Agosto 15th, 2014 Riccardo Fucile
VIA LIBERA DELLA UE PER PERMETTERE AI CURDI DI DIFENDERSI DAGLI JIHADISTI… MA PER LA MOGHERINI “NECESSARIO UN PASSAGGIO IN AULA”: ASPETTIAMO CHE SIANO STERMINATI ?
Il consiglio dei ministri degli esteri dell’Ue accoglie “con favore” la decisione di alcuni stati membri a consegnare le armi ai curdi iracheni, che combattono l’Isis.
Lo si legge nelle conclusioni sull’Iraq della riunione di Bruxelles.
La risposta alle richieste dei curdi “saranno fatte in accordo alle capacità e leggi nazionali degli Stati membri e col consenso delle autorità nazionali irachene”, si legge nelle conclusioni del Consiglio dei ministri degli esteri dei Ventotto a Bruxelles.
L’Ue valuterà inoltre come prevenire che lo Stato islamico (Isis) tragga beneficio dalla vendita di petrolio e condanna i sostenitori finanziari dell’Isis, che contravvengono alle risoluzioni dell’Onu.
Il ministro degli esteri italiano Federica Mogherini ha spiegato però che l’ok italiano dovrà passare anche da un coinvolgimento del parlamento italiano.
L’Italia, ha spiegato, sarebbe pronta a valutare l’eventualità di una fornitura di armi ai curdi ma è “giusto un coinvolgimento diretto in questo tipo di valutazione del Parlamento”, per cui, “attendiamo inanzitutto di capire se le commissioni parlamentari (Esteri e Difesa di Camera e Senato) riterranno di essere coinvolte”, e quindi se vorrano, “convocarci (Mogherini e la collega della Difesa, Roberta Pinotti) su questo punto ed eventualmente procedere ad una decisione”.
Il titolare della Farnesina ha chiarito che “al momento stiamo acquisendo l’esatta richiesta (dell’eventuale fornitura di armi, ndr) da parte della regione autonoma del Kurdistan” iracheno, che si trova assediato dagli jihadisti sunniti dello Stato Islamico (Is).
Mogherini ha però sottolineato che nel caso di un parere favorevole tutta l’operazione dovrà avvenire, “in raccordo stretto con le autorità del governo iracheno a Baghdad”.
Sono più i distinguo e i “se” che le armi che manderemo forse tra settimane: per fortuna, nel frattempo che la Mogherini finisca le consultazioni, avranno provveduto Francia, Gran Bretagna e gli altri Paesi europei.
Non si cambia proprio verso…
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Agosto 15th, 2014 Riccardo Fucile
“NON CERCO POLTRONE”
«Renzi è un ragazzo scaltro e in gamba. Ma il peggio per lui arriverà a ottobre. Se ci sarà la tempesta dello spread, da solo non ce la farà a restare in sella».
Difficile da stabilire se dietro quel «da solo», infilato ieri in una frase su Renzi che Silvio Berlusconi pronuncia al telefono con alcuni della cerchia ristretta, si nasconda quel «salvacondotto» sull’economia che l’ex Cavaliere è pronto a offrire a Palazzo Chigi. Com’è difficile, ormai, stabilire che gradazioni di grigio – tra il nero dell’opposizione dura e pura, e il bianco dell’appoggio pieno alla maggioranza – assumerà dopo l’estate il rapporto tra Forza Italia e il presidente del Consiglio.
Sta di fatto che Berlusconi, che oggi potrebbe decidere di passare il Ferragosto concedendosi un giro in barca sul Lago di Como insieme a Francesca Pascale, è ormai sicuro di aver riacquistato «de facto» l’agibilità politica che andava cercando.
Così com’è sicuro che, «dalla fine di settembre all’inizio di ottobre», il governo guidato da Renzi si troverà a «gestire delle emergenze che fino a poche settimane fa non aveva messo in considerazione».
Perchè non c’è soltanto il generico «rischio 2011», ossia il remake del film andato in scena quando lui stesso fu costretto a dimettersi, nei pensieri berlusconiani.
L’ex Cavaliere, nelle conversazioni riservate, lo dice ostentando il massimo della sicurezza. «A ottobre arriverà il momento peggiore. L’Italia rischia di rimanere incastrata tra le mire degli speculatori da un lato e l’incubo del commissariamento della troika dall’altro».
Una situazione di fronte alla quale, è l’adagio più in voga ad Arcore, Forza Italia «farebbe la sua parte» per respingere l’assalto dei primi e per scongiurare il secondo.
Già , ma a che prezzo?
Basta che Renzi peschi a piene mani da quell’«agenda Berlusconi» sull’economia che l’ex premier sta mettendo a punto in questi giorni di vacanza, mutuando ricette ora dalla Gran Bretagna di Cameron (spending review) ora dalla Spagna di Rajoy (riforma del lavoro)? O c’è di più? La verità sta in mezzo.
Come dimostrano alcuni dettagli di quello che è successo, sull’asse Arcore-Roma, nelle ultime quarantott’ore.
Ai berlusconiani, infatti, risultano ben due contatti telefonici tra Denis Verdini e Palazzo Chigi (Renzi? O qualcun altro?) nella giornata di mercoledì.
Uno prima del faccia a faccia tra il premier e il capo dello Stato. E uno subito dopo l’incontro di Castelporziano.
Difficile dire se sul piatto della bilancia ci fosse «la garanzia del sostegno di Forza Italia alle riforme condivise, giustizia compresa» che Renzi avrebbe potuto spendere sia nel colloquio con Draghi che in quello con Napolitano.
Sta di fatto che, da Arcore, il «capo» del centrodestra è pronto a fare tutto il possibile per «impedire il tracollo dell’Italia». Togliendo tra l’altro dal bouquet di possibili scambi la richiesta di un rimpasto.
«Ma davvero qualcuno crede che siamo in cerca di poltrone ministeriali?», ha sorriso Berlusconi negli ultimi giorni quando qualcuno dei suoi gli ha sottoposto l’interrogativo. Di certo, l’ex premier aspetta che sia Renzi a fare la prima mossa.
«Matteo deve stare attento. Ora ha i poteri forti contro. E tra l’altro, si sta esponendo troppo», ragionava ieri l’ex Cavaliere al telefono con alcuni dei suoi. «Più fa dichiarazioni, più si attira le critiche. Dovrebbe stare più coperto».
Altre parole che danno la conferma di come una tela importante – tra Arcore e Roma – sta per essere tessuta. Questione di settimane.
E lo dimostra il fatto che l’ex premier avverta dentro di sè che il tempo del «relax forzato» sia ormai agli sgoccioli.
Tommaso Labate
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Agosto 15th, 2014 Riccardo Fucile
UNO HA ACCUMULATO CONDANNE PER UN ANNO E TRE MESI,”CANCELLATE” DALLA RIABILITAZIONE… IL NUOVO CT DUE ANNI FA FU SQUALIFICATO PER 10 MESI PER ALBINOLEFFE-SIENA
Antonio Conte nuovo commissario tecnico dell’Italia. Il miglior allenatore su piazza a un costo ragionevole per le casse della Federazione.
Una bella notizia per la maggior parte dei tifosi, che adesso sogna il rilancio della Nazionale. Eppure, al di là dell’affaire-ingaggio, c’è una nota stonata: perchè è recente una macchia nella carriera di Conte.
La squalifica per 10 mesi per il calcioscommesse, che — a detta di molti — non lo rende la persona più adeguata a guidare la rappresentativa del Paese.
Sul piano strettamente sportivo, in questo momento non ci sono sul mercato tecnici che abbiano vinto e dimostrato quanto lui negli ultimi anni. Per questo il nuovo presidente della Figc, Carlo Tavecchio, ha fatto senza dubbio un gran colpo nel convincerlo ad accettare l’incarico: sotto il profilo dello stipendio, ormai è cosa nota, la Figc non supererà il tetto di 1,5 milioni di euro l’anno fissato già in occasione del precedente contratto di Cesare Prandelli, mentre il resto dello stipendio da circa 3,5 milioni netti a stagione verrà coperto dallo sponsor tecnico Puma, con una formula studiata ad hoc per la situazione.
Ma, tornando alla questione morale, bisogna analizzare la posizione della Federazione: la Figc che oggi ingaggia e celebra Conte è la stessa che esattamente due anni fa di questi tempi lo squalificava per 10 mesi per omessa denuncia nell’ambito del processo sportivo sullo scandalo calcioscommesse.
Allora la commissione disciplinare aveva stigmatizzato la condotta dell’allenatore in occasione della partita Albinoleffe-Siena,(in cui fu “provato che fosse a conoscenza della combine”) ritenuta tanto grave da definire “non congrua” l’istanza di patteggiamento a tre mesi concordata fra i legali di parte e la Procura.
Adesso quella macchia, che non si può cancellare, è dimenticata (proprio come nel curriculum di Conte pubblicato sul sito della Federcalcio, a margine del comunicato che annuncia la firma del contratto, dove non compare traccia della squalifica).
Nè si tratta dell’unico contenzioso con la Federazione: per i giudizi “lesivi” espressi in merito a quella sentenza e all’operato degli organi della Giustizia sportiva, il tecnico salentino era anche stato deferito dal procuratore Stefano Palazzi.
Naturalmente non esiste una norma che vieti a Conte di diventare ct per i suoi trascorsi (per cui, in ogni caso, ha già scontato la pena comminata).
Solo una questione di opportunità .
Lo stesso discorso valido per il suo diretto superiore, Carlo Tavecchio.
Nel corso della durissima campagna elettorale delle scorse settimane, tra le tante ragioni di critica alla candidatura sono state tirate in ballo anche le sue cinque condanne penali maturate tra il 1970 e il 1998, per un totale di un anno, tre mesi e 28 giorni di reclusione.
Per quelle vicende, però, l’ex sindaco Dc di Ponte Lambro ha potuto godere della piena riabilitazione: il suo casellario giudiziale è pulito e quindi a rigor di legge è perfettamente eleggibile per le cariche federali (del resto nel 1999 aveva anche chiesto ed ottenuto un parere favorevole alla Corte Federale).
Pure qui, però, resta il dubbio che forse una persona senza alcun tipo di precedenti (riabilitati o meno) sarebbe stata più adatta per ricoprire un ruolo di così alta rappresentanza.
Perchè poi ci sono i possibili strascichi di quegli eventi. L’ultima stagione calcistica è stata segnata dalle discussioni sulle curve chiuse per i cori di discriminazione razziale e dal codice comportamentale per i giocatori della nazionale.
A causa di quest’ultimo caso, per dire, era stato lasciato fuori dall’Europeo Domenico Criscito, per via di un presunto coinvolgimento nell’inchiesta calcioscommesse.
Due temi “etici” — anti-razzismo e regolarità delle partite — su cui la Federazione targata Abete-Prandelli si era mostrata inflessibile. Sarà più difficile farlo in futuro, dopo la gaffe razzista del presidente e i trascorsi del ct.
Altrimenti seguiranno nuove e ancor più accese polemiche.
La coppia Conte-Tavecchio promette un futuro roseo per la nazionale, ma ha un passato non del tutto limpido. Solo con le vittorie potrà far dimenticare questi aspetti anche i tifosi più intransigenti.
Lorenzo Vendemiale
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Agosto 15th, 2014 Riccardo Fucile
CLAMOROSO GESTO DI HENK ZANOLI, OLANDESE DI 91 ANNI, CHE NEL 1943 SALVO’ LA VITA A UN BAMBINO EBREO… SEI FAMILIARI SONO ORA MORTI NEGLI ATTACCHI DI ISRAELE E LUI DICE BASTA: “SAREBBE UN INSULTO ALLA MEMORIA DI MIA MADRE”
Henk Zanoli è olandese, ha 91 anni e, almeno fino a qualche giorno fa, era un “Giusto tra le Nazioni”.
Cioè un non-ebreo che, durante l’Olocausto, ha salvato la vita di un ebreo, in questo caso un bambino. Il piccolo si chiamava Elhanan Pinto, era nato nel 1932 ed è sopravvissuto all’orrore della Shoah grazie a Zanoli.
Il quale, insieme alla madre Johana, l’ha tenuto al riparo dalla furia nazista nella sua casa di Eemnes, vicino a Utrecht, dal 1943 al 1945, anno in cui gli Alleati liberarono i Paesi Bassi.
Sia Johana che Henk rischiarono la vita per preservare quella di Elhanan.
I genitori e i fratelli del bimbo, intanto, venivano trucidati in un campo di concentramento del Terzo Reich.
La storia di Zanoli.
Come racconta il sito ufficiale dello Yad Vashem, il celebre museo dell’Olocausto di Gerusalemme, nel 1943 Henk Zanoli, allora poco più che ventenne, da Emmes fece un rischiosissimo viaggio verso Amsterdam (guardie e controlli erano ovunque) per andare a prendere il bambino e accompagnarlo a casa.
Qui, con la madre Johana, protesse per due anni Elhanan, che “trovò un ambiente accogliente e pieno di amore”, si legge sul sito dello Yad Vashem.
“A guerra finita, uno zio andò a prendere il piccolo per lasciarlo in un orfanotrofio ebraico. Successivamente, Elchanan si trasferì in Israele con altri amici e cambiò il suo nome in Hameiri”.
La decisione.
Oggi, però, Henk Zanoli “Giusto tra le Nazioni” non lo è più. Per sua scelta. Come riporta il quotidiano israeliano Haaretz, Zanoli ha restituito la medaglia di “Giusto” ricevuta dalle autorità israeliane.
E ha chiesto la cancellazione del suo nome dal Giardino dello Yad Vashem. Questo per protesta contro l’ultima offensiva di Israele su Gaza, in cui sono morte circa 2mila persone, molte delle quali civili, ma anche sei suoi familiari, incluso un bambino di dodici anni.
I familiari morti.
Perchè la nipote di Zanoli, la diplomatica olandese Angelique Eijpe, ha sposato un palestinese nato nel campo profughi di Al-Bureij, a Gaza. E gran parte dei familiari della coppia vive nella Striscia.
I due coniugi, durante l’offensiva, non erano a Gaza. Altri familiari, però, non sono potuti sfuggire ai raid. E sei di questi sono morti.
Così, a inizio settimana, Zanoli si è presentato all’ambasciata israeliana di Amsterdam e ha restituito la medaglia e la lettera di “Giusto tra le Nazioni”.
La lettera.
Zanoli, un avvocato in pensione, ha poi scritto una lettera aperta per giustificare il suo clamoroso gesto: “E’ davvero terribile che oggi, quattro generazioni dopo, la nostra famiglia debba sopportare l’uccisione di altri suoi membri. Uccisioni di cui è responsabile lo stato di Israele. Per me, dunque, conservare questa medaglia sarebbe un insulto alla memoria della mia coraggiosa madre”.
Il marito della donna e padre di Zanoli (anche lui faceva Henk di nome) venne internato nel campo di concentramento di Mauthausen nel 1941 perchè aveva protestato contro l’occupazione di Hitler.
Resistette alle atroci crudeltà dei nazisti fino al febbraio 1945. Poi morì.
Antonello Guerrera
(da “La Repubblica“)
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Agosto 15th, 2014 Riccardo Fucile
IN UN EDITORIALE L’ANTIEUROPEISTA EVANS-PRITCHARD INVITA A “SCARICARE L’EURO PER SALVARE L’ITALIA”
“Il solo modo possibile per tener fede alla sua promessa di un Risorgimento per l’Italia, e forgiare il proprio mito, è scommettere tutto sulla lira”.
L’invito al premier italiano Matteo Renzi arriva dalle colonne del britannico Telegraph.
A firmarlo l’editorialista anti-europeista Ambrose Evans-Pritchard, convinto che l’unica chance dell’Italia per uscire dalla depressione in cui versa “da quasi sei anni” (salvo qualche “falso risveglio”) sia abbandonare l’euro.
Secondo Evans-Pritchard, infatti, è “un fatto incontrovertibile che i 14 anni di disastro italiano coincidano con l’adesione alla moneta unica”.
E anche se “questo non prova il rapporto di causa-effetto”, “suggerisce che l’unione monetaria abbia innescato una dinamica molto distruttiva” ed “è un forte indizio del fatto che ora l’unione impedisce al Paese di uscire dalla trappola”.
A sostegno della sua tesi il giornalista specializzato in economia internazionale cita il recente rapporto di Moody’s che prevede per quest’anno un calo del Pil italiano dello 0,1%, i dati della Banca d’Italia sulla stagnazione del mercato immobiliare e il livello del debito, salito al 135,6% del Pil.
“Il rapporto — sostiene Evans-Pritchard — potrebbe spingersi verso il 140% entro la fine dell’anno, acque inesplorate per un Paese che di fatto prende a prestito in marchi tedeschi. ‘Nessuno sa quando il mercato reagirà ‘, dice un banchiere”.
La conseguenza, stando all’articolo, è che “il premier Matteo Renzi dovrà fare tagli tra i 20 e i 25 miliardi di euro per rispettare gli obiettivi europei di deficit, perpetuando il circolo vizioso”. Ma “il compito è disperato.
Uno studio del think-tank Bruegel ha trovato che l’Italia dovrebbe ottenere un surplus primario di 5 punti percentuali di Pil per stabilizzare il debito se l’inflazione fosse al 2%.
Con l’inflazione a zero, i punti di Pil diventano 7,8.
Ogni tentativo di centrare quell’obiettivo porterebbe a una controproducente implosione dell’economia italiana”.
L’articolo del Telegraph, che da tempo pronostica la prossima “fine dell’euro”, cita poi l’economista indiano ed ex funzionario del Fondo monetario Ashoka Mody, che ora lavora al Bruegel, secondo il quale le autorità italiane dovrebbero iniziare a consultare “brillanti avvocati esperti in debito sovrano per assicurare una ristrutturazione ordinata del debito“.
Evans-Pritchard ricorda anche l’invito lanciato di recente da Eugenio Scalfari su Repubblica: “L’Italia si sottoponga al controllo della troika”.
“Mr Scalfari sembra pensare che la democrazia italiana debba essere sospesa per salvare l’euro”, deduce il giornalista.
“Il giovane Mr Renzi potrebbe trarre la conclusione opposta, cioè che l’euro deve essere scaricato per salvare l’Italia”.
La quale prima dell’unione monetaria, grazie alla “lira debole”, “aveva un surplus commerciale nei confronti della Germania”, mentre ora la sua “metà arretrata, soprattutto il Mezzogiorno, compete palmo a palmo con la Cina e le economie emergenti dell’Asia in settori che dipendono dai prezzi”.
A poco vale, secondo Evans-Pritchard, invocare le “riforme“: “Pochi negano che lo Stato italiano abbia bisogno di un cambiamento radicale, ma l’Italia ha anche bisogno di un ‘New Deal’ fiscale, massicci investimenti in infrastrutture e capitale umano, sostenuti da uno stimolo monetario per tirare il Paese fuori dalla sua soffocante tristezza cosmica. E Mr Renzi deve ormai sapere che questo non può essere fatto nell’ambito dell’unione monetaria”.
Ma, nota il giornalista, ora “si trova nello stesso orrendo imbarazzo di Francois Hollande in Francia. Da outsider se l’è presa con l’austerità europea, salvo poi sottomettersi senza far rumore una volta entrato in carica, perchè i suoi consiglieri gli assicuravano che la ripresa era alle porte”.
L’articolo giudica però Hollande “impossibile da salvare”, mentre “Renzi non ha ancora bruciato il suo capitale politico ed è uno scommettitore nato”.
Ora però “è da solo”, perchè “non c’è più alcuna chance che Italia e Francia possano guidare insieme una rivolta dei Paesi latini” contro il Consiglio europeo e la Banca centrale. Il consiglio del Telegraph, dunque, è di non negoziare ma “liberarsi dalla trappola dell’unione monetaria, riprendere il controllo dei suoi strumenti di sovranità e rinominare il suo debito in lire, introducendo il controllo sui movimenti di capitali finchè la situazione non si normalizza”. Secondo il giornale “non ci sarebbe un’immediata difficoltà a rifinanziarsi, perchè il Paese ha un surplus primario” e “non soffre di un eccesso di debito in senso stretto”, poichè le famiglie sono poco indebitate.
“Il problema di base è un disallineamento del tasso di cambio che crea una non necessaria crisi del debito pubblico attraverso il perverso meccanismo dell’unione monetaria”.
La scelta, conclude Evans-Pritchard, dovrà essere presa a breve, quando “la traiettoria del debito italiano entrerà nella zona di pericolo. Stavolta potrebbe non essere così chiaro che il Paese voglia essere ‘salvato’ nei termini stabiliti dall’Europa”.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Agosto 15th, 2014 Riccardo Fucile
LO SCHEMA DEL GOVERNO E’ QUELLO DEI CONTRATTI A TUTELA CRESCENTE, MA BASTA PAGARE E SI PUO’ LICENZIARE ANCHE SENZA GIUSTA CAUSA
Il nodo da sciogliere è quello che i tecnici chiamano scalino.
Nel disegno di legge delega che il Parlamento dovrà approvare per rivedere il sistema di leggi sul lavoro, lo scalino arriva dopo tre anni dall’assunzione a tempo indeterminato di un lavoratore.
È allora e solo allora che scatta la tutela dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, quello che vieta il licenziamento senza giusta causa.
Questo almeno nella proposta che porta il nome degli economisti Tito Boeri e Pietro Garibaldi recepita nel disegno di legge delega presentato nel 2010 da Paolo Nerozzi, ex sindacalista della Cgil.
Quella proposta, accanto a quella presentata dal giuslavorista Pietro Icihino, è il cardine della discussione sulla revisione dello Statuto.
Un dibattito che va avanti da almeno cinque anni, contrariamente a quel che ha scritto ieri su Twitter Angelino Alfano: «Renzi è il primo leader della sinistra a dire che va riscritto l’intero Statuto dei lavoratori».
Poche ore dopo il premier lo ha corretto: «Le regole si riscrivono cambiando le garanzie, non eliminandole»
La posizione di Renzi è un indiretto riferimento alla questione dello scalino del ddl delega di Nerozzi.
Lo schema Boeri-Garibaldi è quello di un contratto di lavoro «a tutele crescenti»: più aumenta l’anzianità di servizio, più aumenta la cifra che il datore di lavoro deve pagare in caso di licenziamento senza giusta causa.
Ogni mese di lavoro il prezzo del licenziamento immotivato sale dell’equivalente della paga di cinque giorni.
Dopo tre anni, il riscatto per poter licenziare liberamente è di sei mensilità .
Che cosa accade dal quarto anno in poi? Secondo il ddl Nerozzi e secondo i due economisti che lo hanno ispirato, dal quarto anno il licenziamento senza giusta causa non è più monetizzabile, è semplicemente vietato perchè scatta la tutela dell’articolo 18.
«È singolare — dicono Boeri e Garibaldi — che dopo tre anni di lavoro, e quindi dopo aver avuto il tempo di conoscere e valutare il suo dipendente, il datore di lavoro possa licenziarlo senza giusta causa».
Secondo la proposta di Ichino invece l’articolo 18 non scatta più e l’unico deterrente all’ingiusto licenziamento è dato dal crescere della cifra che i datori di lavoro devono corrispondere ai dipendenti ingiustamente licenziati.
«Se si istituisce dopo tre anni la tutela dell’articolo 18 — dice Ichino, e la pensano così anche Ncd e Forza Italia — si crea uno scalino che la parte più debole della forza lavoro rischia di non superare».
In sostanza le aziende sarebbero tentate di licenziare i dipendenti alla fine del terzo anno per non correre il rischio di non poterli più licenziare dal quarto, quando arriva lo scalino, la tutela dell’articolo 18.
Ecco perchè, contrariamente a quel che dice Renzi, sarebbe preferibile, secondo Ichino, eliminare la tutela dell’articolo 18 invece di cambiarla.
La discussione potrebbe riprendere il 2 settembre alla Commissione Lavoro del Senato, presieduta da Maurizio Sacconi, vero ispiratore della campagna di Alfano.
Paolo Griseri
(da “La Repubblica“)
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Agosto 15th, 2014 Riccardo Fucile
IL 29 AGOSTO IL GOVERNO VARERA’ UN PROVVEDIMENTO PER VENIRE INCONTRO AL MONDO DELLE IMPRESE E RIDURRE I TEMPI DEL CONTENZIOSO… MA IL MEDIATORE PRIVATO SARA’ A PAGAMENTO: UNA GIUSTIZIA CHE FAVORIRA’ I RICCHI
Vuole passare alla storia della giustizia in Italia come il “modernizzatore del processo civile”. È la scommessa del Guardasigilli Andrea Orlando che il 29 agosto approderà a palazzo Chigi e che il premier Matteo Renzi considera “strategica”.
Eccone linee guida e relativi possibili problemi
Come si è creato l’attuale arretrato civile di 5 milioni di processi pendenti
È il frutto di lentezze accumulate nel tempo e soprattutto di carichi impropri addossati alla giurisdizione. Solo in Italia vi sono Comuni che non pagano i debiti benchè iscritti in bilancio. E solo in Italia lo Stato ha dovuto fare una legge per obbligare se stesso a pagare i debiti. Un vero e proprio paradosso. Si ricorre alla giustizia civile solo come mero espediente dilatorio. Costa meno che chiedere un prestito in banca.
Come si fa a ridurre l’arretrato?
Anzitutto non aumentandolo, e quindi facendo in modo che il processo civile riparta su basi di celerità ed efficienza. L’arretrato va affrontato e non smaltito, poichè si tratta comunque di diritti in attesa, con strumenti di analoga modernità . Nessuno può immaginare di eliminarlo con la bacchetta magica, ma un recupero di efficienza del sistema consentirà una riorganizzazione degli uffici e l’utilizzo di magistrati ausiliari, con i quali nel tempo togliere l’accumulo.
Si può parlare di processo breve e di ragionevole durata del processo?
Si deve parlare di un processo la cui durata dev’essere commisurata alla singola vicenda. Certamente vi sono cause che possono essere decise in tempi rapidissimi perchè un giudice consapevole è in grado di respingere le domande istruttorie inutili. E certamente esistono cause che richiedono indagini più complesse. Il processo è un format, non un letto di Procuste
Accadrà in futuro, come adesso, che anche per una banale lite di condominio si assista a un processo che dura anni, dal primo grado alla Cassazione?
Le liti di questo genere finiranno risolte con la mediazione obbligatoria e con i riti alternativi. Quindi possibilità processuali molto più limitate. Lo sforzo del ministro Orlando è proprio quello di provvedere alle domande più popolari attraverso la semplificazione del processo.
Come possiamo prevedere la fotografia del processo di primo grado?
Dovrà contenere in modo definitivo le possibili posizioni delle parti. Ciò che non viene detto al giudice di primo grado non potrà più entrare in nessun modo nel giudizio. Ciò determina la grande importanza della conduzione consapevole da parte del giudice.
Sarà automatico, com’è adesso, il ricorso in appello?
Verrà sempre di più ristretto su quello che i tecnici chiamano il “profilo impugnatorio”.
Al giudice di appello si deve dire come avrebbe dovuto decidere il primo giudice e come e perchè ha deciso male.
Che cosa cambia in Cassazione?
Qui l’intervento di Orlando è più leggero. Sostanzialmente renderà centrale il procedimento in camera di consiglio, eliminando la cosiddetta relazione che oggi la Corte propone come possibile decisione, che in realtà dà luogo a un inutile raddoppio di lavoro e rende vana la funzione del rito camerale.
Come sarà possibile rendere immediatamente esecutive le sentenze?
Sarà molto semplice, basterà che la legge ne stabilisca la provvisoria esecutività , e renda molto costosa in termini di denaro l’opposizione all’esecuzione che si rivela infondata.
Che peso avrà la mediazione obbligatoria tra le parti rispetto al processo ordinario?
L’obiettivo della riforma è incentivare le tecniche di soluzione delle liti diverse da quelle del processo. Ma è chiaro che il successo dipenderà dalla professionalità dei cosiddetti mediatori. In Francia il ricorso alla mediazione non ha avuto un grande risultato.
È un vantaggio o uno svantaggio per il cittadino? Serviranno più o meno avvocati-mediatori?
Ogni strumento alterativo è un vantaggio. Una possibilità in più, se non diventa mera burocrazia. L’ideale sarebbe che a occuparsi della mediazione siano professionisti validi, come gli avvocati, e non figure estranee alla logica del processo. Soprattutto bisogna evitare che si scateni il business della formazione del mediatore.
Sta per nascere un processo civile per ricchi, visto che al giudice, che per il cittadino oggi è gratis, si sostituirà un professionista a pagamento?
Il problema dei costi di una giurisdizione efficiente esiste. L’Italia è il Paese in cui costa di meno rispetto al resto d’Europa. Sarà fondamentale vedere nella riforma Orlando come sarà disciplinato il sistema di pagamento del mediatore.
Gli arbitrati, oggi residuali, aumenteranno?
Certamente sì, perchè il percorso arbitrale avrà la stessa dignità di quello giudiziario, al punto che si immagina la “traslatio iudicii”, ovvero il passaggio dal rito arbitrale a quello giudiziario vero e proprio.
Tribunale per le imprese. Come funzionerà ? Contribuisce al rilancio dell’economia?
Sicuramente sì, perchè sarà il giudice di tutte le controversie di mercato, incluse quelle di concorrenza, e si avvantaggerà dell’ausilio di esperti del mercato, dunque diversi dai consulenti d’ufficio, che potranno illuminare il giudice sul contesto economico di una vicenda.
Liana Milella
(da “La Repubblica”)
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Agosto 15th, 2014 Riccardo Fucile
“UNA SOLA PRIORITA’: FAR RIPARTIRE I CONSUMI”
“Come uscire dalla crisi l’hanno capito tutti: inglesi, giapponesi e americani. Tutti tranne l’Europa, che continuerà a essere schiacciata dalle paure di tedeschi e olandesi”.
Paul de Grauwe, belga, docente alla London School of Economics, è un economista di fama mondiale.
La sua ricetta per uscire dalla spirale di recessione e deflazione è una sola: tornare a spendere.
Gli ultimi dati sul Pil di Francia e Germania mostrano che la crisi è davvero europea. Come si è arrivati a questo punto?
L’azione politica comunitaria è completamente sbagliata da anni. È stato imposto a tutti i Paesi di badare solo alla riduzione del deficit e si è detto ai governi che si sarebbe usciti dalla crisi migliorando la competitività dell’offerta.Il risultato è che individui, consumatori e investitori tendono a non spendere, la domanda continua a calare e l’Europa rimane intrappolata nella recessione.
Come se ne esce?
Facendo ripartire la domanda, l’esatto contrario di quanto avvenuto fino a oggi. Solo un cambio delle politiche di bilancio può far sparire la paura. I governi nazionali devono investire in energia, infrastrutture e ambiente.
C’è però un problema di debito pubblico.
No, questo è il momento giusto: in Germania i tassi d’interesse sono all’1 per cento. Spendere oggi è facile e vantaggioso, la Commissione europea lo deve accettare.
Chi sono i responsabili di questa crisi?
Non ce n’è uno solo: i governi, la Commissione, la Banca centrale europea, nessuno ha capito quali siano le riforme essenziali. Per non parlare degli economisti che continuano a ripetere che il problema di domanda si risolve agendo sull’offerta, una idea semplicemente ridicola.
Mario Draghi cosa dovrebbe fare?
Quantitative easing, cioè immettere liquidità nel sistema e fare in modo che arrivi alle imprese. Non è un’idea innovativa, l’hanno già fatto tutti: la banca centrale inglese, quella giapponese, quella americana. Solo la Bce resta ferma.
Ha un’idea del perchè?
Tedeschi e olandesi hanno un problema emotivo: temono l’inflazione, quando oggi siamo in piena deflazione. Non hanno capito che questo non è il primo Dopoguerra.
In molti chiedono all’Italia di cedere sovranità per attuare le riforme, come in Grecia. È una strada percorribile?
Assolutamente no e non solo perchè il programma di riforme è tutto sbagliato. La Banca centrale europea e la Commissione europea stanno tentando di espropriare governi e Parlamenti delle loro funzioni. Vogliono prendersi il diritto di decidere dai politici eletti per consegnarlo nelle mani di dei burocrati. Non stanno distruggendo solo l’economia, ma anche la democrazia.
Quindi condivide il pressing politico di Renzi sulla flessibilità ?
Certo, ha tutto l’interesse a spingere su queste priorità . Fa bene a chiedere che gli investimenti escano dal conteggio del deficit. C’è però un problema.
Quale?
Lui deve provarci, ma sarà molto difficile che ce la faccia. Solo il deterioramento complessivo dell’economia europea può aiutarlo: deve andare dagli altri Paesi in difficoltà e convincerli a seguirlo. Ci provi con Hollande, con la Spagna.
L’Italia però sta peggio degli altri.
Certo: da voi è da più tempo che gli investitori non investono e i consumatori non spendono. Fate ripartire i consumi: questa è l’unica soluzione.
Alessio Schiesari
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Agosto 15th, 2014 Riccardo Fucile
MA LA RIPRESA DI TUTTA LA UE DIPENDE SOLO DAI TEDESCHI
Il grande freddo è arrivato.
Prima, la gelata dei prezzi: i dati dicono che troppi Paesi dell’eurozona sono ormai apertamente in deflazione.
Unita all’inflazione troppo bassa negli altri, la gelata ha finito per avviluppare l’economia, mettendo in frigorifero anche la potente locomotiva tedesca e proiettando sui prossimi mesi il rischio non del ristagno, ma della recessione.
Per ora, quello di cui tutti sono sicuri è che non si arriva alla luce in fondo al tunnel, se la locomotiva tedesca non riparte. In qualche modo, i dati fanno giustizia dell’ottimismo, sparso a piene mani nelle ultime settimane, anche da Mario Draghi che, nei giorni scorsi, aveva parlato di ripresa europea «fragile, ma ancora in traiettoria» e di prezzi destinati a scuotersi dall’immobilismo.
Gli osservatori ne possono trarre due lezioni.
La prima è che è illusorio fidarsi di indicatori, come i sondaggi sugli orientamenti di chi, nelle aziende, fa gli acquisti (i “purchasing managers’index”) che avevano alimentato quell’ottimismo.
La seconda è che anche modelli econometrici più sofisticati e complessi – compreso quello della Bce – hanno urgente bisogno di revisione e manutenzione, perchè da anni, ormai, sbagliano per eccesso, pronosticando una ripresa che non arriva.
Un rallentamento dell’economia tedesca che, in questi anni, ha trainato, con la sua formidabile macchina da export, tutta l’Europa, era atteso.
Ma è arrivato troppo presto ed è questo che fa suonare più forte l’allarme.
Si sapeva che la crisi ucraina e le sanzioni alla Russia avrebbero preteso un pedaggio sull’industria tedesca, ricca di affari con Mosca.
Il problema è che l’impatto era atteso ora, nel terzo trimestre, e avremmo dovuto registrarlo a ottobre. Invece, l’economia tedesca si era fermata già fra aprile e giugno, prima delle misure anti-Putin.
Segno che gli ostacoli, per l’industria tedesca, sono diversi e più grossi delle sanzioni. Ma segno, soprattutto, che i dati di ottobre, sanzioni incluse, potrebbero essere peggiori di quelli usciti ieri.
C’è poco di misterioso nella frenata di un’economia, come quella tedesca, che gioca quasi tutte le sue carte sulle esportazioni.
La congiuntura mondiale si va rivelando asfittica. Gli Usa hanno un andamento a singhiozzo, ma il Giappone ha appena registrato una brusca frenata e anche in Cina il ritmo si è, di colpo, quietato: il credito alle imprese sta registrando gli incrementi più bassi degli ultimi sei anni.
Contemporaneamente, i due più importanti clienti europei della Germania sono svaniti: la Francia è a sviluppo zero e l’Italia con il segno meno.
Semplicemente, le aziende tedesche non sanno a chi vendere. O, meglio, un candidato c’è, ma, finora, il governo Merkel lo ha accuratamente evitato: il mercato interno.
Da tempo, il Fondo monetario, la Casa Bianca e anche molti governi europei chiedono alla Germania una decisa svolta espansiva.
Un mercato interno più vibrante significa esportazioni più facili per gli altri Paesi europei in difficoltà e un’accelerata dei prezzi tedeschi favorirebbe anche un recupero di competitività degli stessi Paesi, senza costringerli a cercarla solo nel taglio di salari, occupazione e nella spirale dell’austerità .
Al contrario, i dati sulle vendite al dettaglio in Germania sono tutt’altro che rosei e, nonostante gli incoraggiamenti verbali che arrivano sia dalla Bundesbank che dal governo sugli aumenti salariali, Berlino non sembra puntare con sufficiente decisione su un rilancio dei consumi.
Soprattutto, sembra non voler cogliere l’occasione offerta dalla corsa, nazionale e internazionale, al Bund come bene rifugio.
I tassi di interesse sui titoli pubblici tedeschi sono a minimi record, in qualche caso – a 2 o tre anni – finanche negativi. E’ la spia delle storture che oggi affliggono i mercati finanziari europei, ma nell’immediato presentano al governo tedesco l’opportunità di finanziare – a prezzi stracciati – quello che molti economisti, anche tedeschi, raccomandano come urgente e indispensabile: un massiccio programma di investimenti pubblici che ammoderni e rilanci le infrastrutture, nel campo dell’educazione, delle strade, dell’energia.
Naturalmente, per farlo, il governo tedesco dovrebbe liberarsi dall’ossessione del pareggio di bilancio e del prosciugamento del debito che impone, oltre che ai partner europei, anche a se stesso. Insomma, liberarsi della trappola dell’austerità subito e a ogni costo.
Le prime reazioni, a Berlino, a questa improvviso stop dell’economia sono, comunque, per ora assai poco allarmistiche.
L’ufficio studi della Deutsche Bank prevede un rallentamento del ritmo di crescita dell’industria nel 2014, in alcuni settori anche assai marcato, ma si affretta a definirlo un «inciampo temporaneo».
Se, tuttavia, la frenata di primavera dovesse confermarsi anche in estate e in autunno, la classe dirigente tedesca potrebbe essere costretta a rivedere le scelte cui si è attenuta in questi anni.
Gli effetti sul dibattito europeo a proposito di flessibilità e austerità sarebbero massicci e questo è un elemento che può frenare le riflessioni di Berlino. I tedeschi temono, infatti, che un allentamento del loro rigore interno possa fornire il segnale sbagliato ai partner europei, una sorta di “tana libera tutti”.
In realtà , fra la dinamica tedesca e quella italiana, le distanze restano enormi. E il dato tedesco sul Pil è molto diverso dal dato italiano sul Pil, anche se il numero è lo stesso.
La Germania sperimenta, oggi, una battuta d’arresto, in larga parte determinata da fattori internazionali e, probabilmente, temporanea.
L’Italia attraversa una crisi che si prolunga, ormai, da vent’anni, è entrata, in questi mesi, nella terza recessione nel giro di cinque anni e denuncia il definitivo tramonto del modello di sviluppo su cui si è fondata la modernizzazione del paese.
Uno stimolo all’export, proveniente dal mercato tedesco, non inciderebbe sui problemi di fondo, strutturali – la burocrazia, il dualismo del mercato del lavoro, la cultura degli imprenditori – che ingessano lo sviluppo del paese.
Le riforme attese e promesse, tuttavia, sono indispensabili per il futuro del paese, ma non danno risultati immediati. E, comunque, non esauriscono il problema.
Uno studio appena pubblicato da lavoce. info mostra che il tracciato dell’economia italiana e di quella finlandese (spesso portata ad esempio di vivacità e modernità ) sono, negli ultimi tre anni, paralleli, quasi a dimostrare il peso di una congiuntura e di condizioni internazionali.
Le riforme sono cruciali, ma l’Europa – Germania in testa – può dare una mano.
Maurizio Ricci
(da “La Repubblica”)
argomento: economia | Commenta »