Agosto 2nd, 2014 Riccardo Fucile
VERDINI SPINGE PER ENTRARE AL GOVERNO, MA BERLUSCONI: “NON LO REGGIAMO”
“Calma, calma”. Perchè “i nostri non reggerebbero”.
E perchè “c’è l’eventualità di una manovra pesante a settembre”, che l’ex premier stima in 20 miliardi. “Incollarsela” è un rischio.
È il Quirinale, più che il governo, il perno attorno a cui girano le riflessioni di Berlusconi alla vigilia del “patto del Nazareno bis”.
Che porterà a siglare l’accordo sulle modifiche all’Italicum, quando i due si incontreranno martedì a palazzo Chigi, nel corso di un pranzo che, al momento, è in agenda.
E che prevede il sigillo a quella modifica delle soglie già negoziata: 40 per accedere al premio di maggioranza, quorum al cinque per i non coalizzati, preferenze ma non per i capilista.
“Calma” va ripetendo Berlusconi da giorni a chi freme e vorrebbe tanto un avvicinamento all’area di maggioranza.
E magari, se ci fossero le condizioni, al governo con Renzi.
È soprattutto Verdini il teorico del soccorso azzurro nel settembre nero di Renzi. Nero perchè “Matteo” è messo male. E c’è qualcosa di profondo che preoccupa il premier oltre all’insofferenza politica del suo gruppo.
Ed è la certezza che con questi conti non solo non saranno estesi gli 80 euro, ma per confermarli si rischia una manovra lacrime e sangue.
Insomma, Renzi avrà bisogno di aiuto. “Offriamoglielo” dice Verdini. E non è il solo. “Un conto è l’aiuto, un conto è il governo” risponde il Cavaliere.
Anche quando gli vengono prospettati scenari che possono eccitare la brama di vendetta: un governo a due, Berlusconi e Renzi, senza Alfano di cui Matteo non ne può più, nel quale entrare occupando Interni, Sanità e la Giustizia con un tecnico.
Di “legislatura”.
Parole usate come il drappo rosso con un toro. Ma accolte da Berlusconi senza tanto entusiasmo: “In maggioranza se Renzi entra in difficoltà ? Non la vedo praticabile”.
E anche dalle parti del Pd un governo Renzi-Berlusconi viene visto come “impossibile”, così come “fantascienza” l’ha definito Maria Rosaria Rossi nella sua intervista all’HuffPost.
Proprio le parole della Rossi sul nome da scegliere assieme per il Quirinale e sul “Berlusconi in campo” suggeriscono che l’ex premier ha in mente un altro schema “praticabile”.
Che passa per le riforme e arriva al voto. Il quest’ottica il passaggio più delicato riguarda il prossimo inquilino del Colle, la successione di Napolitano.
È una scadenza che già orienta le mosse dei vari player.
Berlusconi, ad esempio, ha avuto la sensazione che Pier Ferdinando Casini si sia proposto, quando “Pier” è andato a trovarlo a palazzo Grazioli, con lo spirito del figliol prodigo che vuole chiudere la fase delle incomprensioni: “Tu sei stato come un padre” è stata una delle frasi che ha illuminato le antenne del Cavaliere in relazione all’obiettivo del furbo Casini.
E proprio l’intervista di Romano Prodi al Fatto suona come una conferma dell’esistenza di una sorta di clausola sul Quirinale del “Patto del Nazareno” che contempli una scelta condivisa tra Berlusconi e Renzi, che del Great Game sono i player principali.
Perchè, si sa, il Quirinale dura sette anni e i governi, in questo paese, hanno la media di sette mesi. E perchè è quello lo snodo della pacificazione, che sia la grazia o una pressione per modificare quella legge Severino su cui ci sono sempre stati dubbi di giuristi anche non di centrodestra.
Aiutare Renzi, dunque, non governarci assieme, per agevolare la trattativa vera dei prossimi mesi, quella sul Quirinale.
Epperò l’ex premier ha sempre siglato le paci preparando la guerra. Per questo, molto più dei governisti del suo partito, ha ricominciato a tessere la tela per ricucire una coalizione di centrodestra, pronta ad andare al voto già nel 2015.
È soprattutto attorno a questo programma che occuperà il tempo dell’agosto che lo vedrà costretto ad Arcore.
L’intenzione è di fare una serie di incontri con tutti i partiti di centrodestra, a partire da Ncd, per cercare di rimettere assieme uno schieramento comune. Ovviamente, mettendo anche a posto Forza Italia. Politicamente e non solo.
Proprio in relazione alle casse del partito Maria Rosaria Rossi ha diramato una nota per rassicurare i dipendenti sugli stipendi: “Verranno corrisposti la prossima settimana. Ne approfitto per ribadire, spero una volta per tutte, che non c’è nessuna intenzione da parte dell’amministrazione del partito di procedere ad alcuna richiesta di fideiussione bancaria ai partiti nè tantomeno di impegnare le liquidazioni dei deputati e dei senatori di Forza Italia”.
(da “Huffingtonpost“)
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Agosto 2nd, 2014 Riccardo Fucile
E PER FINANZIARE IL PD RENZI PENSA A CENE ALL’AMERICANA
Il premier Matteo Renzi si coccola il leader di Forza Italia dopo aver portato a casa il Senato dei 100: “E’ importante che Berlusconi stia al tavolo della riforma elettorale così come è stato a quello per la riforma costituzionale: un segnale importante, di serietà del sistema”, ha detto Renzi, parlando con i cronisti dal Cairo.
Nessuna conferma però è arrivata sul giorno dell’incontro, secondo molti martedì, con il Cav: “Vediamo, sarà prossima settimana”.
“Nessuno avrebbe scommesso sulla possibilità di consentire oggi al Senato di prendersi un giorno di vacanza”, ha aggiunto Renzi tornando a commentare il lavoro fatto in questi giorni sulla riforma costituzionale ricordando il grande numero di emendamenti – 5 su più 8 mila – esaminati.
“Si va avanti” più spediti di quanto si potesse immaginare solo fino a qualche giorno fa, ha proseguito parlando con i cronisti nel suo viaggio di ritorno dal Cairo rimarcando che si tratta di una “riforma seria, una grande riforma”
Quanto alle nomine Ue, l’unico problema del vertice Ue del 30 agosto è che quello è il giorno della partita Roma-Fiorentina.
Ma per il resto “l’Europa va bene”, ha scherzato con i giornalisti sulla questione dell’Europa facendo riferimento alla partita di campionato tra i giallorossi e la squadra dei ‘viola’.
Poi ha aggiunto: “A settembre il Pd organizzerà “un paio di cene elettorali, all’americana, per finanziamenti al partito”.
(da “Huffington Post“)
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Agosto 2nd, 2014 Riccardo Fucile
“COPERTURE BALLERINE MEL DECRETO MADIA, MANCANO I SOLDI PER LA NORMA QUOTA 96”
Alla fine i tecnici del Tesoro hanno dato ragione a Carlo Cottarelli. Ormai in odor d’uscita.
I dubbi del commissario alla Spending review, sulle coperture necessarie alla riforma della Pubblica amministrazione, oggi trovano conferma negli uffici della Ragioneria di via XX Settembre. E Forza Italia si indigna: “Cose mai viste”.
Quattro i rilievi avanzati dal ministero.
Primo fra tutti quello che riguarda la cosiddetta norma ‘Quota 96’, che risulterebbe priva di coperture. Con questa norma si permette agli insegnati e al personale Ata di accedere alla pensione, se si raggiungono i 61 anni d’età e i 35 anni di servizio o i 60 anni d’età e i 36 anni di servizio.
La somma di queste cifre dà appunto 96. Da oggi al 2018 serviranno circa 400 milioni di euro per consentire ai ‘Quota 96’ di lasciare il lavoro con l’assegno previdenziale.
La Ragioneria rileva che la norma risulta “scoperta in termini di fabbisogno e indebitamento netto ai sensi delle norme di contabilità “.
Quindi per assicurare “la neutralità degli effetti per il 2014 – si legge nei pareri del Mef – la riduzione da apportare si deve attestare a 45 milioni”.
E non a 34 milioni come indica la relazione tecnica del provvedimento.
In più, sempre secondo i tecnici del Tesoro, non è escluso un superamento del limite di 4mila unità , visto che l’Inps aveva conteggiato gli esodati della scuola in almeno 9mila persone.
Da subito Cottarelli è rimasto perplesso davanti all’approvazione di questa norma contenuta nella riforma della Pubblica amministrazione, soprattutto per quanto riguarda il metodo di reperimento delle risorse:
“Si sta diffondendo la pratica di autorizzare nuove spese indicando che la copertura sarà trovata attraverso future operazioni di revisione della spesa o, in assenza di queste, attraverso tagli lineari delle spese ministeriali”, ha sbottato il commissionario alla spending review.
Oltre al ripristino di ‘Quota 96’ per gli insegnanti, a finire nel mirino del Mef sono anche le disposizioni sul pensionamento d’ufficio a 68 anni dei professori universitari.
Oggi la legge Gelmini consente l’anticipazione obbligatoria a 70 anni.
L’anticipazione di due anni costerebbe 34,2 milioni nel 2015 e dal 2015 al 2021 il costo è di circa 113 milioni.
Per la cancellazione delle penalizzazioni introdotte dalla legge Fornero per le uscite anticipate dal lavoro, la relazione tecnica al decreto legge Madia ha stimato un esborso di un milione per 2014, tre milioni per il 2015 e 7 milioni per il 2016.
I conti della Ragioneria prevedono 5 milioni per il 2014, 15 mln per il 2015 e 35 mln per il 2016. Infine secondo i tecnici del Tesoro la quantificazione di un milione di euro dal 2014 per i benefici alle vittime di atti di terrorismo sarebbe “sottostimata”.
A questo punto, Forza Italia, capitanata da Renato Brunetta, presidente dei deputati di Forza Italia, e Rocco Palese, capogruppo azzurro in Commissione Bilancio alla Camera, bolla come “atteggiamento irresponsabile” quello del governo e della sua maggioranza, ricordando che “in Commissione Bilancio alla Camera questi nodi erano stati evidenziati dal nostro partito che aveva chiesto coperture certe e ben delineate. Adesso occorrerà cambiare nuovamente il testo, trovare le coperture necessarie per i provvedimenti contenuti nel decreto, approvarlo al Senato e rimandarlo, per un nuovo passaggio, alla Camera. Il tutto a causa della miopia con la quale il governo Renzi affronta le discussioni nelle Commissioni parlamentari e nelle Aule del Parlamento. Le Camere esistono per contribuire attivamente e costruttivamente alla legiferazione, non per ratificare gli errori degli esecutivi distratti e incompetenti”.
Adesso la polemica è anche politica, ma soprattutto, per Renzi, la preoccupazione deriva dalla burocrazia ministeriale.
Quella che deve far tornare i conti.
(da “Huffington Post“)
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Agosto 2nd, 2014 Riccardo Fucile
SILVIO CHIEDE IL RISPETTO DEI PATTI SULL’ITALICUM MA ANCHE UN SEGNALE SULLE SUE AZIENDE E “AGIBILITA’ POLITICA”
«Siamo stati determinanti per il successo della riforma del Senato, spero che adesso Matteo sia riconoscente». Canta vittoria Silvio Berlusconi, a un anno dalla condanna definitiva Mediaset lo scenario sembra trasformato: ancora ieri i suoi parlamentari – fatta eccezione per Minzolini e pochi altri – hanno difeso la trincea di Palazzo Madama al fianco dei senatori Pd.
Dopo le quattro ore di «servizio» all’istituto Sacra Famiglia di Cesano Boscone, il leader di Forza Italia pranza con i figli Marina e Pier Silvio, solo dopo si informa con Denis Verdini e Paolo Romani di quanto accaduto al Senato, apprende come la partita si sia sbloccata, una soluzione pare ormai all’orizzonte.
I due sherpa hanno seguito passo passo il lavoro del ministro Boschi, le ultime trattative con le opposizioni.
Berlusconi si congratula e ora si pregusta il faccia a faccia di martedì con il presidente del Consiglio, che potrebbe tenersi proprio in quel Palazzo Madama dal quale è stato «espulso» a novembre.
Al tavolo di martedì – affiancato da Verdini e Gianni Letta – Berlusconi discuterà soprattutto di Italicum, di modifica della legge elettorale, per quello Renzi vuole incontrarlo.
Ritocchi sui quali hanno già lavorato gli “ambasciatori”, appunto, ai leader toccherà ratificare l’accordo bis: abbassamento dello sbarramento al 4 per cento, innalzamento della soglia per il premio di maggioranza al 40, capilista blindati e poi preferenze.
Con Forza Italia che vorrebbe strappare la possibilità di piazzare gli stessi capilista in almeno dieci circoscrizioni. Dettagli.
L’ex premier fa sapere ai suoi che certo non andrà a dettare condizioni, ma con altrettanta schiettezza confida ai più intimi che un qualche «riconoscimento» se lo attende.
Nessuno si sogna di rivendicare la modifica della Severino e o un qualche lasciapassare giudiziaria.
Ma per esempio il mantenimento dello status quo in campo televisivo verrebbe ritenuto un segnale importante, una rinuncia del governo a intervenire sulla legge Gasparri è tuttora in cima ai desideri di Fedele Confalonieri.
Il resto riguarda la persona (e i problemi) di Berlusconi, la sua ambizione a restare in partita e a vedere riconosciuto il suo ruolo.
Gli uomini più vicini al leader di Forza Italia ragionano in particolare sulla eventualità che la Corte di Strasburgo capovolga la sentenza Mediaset di un anno fa.
Se dovesse accadere, c’è solo un «indennizzo» che potrebbe ripagare il loro capo dopo la «guerra dei vent’anni» con le procure e dopo il contributo garantito alla riforma della Costituzione.
E quel riconoscimento porta alla figura del senatore a vita, che proprio la riforma che sta per essere approvata comunque mantiene.
Ad appannaggio del Quirinale, che da qui a un anno potrebbe cambiare inquilino. Sarà pure un caso, ma Forza Italia si è battuta perchè anche i futuri senatori-consiglieri mantengano l’immunità .
Poco più di un sogno inconfessabile per l’ex Cavaliere, il ritorno a Palazzo Madama dopo l’ignominiosa cacciata del 27 novembre 2013.
Al momento lo tiene nel cassetto più recondito della sua camera ad Arcore.
Di altro ha parlato giovedì quando ha ricevuto a cena a Villa San Martino Giovanni Toti, Antonio Tajani, Mariastella Gelmini, Deborah Bergamini.
Di emergenza economica, tanto per cominciare, e di quanto sia imminente un «autunno difficile per l’Italia ».
Loro, avverte, dovranno fare sì opposizione alle «misure inadeguate che il governo Renzi sta mettendo in campo».
Ma con la consapevolezza che «più di tanto un governo in Italia non può fare, se non saranno modificate le regole europee».
Detto questo, nessuna scialuppa di salvataggio per l’esecutivo da parte sua. Anche perchè il partito prefigura «un voto in primavera», stando a quanto dichiara all’ Huffington Post la senatrice Maria Rosaria Rossi, braccio destro del leader.
Che parla anche della possibilità di eleggere «insieme» (al Pd) il prossimo capo dello Stato» e della prossima candidatura premier: «Un Berlusconi vuole che non lo troviamo? Non ho detto Marina, ho detto un Berlusconi. Magari abbiamo il jolly».
Carmelo Lopapa
(da “La Repubblica“)
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Agosto 2nd, 2014 Riccardo Fucile
TRE NUOVI TESTIMONI AGGRAVANO LA POSIZIONE DELL’EX GOVERNATORE DEL VENETO
Giancarlo Galan resta in carcere per le accuse di corruzione nell’inchiesta Mose.
Lo ha deciso il Tribunale del Riesame di Venezia dopo quattro ore di camera di consiglio. I giudici hanno respinto le richieste della difesa dell’ex governatore, che chiedeva la scarcerazione o in subordine i domiciliari.
I giudici hanno respinto tuttavia le contestazioni fatte dal Gip Alberto Scaramuzza per fatti antecedenti il 22 luglio 2008.
Tra questi, i finanziamenti per le per le campagna elettorali, altre dazioni, e i lavori per il restauro della villa dell’ex Governatore.
Hanno invece accolto la parte dell’ordinanza riguardante i presunti illeciti attribuiti a Galan dopo il 22 luglio 2008.
Nel giorno in cui i giudici hanno deciso di non accogliere la richiesta di scarcerazione avanzata dai suoi legali, Galan ha dovuto fare i conti con un’altra grana.
Anzi tre, perchè tre sono i supertestimoni che hanno lanciato pesanti accuse nei confronti dell’ex governatore del Veneto, e principale esponente politico coinvolto nell’inchiesta Mose, il sistema di barriere che dovrà proteggere Venezia dall’acqua alta.
Uno su tutti Salvatore Romano, l’ex proprietario che ha venduto a Galan la villa di Cinto Euganeo: “Per quella villa ho ricevuto un milione e centomila euro in nero”, oltre a settecentomila euro in bianco.
Un’accusa pesante, soprattutto perchè l’ex ministro di Forza Italia ha dichiarato ai magistrati di aver “corrisposto all’ex proprietario poco meno di un milione di euro”.
Per la difesa si tratta di argomenti deboli, trattandosi della loro parola contro quella del loro assistito.
Come racconta il Corriere della Sera, l’accusa di Romano ha un doppio significato: primo, “Galan aveva disponibilità cash per almeno un milione e centomila euro e questo dimostrerebbe che il suo grande accusatorie, Giovanni Mazzacurati, l’ex presidente del Consorzio Venezia Nuova, non s’inventa cose. Mazzacurati ha infatti dichiarato di avergli versato in nero un milione di euro all’anno per avere le autorizzazioni del Mose.
Il secondo significato per i pm è nelle cose: Galan dice il falso.
Il secondo testimone.
Pesanti come un macigno, secondo l’accusa, le parole del secondo supertestimone. Si tratta di Pierluigi Alessandri, imprenditore edile veneziano e ad di Saicam.
Alessandri sostiene di aver dato a Galan 100 mila euro in due o tre tranche, in contanti, e di aver ristrutturato la villa di Galan gratuitamente.
Perchè? La sua impresa voleva entrare nel giro dei grandi appalti, il Comune di Venezia non bastava più, si puntava alla Regione.
Così avrebbe chiesto, racconta ancora il Corsera, a Galan un aiuto. E l’ex Governatore gli avrebbe spiegato come funzionavano le cose lì: per entrare nel giro bisogna essere generosi. Alessandri è indagato per corruzione.
Il terzo tassello.
E’ ancora un imprenditore ad accusare l’ex Governatore del Veneto.
Andrea Mevorach ha smentito le affermazioni di Galan che nel suo memoriale ha scritto: “Dopo le elezioni del 2005 Mevorach mi disse di aver consegnato a Claudia Minutillo (l’ex segretaria) 300 mila euro in nero, che io non ho mai visto”.
L’imprenditore nega, affermando che “diverse volte Galan mi ha chiesto di dargli dei soldi, me li chiese anche” per fare lavori per la Regione, “ma io non li ho mai dati nè a Chisso (l’assessore regionale, anche lui arrestato) nè alla Minutillo, e così non ho mai fatto lavori per la Regione”.
(da “Hufffingtonpost”)
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Agosto 2nd, 2014 Riccardo Fucile
SE NON SI TROVANO 14,8 MILIARDI DAI TAGLI ALLA FINE SCATTERANNO AUTOMATICAMENTE AUMENTI DELLE ACCISE E DELLE TASSE
“La spending review andrà avanti anche senza Cottarelli”. Le parole del presidente del Consiglio, Matteo Renzi, mettono una pietra tombale sulla prosecuzione del rapporto con il commissario straordinario ai tagli, ma non liberano certo il governo dalla necessità di metter mano alle forbici con sempre maggiore urgenza.
Se il premier rivendica il primato delle scelte politiche su quelle dei tecnici, i numeri dicono che la regina delle sue azioni di governo – il bonus Irpef da 80 euro, in attesa delle riforme degli assetti parlamentari – rischia di saltare senza una reale cesura ai costi della macchina statale.
A maggior ragione dopo che il premier ha spiegato di non poter garantire l’estensione del pensionati e partite Iva.
Il problema di Renzi è duplice. Una delle slide più controverse del piano Cottarelli mostra quanto il suo lavoro fosse indispensabile anche per l’eredità che gli esecutivi precedenti hanno lasciato su Renzi & Co.
A pagina 62 si elencavano gli importi già impegnati “a parità di obiettivi di indebitamento netto” rispetto all’ultima stabilità : per il 2015 e 2016 si parla rispettivamente di 10,4 e 14,8 miliardi. Questo mentre la prima delle tabelle, quella che riassume i tagli possibili, cita risparmi per 18,1 e 33,9 miliardi nel prossimo biennio.
L’urgenza di non interrompere il lavoro viene dunque in primis dalla necessità di onorare gli impegni del recente passato, senza ricorrere agli odiosi aumenti di accise o delle tasse, che in automatico colmerebbero il gap di fondi.
Ma i provvedimenti presi dall’attuale governo hanno attinto parimenti ai tagli come principale fonte di copertura.
Proprio su questo si è consumata la rottura con Cottarelli, che ha denunciato l’impossibilità di tagliare le tasse (fine ultimo originario della spending) se la politica continua a richiedere di dirottare risorse altrove.
La “quota 96” della riforma della Pa è stata la goccia, ma come accennato basta pensare alle coperture per il Bonus Irpef per rendersi conto dell’andazzo: 2,1 miliardi di tagli alla spesa di Enti, Regioni e Stato, 1 miliardo alle agevolazioni d’impresa, 900 milioni di “sobrietà “, 100 milioni dalle municipalizzate.
Tutte voci che si riuniscono sotto il cappello della “spending”.
Senza considerare che dal 2015, se vorrà esser reso strutturale, il bonus non potrà contare sugli 1,8 miliardi una tantum derivanti dalla rettifica del valore delle quote di Bankitalia e che – dispiegato sull’intero anno e non solo a partire da maggio, come nel 2014, – costerà 10 miliardi invece di 7.
A queste considerazioni si somma il difficile ciclo economico, che porta l’obbligo di spender meno perchè il deficit non salga oltre i limiti consentiti.
Altra legna al fuoco dei tagli, mentre montano le voci di chi ritiene ormai indispensabili manovre da svariati miliardi.
Raffaele Ricciardi
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Agosto 2nd, 2014 Riccardo Fucile
L’ESECUTIVO NEGA CHE CI SARà€ “UNA STANGATA”, MA POI AMMETTE DIFFICOLTà€ COL PIL E IL BONUS FISCALE: “NON POSSO GARANTIRLO ANCHE A PENSIONATI E PARTITE IVA”
Non siamo ancora al destino cinico e baro con cui Giuseppe Saragat accolse una sconfitta elettorale, ma nel roboante e visionario discorso pubblico di Matteo Renzi sempre più spesso comincia a far capolino la realtà .
Ieri, per dire, mentre illustrava dalla sala stampa di palazzo Chigi le magnifiche sorti e progressive del Paese una volta che sarà in vigore lo “sblocca-Italia” (provvedimento che arriverà in Consiglio dei ministri a fine agosto e su cui ieri è stata aperta una consultazione pubblica), ha cominciato a ricalibrare le sue affermazioni su un paio di temi decisamente rilevanti: la crescita e il bonus fiscale da 80 euro.
Notevole, e persino commovente, l’oscillazione renziana.
La visione: “Inizia un percorso di cambiamento strutturale che consentirà all’Italia di guidare la ripresa: a settembre ci sarà una grande ripartenza col botto e noi ad agosto staremo qui a completare il pacchetto dei mille giorni”.
Anzi no, “l’Italia è già ripartita, dobbiamo incoraggiarla”.
Poi la realtà : “Il dato dellacrescita noi lo aspettavamo più alto, in linea con le previsioni dell’Eurozona…”.
Di nuovo la visione: “Le cose si stanno rimettendo in carreggiata e quindi non c’è nessuna stangata in arrivo”.
E ancora la realtà : “Saremo in grado di mantenere il bonus 80 euro? Sì. Saremo in grado di estendere la platea? Non sono in grado di garantirlo, ci proveremo”.
Questa gli deve essere costata parecchio, peraltro, visto che a fine maggio – proprio alla fine della campagna elettorale — promise che gli 80 euro non erano “che l’inizio. Il governo vuole pensare anche ai pensionati e alle partite Iva”.
Degli incapienti (quelli che guadagnano meno di ottomila euro l’anno), esclusi pure loro dalla platea del bonus, s’era già fatto carico presentando il decreto Irpef: “Questo è solo l’antipasto, lo estenderemo anche agli incapienti”.
Poi si sa com’è: poco poco, piano piano la realtà si fa strada come il Marzullo di Maurizio Crozza nella testa dell’intervistato.
Non solo. Ieri Renzi ha interpretato persino la parte del gufo (nell’immaginario renziano è chiunque metta in dubbio le sue parole): “Juncker si è impegnato a fare 300 miliardi di euro di investimenti e noi diciamo che siamo molto junckeriani su questo, ma ci dica dove li prende”.
Pier Carlo Padoan, invece, sulla (mancata) crescita del Prodotto interno lordo aveva già deliziato la platea nei giorni scorsi: “Speravamo fosse maggiore”.
Parole che danno tutto un altro senso ai numeri che il governo ha scritto nel Documento di economia e finanza.
Ieri, però, il ministro dell’Economia era ottimista: “L’insieme delle misure contenute nello Sblocca Italia rappresentano una grande leva di sviluppo che potrà produrre risultati anche prima del previsto”.
Più prosaicamente, però, Padoan ha anche annunciato che nel mirino ci sono le municipalizzate: “C’è terreno propizio per una razionalizzazione, allo scopo di migliorare l’offerta di servizi pubblici locali e per valorizzarle in vista della privatizzazione. Come? Si possono immaginare incentivi normativi, fiscali e anche una fuoriuscita graduale e ordinata dal Patto di stabilità interno”.
Non una parola, ieri , sul caso di Carlo Cottarelli e il destino della spending review, silenzio finora pure sulla richiesta delle opposizioni di andare a riferire in aula. In compenso, però, è stato reso noto il parere della Ragioneria generale sulla copertura dell’emendamento che ha consentito a 4mila insegnanti bloccati dalla riforma Fornero di andare in pensione a “quota 96”: è molto negativo e prevede la creazione di “debiti fuori bilancio”.
Si tratta della norma che ha fatto infuriare anche Cottarelli, che ha parlato di qualcuno che “rema contro”: ebbene quell’emendamento parlamentare è stato appoggiato con convinzione dallo stesso Renzi contro il parere, ad esempio, del suo ministro Stefania Giannini.
Ha tutto il diritto di farlo, ma ad oggi non si possono avere i parametri europei a posto e una politica redistributiva.
Marco Palombi
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Agosto 2nd, 2014 Riccardo Fucile
SE IL PATTO DEL NAZARENO FOSSE UN “ATTO PARLAMENTARE” SAREBBE DEPOSITATO… DECRETO ANTICORRUZIONE E ANTIRICICLAGGIO BLOCCATI: SOLO UN CASO?
L’altroieri si è tenuta nella sede di largo del Nazareno a Roma la Direzione del Pd.
Evento utilissimo per due motivi.
Il primo: si è scoperto che il Pd, a dispetto delle apparenze, ha una direzione.
Il secondo: si è appreso, da un passaggio del lungo monologo del segretario-premier Matteo Renzi in maniche di camicia, che il Patto del Nazareno da lui siglato il 18 gennaio col pregiudicato Silvio B., è nientemeno che “un atto parlamentare”.
Ora, per carità , Renzi avrà pure preso il 40,8% — come non perde occasione di ricordare — ma neppure il 100,8% potrebbe autorizzarlo a mentire così allegramente. Non foss’altro che per risparmiarsi una ramanzina della Boschi sulle bugie che, come diceva Fanfani quand’era ispirato, “non servono”.
Gli “atti parlamentari” sono documenti scritti, firmati, stampati, datati, protocollati e soprattutto pubblici, affinchè tutti possano prenderne visione.
Il Patto del Nazareno, invece, non lo conosce nessuno. A parte i nazareni medesimi, cioè Renzi, B., Letta Zio e Verdini.
A una nostra domanda, il premier ci fece sapere che B. non gli aveva chiesto salvacondotti giudiziari, nè lui poteva concedergliene.
E su questo siamo disposti a credergli.
Sia perchè, anche volendo, nessun governo, neppure presieduto da B., può far nulla contro una sentenza definitiva.
Sia perchè sul caso Ruby il salvagente a B. era già arrivato per grazia severina ricevuta.
Su tutto il resto, però, regna il mistero. Il documento, che alcuni giurano di aver visto e di cui i due cerchi magici confermano l’esistenza, resta un segreto di Stato: l’unico che Renzi non ha declassificato. Altro che atto parlamentare.
Da giorni il nostro Fabrizio d’Esposito raccoglie notizie e conferme su questo e quell’articolo, comma, codicillo del Patto: oltre alla porcata dall’Italicum, degno rampollo del Porcellum (non a caso scritto da Calderoli ma voluto da B.), e alla boiata del Senato, la cosiddetta riforma della giustizia si fa con B. (che tra l’altro se ne intende), sulle tv non si muove foglia, idem sul conflitto d’interessi.
Quando poi Napolitano si deciderà ad andare in pensione, Renzi e il pregiudicato troveranno insieme il successore all’insaputa dei cittadini con l’espressa esclusione di Prodi e di altri antidoti viventi alle larghe intese (i vari Rodotà e Zagrebelsky, molti graditi al popolo del centrosinistra, di Sel e anche dei 5Stelle, già scomunicati dal premier come gufi, soloni e professoroni).
Si parla addirittura di Roberta Pinotti, che due anni fa corse alle primarie del Pd per fare il sindaco di Genova e arrivò terza, ma solo perchè i candidati erano tre (fossero stati 37, sarebbe arrivata trentasettesima).
Diceva Gesù: “Dai frutti conoscerete l’albero”. Vale anche per il Patto: dai frutti che ha già prodotto possiamo tranquillamente immaginarlo.
A metà giugno è pronta per il voto in commissione e poi in aula la legge anticorruzione, cui la Camera lavora da un anno.
Renzi, volendo, può migliorarla con gli emendamenti del governo, tipo sul falso in bilancio.
Invece dice che il testo non gli piace e che ne presenterà uno nuovo di zecca. Risultato: nuovo testo mai arrivato e anticorruzione addio.
Idem per l’autoriciclaggio, pronto da settimane ma bloccato in commissione Giustizia. Poi c’è Cosimo Ferri, sottosegretario alla Giustizia in quota B. travestito da tecnico, beccato a fare campagna elettorale per due candidati al Csm, poi puntualmente eletti: ai tempi di Letta, Renzi ne avrebbe chiesto la testa.
Ora invece, anzichè farlo volare giù dalle scale, lo lascia al suo posto.
Il giorno del Patto, Renzi disse ai quattro venti che l’accordo con B. sull’Italicum serviva a dare all’Italia “una legge elettorale che garantisca maggioranze certe per non fare mai più larghe intese”.
Da allora non va più neanche alla toilette senza consultare Arcore, anzi Cesano Boscone, in base a un papiro segreto che ha commissariato l’Italia intera.
E inperfetta continuità con 40 anni di democrazia a sovranità limitata, che non può rispettare le leggi scritte a partire dalla Costituzione, perchè deve obbedire a quelle occulte: il Piano di Rinascita di Gelli, il papello di Riina e ora il patto con un tizio che conosce bene gli altri due.
Marco Travaglio
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Agosto 2nd, 2014 Riccardo Fucile
QUIRINALE PROIBITO PER CHI HA BATTUTO SILVIO ALLE ELEZIONI: E’ UNA CLAUSOLA DEL PATTO DEL NAZARENO
“Non sono sorpreso dalla clausola anti-Prodi del Patto del Nazareno”. Non si aspettava altro Romano Prodi.
Sconta il peccato originale di esser stato l’unico candidato alla presidenza del Consiglio ad aver battuto Silvio Berlusconi.
Prima i due governi auto-affossati dal centrosinistra (1998 e 2008), poi i 101 voti mancanti del Pd, l’orribile scherzetto parlamentare che chiuse al Professore le porte del Quirinale (2013) aprendo quelle delle larghe intese.
Ma non basta, perchè come rivelato ieri dal Fatto Quotidiano, e confermato dalla pasdaran berlusconiana Mariarosaria Rossi sull’huffingtonpost.it  , proprio nel “papello” del Nazareno, uno dei punti fermi riguarda ancora l’incubo dell’ex Cavaliere.
Così recita il Patto: “In nessun caso, durante le trattative per l’elezione del prossimo presidente della Repubblica, potrà essere fatto il nome di Romano Prodi”.
Il Professore ripete da ormai più di un anno, proprio dallo scherzetto dei 101, che per lui i giochi sono finiti: “Game over, non andrò mai al Colle”.
Pretattica? Un modo per non bruciare la possibilità di ritornare in corsa al momento opportuno?
Può darsi, molti osservatori lo hanno pensato. Ma ieri mattina per Prodi quella che poteva essere un’intuizione è diventata certezza di fronte alla prima pagina del Fatto: “Ultimo segreto del Nazareno: Prodi mai sul Colle”.
Quando il Professore risponde al telefono, nel primo pomeriggio di ieri, ha già sfogliato il Fatto da diverse ore. E si aspetta questa chiamata. “Pronto, eccovi”.
Buongiorno Presidente, ha letto della clausola anti-Prodi del Patto del Nazareno, sul Fatto?
Come no? Certo che ho letto.
Ed è sorpreso?
No. Non sono sorpreso per niente. Non parlo. Non dico nulla. Anzi, una cosa la dico…
Prego.
È l’unica buona notizia politica delle ultime settimane. Vi ringrazio. Adesso basta, però.
Ma c’è qualcosa di positivo in questo Patto del Nazareno, a parte la clausola anti-Prodi?
Faccia conto che io sia in viaggio nel deserto o sulla luna, senza portatile.
No, mi scusi posso farle ancora una domanda Presidente? Una sola.
No.
Lei avrebbe mai stretto un accordo con Berlusconi per riformare la Costituzione?
Può chiedermi come mi chiamo al massimo, le rispondo: Romano Prodi.
È il 18 gennaio 2014, il premier e segretario del Pd Matteo Renzi incontra il padrone di Forza Italia Silvio Berlusconi.
Immaginate la scena, Berlusconi che fissa questo preciso punto: “Il prossimo presidente della Repubblica lo scegliamo insieme . E l’unico nome che non si potrà fare sarà quello di… Romano Prodi”.
Renzi, che ha provato fin da quell’aprile 2013 ad allontanare, a parole, dai suoi fedelissimi l’onta dell’agguato al Professore, alza lo sguardo verso l’ex Cavaliere, si protende per stringergli la mano e dice: “Sì, eleggeremo insieme il capo dello Stato e non sarà Prodi”.
Ci pensa la senatrice Mariarosaria Rossi — tesoriere di Forza Italia, fedelissima di Berlusconi e amica intima della fidanzata Francesca Pascale — a confermare tutto: “Sarà naturale per voi eleggere insieme al Pd il successore di Napolitano?”, le chiede Alessandro De Angelis dell’huf fingtonpost.it  .
“Non sbaglia”, risponde lei sicura.
Game over.
Giampiero Calapa’
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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