un prelato; 13 magistrati; 52 professori; ex-professori, o dantisi come tali; 8 commercianti o industriali; 13 colonnelli; 19 ex-ministri; 5 consiglieri di Stato; 4 letterati; un bey dell’Impero ottomano, il signor Paternostro; 2 prodittatori; 2 dittatori; 7 dimissionari; 6 o 7 milionari; 5 morti che non contano più, ben inteso; 69 impiegati; 5 banchieri; 6 maggiori; 25 nobili senza specifica di titolo; altri senza alcuna disegnativa di professione; e Verdi! il maestro Verdi. Vi è di tutto, il popolo eccetto”.
Gli antenati di Scilipoti e Razzi
L’Onorevole Qualunquo Qualunqui è stato il progenitore degli odierni Razzi & Scilipoti, i Responsabili che salvarono Berlusconi nel 2010 traslocando da Di Pietro al Cavaliere. L’ambizioso peone Qualunqui è la creatura del socialista fiorentino Luigi Bertelli in arte Vamba, passato alla storia come il papà di Gian Burrasca.
Vamba scriveva dell’onorevole Qualunqui per L’O di Giotto, giornale che fondò nel 1898 a Firenze.
“L’Onorevole Qualunquo Qualunqui rappresenta al Parlamento italiano il secondo collegio di Dovunque dalla quindicesima legislatura, e fino agli ultimi tempi ha fedelmente combattuto nel partito deiPurchessisti, propugnando il programma Qualsivoglia e appoggiando costantemente il gabinetto Qualsisia”.
Il tradimento e il trasformismo, a scopo governativo, sono purtroppo nel Dna parlamentare italiano.
Scrive Qualunqui alla moglie Elena, che invece lo tradisce in altro senso: “Io sarò ministeriale col Crispi, come fui col Giolitti, come fui col Rudinì, come fui ancora col Crispi e, prima, col Depretis; e con questo credo di esser logico. Perchè sono fedele al Giolitti a traverso il Crispi, come ero fedele al Rudinì a traverso il Giolitti, allo stesso modo che mantenevo fede ancora al Crispi a traverso il Rudinì e al compianto Depretis ancora a traverso il Crispi”.
Siamo negli anni novanta dell’Ottocento, lo stesso periodo dell’avventura sfortunata a Roma di Alfredo Guidi, il personaggio di Socci.
Vamba parla testualmente di questione morale (la corruzione parte dalle urne: “Votano persino gli assenti e i morti”) ed esalta la leggendaria figura di Felice Cavallotti, che si appellò agli onesti, fondò il Partito radicale italiano e morì in un duello, ucciso da un giornalista conservatore.
Banche e costruttori
Tra speculazioni bancarie ed edilizie nel periodo crispino della Sinistra storica, l’onorevole Qualunqui per fare carriera interpella in una seduta spiritica l’anima di Niccolò Machiavelli.
Qualunqui vuole diventare ministro della Giustizia e il filosofo gli dà questo consiglio: “Hannovi due modi di essere capo della giustizia in uno Stato; o facendo servire la giustizia allo interesse e alle vedute di colui che ti ha innalzato a quel posto, e in allora ti basta aver cognoscenza di quello interesse e di quelle vedute e aver l’arte di indovinare uno comandamento in una parola o in un cenno; oppure facendo servire il suo interesse e le sue vedute alla giustizia e in allora ti occorre che egli sia uomo rispettoso delle leggi che ti ha chiamato a custodire”.
Quale dei due casi è il ritratto di Silvio Berlusconi ? Troppo facile indovinare.
Nell’alba unitaria spuntò come il sole un’altra tragica inclinazione italiota: l’insabbiamento delle inchieste per i potenti oppure le leggi ad personam per salvarli. Vamba descrive anche una seduta parlamentare in cui viene negata l’autorizzazione a procedere proprio contro l’onorevole Qualunqui.
E chiosa: “La questione morale è sempre là sul tappeto”.
Non era ancora il Novecento e dopo un secolo e cinque lustri nessuno l’ha rimossa dal tappeto.
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Agosto 11th, 2014 Riccardo Fucile
LA STAMPA ESTERA CRITICA IL PREMIER: “TAGLIANDO LA SPESA FA CALARE ANCORA LA DOMANDA”… ANCHE IL “FINANCIAL TIMES” PARLA DI “TIMORI” DEI GRANDI IMPRENDITORI CHE SONO STATI SUOI SUPPORTER… IL “WALL STREET JOURNAL”: “POCHI SEGNI DELLE RIFORME PROMESSE”
Il Financial Times, il giorno dopo la notizia della nuova recessione italiana, aveva parlato di “fine della luna di miele” tra Matteo Renzi e il Paese.
Ma, come dimostra il contenuto stesso dell’analisi del quotidiano finanziario inglese, i dati Istat sull’andamento dell’economia sembrano aver segnato un punto di svolta anche nel rapporto tra il premier italiano e la stampa internazionale.
Che al giovane ex sindaco di Firenze, presentatosi come rottamatore e alfiere del cambiamento, in passato ha concesso un’ampia apertura di credito.
Ora — forse anche in seguito alle pesanti dichiarazioni di Mario Draghi sulla necessità che i Paesi europei “cedano sovranità ” alla Ue sulle riforme strutturali — il vento è cambiato.
A rimarcarlo è il blog di Beppe Grillo, che riporta integralmente la traduzione di un articolo critico comparso sull’ultimo numero dell’Economist.
La prima frase dice tutto: It’s the economy, stupid.
Ovvero lo slogan della vittoriosa campagna presidenziale condotta nel 1992 da Bill Clinton. Il senso era che solo i numeri sulla crescita e l’occupazione avrebbero determinato l’esito delle elezioni.
Il settimanale della City continua spiegando che “se Matteo Renzi, uno studente appassionato di politica americana, avesse prestato più attenzione allo slogan di successo inventato per la campagna presidenziale di Clinton nel 1992, potrebbe essere in una posizione migliore di quella in cui si trova oggi”.
Cioè con il Pil in calo dello 0,2% nel secondo trimestre, “il peggior colpo per il primo ministro dall’inizio del suo mandato nel mese di febbraio”.
Poi la sferzata: “La notizia della recessione lascia un’ammaccatura enorme nella credibilità della strategia complessiva del governo. Mister Renzi ha fatto una scommessa: che l’economia avrebbe recuperato senza bisogno di molte riforme strutturali, in modo da poter andare andare avanti con quello che lui ha giudicato l’aspetto più importante: il cambiamento istituzionale”. §
“Per Renzi riforme come il Pin del telefonino. Ma che succede se nel frattempo la batteria si è scaricata?” Seguono il racconto delle trattative con Silvio Berlusconi (che nel 2001 l’Economist definì “inadatto a guidare l’Italia”) sull’Italicum, la descrizione delle difficoltà che il governo sta incontrando nel varare iniziative pro-crescita e la previsione di “tagli alla spesa profondi (di 15, 20 miliardi secondo i più)” per “rispettare i propri impegni di riduzione di bilancio della zona euro senza aumentare le tasse”.
Peccato che “se il governo non agisce rapidamente per liberare i mercati e favorire la razionalizzazione e l’efficienza, c’è il rischio che i tagli faranno ulteriormente calare la domanda accelerando la spirale discendente”.
Conclusione: “Mr Renzi il mese scorso ha paragonato il suo programma di riforma costituzionale con il Pin di un telefono cellulare. E’ solo dopo aver digitato il numero, ha spiegato, che il telefono funzionerà . Ma cosa succede se nel frattempo la batteria si è scaricata?”.
Secondo il Financial Times ora “i grandi imprenditori esprimono timori”
Anche sulle pagine color salmone del Financial Times, che a febbraio celebrava “l’agenda ambiziosa” di Renzi e solo a giugno giudicava “importante” la sua battaglia per un ripensamento delle rigide regole del Patto di stabilità , ora lo scetticismo nei suoi confronti è palpabile.
Pur se attribuito, come nel colloquio con il presidente del Consiglio pubblicato domenica, ai “grandi imprenditori italiani” che “sono stati grandi supporter di Renzi” ma ora “hanno iniziato a esprimere timori che si tratti di un micromanager che si basa troppo su pochi amici fidati quando avrebbe invece bisogno di consulenti esperti da abbinare alla sua capacità politica”.
Parla di “paralisi italiana”, in contrasto con la ripresa di Spagna e Grecia, il Wall Street Journal, che in un editoriale firmato da Simon Nixon sottolinea come rispetto alle promesse di sei mesi l’esecutivo Renzi abbia realizzato troppo poco: “Ci sono pochi segni dei cambiamenti di vasta portata del mercato del lavoro e dei prodotti e delle revisioni della burocrazia e del sistema giudiziario necessari per rilanciare la crescita”.
Die Welt: chiusura dell’Unità e successo di Fanpage simbolo dell’Italia renziana
Infine la stampa tedesca, che da Renzi si aspettava un nuovo corso e riforme profonde, ora è rapidissima a scaricarlo prevedendo (Suddeutsche Zeitung) che il premier “sarà più debole in Europa”.
Ma non solo: ampliando lo sguardo, il quotidiano conservatore Die Welt pubblica un’analisi sul nuovo Zeitgeist (“spirito del tempo”) italiano perfettamente incarnato dal presidente del Consiglio.
“A 39 anni già premier. Non segue alcuna ideologia. È un pragmatico. Era democristiano, ora è socialdemocratico. È la personificazione del ‘sia…sia’.
È contrario alle politiche di risparmio d’Europa, ma allo stesso tempo a favore di riforme strutturali dolorose.
Distribuisce 80 euro a chi guadagna di meno, e allo stesso tempo sbraita contro i sindacati.
Renzi non pensa in ‘destra’ e ‘sinistra’, ma in veloce e lento. È uno che fa. Sono gli altri a frenare”, spiega il corrispondente Tobias Bayer ai concittadini di Frau Merkel. La descrizione dello stile giovanilistico dell’inquilino di Palazzo Chigi continua con riferimenti all’abbigliamento (“Non porta vestito e cravatta, ma jeans e camicie aperte”), all’uso della tecnologia (il solito Twitter) e all’atteggiamento “alla mano” (“Si fa portare la pizza a Palazzo Chigi, velocemente passa al tu: ‘Io sono Matteo’. Non è ‘uno di quelli’ ma ‘uno di noi’).
E questo “riflette uno Zeitgeist che ovviamente plasma anche i media”.
In che modo? L’Unità chiude e gran parte delle testate tradizionali sono in crisi, mentre, scrive Bayer, riscuote successo il giornale online Fanpage.it.
Il giudizio su questa evoluzione è lasciato ai lettori.
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Agosto 11th, 2014 Riccardo Fucile
“L’ITALIA NON RAGGIUNGERA’ IL TARGET DEFICIT-PIL”… “A RISCHIO I RAPPORTI CON LA UE”
L’agenzia di rating Moody’s ha tagliato le stime di crescita dell’Italia.
Nel 2014 il Paese vedrà il proprio Prodotto interno lordo non salire, ma scendere dello 0,1%.
E la recessione peserà sulla politica fiscale e sul clima politico.
Gli economisti hanno tagliato la previsione sul Pil dell’Italia nel 2014 a -0,1% dal precedente +0,5%.
In un report dedicato al nostro paese dopo il dato sul Pil del secondo trimestre, Moody’s scrive che la lentezza delle riforme e le lacune nella performance di bilancio probabilmente aumenteranno le tensioni con i partner europei, soprattutto con la Germania.
L’agenzia vede il rapporto deficit/Pil 2014 e 2015 al 2,7%, con rischi significativi di ulteriori revisioni al rialzo.
Per quanto riguarda il rapporto debito/Pil, Moody’s lo stima al 136,4% quest’anno e al 135,8% nel 2015.
La scorsa settimana era stato l’Istituto di Statistica (Istat) a rivedere le proprie previsioni per l’anno in corso, annunciando il secondo trimestre negativo del Pil italiano e l’ingresso del Paese di nuovo in recessione. Nei tre mesi finiti a giugno, il Pil è calato dello 0,2% rispetto ai primi tre mesi dell’anno, quando l’economia aveva registrato una contrazione dello 0,1%.
(da “La Repubblica“)
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