Agosto 21st, 2014 Riccardo Fucile
UNA FONTE DELL’INTELLIGENCE CONFERMA CHE L’OPERAZIONE E’ IN CORSO
“Le trattative sono in corso. Grazie soprattutto alla triangolazione con un paese terzo che ha contatti con i ribelli dello Stato islamico. Il quadro è complesso, restiamo fiduciosi anche se non immaginiamo una soluzione a breve”.
La fonte d’intelligence italiana non si sbilancia, non può farlo, sul destino di Vanessa Marzullo e Greta Ramelli, le due cooperanti italiane della provincia di Varese, prigioniere dei fondamentalisti dello Stato islamico (IS, ma anche Isis o Isil a seconda che si parli di Stato islamico dell’Iraq e della Siria o dell’Iraq e del Levante) nato tra Iraq e Siria nell’aprile 2013 e autoproclamatosi Califfato il 29 giugno 2014.
C’è il moderato ottimismo del padre di Vanessa (“oggi mi sento tranquillo, credo le vedremo a breve”) e la necessaria prudenza delle nostre fonti di intelligence a fronte dell’allarme lanciato oggi da The Guardian, il quotidiano britannico che dopo la decapitazione del reporter americano James Foley, ha acceso i riflettori sugli ostaggi nelle mani dei terroristi dell’Is.
Si tratta di venti occidentali, tra cui quattro donne, le due cooperanti italiane, una danese e una giapponese. Secondo la stampa britannica, negli ultimi 10 mesi una decina di ostaggi “sono stati rilasciati dopo lunghi negoziati conclusi con il pagamento di riscatti”.
Uno degli ostaggi liberati ha spiegato che a condurre le trattative potrebbe essere stato lo stesso britannico che ha ucciso Foley decapitandolo.
Altre informazioni dicono che le ragazze potrebbero essere tenute prigioniere a Raqqa, roccaforte dell’Is nel nord della Siria e dove sono già stati tenuti prigionieri altri ostaggi.
Il silenzio stampa impone il riserbo di fronte a una situazione che resta “delicatissima”, specie – si spiega – “dopo che l’Italia con l’Europa ha deciso di inviare armi ai peshmerga curdi per fronteggiare l’avanzata dell’Is”.
Ma è da registrare anche un articolo del 19 agosto pubblicato su al-Quds al-Arabi, il quotidiano arabo edito a Londra, dove in un reportage da Idlib, nel nord ovest della Siria, di dice che “le ragazze italiane stanno bene”, uno dei rapitori “sarebbe stato catturato” ed è “possibile che nelle prossime ore ci sia la liberazione”.
Ma l’allarme tra le intelligence occidentali va oltre gli ostaggi e i sequestri.
Il problema, per tutti, si chiama foreign fighters, cittadini europei e occidentali di origine musulmana, nati e cresciuti in Occidente, che hanno deciso di tornare come volontari e combattenti di una presunta guerra civile diventata in fretta terrorismo. Il fenomeno è in corso da anni.
Ma la Siria è diventata, secondo gli ultimi report dell’intelligence, “il punto di aggregazione e addestramento per i fondamentalisti islamici di altre nazioni”.
“Non c’è stata riunione del Copasir in cui non si sia affrontato questo fenomeno” spiega una fonte del Comitato parlamentare di sicurezza, segno di quanto sia elevato l’allarme sui foreign fighters.
Vari documenti di intelligence, condivisi in questi mesi anche dall’Italia, indicano numeri elevatissimi.
Si va da un minimo di 9 mila combattenti non siriani a un massimo di 11-15 mila.
Significa che tra il 20 e il 40 per cento dei combattenti dell’Is sono stranieri che hanno lasciato la patria di adozione per andare a combattere.
Vari centri di studio sul terrorismo (ICSR, International center for the study of radicalism; International center for counter-terrorism) stimano che “il 75 per cento dei combattenti provenga dalle primavere arabe” e “il 17 per cento (più di mille) dai paesi europei come Belgio,Francia, Olanda, Germania, Gran Bretagna”.
Potrebbe aver studiato nei sobborghi a sud di Londra il boia incappucciato che ha decapitato Foley.
Parlano inglese i custodi di altri ostaggi. In Gran Bretagna il gruppo sarebbe noto all’intelligence con il nome “Beatles” e gli estremisti britannici hanno fama di essere “i più brutali tra i combattenti arruolati nell’Is.
Il Copasir ha contato “qualche decina” i combattenti partiti dall’Italia, “non più di 50”. Il punto è quando decideranno di tornare in Italia.
Si tratta di gente che torna preparata e addestrata.
(da “Huffingtonpost”)
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Agosto 21st, 2014 Riccardo Fucile
E I CINQUESTELLE DISERTANO DOPO PRESSIONI DI CASALEGGIO
Se esiste un accordo sulla giustizia tra Matteo Renzi e Silvio Berlusconi, non è stato siglato di certo negli uffici di via Arenula.
Quando sale le scale che portano all’ufficio del ministro, la delegazione di Forza Italia, convocata per un confronto sulla riforma del comparto che arriverà in Consiglio dei ministri il 29 agosto, è ridotta all’osso.
È il solo Giacomo Caliendo a sedersi di fronte ad Andrea Orlando. Il senatore doveva essere accompagnato dal collega deputato Giacomo Chiarelli, che però, spiegano, “non ha letto la email”.
Sbadataggine, più che sgarbo istituzionale, si sottolinea da via Arenula: “Cose che, soprattutto ad agosto, possono capitare”.
Così, nonostante entrambe le parti sottolineino un clima cordiale, al limite del conviviale, le parti rimangono distanti.
Il ministro ha ribadito i punti cardine del proprio decreto, Caliendo gli ha fatto eco sottolineando le principali perplessità del partito di Silvio Berlusconi.
No ad una riscrittura delle norme del falso in bilancio, un quadro di pene pecuniarie più punitive nell’ambito della responsabilità civile dei magistrati, forti perplessità sul divorzio brevissimo, contrarietà al rinvio del capitolo dedicato alle intercettazioni.
Già , perchè quest’ultimo è stato estromesso dalla bozza che avrà il via libera la prossima settimana, per consentire un dibattito ampio e approfondito con gli operatori del mondo dell’informazione.
Suscitando il forte disappunto del senatore forzista, che, intercettato dai cronisti, ha calcato la mano proprio su questo punto: “Al ministro Orlando ho rappresentato alcune questioni, in particolare la delusione per il rinvio della parte della riforma sulle intercettazioni”.
Un’intesa di massima è arrivata sul rinvio della riforma del Consiglio superiore della magistratura, in attesa che sia completato il plenum dell’organo di autogoverno dei giudici, ancora in attesa dell’elezione dei membri di nomina parlamentare.
Lo staff del ministro esprime comunque soddisfazione per il metodo con il quale si sta costruendo la riforma: “È un passo avanti per tutti discutere al netto di qualunque contrapposizione pregiudiziale”.
E ci si rammarica del no al dialogo arrivato dal Movimento 5 stelle: “Avevamo accolto con favore alcune loro posizioni sulla criminalità economica”.
In dettaglio, ha spiegato il sottosegretario Cosimo Ferri, “nel provvedimento il governo vuole introdurre sia l’autoriciclaggio che il falso in bilancio, rivedendolo e mantenendo però delle soglie minime di punibilità per distinguere la grande impresa dal piccolo imprenditore”.
“Stiamo valutando con il presidente del Consiglio dei ministri – ha proseguito Ferri – se portare il 29 agosto il disegno di legge che prevede questo provvedimento contro la criminalità economica, che comprende autoriciclaggio, falso in bilancio, e prevenzione per quanto riguarda la confisca dei patrimoni della mafia”.
Di questo e degli altri temi i 5 stelle non hanno potuto discutere con il Guardasigilli, anche per la contrarietà dello staff della Casaleggio e associati, che ieri ha sconsigliato alcuni tra i favorevoli a sedersi al tavolo di accettare l’invito.
Una girandola di telefonate confermata da Maurizio Buccarella al Velino: “È vero, c’è stata una consultazione ieri fra di noi parlamentari e lo staff, che ha caldeggiato questa soluzione perchè c’era anche chi era disponibile ad andare. Ma, a mio avviso, oggettivamente le condizioni per un incontro non c’erano: sarebbe stata una farsa, una inutile passeggiata al ministero”
(da “Huffintonpost”)
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Agosto 21st, 2014 Riccardo Fucile
“BERLUSCONI DEVE CAPIRE CHE NON PUO’ CIRCONDARSI SEMPRE DEGLI STESSI”… MA QUANDO ERA ANCHE LEI NEL “CERCHIO MAGICO” COME MAI QUESTE COSE NON LE HA MAI DETTE?
Boccia il governo Renzi e invita Berlusconi a «non circondarsi sempre degli stessi dirigenti». Michaela Biancofiore, deputata di Forza Italia, ex sottosegretaria nel governo Letta, auspica un partito che si apra ai giovani e al territorio.
I dati economici sono disastrosi, disoccupazione alle stelle e PIL in calo. Quanta colpa ha il governo Renzi?
«Dire che è tutta colpa del governo Renzi sarebbe una falsità che non mi appartiene. Indubbiamente però iniziare dalla riforma del Senato è stato un errore, mi aspettavo che un giovane come Renzi sarebbe partito da ciò che veramente interessa ai cittadini: arrivare alla fine del mese».
Quindi da dove avrebbe dovuto iniziare?
«Dalla riforma del fisco. Bisogna dare la possibilità ai cittadini di portare tutto in detrazione, qualsiasi cosa, in modo che emerga il nero e si instauri un circolo virtuoso che rimetta in moto l’economia. Dal Tesoro dicono che questa cosa non si può fare perchè ci vorrebbero due esercizi di bilancio, ma i migliori economisti del mondo, conti alla mano, affermano il contrario. È il momento di fare un patto con l’Europa e, se mai, farsi fare una sorta di mutuo dalla Bce per poter avviare questo sistema e rilanciare l’economia italiana».
Perchè Renzi ha puntato tanto sulla riforma del Senato?
«Lui è rimasto incastrato dalla propaganda elettorale per diventare segretario del Pd. Aveva promesso quella riforma e voleva portarla a casa, anche se non incide sulle tasche degli italiani. Forse si possono recuperare 500 milioni, ma ci sono tanti modi più semplici per risparmiare di più. Ad esempio abolendo le regioni a statuto speciale, come aveva detto e scritto nel suo libro. Solo abolendo la Regione a statuto speciale Trentino Alto Adige, che non ha competenze, si sarebbero recuperati 750 milioni. Renzi non è andato a fondo sulle riforme che servivano realmente e sulle quali noi lo avremmo aiutato».
Continuerete lo stesso ad aiutarlo?
«Se uno respinge al mittente l’aiuto, ritengo che si debba assumere le sue responsabilità . Dare una mano sulle riforme economiche necessarie per il Paese non significa entrare al governo. Mi piacerebbe che Renzi facesse un bagno di umiltà e si rendesse conto che da solo non può salvare l’Italia. Sono convinta che sia il momento di un grande patto d’intesa mettendo insieme le migliori esperienze politiche per tirare fuori il Paese dalla crisi. In questo momento non esiste il salvatore della patria nè a destra nè a sinistra, ma Berlusconi ha dimostrato di avere veramente a cuore le sorti del Paese».
Si parla anche di taglio delle pensioni. Manovra suicida?
«Non si possono sempre andare a toccare i più deboli. Ridadisco che bisogna fare una riforma generale del fisco e consentire alle imprese di pagare meno tasse. Solo così arriveranno le assunzioni. Se la gente non lavora non può pagare le tasse».
Come giudica il blitz di Renzi in Iraq?
«Pura propaganda, purtroppo. In questo Renzi è straordinario, cavalca sempre l’onda».
È possibile riaggregare un centrodestra così diviso?
«Io quella famosa lettera al posto di Berlusconi non l’avrei mandata perchè ha ottenuto una risposta negativa da personaggi che non sono alla sua altezza. Noi non dobbiamo riassemblare le sigle, dobbiamo riassemblare l’elettorato».
Forza Italia è un soggetto politico in grado di recuperare gli 8 milioni di voti persi?
«Gli 8 milioni di voti si possono recuperare, facendo politica, recuperando la nostra identità , parlando al nostro elettorato, facendo seguire i fatti alle parole. Berlusconi ha ancora un grandissimo consenso nel Paese, me ne rendo conto parlando quotidianamente con la gente. Dobbiamo recuperare il nostro elettorato, non i piccoli esponenti traditori, altrimenti anche se dovessimo vincere non riusciremo a governare. Il 51% è perseguibile se intorno a Berlusconi ci sarà una squadra di persone che ha voglia e fame di cambiamento, una squadra di giovani emergenti, dal territorio. Le anticipo che una certa parte della cosiddetta Berlusconi generation sta dando vita a un giovane gruppo che si chiamerà Squadra Italiana, che vuole stare accanto al presidente per modificare questo Paese».
Da chi sarebbe composta questa squadra?
«Politici, imprenditori, abbiamo esponenti territoriali eccezionali, dobbiamo ridiventare quello che era Forza Italia nel 1994: un partito aperto. Anche il presidente Berlusconi non può continuare a circondarsi sempre degli stessi dirigenti non sapendo che fuori c’è una grande energia che potrebbe essere molto utile al Paese».
Si discute molto in questi giorni del topless del ministro Giannini. Scelta inopportuna?
«Cosa sarebbe successo se lo avesse fatto un ministro del governo Berlusconi? Ritengo che un ministro per buona educazione non debba esporre il proprio corpo in pubblico. Non sono una bacchettona o una bigotta ma credo che, rappresentando le Istituzioni, avrebbe dovuto avere maggiore accortezza e decoro. Se fosse successo a me, quando era sottosegretaria, mi avrebbero massacrata».
Andrea Barcariol
(da “il Tempo”)
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Agosto 21st, 2014 Riccardo Fucile
ANCHE IN GERMANIA I RAGAZZI LASCIANO CASA SEMPRE PIU’ TARDI
I bamboccioni fenomeno italiano, figlio del mammismo e della scarsa propensione a lavarsi il bucato da soli? Neanche per sogno.
La ricca e potente Germania, paradiso della piena occupazione, dove chi perde un lavoro ne trova un altro in mezz’ora, ha scoperto di aver tirato su una generazione di «coccoloni».
Così li ha descritti l’«Handelsblatt», citando alcuni studi che dimostrano la scarsa propensione al rischio degli under 25.
La generazione di tedeschi che sta uscendo ora dall’università erediterà anche il più grande patrimonio della storia da genitori e nonni.
Eppure, invece di lanciarsi nella mischia, manifesta una fortissima preferenza per il posto fisso.
Ma come, si obietterà , giovani senza l’incubo della disoccupazione e con le spalle coperte da montagne di ricchezze che non hanno coraggio di osare? Proprio così.
Il motivo è semplice: è la generazione cresciuta con la più grave crisi di sempre, ha visto genitori e nonni prepensionati o licenziati e ne ha tratto l’unica lezione possibile.
Carriera, soldi, ambizione? Nein danke: meglio il posto fisso, magari nel pubblico, e la possibilità di fondare una famiglia.
L’istituto Rheingold, che ha redatto uno degli studi sui «bamboccioni» tedeschi, la chiama «generazione Biedermeier», giovani già vecchi.
La società di consulenza EY (ex Ernst & Young) ha scoperto che tre studenti tedeschi su dieci sognano un posto da statali, e che «sicurezza» è il criterio più importante, nella scelta di un lavoro.
Scende il numero di coloro che scelgono un soggiorno all’estero, mentre cresce quello di chi fa un mutuo — comprare casa non è mai stata una tradizione, in Germania, lo è diventata con il costo del denaro in cantina e gli tsunami finanziari.
Soprattutto, sale la propensione a restare a casa dei genitori: le donne vanno via in media a 22 anni, gli uomini a 26 — quattro anni più tardi rispetto a dieci anni fa.
«Mai essere giovani è stato così comodo e privo di rischi — commenta Handelsblatt — Eppure: era molto tempo che non si osservava una generazione così preoccupata del posto sicuro come quella attuale».
Secondo l’istituto Rheingold, la «Generazione Biedermeier» costantemente alla ricerca di un contesto sicuro, è figlia di «un ragionamento logico, che i giovani hanno fatto in base alla propria esperienza: hanno osservato i genitori che faticavano per fare carriera e poi venivano comunque prepensionati prima dei sessant’anni. La nostalgia di sicurezza è anche qualcosa di tipico di tutte le generazioni: una reazione».
La tesi è che chi è cresciuto con il crollo delle Torri gemelle, le crisi finanziarie mondiali, il rischio della fine dell’euro, dunque in un contesto di incertezza assoluta, ha altre priorità rispetto a chi è cresciuto nel «piccolo mondo antico» dei decenni precedenti.
Uno dei motivi del disorientamento e della voglia di «tana», insinuano gli studi, potrebbe essere anche il cursus studiorum, che in questi ultimi anni è cambiato molto. La maturità anticipata al 12° anno di scuola, la fine della leva obbligatoria e il vecchio sistema universitario quadriennale sostituito dai bachelor triennali significa che a 21 anni un tedesco medio dovrebbe già partire lancia in resta per una carriera.
I giovani, poi, fanno richieste contraddittorie: «Dicono che le imprese dovrebbero prenderli per mano, offrire orientamento, ma allo stesso tempo vogliono lavorare in autonomia e avere spazio per la creatività . Infine, vogliono essere sicuri che non perderanno il posto e che avranno tempo per la famiglia».
Per non dire altro, diciamo: molto Biedermeier.
Tonia Mastrobuoni
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Agosto 21st, 2014 Riccardo Fucile
DOPO L’APPELLO DI DOMENICO, 40 ANNI, ROVINATO DALLE SLOT, MOLTE LE OFFERTE DA FAMIGLIE E IMPRESE
La voleva nella «sua» Lambrate. Una seconda occasione, una chance per ricominciare da capo. E invece potrebbe averla in un bar no slot di viale Jenner.
Ma poco dovrebbe importare il luogo a Domenico Caffarella, il clochard 40enne che si è giocato tutto al videopoker e che da otto mesi vive alla stazione in fondo a via Pacini.
Perchè qualcuno ha letto la sua drammatica intervista pubblicata sul Corriere di lunedì scorso, il suo appello disperato.
E già tre persone si sono interessate alla sua storia. Quella di un ragazzo genovese arrivato giovanissimo a Milano dove ha lavorato come muratore, elettricista, qualsiasi cosa, prima d’infilare ogni centesimo guadagnato dentro alle slot senza ricevere nulla in ritorno.
E finendo così a dormire sul mezzanino, costretto a passare le ore connesso a Internet dalle biblioteche di Cimiano e via Valvassori Peroni per inviare in giro il curriculum.
Con la speranza di trovare un lavoro in grado di riscattarne l’esistenza.
Corsa alla solidarietà
Il primo a interessarsi ai tristi trascorsi di Domenico è stato Giuseppe Stallone, titolare del bar ristorante Persefone di viale Jenner 49, l’antesignano della guerra alla ludopatia in città , colui che con il comitato Jenner Farini ha dato il la all’iniziativa per premiare gli esercizi no slot. «Quando sento queste storie devo reagire – ha detto – soprattutto se si tratta di giovani che si sono rovinati con il gioco. Per questo sono disposto a offrirgli un colloquio»
Dopo di lui, al Corriere è arrivata una donna milanese con un’offerta. «Sono vedova, mio marito aveva la taglia 48, sono pronta a regalare gli abiti a Domenico».
Terzo, un indirizzo email giunto via posta elettronica: «Caro Domenico mandami il tuo curriculum». È una corsa alla solidarietà che però necessita di maggiori informazioni e rassicurazioni.
«Ludopatia, piaga sociale tremenda»
Perchè un datore di lavoro, per quanto sensibile, generoso e filantropo possa essere, non è uno psicologo.
«Noi, come piccoli imprenditori, siamo disponibili a dare una mano – spiega ancora Stallone -. Siamo pronti a rinunciare a dei nostri denari per dare sollievo alle persone che ne hanno bisogno. Ma, lo dico per esperienza, è necessario capire come Domenico si voglia aiutare da solo e quanta voglia abbia di cambiare davvero. Dalla ludopatia non si guarisce facilmente. È una piaga sociale tremenda».
Il titolare del Persefone è uno che di macchinette installate nel suo locale nel 2009 ne aveva due. «Per ottenere soldi facili» ammette oggi. Ma poi non ce l’ha fatta a continuare ad alimentare un circolo di «distruzione».
«Vivevo in un incubo, vedere le persone rovinarsi sotto i miei occhi. Ho preferito togliere le slot per sempre e impegnarmi con il comitato Jenner Farini per coinvolgere altre persone»
Giuseppe incontrerà Domenico quando vorrà , basterà che lo contatti.
Lo guarderà dritto negli occhi per cercare di capire quali altri sostegni abbia, quali risorse umane. La preoccupazione infatti non è quella di uno stipendio in più da pagare.
C’è in palio molto di più. «Solo una cosa voglio evitare: che i primi guadagni finiscano ancora dentro a quelle macchinette…».
Giacomo Valtolina
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Agosto 21st, 2014 Riccardo Fucile
FORSE UN GIORNO EX BADANTI SULLA CINQUANTINA INSEGNERANNO L’ITALIANO
Ed ecco, arriva agosto, mese del parossismo dei rumori nelle città storiche e dell’esodo delle badanti.
E l’astinenza da badanti somiglia alle crisi da eroina o da psicofarmaci: finchè loro ci sono, vecchiaie e solitudini sono “tenute a bada”.
Badano a questo, essenzialmente, a esorcizzare demoni, spettri, ombre paurose, che incombono sulle famiglie in conseguenza dei trionfi della medicina, che allungando implacabilmente l’esistenza materiale regala a tutti i peggiori anni delle nostre vite.
Ma ingegno umano e circostanze storiche hanno prodotto il rimedio: la Badante.
Vengono dall’Est (principalmente Romania e Polonia), dal Nordafrica, dal Sudamerica povero (Brasile, Perù, Caraibi…); già prima che l’afflusso si facesse massiccio, l’accaparramento di filippine leggendarie, che si assumevano a vita e badavano a tutto, consolazione di signore facoltose, era in atto in Italia, senza assumere connotazione di fenomeno sociale.
Alte quanto una gamba di corazziere, ad una leggera evocazione della padrone, comparivano silenziose, tornavano dopo un quarto d’ora col vassoio del tè pronto, servivano a tavola col rigore e la perfezione di un manuale.
Prima del Novanta e passa, la badante nell’accezione odierna, sostantivo che si tinge a poco a poco di professione, non esisteva.
È una creazione del connubio tra emigrazioni di massa e decadimento inesorabile di una nazione ipernutrita e invecchiante sempre più nel rimbambimento, nell’inutilità forzata, nelle depressioni e nelle incontinenze.
I nonni , finchè servono, faticano da Zio Tom; poi, nei casi fortunati, la badante arriva a scampare i loro interminabili ultimi giorni dalla nequizia della Casa di Riposo.
Ricordo la vedova (dal ’62 mi pare) di Ennio Flaiano, cui i diritti cinematografici del marito consentivano un piccolo appartamento in un residence dorato, in un posto rasserenante, dove le erano serviti pasti esclusivamente da lei ordinati: e nei suoi occhi, povera Rosetta, non brillava nessun sorriso, nessuna gioia… La rallegravano un poco le visite di una giovane amica che le faceva letture: poi ripiombava nella sua affabile e incurabile malinconia. Invece Montale, con la sua Gina che pensava (badava) a tutto, ebbe una vecchiaia da Nobel scettico e sempre lucido; ma non conobbe la sventura degli Ottant’anni inoltrati.
Viene l’agosto e già a luglio è il panico, nelle famiglie.
La Costantina sarà via dal 4 al 31. Lei è unica, la mamma non vuole nessun’altra, mi fa scenate. Saremo inchiodati qui! I cellulari raccattano sfoghi indicibili.
Trovare una badante esperta usa-getta non è facile. Le badanti partono, gli aerei sono pieni di badanti che tornano a casa, le case dei vecchi soli si riempiono di disperazioni.
È il male d’agosto: malattia, malessere, disagio di gente che non può più essere libera, che vive della schiavitù di altri.
Perchè la società si è organizzata, nelle forme ritenute più progredite (dunque le più sorvegliate) in base a catene senza fine di schiavitù, sradicando le autonomie, imponendo i doveri in ogni atomo d’esistenza, perseguitando il sogno, fino a suscitare vocazioni e rivolte criminali.
Per le pressanti richieste che ha, la badante deve ubbidire alla condanna di agosto: o adesso, che tutto stagna e si svuota, o perdere il posto, mancare all’obbligo.
Arrivate a casa, è un faticare da Dio di tipo diverso: lavori agricoli, cucine famigliari, assistenza gratis a chi non vede l’ora di sfruttarle per gratitudine del denaro ricevuto. In genere, non sono partenze giubilanti.
Può essere in parte disintossicante sfuggire alla penosa cadenza dei loro affidati segnati da Alzheimer, affetti da mali cronici di schiena che richiedono sforzi di sollevamento, con bocche sgarbate, ordini esasperanti, ripulse di scontenti.
Se c’è un soffio di amore, o almeno di simpatia umana, perfettamente incongruo in questo brulicare mostruoso di costruzioni, già intravedi una luce, una possibilità di altro, nella ripetizione insignificante di motivi immutabili.
Metto tra le benemerenze ignote delle badanti, la difesa del tutto impensabile della lingua e dell’identità italiana.
Eppure è così: il loro italiano, all’inizio elementare ma via via più fluente e arricchito dall’umanità con i loro assistiti (oggetti casalinghi, nomenclatura ortofrutticola, gergo medico, paramedico, farmaceutico, ortopedico, problemi di salute, confidenze immancabilmente ricevute di situazioni famigliari, osservazioni sapide sui governi italiani, sfoghi sulla vita, partecipazione a lutti, qualità eccelse di nipotini, modi di condire spaghetti), il loro italiano, dico, è incontaminato .
Se ne togli la barbarie universale dell’OK, l’italiano badantofonico è prodigiosamente libero dalle bestiali locuzioni che ininterrottamente entrano senza più uscirne nell’italiano corrente parlato e scritto, dei colti, dei semicolti, dei parlamentari, dei giornalisti.
Quanto a ministri e primi ministri sono ormai fuori dall’identità italiana, che invece arride alle badanti dopo tre mesi di contatti, quell’identità che ha scelto, come estremo rifugio, l’inflessione d’altre contrade e diserta sdegnata gli aliti fetidi dei malparlanti nazionali.
La badante italofona ha una superiorità sul turista arrogante che in quanto di nascita anglofona, o angloparlifero per bilinguismo, viene in Italia e sparpaglia esclusivamente il suo inglese di occupatore linguistico senza conoscere una sola parola di italiano, senza portarsi nella borsa neppure un dizionarietto tascabile dove scoprire che egg si dice uovo e son of a bitch, gustosamente, figlio di puttana .
Forse, un giorno, ex badanti sulla cinquantina insegneranno l’italiano, resistendo duramente contro presidi e infami decreti ministeriali che vorrebbero imporre ai gorbetti lezioni in inglese informatico e la versione inglese dell’ Addio monti manzoniano.
Guido Ceronetti
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Agosto 21st, 2014 Riccardo Fucile
NON SI RENDONO CONTO CHE L’UNICO WELFARE RIMASTO E’ QUELLO DEI PADRI CHE MANTENGONO I FIGLI SENZA LAVORO STABILE
I giornali d’agosto saranno pure pieni, come ha dichiarato il nostro esuberante premier, di progetti segreti del governo che neanche il governo conosce.
Peccato che a lanciare l’ipotesi di un prelievo sulle pensioni d’argento — e forse, visto dove dovrebbe essere fissata la famosa “asticella”, pure di bronzo e di latta — sia stato il ministro del Lavoro Poletti.
Che dopo aver lasciato che i vari Alfano e Sacconi imperversassero per giorni con dichiarazioni a ruota libera sull’articolo 18, ha rotto finalmente il silenzio, dalle pagine del Corriere della Sera, per annunciare l’idea, nuova come la pioggia d’autunno, di un prelievo sulle pensioni.
Perfetta per tenere allegri gli italiani d’estate, specie se accompagnata dalla “rassicurazione” del sottosegretario all’Economia Baretta (“Chi guadagna fino a 2.000 euro netti al mese può stare assolutamente tranquillo”).
Sia chiaro: chi scrive fa parte di quella generazione, mai difesa dai sindacati, che ormai vive nella drammatica consapevolezza di ricevere una pensione da poche centinaia di euro, interamente sudate col regime contributivo.
E che ha sempre guardato con una certa indignazione al compromesso che nel 1995 salvò dal passaggio al nuovo regime una buona parte di lavoratori, impedendo quella riforma radicale che avrebbe reso il sistema previdenziale più equo (in tempi tra l’altro di ottimismo e crescita del Pil).
Da questo particolare punto di vista, suscitano persino una certa ironia alcune difese conservatrici alla proposta del governo, ad esempio quelle di alcuni commentatori — spesso gli stessi che scrivono contro la retorica dei diritti acquisiti e a favore delle riforme — che dalle colonne dei loro giornali si sono subito scagliati a difesa del loro, privatissimo, diritto: la propria pensione minacciata.
Ma il punto è un altro: e cioè che il taglio delle presunte pensioni “ricche” non rappresenta in alcun modo un’operazione di equilibrio tra generazioni – famosa retorica del “togliere ai padri per dare ai figli” — che in molti invece vorrebbero venderci.
Primo, perchè se fosse tale i soldi ricavati dall’operazione dovrebbero andare realmente a favore delle generazioni svantaggiate, e non a coprire emergenze come quella degli esodati (che lo stesso Stato ha creato) o come il finanziamento della cassa integrazione in deroga: in breve, al solito, per fare cassa.
Secondo, perchè oggi le pensioni dei “padri” sostengono una massa di precari e disoccupati semi-disperati, che senza l’aiuto dei genitori non potrebbero letteralmente vivere.
Nel deserto del welfare e dei servizi — dove per ottenere esenzioni o prestazioni essenziali bisogna avere un Isee letteralmente da fame —, nell’assenza di misure contro la povertà e di un assegno universale per qualunque lavoratore, anche se precario o intermittente, perda il lavoro, nella latitanza completa dello Stato rispetto ai bisogni delle coppie giovani (primo fra tutti, un posto all’asilo nido), l’unico welfare rimasto è quello familiare, sul quale forzatamente chi non si aspetta più nulla dallo Stato deve fare i conti per qualsiasi scelta esistenziale, a partire dalla possibilità di avere un figlio.
D’altronde, sono le pensioni dei padri che oggi pagano i mutui che le banche non concedono ai figli precari, oppure la retta dell’asilo nido quando il pubblico ti mette in lista d’attesa (o ti presenta una retta pari quasi al privato, come nel nord d’Italia), garantendo tra l’altro quella fragile coesione sociale che presto salterà quando queste risorse finiranno. In tempi di recessione e di emergenza sociale, misure come queste non fanno che aumentare rassegnazione e sfiducia verso istituzioni ormai vissute come ostili, quando non letteralmente persecutorie.
Oltre che a rivelare il vecchio del “nuovo” che avanza: tagli e tasse, alla faccia della retorica dell’ottimismo e del futuro pieno di belle speranze.
Elisabetta Ambrosi
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Agosto 21st, 2014 Riccardo Fucile
1500 ORE DI LEZIONE ON LINE IN DUE SEMESTRI, AL COSTO DI 650 EURO…
TRA I DOCENTI LO STESSO EX PREMIER, GIORGIO MULE’, ANNAGRAZIA CALABRIA E ANTONIO PALMIERI
Le Frattocchie di Forza Italia sono online.
Anche il partito di Silvio Berlusconi vuole una sua scuola di formazione politica come quella, ad esempio, che aveva il Pci.
Ma i tempi sono cambiati e la formazione sarà online con tanto di crediti da “spendere” in altri corsi di laurea.
Si chiama Accademia Forza Italia e, come scritto l’8 luglio dal Secolo XIX e ricordato oggi dal Corriere della Sera, nasce dall’accordo tra il partito dell’ex premier e l’Università Pegaso, ateneo telematico riconosciuto dal Ministero.
Il corso dura due semestri, ovvero 1.500 ore di lezione, e costa 650 euro. Il tutto coronato da un test finale che permetterà di conseguire il diploma.
Il programma è già in rete (sotto) e il termine per le iscrizioni è fissato al 30 settembre.
Limite massimo: 100 partecipanti.
Del resto, da anni Berlusconi sognava di aprire un laboratorio di formazione politica e aveva pensato di inaugurarlo a Lesmo, a Villa Gernetto.
Doveva chiamarsi Università della Libertà e sperava di ospitare relatori del calibro di Bill Gates, Bill Clinton, George W. Bush e Vladimir Putin.
Ma il progetto non è mai decollato. Ora, invece, si parte. E le lezioni, da ottobre, potranno essere comodamente seguite da casa.
Per primo sale in cattedra, con una lezione registrata ad Arcore, lo stesso Silvio Berlusconi che parlerà di “Introduzione per la politica del buon governo”.
Tra i “docenti” del primo semestre, dedicato a “tecnica amministrativa e di governo”, ci sono anche Marcello Fiori, responsabile nazionale Club Forza Silvio nonchè promotore del call center per invitare gli italiani al voto in occasione di Europee e amministrative, che si occuperà di “Analisi del linguaggio e dell’agire politico”.
E poi nel secondo semestre sui “sistemi politici e tecniche di comunicazione” — sempre aperto da Berlusconi — ci sono il direttore di Panorama Giorgio Mulè (“Teorie e tecniche dei nuovi media”), il responsabile web del partito Antonio Palmieri (“Gestione della comunicazione delle campagne elettorali”), e la deputata e capo del movimento giovanile di Forza Italia Annagrazia Calabria (“Storia e forme della comunicazione politica nella età contemporanea”).
L’obiettivo?
”Dare la possibilità a tutti gli italiani, di ogni età , di ogni professione, di ogni genere, di ogni luogo, anche il più lontano, di poter ricevere una formazione politica. Ma non solo formazione, anche studio, ricerca e pratica di tutto ciò che oggi chiamiamo campagna elettorale permanente. La nostra”.
Un corso “destinato a giovani e cittadini di ogni età , oltre che militanti e dirigenti di partito, che desiderino avvicinarsi alla politica o approfondirne la conoscenza attraverso un’adeguata formazione teorica e pratica, purchè in possesso di un diploma d’istruzione secondaria.
Difatti, i CFU (60) possono essere oggetto di valutazione ai fini dell’iscrizione ad uno dei corsi di laurea presenti nell’offerta formativa dell’Università proponente”.
In particolare, dice Fiori, “scienze politiche, scienze dell’amministrazione e giurisprudenza“.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Agosto 21st, 2014 Riccardo Fucile
L’ISLAMISMO DA ESPORTAZIONE DEL QATAR… IL DOPPIO GIOCO DI ALCUNI ALLEATI USA CHE FINANZIANO I TERRORISTI DELL’ISIS
Con un tesoro di oltre 2 miliardi di dollari lo Stato Islamico (Isis) di Abu Bakr al-Baghdadi è il gruppo terrorista più ricco del Pianeta e la pista dei soldi porta allo Stato sospettato di esserne il maggiore finanziatore: il Qatar.
Il ministro dello Sviluppo tedesco Gerd Mueller punta l’indice sull’Emirato di Doha in un’intervista alla tv Zdf, spiegando che «i soldati del Califfo terrorista vengono pagati dal Qatar». È un passo che segue quello del vicecancelliere Sigmar Gabriel, ministro dell’Economia, che pochi giorni fa aveva suggerito ai colleghi dell’Ue di «iniziare a discutere chi finanzia Isis».
Se la valutazione di 2 miliardi di dollari delle finanze del Califfo jihadista viene dal governo di Baghdad, la pista qatarina è stata descritta da David Cohen, vice-segretario Usa al Tesoro con la responsabilità dell’Intelligence e la lotta al terrorismo, che da Washington ha spiegato, già in marzo, come «donatori del Qatar raccolgono fondi per gruppi estremisti in Siria, a cominciare da Isis e al-Nusra» con il risultato di «aggravare la situazione esistente».
Un successivo studio del «Washington Institute per il Vicino Oriente» ha calcolato in «centinaia di milioni di dollari i versamenti compiuti da facoltosi uomini d’affari in Qatar e Kuwait a favore di al-Nusra e Isis», che in precedenza era nota come «Al Qaeda in Iraq».
Ciò che accomuna questi «donatori» è la volontà di finanziare gruppi fondamentalisti sunniti impegnati a combattere con ogni mezzo il nemico sciita ovvero qualsiasi alleato, reale o potenziale, di Teheran in Medio Oriente: dal regime di Bashar Assad in Siria agli Hezbollah in Libano fino agli sciiti in Iraq.
Citando analisi americane, David Cohen ha aggiunto che «il Kuwait è l’epicentro del finanziamento dei gruppi terroristi in Siria» mentre il Qatar ne costituisce il retroterra grazie ad «un habitat permissivo che consente ai terroristi di alimentarsi».
Sono tali elementi che hanno portato l’ultimo «Country Reports on Terrorism» del Dipartimento di Stato – relativo al 2013 – a definire il Qatar «ad alto rischio di terrorismo finanziario» ed il Kuwait teatro di «finanziamenti a gruppi estremisti in Siria».
Colpisce il fatto che entrambi i Paesi sono stretti alleati degli Stati Uniti ed in particolare il Qatar, che nella base di Al Udeid ospita l’avveniristico comando delle truppe Usa in Medio Oriente, ha ricevuto a metà luglio una commessa militare Usa da 11 miliardi di dollari che include elicotteri Apache, batterie di Patriot e sistemi di difesa Javelin.
Proprio in occasione di questo accordo, il Qatar si impegnò con Washington ad accogliere cinque leader taleban scarcerati da Guantanamo per ottenere la liberazione del soldato Bowe Bergdahl prigioniero in Afghanistan.
«Il Qatar ha una doppia identità – spiega Ehud Yaari, il più apprezzato arabista d’Israele – da un lato ospita soldati Usa e accoglie uomini d’affari israeliani ma dall’altra finanzia i più feroci gruppi terroristi sunniti».
In effetti l’Emirato guidato da Tamim bin Hamad Al Thani è stato messo all’indice da Arabia Saudita ed Egitto per il sostegno che diede ai Fratelli Musulmani di Mohammad Morsi e l’isolamento nella Lega Araba è cresciuto a seguito della scelta di Doha di schierarsi – unico Paese arabo – a favore di Hamas nel conflitto di Gaza con Israele.
Fino al punto che fonti di Al Fatah hanno rivelato al giornale arabo Al-Hayat che «il Qatar sta sabotando il negoziato egiziano per una tregua permanente nella Striscia» e in particolare avrebbe «minacciato di espulsione il leader di Hamas Khaled Mashaal per impedirgli di accettare le più recenti proposte formulate dal Cairo».
A spiegare cosa c’è all’origine delle politiche del Qatar è Zvi Mazel, ex ambasciatore israeliano al Cairo, ricordando come «quando il presidente Gamal Abdel Nasser alla metà degli Anni Cinquanta espulse i leader dei Fratelli Musulmani questi si rifugiarono in Qatar» allora colonia britannica, forgiando un’intesa «con le tribù locali che ne ha fatto le interpreti di un fondamentalismo ostile a quello dell’Arabia Saudita».
Se infatti la tribù saudita degli Ibn Saud «predica il fondamentalismo sunnita in un unico Paese, ovvero l’Arabia – spiega Mazel – la tribù Al Thani del Qatar predica il fondamentalismo d’esportazione, quello dei Fratelli Musulmani che distingueva anche Osama bin Laden, e punta a rovesciare i regimi arabi esistenti».
Il contrasto fra Qatar e Arabia Saudita nasce dunque dall’interpretazione del Corano e si sviluppa in una rivalità per la leadership del mondo sunnita che si rispecchia in quanto sta avvenendo in Siria dove, secondo fonti d’intelligence europee, Doha e Riad «finanziano gruppi islamici rivali dentro l’opposizione ad Assad».
L’ex premier iracheno Nuri al-Maliki negli ultimi due mesi ha più volte accusato «Qatar e sauditi» di sostenere Isis, lasciando intendere che ognuno ha i propri interlocutori, e che Riad agirebbe assieme a Emirati Arabi e Bahrein, accomunati proprio dall’ostilità al Qatar.
Al-Baghdadi dunque si gioverebbe di più fonti di finanziamento con il filone-Qatar tuttavia più corposo anche per la convergenza di interessi con la Turchia di Recep Tayyep Erdogan.
A metà mese l’agenzia russa Ria-Novosti ha rivelato che i fondi raccolti in Qatar avrebbero consentito a Isis di acquistare armamenti dell’ex Europa dell’Est grazie ad un network basato in Turchia.
In particolare Isis avrebbe comprato blindati per trasporto truppe in Croazia, carri armati in Romania, mezzi per la fanteria in Ucraina e munizioni in Bulgaria riuscendo a sfruttare tali traffici anche per reclutare volontari in Kosovo e Bosnia.
Maurizio Molinari
(da “La Stampa”)
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