Agosto 13th, 2014 Riccardo Fucile
PREOCCUPATO CHE LE BUGIE VENGANO A GALLA, ORA AUSPICA UNA CABINA DI REGIA CON NAPOLITANO E DRAGHI
La squallida battuta sull’Ue gli scappa anche oggi, “Bruxelles chi? Non vorrei poi che qualcuno si dimettesse come Fassina…”, ma sembra solo il retaggio di un Renzi ex rottamatore, che in questa estate difficile sta lasciando il posto a un premier preoccupato.
Martedì l’incontro -che doveva restare segreto- con Mario Draghi nella casa di campagna del presidente della Bce a Città della Pieve.
In serata il summit con Napolitano nella tenuta presidenziale di Castelporziano, sul litorale romano. Un incontro durato più di due ore.
Sul tavolo i dossier economici e le solite bozze di riforme che il premier dovrebbe mettere in campo da fine agosto.
Renzi non balla più da solo, è l’interpretazione legittima di queste ultime mosse.
A palazzo Chigi i numeri difficili di questo agosto piovoso, dalla recessione tecnica alla deflazione, non vengono certo interpretati come un flop dei primi mesi di governo, e neppure come uno scarso impatto degli 80 euro (“Bisogna aspettare ancora che diano frutti”), ma certamente l’allarme per i prossimi mesi è alto.
Il mantra ripetuto è che “bisogna accelerare con le riforme”, ma l’emergenza va affrontata subito.
Ascoltando anche i saggi consigli del Capo dello Stato e del presidente della Bce. Forse è eccessivo parlare di “cabina di regia”, o di “war room”, ma è chiaro che in questa prima vera difficile prova, l’ex rottamatore ha bisogno di sponde.
“Con Draghi ci vediamo spesso, tutto era già a posto da prima, l’Italia non è un osservato speciale”, ha detto stamattina visitando i cantieri dell’Expo di Milano, spacciata come una grande occasione di ripartenza proprio sull’asset fondamentale dell’agroalimentare.
Sulla stessa linea il sottosegretario Graziano Delrio che, a proposito dell’accordo con la Commissione di Bruxelles sui Fondi Ue e della lettera di osservazioni ricevuta dall’esecutivo a luglio, parla di “un dialogo costante tra il governo e la commissione”, di “affinamenti e precisazioni, molto spesso completamente condivisibili”.
Tentativi di salvarsi in corner, dopo essere stati messi alle corde dalla Ue.
Si cerca un rapporto dialettico con Bce e Commissione. E grandissima attenzione alle osservazioni del Capo dello Stato, dai temi internazionali fino ai dossier economici, passando per il capitolo riforme istituzionali, su cui il Colle si è molto speso nelle ultime settimane per ribadirne la necessità e fugare ogni fantasma di “derive autoritarie”.
Col presidente Napolitano, Renzi ha parlato dei recenti botta e risposta con i vertici delle istituzioni europee, ma anche delle sue ricette per restare sotto il 3%, della spending review e del capitolo giustizia, irrisolto per tutto il ventennio berlusconiano, e tuttavia sempre più necessario per dare un messaggio rassicurante agli investitori stranieri.
La situazione è seria, le sponde di Draghi e del Colle sono necessarie, ma Renzi cerca di veiccolare il messaggio che non è clima da ultima spiaggia.
Nonostante le profezie di Berlusconi su un nuovo 2011, a palazzo Chigi sono convinti che la situazione sia rattoppabile. Anche perchè tre anni fa il governo Berlusconi era uscito fiaccato dalle amministrative e dai referendum della primavera, con la vittoria di Pisapia a Milano e il quorum raggiunto dai referendari.
Questo governo invece è reduce da un forte successo nelle urne, con il Pd sopra il 40%. Un capitale troppo ampio per esaurirsi in tre mesi. Anche se i conti sono in rosso.
Domani nuovo tour nel Mezzogiorno, Napoli, Reggio Calabria e poi la Sicilia: Gela e Termini Imerese.
Lo show continua, ma il capocomico comincia a essere in affanno.
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Agosto 13th, 2014 Riccardo Fucile
NON UN AIUTO ESTERNO, IL LEADER DI FORZA ITALIA TORNA A PENSARE IN GRANDE
Chi se l’immagina triste, solitario y final, senza nemmeno la fidanzata a tenergli compagnia (Francesca torna oggi dalla Sardegna), sbaglia di grosso.
Berlusconi ad Arcore se la passa benone, è attivo e vede un sacco di gente.
Lunedì gli ha reso visita Brunetta, baci e abbracci col capogruppo alla Camera.
Ieri è stata la volta del consigliere politico Toti e della portavoce Bergamini.
Con Romani e Verdini si sente ogni due per tre. La sua scrivania al primo piano di Villa San Martino è ingombra di carte nonchè di appunti manoscritti, poichè l’ex Cavaliere ha la testa concentrata sulle strategie dell’autunno.
Forse mai nei giorni di Ferragosto era stato così preso dalla politica. Da quando l’hanno assolto per Ruby, gli brucia la voglia di riprendersi la scena.
È come se i giudici avessero sguinzagliato una tigre: prima della sentenza si sarebbe accontentato di fare da comprimario, adesso l’uomo nutre ambizioni sconfinate, al punto che i più prudenti dei suoi sono costretti a frenarlo.
Accarezza l’ipotesi di proporre a Renzi un bis del Nazareno, però stavolta sull’economia.
Non un semplice aiuto a far passare questa o quella misura, come si era vociferato, tantomeno un «soccorso azzurro» casomai qualche voto in Parlamento dovesse mancare.
No: l’ex Cavaliere sta ragionando con amici e collaboratori su un vero e proprio «patto per l’emergenza» da contrattare punto per punto con il Pd, senza sotterfugi ma alla luce del sole.
Pare non pretenda in cambio un ingresso di Forza Italia al governo.
O perlomeno non ne farebbe, così risulta, una questione pregiudiziale poichè di regalare ai suoi 3-4 poltrone in fondo che gliene importa?
Berlusconi è «Silviocentrico». L’hanno convinto che la prossima buona notizia gli arriverà da Strasburgo, dalla Corte dei diritti dell’uomo dove è stata impugnata la condanna Mediaset, e dunque forse già nella primavera prossima sarà in grado di ricandidarsi alle elezioni.
Per cui la prospettiva di tornare alle urne gli fa meno terrore perchè gli italiani sono un popolo strano, mutevole di sentimento, capace di tutto.
Per farla breve: Berlusconi non sembra più intenzionato a dare una mano gratis, ovvero di favorire Renzi al di fuori di una cornice che sembri a lui dignitosa. Immagina un «do ut des», via libera a certi provvedimenti solo in cambio di certi altri.
Pare che in queste ore si stia appassionando alla «flat tax», suo antico pallino.
Molto lo seduce la manovra-choc suggerita da Capezzone, 40 miliardi di minori tasse in 2 anni. È convinto che certe sue proposte, contenute nel programma elettorale 2013, siano state copiate con profitto dallo spagnolo Rajoy e dal britannico Cameron.
Si domanda che cosa aspetti il governo a picconare l’immenso stock del debito pubblico.
Chiaramente, bisogna che Renzi sia d’accordo ad allargare un patto limitato a riforme e legge elettorale.
Quando si sono visti con Silvio, l’altra settimana, Matteo ha lasciato cadere le avances berlusconiane.
Nell’intervista serale a «Millennium», il premier è stato netto, di allargare l’intesa per ora non se ne parla nemmeno.
Ma l’ex Cavaliere ha due frecce al suo arco.
La prima coincide con l’«agenda infernale del governo» (come l’ha definita con vena immaginifica Brunetta): sotto lo sguardo sospettoso dell’Europa, delle agenzie di rating e dei mercati, il Parlamento dovrà approvare in autunno 1) le riforme della Costituzione, 2) l’«Italicum», 3) la nota di variazione al Documento economico finanziario, 4) la legge di stabilità con annesse misure «lacrime sudore e sangue». Inoltre 5) la delega fiscale, 6) il «jobs act» e 7) lo «sblocca Italia» con la coda velenosa sull’articolo 18.
Se vuole prendere di petto la sfida, ragiona ad alta voce Berlusconi, «Renzi non potrà prescindere da noi».
E comunque, anche se volesse procedere con la sua maggioranza, snobbando Forza Italia, ecco l’altra freccia di Silvio: sfilargli un po’ di parlamentari.
Come già fece con Prodi. Si segnala un intenso corteggiamento di alcuni senatori Ncd, con tanto di inviti ad Arcore, come ai vecchi tempi.
Per riscrivere la storia della legislatura, sarebbe sufficiente che in 6-7 tornassero all’ovile.
Ugo Magri
(da “La Stampa”)
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Agosto 13th, 2014 Riccardo Fucile
CONDANNATO PER ABUSO D’UFFICIO, MA IL CONSIGLIO REGIONALE E’ ANCORA IN PIEDI DOPO 4 MESI…CACCIATI I REVISORI DEI CONTI CHE AVEVANO BOCCIATO SPESE PER 4 MILIONI
È l’8 agosto quando i tre revisori dei conti — Pasqualino Saragò, Guido Boccalone e Cosimo Forgione — s’incontrano, alle 10.45 del mattino, e dev’esser quasi sembrata una riunione carbonara. Parlano e annotano. Annotano e scrivono.
I tre revisori spulciano tra le spese — ben 3,8 milioni di euro — che hanno osato bocciare. Di scartoffia in scartoffia, rinchiusi nel Dipartimento del Bilancio, raccolgono tutto e poi rileggono la legge che li riguarda, quella emanata il giorno prima, votata dal Consiglio regionale il 7 agosto: li hanno appena defenestrati dal loro ufficio.
I tre revisori, da 24 ore, non contano più nulla.
E allora scrivono anche alla Guardia di finanza, e alla Corte dei Conti, segnalando “sommessamente” che quel Consiglio regionale — ancora in piedi, dopo ben quattro mesi dalle dimissioni dell’ex governatore, Giuseppe Scopelliti — può trattare “esclusivamente argomenti di somma urgenza”. E già .
Ma i tre non avevano forse costretto la Regione a rinunciare a ben 3,8 milioni di “salari integrativi”, o “premi di produzione” che dir si voglia?
E quindi: non era forse urgente metterli alla porta?
Non era persino più urgente che riformare quella legge elettorale — votata il 3 giugno — che la Suprema Corte ha definito incostituzionale?
Il segretario generale del Consiglio regionale, Pietro Calabrò, è l’uomo chiave di tutta la vicenda: è lui, infatti, che firma il parere determinante, quello che consente di disarcionare i tre revisori.
E i 3,8 milioni da distribuire tra gli impiegati della Regione — spiega — in questa storia non c’entrano nulla.
“La legge sbagliata? Era un’altra”
“Era sbagliata la legge che li aveva nominati — dice — e noi dovevamo cambiarla: i tre revisori sono decaduti solo dopo un’ordinanza del Tar”.
La legge sui revisori dei conti, però, non l’aveva mica scritta un altro Consiglio regionale: era il 10 gennaio 2013 — appena 18 mesi fa — quando il Consiglio regionale stabiliva: i tre revisori dei conti sono eletti, dai consiglieri, tra 9 nominativi estratti a sorte da un apposito elenco.
Nel resto d’Italia non c’è nessuna elezione: si sorteggia punto e basta.
E infatti un revisore, non eletto, ha impugnato il provvedimento e il Tar è intervenuto. E così, una settimana fa, il Consiglio regionale ha modificato la norma: ora si sorteggia. E i tre revisori vanno a casa.
Per una diabolica coincidenza, però, la modifica arriva appena 12 giorni dopo la stroncatura, firmata dai tre revisori, delle determine di spesa — firmate proprio da Calabrò — che stanziavano i 3,8 milioni da distribuire ai dirigenti per l’anno 2013.
E i tre revisori, rinchiusi nel Dipartimento del Bilancio, continuano a scrivere alla Finanza e alla Corte dei Conti.
Diversamente urgenti e Superporcellum
Sempre “sommessamente” sottolineano che il Consiglio regionale, così solerte nel modificare la norma che li riguarda, “non ha ritenuto urgente” modificare “la legge elettorale, già impugnata dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri”.
E qui, per capire il fenomeno, bisogna risalire alla fine di marzo, quando Scopelliti viene condannato a sei anni di carcere, in primo grado, per un abuso d’ufficio commesso quand’era sindaco di Reggio Calabria.
La legge Severino è chiara: deve dimettersi e, di conseguenza, si dovrebbe tornare a votare. Già , ma perchè affrettarsi?
Per formalizzare le dimissioni, Scopelliti, c’impiega circa un mese e soltanto il 3 giugno il Consiglio prende ufficialmente atto della situazione.
E nello stesso giorno il Consiglio decide d’approvare una nuova legge elettorale.
Il consigliere dell’Idv Giuseppe Giordano, in aula, parla di “golpe” e profetizza: “Questa legge è incostituzionale”. E il sindaco di Lamezia Terme Gianni Speranza (Sel), che intende partecipare alle primarie del centrosinistra, per poi candidarsi alla Regione, commenta: “Qui in Calabria stiamo assistendo a un furto di democrazia. Esiste una sorta di partito unico trasversale, formato da classi sociali economiche e politiche, che comanda da decenni, vuole comandare ancora oggi, quindi cerca di prepararsi per il dopo Scopelliti”.
“Ci siamo ispirati all’Italicum”, spiega invece il presidente del Consiglio, Francesco Talarico, difendendo la bontà della legge elettorale.
In realtà , l’Italicum targato Renzi e Berlusconi, con la soglia al 12 per cento per le coalizioni, è roba obsoleta: qui hanno alzato sbarramento al 15 per cento e portato al 60 per cento, anzichè a un massimo del 55, il premio di maggioranza.
Una soglia anti M5S e, nello stesso tempo, un dissuasore per i dissidenti interni al centrodestra e al centrosinistra, che il 3 giugno esce dall’aula, contando solo 4 voti contrari del Pd.
Poi c’è da mettere a posto lo Statuto: la Calabria non può più permettersi 50 consiglieri, ma al massimo 30, però qui ne hanno previsti altri sei, definiti “supplenti”, per sostituire i consiglieri nominati assessori. E la Corte ha rispedito tutto al mittente.
Si voterà entro novembre
Lo spirito dell’azzeccagarbugli che abita lo Stretto, però, non è poi così stolto. Il presidente facente funzioni, Antonella Stasi, spiega che finalmente, dopo ben 4 mesi, sta avviando la procedura per elezioni: “Emanerò il decreto a giorni — dice — per restare all’interno dei parametri previsti dalla legge, che dispongono al massimo 90 giorni, per fissare la data delle elezioni”.
Il 90esimo giorno scade il 2 settembre. “Si voterà entro il 16 novembre”, assicura Stasi.
Non sarete troppo attaccati alla poltrona? “Volevate forse farci votare in estate?”, replica Talarico.
Insomma, i calabresi dovranno aspettare novembre, per eleggere il nuovo governatore e il nuovo Consiglio, ma con quale legge?
“Se il Consiglio non modifica con urgenza le norma bocciata dalla presidenza del Consiglio e dalla Corte Costituzionale — spiega Stasi — si voterà con lo sbarramento del 15 per cento e useremo lo statuto dei 30 consiglieri, più i supplenti”.
Già , ma di urgente, qui, c’era invece da cambiare la legge sui revisori dei conti.
“Non ero in aula — conclude Stasi — ma, per come me l’hanno raccontata, sì, era urgente”.
Sarà . Intanto i tre revisori hanno spedito alla Finanza e alla Corte dei Conti una relazione infiammata: con quei 3,8 milioni da distribuire ai dirigenti, secondo loro, “si continuerebbe a perpetrare il danno erariale all’Ente ipotizzato dagli ispettori del ministero dell’Economia e delle Finanze”.
Se non bastasse, denunciano che “il fondo è stato già erogato” per circa 2 milioni.
Antonio Massari
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Agosto 13th, 2014 Riccardo Fucile
DAL 1 SETTEMBRE AL 31 OTTOBRE OCCASIONE STORICA PER SCOPRIRE IL PERCORSO DELL’INFORMAZIONE: DAGLI “AVVISI” DEI GONZAGA AL WEB
La Gazzetta di Mantova celebra, con una mostra a Palazzo Te, il suo straordinario record di giornale italiano più antico ancora stampato su carta.
Si tratta della testimonianza unica di una costanza di sguardo sul mondo che non si interrompe da 350 anni: un sodalizio con la città plasmata dai Gonzaga che rappresenta, a tutt’oggi, una delle storie più articolate e appassionanti che questa città sappia raccontare.
La Gazzetta fu fondata a Mantova nel 1664.
In principio circolava sotto forma di fogli di notizie, o “Avvisi”, con i quali, fin dal Cinquecento, i menanti – cronisti retribuiti – informavano i Gonzaga, signori di Mantova, di quanto accadeva nel resto d’Italia e d’Europa.
Un giorno di giugno dell’anno 1664, però, gli Osanna, stampatori ducali fin dal 1588, ottennero dal duca Carlo II Gonzaga Nevers il privilegio di stampare in esclusiva, e a loro spese, fogli di avvisi.
Questi fogli, venduti a Venezia a due soldi, nell’uso comune venivano chiamati”gazzette”, proprio dal nome della moneta che aveva corso in città e che riportava una gazza su una delle due facce
Per l’occasione sarà esposta la prima copia, finora nota, della Gazzetta stampata a Mantova: il numero 48 del 27 novembre 1665.
L’articolo di apertura è dedicato alla visita alla Corte di Mantova dell’ambasciatore del duca di Modena, in occasione della morte di Carlo II Gonzaga.
Le altre notizie riguardano le capitali estere, con Vienna in primo piano.
In questa mostra, che mette in scena tanto la storia del giornalismo italiano quanto la storia di una città per secoli tra le più internazionali del panorama europeo, vi sono 160 pezzi: antiche e nuove edizioni del giornale, stampe, ritratti, vedute della città e dei suoi monumenti, medaglie e monete, fotografie, oltre alla linotype rimasta in funzione sino al 1981.
Si possono ammirare anche pagine che raccontano grandi eventi della città : la canonizzazione di San Luigi Gonzaga (1726), l’inizio della costruzione della cupola di Sant’Andrea (1732), o il passaggio per Mantova di un giovanissimo Mozart in concerto al teatro Bibiena (1770).
E ancora: la città che cambia volto e si arricchisce di nuovi monumenti, come il palazzo dell’Accademia, voluto dal governo di Maria Teresa d’Austria e costruito dall’architetto Piermarini, o la Biblioteca Teresiana (1780), che dall’imperatrice prende il nome.
Da sempre giornale di respiro internazionale, nel Settecento la Gazzetta era edita con il titolo di “Ragguagli universali d’Europa e di altri luoghi” ed era letta addirittura dal sultano Mustafà III a Costantinopoli.
Questa mostra è l’occasione per leggere la storia di un intero Paese attraverso l’evoluzione e il progresso di una singola città intraprendente, accogliente, conosciuta oggi nel mondo grazie ai suoi tesori d’arte, primi fra tutti Palazzo Ducale e Palazzo Te, e inserita nel Patrimonio Mondiale dell’Umanità dall’Unesco nel 2008.
Dagli anni ’60la città comincia a valorizzare il suo patrimonio e la Gazzetta racconta questa presa di consapevolezza che ha come ideale data d’inizio la mostra dedicata a Mantegna nel castello di San Giorgio nel 1961 che, con i suoi 250.000 visitatori, determina la nascita del moderno turismo culturale.
Oggi Mantova è anche la città del Festivaletteratura, una formula per vivere la lettura vincente e amata in tutto il mondo.
Mantova ha da rivendicare anche una straordinaria, millenaria, tradizione di economia rurale e agricola grazie alla sua posizione geografica centrale nella Pianura Padana, sulla quale ha saputo innestare con successo, non senza difficoltà e sacrifici, la vocazione industriale italiana del dopoguerra.
Anche qui la Gazzetta è testimone attento della nascita delle prime grandi fabbriche: lo stabilimento di raffinazione petrolifera ICIP, la cartiera Burgo, gli stabilimenti Corneliani, Lubiam, Marcegaglia, OM di Suzzara.
Le pagine della Gazzetta di Mantova, inoltre, in più occasioni hanno raccontato per prime notizie che hanno fatto il giro del mondo.
Da queste righe di inchiostro è passata la Storia. C’è ancora chi ricorda la tragedia dell’incidente a Guidizzolo durante l’edizione del 1957 della Mille Miglia, gara che in seguito venne sospesa definitivamente.
Tra i primi ad arrivare sul posto fu proprio il cronista della Gazzetta Paolo Ruberti, che soccorse i feriti, con il fotografo Quinto Sbarberi, le cui foto fecero il giro del mondo.
E anche la morte di Ayrton Senna (1 maggio 1994 a Imola, Gran premio di S. Marino) “preannunciata” dallo stesso pilota in un filmato girato da un reporter della Gazzetta: lo si vede segnalare, durante le prove, una curva del circuito da lui ritenuta pericolosa, il punto esatto in cui sarebbe accaduto l’incidente.
È in mostra la sequenza esclusiva di foto comparse sulla Gazzetta.
I visitatori potranno seguire anche la proiezione di una selezione delle oltre 3000 foto eseguite dal fotografo Sbarberi tra il 1950 e1970 circa, donate dalla Gazzetta alla Biblioteca Baratta.
Mantova, Fruttiere di Palazzo Te – 1 settembre / 31 ottobre 201
Orario: lunedì: 13-18; martedì, mercoledì, giovedì e domenica: 9-18; venerdì e sabato: 9 -2
Ingresso libero
Catalogo a cura di Daniela Ferrari, Direttore degli Archivi di Stato, e Cesare Guerra, Direttore della Biblioteca Comunale, edito da Publi Paolini.
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Agosto 13th, 2014 Riccardo Fucile
“TAVECCHIO E LOTITO? NON SCENDO FINO A LORO”…”ABBIAMO RISOLTO IL FALLIMENTO AI MONDIALI DANDO LA COLPA A BALOTELLI CHE DOPO LA PRIMA PARTITA SEMBRAVA PELE'”
Palme, vento caldo e ricordi: “Certo che ho nostalgia. Di tutte le cose belle del lavoro e della vita che sono svanite e degli angoli a Sud che ho dovuto lasciare. Peccato. So che la bellezza di ieri non si può riprodurre, ma ho a lungo sperato che la parte sana dello sport che abito da quasi mezzo secolo, quella incontrata al principio tra Palermo, Licata e Foggia, potesse evolvere e migliorare ulteriormente. Invece siamo riusciti solo a peggiorarlo il calcio. Peccato”.
Dall’ex Cecoslovacchia
“Vivevo a Praga 4, nei pressi del ponte di ferro e la nostalgia, vale naturalmente anche per le origini” — a Cagliari il volo di Zeman è un’apertura d’ali che non conosce esilio.
“Nel sistema mi sento solo, nella quotidianità no. La gente che come me non appartiene al sistema di potere mi apprezza e mi vuol bene. In Sardegna come a Roma. Sembra una sciocchezza, ma non lo è. L’affetto mi ripaga di ogni amarezza”.
In maglietta rossa e pantaloni corti, Zeman corre incontro all’ennesima cattedra del suo insegnare contrastato con l’entusiasmo dell’età acerba.
A un’ora di aereo, in un albergo a due passi dagli hangar di Fiumicino, i padroni del vapore hanno fatto girare le eliche nella direzione a loro congeniale. Dal rullare confuso di agosto è uscito l’ibrido profilo di Carlo Tavecchio ed è ancora alla parola “sistema” che Zeman torna per analizzare quel che gli pare lapalissiano: “È difficile cambiare il sistema calcio perchè il sistema ha questi personaggi. Tavecchio è stato eletto perchè ha l’appoggio di questi signori. Tutto qui, senza sorpresa”.
Non le pare una pessima notizia?
Come glielo posso spiegare? Se c’è un sistema e non si cambiano le persone che formano quel sistema, il sistema sarà sempre identico a se stesso.
Forse gattopardescamente, si voleva cambiare guida perchè non cambiasse nulla.
Se si vuole rinnovare, si cambiano le persone. Altrimenti si va avanti così. È difficile che si cambi davvero orizzonte senza cambiare i personaggi, mi pare logico.
Sono andati avanti così. Restituendo un’idea padronale del pallone.
La novità ? Il calcio ha sempre rappresentato una casta a parte.
Se Zeman fosse stato un grande elettore avrebbe preferito Tavecchio o Albertini?
Non posso giudicare, non ho elementi. Sono fuori da quel giro. Non conosco i programmi, cosa vogliano davvero fare o non fare. Il movimento non è abbastanza coeso e non c’è una linea comune. Oggi come ieri mi sembra che il principale obbiettivo di chi governa il gioco sia il business e che i padroni del pallone si interessino poco al calcio giocato.
Le dispiace? In fondo avrebbe potuto seguire il consiglio che Marcello Lippi le diede dieci anni fa, andare altrove: “Non si può criticare il sistema facendone parte”.
Se a uno non piace il mare in cui nuota, può sempre decidere di non bagnarsi in quell’acqua. Il discorso mi invitava a togliermi dai piedi e suonava più o meno così. Invece io sono rimasto nel calcio perchè mi piace. Ho sempre cercato di fare qualcosa per migliorarlo, forse non abbastanza.
Pensa di aver commesso qualche errore?
Non mi pento di nulla e non ho niente da farmi perdonare, ma sicuramente ho sbagliato anche io. Il dogma dell’infallibilità non l’ho mai coltivato.
Il sospetto è che a Roma, a margine dell’elezione di Tavecchio, sia andata in onda una vecchia replica dell’antico cabaret in cui non temiamo rivali.
Sì, il sospetto c’è, ma ripeto: per me è difficile giudicare. Son due mesi che sento parlare di candidati, ma di programmi reali e proposte focalizzate su quel che bisognerà fare domani, non ne ho sentite.
Avrà però sentito la battuta di Tavecchio su Optì Poba e il ministro degli Interni discettare di Vu’ cumprà .
Il razzismo è un’altra cosa. Significa odiare l’altra razza e nè Tavecchio nè Alfano odiano l’altra razza. Qualcuno ha evocato il razzismo, ma è un’etichetta che non mi convince. Un automatismo troppo facile. Se tifosi fischiano nero è razzismo, se tifosi fischiano bianco è normale. Qualcosa non torna. Io sono bianco, ma a Torino, per dire, sono stato trattato molto peggio di quanto non sia mai accaduto a Balotelli.
Con Torino e la Juventus i rapporti sono da sempre complicati.
Non con la Juventus, di cui da ragazzo ero anche tifoso. Ma con alcuni dirigenti.
Molto prima di Moggi c’era Gianni Agnelli: “Zeman è il nipote di Vycpalek e dovrebbe esserci grato. Portandolo in Italia, noi abbiamo salvato Vycpalek dalla Cecoslovacchia comunista”.
Una battuta modestissima, ma battute infelici prima o poi capitano a tutti, anche a Tavecchio. La Juve comunque non salvò proprio nessuno. All’epoca mio zio era considerato il più grande talento del calcio ceco. Quindi la Juve, semplicemente, comprò un giocatore. Un giocatore importante.
Torniamo alle ipotesi per salvare il calcio. L’abbiamo sentita parlare di modello francese, di vivai su base regionale. Altre proposte in tema?
Il calcio italiano ha grandi tare. Soffrono i settori giovanili, manca la cultura del lavoro, domina l’ossessione per il risultato da raggiungere a qualsiasi costo.
Per lei la regola non vale.
Per me vale l’unica regola a cui mi sia sempre appellato. Lavorare per far divertire il pubblico.
Ultimamente il pubblico pagante, tra lutti e sparatorie, non si è divertito granchè.
Allo stadio Olimpico, per la finale di Coppa Italia, c’ero anch’io. Ho visto tutto e come è ovvio, ho riflettuto.
Ci mette a parte del ragionamento
Non riesco a catalogare questa gente chiamandola “tifosi”. Non hanno interessi sulla partita giocata nè sullo spettacolo, ma hanno molti altri seri problemi. Quello che non possono fare in mezzo alla strada, magicamente, diventa lecito allo stadio. Se lo fanno in mezzo alla strada pagano, invece in quella zona franca possono sfogarsi e fare di tutto perchè ogni nefandezza gli è permessa.
Aveva ragione Capello? Il calcio italiano è in mano agli ultras?
I veri tifosi sono altri e ce ne sono tanti. Tantissimi anche in quella sera di maggio all’Olimpico. Sessantamila persone che del signor Carogna non sapevano nulla e 150 individui che tenevano in ostaggio tutti gli altri. Cercare di eliminare quei 150 per dare al resto dello stadio la possibilità di godersi pienamente lo spettacolo è un problema non più rimandabile.
I tifosi pretendono liberta d’azione
Dichiarano impunemente: “La società sportiva siamo noi”.
Le sembra assurdo anche a livello identitario?
Se lo pensi, fatti avanti. Compra i giocatori, paga l’ordinaria e anche la straordinaria amministrazione. Altrimenti si tratta di arbitrio. Di prepotenza .
Le società sono davvero impotenti e terrorizzate?
Molte società si spaventano, sì. Ma l’antidoto alla violenza esiste. In Inghilterra volevano risolvere il problema e l’hanno risolto.
A Licata, trent’anni fa, di cosa aveva paura?
Di niente. A quel tempo non c’erano problemi, specialmente di quel tipo. Era diverso il calcio. Diverso il mondo. Si discute molto di nuovi stadi sicuri da costruire. Sul tema il Parlamento ha lavorato senza sosta. Il problema della modernità degli stadi italiani esiste, però quelli che ne parlano e si sono adoperati per far passare le leggi in Parlamento, mi pare guardino ad altri obbiettivi.
Quali, Zeman?
Se non immaginano palazzi e supermercati da costruire intorno allo stadio non sono contenti.
Quindi?
Quindi per me costruire nuovi stadi non è esigenza di calcio, visto che è esigenza di altra natura. Invece di edificarli da zero, si potrebbero aggiustare. Per tacere del fatto che a Roma, un posto per lo stadio migliore di quel che c’è adesso, non esiste.
Anche la Lazio vorrebbe una nuova casa. Che idea ha del calcio italiano Lotito, il grande elettore di Tavecchio
Non posso scendere fin lì, non voglio.
Cambiamo argomento. Tavecchio vorrebbe Antonio Conte allenatore della Nazionale
Il termine è sbagliato. Non esiste l’allenatore della Nazionale.
Come non esiste
Non esiste. Non c’è tempo per lavorare, convocare i giocatori, ridurre le proteste delle società . Conte è bravo, ma in quel ruolo non lo vedo.
Perchè?
Perchè Conte è un allenatore. Ha bisogno del campo. Ha bisogno di urlare, di guardare in faccia i giocatori. Tutte cose che con i calendari attuali confinano con l’utopia.
L’identikit del successore di Prandelli, quindi?
Uno che abbia un buon occhio per scegliere i giocatori che stanno bene in un dato momento e quelli funzionali al proprio modulo. Ciò che non è successo all’Italia in Brasile.
Spedizione disastrosa, concorda?
Il problema del calcio italiano è ampio e l’eliminazione dal Mondiale è solo una parte del tutto. Se Prandelli avesse battuto la Costa Rica nessuno avrebbe detto niente.
Invece l’Italia ha perso.
E noi abbiamo risolto la questione dando la colpa a Balotelli. Ora sembra che il Mondiale l’abbia perso lui e il sistema va avanti come sempre. Come se nulla fosse. Con il capro espiatorio di turno siamo abituati a fare così.
Così come, Zeman?
Prima innalziamo un Dio sull’altare, poi lo sacrifichiamo. Dopo la prima partita Balotelli era trattato come Pelè. Al primo intoppo, giù bastonate. Siamo stati eliminati dal Mondiale perchè Balotelli non si comporta bene? Cerchiamo di essere seri che è meglio.
A proposito. Pjanic sostiene che con lei si allenava senza gioia, piacere nè divertimento.
Io continuo a pensare che lo sport professionistico fa parte di quelle discipline in cui per ricevere soddisfazioni bisogna lavorare. Per molti giocatori invece, allenamenti ed esercizi sono parco dei giochi. E per la mia mentalità , parco dei giochi con professionismo ha poco a che fare.
Al prossimo incrocio con la Roma stringerà la mano a De Rossi?
Non ho mai avuto un problema con De Rossi. Può essere accaduto il contrario e forse era lui ad avere qualche problema con me. Se non rendeva secondo le aspettative, comunque, non mi ritengo responsabile.
Ai tempi dei leggendari ritiri estivi del primo Zeman, a base di patate lesse, dieta ferrea e gradoni, i suoi calciatori non erano contenti.
Chi mi ha seguito non se ne è mai pentito. Per un mio allenamento, in 40 anni, non è mai morto nessuno.
Le è mai accaduto che un giocatore si sia lamentato con lei? Che le abbia espresso sinceramente le proprie perplessità ?
In faccia nessuno mi ha mai detto niente, però mi dispiace che a volte accada dietro le spalle. Ai ragazzi faccio inviti continui: “Se avete qualche cosa da eccepire, venite da me. Ci possiamo chiarire”.
Forse si sentono intimiditi. Sembra che ai tempi della Roma il giovane Tallo amasse ironizzare durante le sedute a Trigoria: “Parla più forte, non si capisce niente”.
Non l’ho sentito neanche io, quindi non posso commentarlo. (Sorride)
Si ricorda cosa disse su di lei Gianluca Vialli?
Ne ha dette tante, ma dica pure, tanto una querela in più una in meno cosa vuole che cambi?
Vialli sostiene che lei sia furbo: “È un grandissimo paraculo, combatte le battaglie che gli convengono e si dimentica del resto”.
Non capisco, io difendo le cose nelle quali credo. Lo faccio da sempre. Senza sforzi.
È vero che la scoprì Dell’Utri e le fece allenare la Bacigalupo?
Mah, veramente quando arrivai a Palermo giocavo a pallavolo in serie B e nella mia squadra c’era un ragazzo che correva anche dietro a un pallone. Mi portò al Cinisi. Poi ho girato un po’ di chiese pallonare, dalla Carini alla Bacigalupo, la squadra che aveva il campo di fronte alla vecchia Favorita. “Posso dare una mano con i ragazzi”, dissi. La storia iniziò così.
A Cagliari si aspettano di riscriverla con lei. Il suo presidente, Giulini, ha promesso di arrivare in Champions entro il 2020.
Sono contento che il presidente abbia ambizioni. Nello sport sono fondamentali. Poi bisogna anche rendersi conto della realtà . Se si vuole arrivare da qualche parte, bisogna anche conoscere la strada giusta. Di solito nel calcio tutti parlano di progetto e dopo un mese il progetto è già morto. Speriamo che il nostro duri a lungo. Sono fiducioso. Per me spazio dove non ci sono soldi è spazio più grande e più prezioso che esista. È spazio delle idee. Le idee non le hanno solo i ricchi.
Lo sosteneva anche Manlio Scopigno, tecnico del Cagliari scudetto del ’70, al quale la paragonano.
Uno che aveva le sue idee e non si lasciava influenzare nè condizionare dagli altri.
Sembra il suo autoscatto. Scopigno come lei fumava molto e quando trovava i giocatori chini sulla briscola nelle loro stanze colme di fumo, ne accendeva una insieme a loro.
Non è cambiato il rapporto tra allenatore e giocatore, è cambiato quello tra i giocatori. Una volta andavano a mangiare tra loro e trascorrevano uniti il tempo del ritiro. Oggi fai tre fischi, chiudi la seduta e li vedi fuggire. Uno scappa a destra, uno a sinistra e non si trovano più. Dovrebbero passare un po’ di tempo insieme e parlare, invece si mettono le cuffie, si chiudono in camera e vanno su Facebook finendo per stare da soli. E da soli si sta molto bene, ma il gruppo non si crea.
Lei a carte in ritiro gioca ancora?
Sono sempre stato per una sana partita a carte, anche se per ragioni oscure molte società le vietano. Ma se non ci sono soldi in ballo, che male c’è? E soprattutto, poi, se i soldi non li giocano a carte, li investono altrove che è anche peggio.
Buffon, il capitano della nazionale, scommetteva on line cifre rilevanti, ma non sul calcio.
Io giocavo la schedina del Totocalcio all’epoca in cui costava 200 lire. Oggi non faccio più nemmeno quello. Quando si esagera, si esagera.
Guardiola ha detto che lei è stato coraggioso.
Non credo, il coraggio serve per altre cose.
Serve anche a promettere di poter realizzare i sogni?
Faccio quel che posso. Mi piace promettere massimo impegno. Mi auguro che basti per non retrocedere.
Allenatori che stima?
Ventura del Torino. Forse è arrivato troppo tardi in serie A e non è più giovane, ma a Pisa e a Bari ha fatto un bel lavoro. Come si capisce simpatizzo per gli ultrasessantacinquenni.
Si capisce, in effetti…
Io non penso mai a quanti anni ho, discorso dell’età non mi sembra interessante. I 67 anni li avverto. Qualche dolorino qui e là e fisicamente non riesco più a fare quel che facevo prima, ma mentalmente non mi sento vecchio.
È arrivato fino a qui. E pensare che a Salerno le avevano pronosticato un precoce Viale del Tramonto: “Dopo Salerno, Napoli e Avellino ti rimane solo la panchina del lungomare”.
Sul lungomare sono sempre stato benissimo e in silenzio sto divinamente.
Come i sardi.
A me piace ascoltare gli altri, per poi magari rendermi conto che dicono tante cazzate.
Malcom Pagani
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Agosto 13th, 2014 Riccardo Fucile
“GUADAGNIAMO TROPPO POCO, PRIMA NE PRENDEVAMO 12.000, ORA 6.800 E QUANDO ENTRERA’ IN VIGORE LA NUOVA NORMA 5.200″… “PER L’ATTIVITA’ POLITICA SERVONO SOLDI, COSI’ NON PUO’ ANDARE AVANTI”
«Che poi guadagniamo poco». Stop, fermi, time out.
Giuseppe Cangemi, Ncd, un passato da paracadutista con encomio a Mogadiscio, oggi politico a tempo pieno, è uno dei cinquanta consiglieri regionali del Lazio.
Visto che è del 1970, tra sei anni prenderà anche il vitalizio, perchè nella scorsa legislatura è stato assessore esterno alla Sicurezza.
Scusi Cangemi, guadagnate poco? Ma è sicuro? Quanto prende ogni mese?
«Netti mi arrivano 6.800 euro. Ma tenga conto che non ci pagano più il permesso della ztl, non ci sono altri soldi per la segreteria, se mi sposto nel Lazio lo faccio con la mia macchina a mie spese».
Cangemi, 6.800 euro al mese.
«Prima ne guadagnavano 12 mila».
Cangemi, 6.800 euro al mese.
«Tenga conto che dobbiamo contribuire alle spese delle sedi, al personale extra, ai collaboratori».
Cangemi, il sindaco di Roma ne guadagna 5.200 e forse ha qualche responsabilità e qualche grana in più di un consigliere regionale.
«Ma infatti il sindaco di Roma guadagna troppo poco»
Renzi equiparerà lo stipendio dei consiglieri regionali a quello del sindaco del capoluogo. Se 6.800 euro al mese le sembrano pochi, 5.200 sono quasi un affronto. Senza volere fare demagogia da facile applauso, sa che chi prende 1.000 euro al mese un po’ si arrabbierà ?
«Lo capisco, ma per l’attività politica servono soldi. Sarò costretto a ridurre sedi e collaboratori. Non è giusto, nel Lazio abbiamo tagliato tutto e nessuno lo dice».
Time out. Avete tagliato qualcosa nella scorsa legislatura perchè esplosero i casi di Fiorito e Maruccio, emerse lo spreco (formula molto garantista) dei soldi dei gruppi consiliari.
Senza il caso Fiorito il Lazio avrebbe tagliato?
«E allora diciamo evviva Fiorito, evviva la procura, che sta indagando anche su altri gruppi. Ma per la politica i soldi servono, con 5.200 euro al mese non si può fare».
I 5 Stelle come fanno, loro si tengono 2.700 euro?
«Ma quelli fanno tutto con internet. Io le persone le vado a incontrare, in tutto il Lazio».
Le sembra giusto che presto, da cinquantenne, lei per avere fatto l’assessore esterno, non votato, incasserà pure il vitalizio? Un cittadino va in pensione oltre i 65 anni
«Vogliono alzare l’età per incassare i vitalizi? Bene, però per tutti, anche per chi già lo prende, per gli ex consiglieri. E la Regione chieda indietro la differenza. Altrimenti è un’ingiustizia e ci sarà una pioggia di ricorsi. Se faremo questo, rinuncio al vitalizio. In caso contrario, è polverone. Ah, mi devono restituire ciò che era stato versato per il mio vitalizio».
Mauro Evangelisti
(da “il Messaggero“)
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Agosto 13th, 2014 Riccardo Fucile
IL POLITICO CHE NON MANCA MAI A UN TALK SHOW, SEMPRE PRONTO A RIPETERE LE SOLITE FRASI
Alcuni parlamentari ci vanno di tanto in tanto. Altri un po’ di più. Altri ancora, molto spesso. E uno di loro è addirittura sempre lì, negli studi televisivi di Rai, La7 e Mediaset, per partecipare a tutti i talk show mandati in onda nelle ventiquattr’ore.
Vi soggiorna, anzi, vi incombe, al mattino presto, a metà mattinata, in prima o seconda serata; e se ne bea quotidianamente per la gratuita visibilità che ne riceve.
In qualche studio – pensate – si siede addirittura su una poltrona riservatagli per spettanza, come si usa nelle cerimonie pubbliche per le autorità .
Lui è Maurizio Gasparri, romano, 57 anni, vicepresidente del Senato, fervido berlusconiano.
Chioma brizzolata, occhialetti, bocca a cuoricino, abito blu, cravatte azzurre, sembra un manichino della Rinascente.
Dice le stesse cose di Silvio Berlusconi, solo che le dice con accento romanesco.
È verboso, fumino, col difetto di interrompere e prevaricare gli altri ospiti dello show.
Ho il sospetto che, per il timore di arrivare in ritardo alle varie trasmissioni del giorno, si presenti negli studi con molto anticipo, forse assieme agli addetti alle pulizie. Evidentemente il senatore non ha altro da fare, nè a palazzo Madama, come vice del presidente Piero Grasso, nè alla sede di Forza Italia, come dirigente di spicco.
Beato lui che può.
Guido Quaranta
(da “L’Espresso”)
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Agosto 13th, 2014 Riccardo Fucile
L’EX LEADER DELLA CISL: “VANNO CREATI NUOVI POSTI DI LAVORO, NON DIMINUITE LE TUTELE”
La discussione sull’articolo 18?
«Dibattito tipicamente estivo. Molti di coloro che ne parlano non sono mai stati in una fabbrica ».
Pierre Carniti, storico leader della Cisl, non si appassiona alla querelle innescata dal diktat di Alfano: «Più che una discussione ideologica, mi sembra teologica»
Carniti, periodicamente si sostiene che l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori blocca la ripresa economica. È d’accordo?
«Mi pare una tesi un po’ demenziale, di quelle che animano la discussione sotto l’ombrellone per fare due chiacchiere con il vicino»
Eppure la sostengono fior di politici ed economisti.
«Mi dica, quanti di loro hanno mai visto una fabbrica? Sono tutti esperti, professori, per carità . Ma la realtà è spesso molto diversa da come la si studia
Ammetterà che lo Statuto dei lavoratori è nato in un momento diverso dall’attuale. Non è venuto il momento di cambiare?
«Certo, il periodo storico ed economico era assai diverso. Si era alla fine degli anni Sessanta, l’Italia era in pieno boom economico, c’era oggettivamene meno precarietà di oggi. Io non sono mica contrario ad ammodernare le norme, solo vorrei che si evitasse di aprire una discussione rovesciata».
Rovesciata?
«Beh, è abbastanza strano che per affrontare la crisi per mancanza di lavoro si parta dall’articolo 18. Il lavoro va creato, vanno promossi gli investimenti. Se si riuscirà a fare questo poi ci si potrà mettere intorno a un tavolo a discutere dell’articolo 18. Lo Statuto dei lavoratori va aggiornato ma l’aggiornamento dovrebbe servire per aumentare le tutele anche a chi oggi è precario».
Dunque non è vero che lo Statuto blocca la ripresa?
«Ma per piacere. Oggi metà dei lavoratori italiani vive senza le tutele dello Statuto e non mi pare che questo abbia posto le premesse per una vigorosa crescita dell’economia».
Discussione ideologica?
«Direi piuttosto teologica. Del tipo: ‘Lei crede in Dio?’. C’è chi ha la fortuna di crederci e chi no ma il dibattito finisce lì. Chi sostiene che l’articolo 18 blocca la crescita fa un ragionamento simile: lo sostiene e basta. A prescindere dalle dimostrazioni».
(da “La Repubblica”)
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Agosto 13th, 2014 Riccardo Fucile
E I LAVORI CHE DOVEVANO INIZIARE A LUGLIO SE VA BENE INIZIERANNO A FINE ANNO
Intonaci freschi e tapparelle nuove. Poi, successivamente, scuole più sicure.
Tra mille annunci il piano sull’edilizia scolastica è entrato nel nel vivo solo a fine luglio ed è previsto che i lavori vadano avanti per tutta l’estate.
Altri partiranno nel 2015.
Ma, almeno per il momento, siamo ancora lontanissimi dai 3,5 miliardi di investimenti annunciati nel discorso di fiducia lo scorso febbraio.
Entro la fine del 2014 i fondi in arrivo dal governo saranno circa 550 milioni, a cui vanno aggiunti quelli dello sblocco del patto di stabilità .
Il conto, in ogni caso, si ferma sotto il miliardo di euro. Meno di un terzo del totale previsto originariamente, meno della metà anche dei 2,2 miliardi che il presidente del consiglio aveva promesso per l’anno corrente nell’aggiornamento delle stime di maggio.
“SCUOLE BELLE”, CANTIERI AL VIA?
I primi cantieri dovrebbero essere ormai aperti in tutto il Paese ma sono molti i presidi che dicono di non avere ancora visto un centesimo.
A fine luglio il Ministero ha annunciato la partenza degli interventi di piccola manutenzione per il ripristino del decoro e della funzionalità degli edifici.
Il filone di lavori denominato “scuole belle”, per cui è prevista una dotazione di 150 milioni di euro e che interesserà oltre 7.700 strutture.
I fondi stanziati sono già disponibili e sono stati assegnati dal Miur direttamente alle scuole: si va da un minimo di 7mila euro a interventi dell’importo di decine (e in alcuni casi persino centinaia) di migliaia di euro.
Tra i più cospicui, spiccano i 119mila euro all’istituto comprensivo “De Matera” di Cosenza, i 166mila euro al Circolo “L. Tempesta” di Lecce e addirittura i 280mila euro al Circolo didattico “G. Marconi” di Afragola (in provincia di Napoli).
Proprio la Campania, insieme a Puglia e Calabria, è una delle regioni destinataria della più alta percentuale di finanziamenti (circa il 75% verrà impiegato al Sud); a seguire Lazio e Lombardia.
In tutti i casi, saranno i dirigenti scolastici a provvedere agli ordinativi alle ditte aggiudicatarie della gara Consip.
Dove invece il bando non è stato completato (in Campania e Sicilia in particolare) si ricorrerà alle ditte che già prestavano servizio.
E qui cominciano i primi nodi: su tutto il territorio nazionale bisognerà verificare le modalità di assegnazione dei lavori.
“SCUOLE SICURE”, LAVORI SOLO NEL 2015
Questa è la prima tipologia di interventi, immediatamente operativi. Per il secondo filone, invece, bisognerà aspettare: “scuole sicure” comprende i lavori di messa in sicurezza degli edifici, che spaziano dalla bonifica dell’amianto all’adeguamento alle norme antisismiche, antincendio e per gli impianti elettrici (su cui, secondo l’ultimo rapporto di Legambiente, più di una scuola su due ha problemi).
Qui a disposizione ci sono circa 400 milioni di euro, per 2400 interventi dal valore medio di 160mila euro: i soldi sono stati stanziati dalla delibera del Cipe dello scorso 30 giugno e per questo vengono conteggiati all’interno dell’anno 2014, anche se i cantieri non apriranno prima del 2015.
Il Miur ha pubblicato l’elenco delle prime 1.639 scuole assegnatarie dei finanziamenti: i dirigenti scolastici hanno tempo fino al 31 dicembre per avviare le gare e aggiudicare gli appalti con iter agevolato (inizialmente il termine era stato fissato al 30 ottobre, ma è stato prorogato); una volta completato il bando si vedranno erogate le risorse.
Per questo le opere cominceranno l’anno prossimo. Tra le regioni maggiormente interessate dal progetto, Lombardia (82 milioni di euro), Sicilia (51 milioni) e Piemonte (50 milioni).
MENO DI UN MILIARDO NEL 2014, IL RESTO IN FUTURO
Sommando i due filoni, fanno 550 milioni di euro in totale.
Al saldo il Ministero aggiunge anche 122 milioni dello sblocco del patto di stabilità (anche se si tratta di interventi finanziati interamente con fondi propri degli enti locali, resi fruibili dall’intervento del governo); una leva che secondo i calcoli del Miur dovrebbe sviluppare 400 milioni di investimenti fino alla fine dell’anno.
Soldi che serviranno ad aprire circa 400 cantieri di “scuole nuove”: i sindaci aspettano la comunicazione della Ragioneria di Stato per il via libera definitivo.
Il resto arriverà in seguito (lo sa bene Salerno, ad esempio, dove dei 1100 interventi di piccola manutenzione in calendario, solo 160 verranno realizzati nel 2014): per “scuole belle” altri 300 milioni nel 2015 e per un trimestre 2016, per un totale di 18mila plessi; poi ulteriori 122 milioni di sblocco del patto di stabilità (con investimenti relativi), e il finanziamento di altri 845 progetti di “scuole sicure”, grazie ai ribassi d’asta accertati.
Comunque meno del previsto: per raggiungere le cifre annunciate dal premier bisognerà sperare nella riprogrammazione dei fondi Ue, che ancora non ci sono.
Solo un primo passo, dunque. Importante per il rinnovamento delle fatiscenti scuole italiane, ma ancora insufficiente.
E con tutte le incognite del caso sulla corretta gestione dei finanziamenti.
Lorenzo Vendemiale
(da “il Fatto Quotidiano”)
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