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RENZI-MONGOLFIERA: UN PALLONE GONFIATO IN GIRO PER L’ITALIA, TOUR AMARO AL SUD

Agosto 14th, 2014 Riccardo Fucile

TRA BALLE PLANETARIE E CONTESTAZIONI A NAPOLI, REGGIO CALABRIA, GELA E TERMINI IMERESE

L’ottimismo di Renzi non fa breccia nel Meridione. Dopo i messaggi positivi, i sorrisi e i selfie dai cantieri dell’Expo di Rho, il presidente del Consiglio visita il sud a tappe forzate.
Quattro soste tra Napoli, Reggio Calabria e la Sicilia alla vigilia di Ferragosto ma ad accoglierlo non trova l’ottimismo che lui stesso non manca di dispensare nelle sue uscite pubbliche. Tutt’altro.
Piccole contestazioni a Napoli, un sit-in davanti alla Prefettura di Reggio Calabria, gli operai dell’Eni a Gela, altre piccole manifestazioni a Termini Imerese.
Un puzzle di piccole contestazioni che sommate rendono amaro il viaggio al sud di Matteo Renzi.
Che il suo tour non sarebbe stato rose e fiori, il premier lo ha capito appena arrivato alla Città  della Scienza di Bagnoli, a Napoli, distrutta in parte da un incendio doloso lo scorso anno.
Lì ha trovato due lavoratori dei Consorzi unici di Bacino che si sono arrampicati su una gru. I lavoratori lamentano il mancato pagamento di 22 mensilità .
Un altro manifestante, invece ha messo in scena una protesta più forte: ha un finto cappio intorno al collo per dimostrare la propria condizione senza lo stipendio.
Ma non c’erano solo gli operai davanti all’ingresso della Fondazione Idis di Bagnoli: alcuni manifestanti dell’associazione Terra dei Fuochi hanno esposto striscioni con scritto: “Capitan Schettino ha affondato una nave, Renzi affonda l’Italià ; ‘Gli 80 euro non ci sono, se li sono ripresi con aumenti e tasse’; ‘I politici ci mettono la faccia, i cittadini ci mettono il c…’..
Il premier continua però a di ripetere il liet motiv degli ultimi giorni, soprattutto dopo la diffusione dei dati Istat che hanno certificato la recessione dell’economia italiana: “Stop alla cultura della rassegnazione, il governo non scappa”. E intanto twitta: “Bagnoli. Accordo per oltre trenta milioni sulla Città  della scienza. Punto sui fondi comunitari. E adesso sblocchiamo l’area #italiariparte”.
Un delirio tra chi spaccia utopie e chi vive la dura realtà .
L’Italia riparte, e anche Renzi, che va a Reggio Calabria.
All’esterno della Prefettura è atteso da un gruppo di lavoratori in mobilità  e cassa integrazione. I lavoratori hanno esposto striscioni per chiedere il pagamento delle indennità  relative agli ammortizzatori sociali.
Renzi a Reggio promette nuove misure per la Salerno-Reggio Calabria nel decreto Sblocca Italia. Nello stesso provvedimento “metteremo norme ad hoc per realtà  come Bagnoli, che è uno dei fiori all’occhiello. Ma sono previsti anche altri interventi, da Sesto a San Giovanni a Taranto”.
E quindi twitta: “Reggio Calabria. Tribunale, porto di Gioia Tauro, mantenimento posti di lavoro Finmeccanica, cantieri dissesto e scuole. #italiariparte”.
Roba da rimpiangere la Dc degli “uomini di panza”
Riparte di nuovo, Renzi, alla volta di Gela: qui una delegazione di operai dell’Eni ha esposto in Piazza municipio uno striscione: “Prima delle riforme occorre il lavoro”.
Il lavoro a rischio, dopo la vertenza sindacale che si è aperta per i dipendenti del petrolochimico.
Fuori c’era un gruppo di attivisti dei No Muos di Niscemi e una delegazione di lavoratori dell’impresa Riva & Mariani, licenziati dopo la grave crisi che ha investito l’Eni a Gela.
Renzi affida ancora a twitter le solite palle: “Primo presidente del consiglio in visita a Gela. Importante non essere l’ultimo. L’#italiariparte se il Sud #cambiaverso No rassegnazione”.
Il viaggio nel profondo sud si conclude a Termini Imerese dove pure si sono stati registrati momenti di tensione in piazza Duomo: un gruppo di proletari comunisti ha sventolato due bandiere rosse gridando slogan contro il premier: “Servono fabbriche, lavoro vero, case, diritti, servizi sociali… Il Governo Renzi fa tutto il contrario”. Insiema a loro anche alcuni esponenti dello Slai Cobas.
E gli slogan hanno fatto scattare l’irritazione di alcuni cittadini, dei disoccupati che presidiano la piazza e si sono registrati momenti di nervosismo tra la folla.
Il premier si è recato a incontrare il sindaco di Termini Imerese, Salvatore Burrafato e altri amministratori locali dei comuni del comprensorio.
Quindi il tweet, come da tradizione: “Termini Imerese. Le crisi occupazionali non vanno in ferie. Ma il Governo c’è e farà  di tutto per riaprire lo stabilimento #italiariparte”.
Niente selfie, oggi, per il premier, altrimenti rischiava due sberle.
Ma da Reggio Calabria ha invitato gli operai dei cantieri a scattarsi foto mentre lavorano, come immagine dell’Italia che riparte, che si dà  da fare: “Vorrei vedere i selfie degli operai nei cantieri perchè altrimenti sarebbero solo numerini. Voglio vedere i cantieri che si aprono e le foto degli operai”, ha dichiarato Renzi.
Roba da ricovero…

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ALTRO CHE LOCOMOTIVA DELL’EUROPA, ECCO I DIECI MOTIVI PER CUI L’ITALIA STA PEGGIO DEGLI ALTRI PAESI EUROPEI

Agosto 14th, 2014 Riccardo Fucile

PIL, PRODUZIONE INDUSTRIALE, INFLAZIONE, DEFICIT: NON BASTANO LE PALLE DI RENZI A FARCI RECUPERARE CREDIBILITA’

Ci sono meno zero due percento e meno zero due per cento. Anche la Germania rallenta e una settimana dopo i dati negativi sul Pil diffusi dall’Istat relativi al nostro Paese, Berlino registra nel secondo trimestre un tasso di crescita negativo di due decimi di punto percentuali rispetto ai tre mesi precedenti, esattamente come l’Italia. L’economia tedesca soffre tanto quanto la nostra? Non proprio.
Ci sono, almeno, dieci ragioni per cui il divario con i nostri principali partner europei resta ancora molto ampio.
PI
Va da sè che il dato di oggi è espresso in termini percentuali e congiunturali, cioè rispetto al trimestre precedente.
Non solo quindi, in termini di valore assoluto, Italia e Germania restano molto distanti visto che nel 2013 Berlino vantava un Prodotto Interno Lordo da circa 2737 miliardi di euro contro i 1560 italiani, ma il segno meno annunciato oggi relativo al periodo aprile-giugno, segue un dato positivo (+0,7%) nel periodo precedente e arriva al termine di un periodo di prolungata e progressiva crescita.
Nel caso italiano, l’ultimo dato negativo arriva invece dopo una lunghissima recessione, interrotta soltanto a fine dello scorso anno da un misero +0,1%
PRODUZIONE INDUSTRIALE
L’ultimo dato, diffuso a ridosso dei numeri negativi sul Pil, è passato inosservato. A giugno, dopo la pesante caduta del mese precedente, la produzione industriale è leggermente risalita.
Ma il Paese sconta ancora un un trend che negli anni passati e fino alla fine del mese scorso è stato fortemente negativo, con cali superiori al 7%. Secondo il Centro Studi di Confindustria, la caduta rispetto al picco pre-crisi di aprile 2008 è stata del 23,9%.
INFLAZIONE
Il tema del calo del livello dei prezzi preoccupa tutta l’Eurozona, non solo il nostro Paese.
L’Italia però rischia di essere il primo tra i grandi Paesi dell’Unione, esclusa la Spagna, a sprofondare nella deflazione. I dati diffusi dall’Istat martedì hanno cominciato a preparare al peggio: in dieci grandi città  il trend dell’inflazione è già  negativo. La differenza è che, per un Paese ad alto debito pubblico come il nostro, uno scenario di deflazione rischia di essere letale per la sostenibilità  del nostro debito.
DEBITO PUBBLICO
È il vero macigno che grava sulla nostra economia, nonchè il massimo fattore di preoccupazione per i sorveglianti di Bruxelles.
Malgrado le rassicurazioni di una progressiva riduzione contenute nel Def, il nostro debito pubblico continua a crescere e di recente ha sorpassato anche quello tedesco, diventando così il più alto d’Europa. In confronto al PIl, il dato che più interessa all’Europa, la questione è ancora più preoccupante.
Secondo le stime di Moody’s entro la fine dell’anno il dato si attesterà  intorno al 136,4%, quando nel Def le previsioni del governo si fermavano al 134,9%.
Le norme europee fissate dal nuovo Patto di Stabilità  e Crescita e dal Fiscal Compact impongono però un drastico percorso di riduzione fino al 60% nell’arco di un ventennio. Allontanarsi ulteriormente dall’obiettivo significa appesantire ulteriormente le manovre annuali volte centrare questo obiettivo.
CONSUMI
Dopo un sussulto positivo nel mese di aprile, i dati sulle vendite al dettaglio sono tornati nuovamente con il segno meno a maggio.
I dati di Confcommercio relativi al mese di giugno, prima mensilità  in cui gli italiani hanno potuto utilizzare gli 80 euro del bonus fiscale, non hanno mostrato particolari scossoni, e i consumi sono cresciuti soltanto dello 0,1%.
Proprio sulla ripresa della domanda interna, una delle componenti del dato sul prodotto interno lordo, aveva fatto affidamento al premier nell’approvare il beneficio Irpef. Gli effetti però — secondo l’associazione dei commercianti — sono stati “quasi invisibili”.
DEFICIT
È l’altro importante parametro tenuto sotto controllo da Bruxelles. Il drastico calo del Pil certificato dall’Istat ci porterà  alla fine dell’anno a un livello vicino, ma inferiore, all’ormai famoso 3 per cento fissato dal Patto di Stabilità  e crescita.
Anche se l’obiettivo del Def era più basso, l’Italia a meno di altri clamorosi scossoni riuscirà  comunque a restare al sicuro sotto il tetto previsto.
A differenza del debito, l’Italia non è tra i Paesi che più desta preoccupazioni.
La Francia, ad esempio, da diversi anni sfora ormai stabilmente il 3%, pur gravata da un debito pubblico sensibilmente più basso del nostro e da un tasso di crescita leggermente più sostenuto del nostro.
Inoltre, a pesare enormemente sul nostro deficit, sono le spese sostenute per gli interessi sul debito.
Il semplice avanzo primario, la differenza tra le entrate e le uscite dello Stato — che sommato alle spese per interessi costituisce il deficit — è il più alto d’Europa
DISOCCUPAZIONE
L’aumento dei cittadini senza lavoro è al di là  dei grandi indicatori macroeconomici uno dei segnali più evidenti dello stato di salute di un’economia, tanto che per Paesi in crescita in cui la disoccupazione resta alta si parla, con scarsi entusiasmi, di jobless recovery.
Letteralmente, ripresa senza posti di lavoro.
Una condizione che, se prolungata, rischia di far arrestare presto anche i primi segnali di crescita. Il divario con gli altri Paesi europei è, da questo punto di vista, allarmante. Gli ultimi dati Istat segnano un tasso di disoccupazione del 12,3% e un tasso di disoccupazione giovanile che ha raggiunto il 43,7%.
Un giovane su due — in età  compresa tra i 18 e i 24 anni -, tra quelli che cercano lavoro, non lo trova. Il confronto con la Germania è impietoso: il tasso di disoccupazione giovanile, secondo Eurostat, si attesta al 7,8%. Quello generale al 5,1%.
PRESSIONE FISCALE
Che tasse e imposte varie pesino in modo spropositato sui propri bilanci, cittadini e famiglie lo sanno già  prima ancora di conoscere il dato sulla pressione fiscale. Rispetto agli altri Paesi dell’Unione, l’Italia si trova al settimo posto, con un dato riferito al Pil — sempre secondo dati Eurostat – che si attesta al 42,8%. Sul podio: Danimarca (48,6%), Belgio (46,7%), Francia (45,9%).
BANCHE E CREDITO
A differenza di altri Paesi del Mediterraneo, il nostro sistema bancario ha retto la crisi senza significativi interventi pubblici per salvare gli istituti in crisi.
Un recente rapporto di Mediobanca Securities mostra poi come in vista del doppio esame che si concluderà  in autunno (asset quality review e stress test) lo stato di salute delle nostre banche sia migliore delle principali concorrenti tedesche.
Ciononostante, l’accesso al credito per i cittadini italiani resta ancora molto più difficile che altrove.
Uno studio di Adusbef e Federconsumatori a partire da dati Bce-Bankitalia mostra come i tassi applicati per i mutui siano stabilmente più alti della media applicata dagli altri paesi dell’Eurozona.
EXPORT
Gli ultimi dati sul commercio estero non sono incoraggianti, con le esportazioni che risultano in calo di oltre quattro punti percentuali.
In un’economia segnata da una domanda perennemente fiacca e investimenti fermi al palo sono in molti a sperare che a trainare la ripresa possano essere proprio le esportazioni.
Per questo, dati negativi anche su questo fronte aggravano ulteriormente il quadro economico. A penalizzarci, però, insieme agli altri partner europei, è un euro molto forte che rende le nostre merci troppo care per i mercati extra Ue.
Anche se fuori dal mandato della Banca Centrale, l’obiettivo indiretto dell’Eurotower è tutt’ora anche quello di indebolire la valuta comunitaria. Operazione che finirebbe per aiutare sensibilmente la crescita delle esportazioni.
L’Italia però deve guardarsi bene anche dal rischio opposto: quello cioè di fare eccessivamente affidamento soltanto sull’export.
Il caso tedesco è emblematico. Sforando anche ripetutamente le prescrizioni europee, e senza grossi clamori, la Germania ha tenuto in questi anni bassi salari e compresso al massimo la spesa pubblica, facendo registrare stabilmente ampi surplus commerciali, anche oltre il 6% fissato dall’Europa.
Ora anche a Berlino qualcosa sembra essersi inceppato sul fronte dell’export e il Paese è costretto a mettere a punto misure per rilanciare la domanda interna.

(da “Huffingtonpost”)

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“RENZI, ECCO IL NOSTRO SANGUE”; CLAMOROSA PROTESTA DEGLI AGENTI DI POLIZIA

Agosto 14th, 2014 Riccardo Fucile

IL 27 IN PIAZZA A ROMA CONTRO I TAGLI DEL GOVERNO: “LO DONIAMO AI CITTADINI, NON AI POLITICI”

Poliziotti, penitenziari, forestali e vigili del fuoco sono davvero arrabbiati. Per non dire peggio.
Il governo continua a chiedere loro il sangue, con nuovi tagli pari a un miliardo e mezzo di euro per via della conferma del turnover al 55%: un solo poliziotto assunto ogni due pensionati.
Per questo, il fronte dei sindacati autonomi riuniti nella Consulta Sicurezza, l’organizzazione più grande di tutto il comparto con circa 43.000 iscritti, scenderà  in piazza il 27 agosto a Roma per un’iniziativa clamorosa e inconsueta: «Centinaia e centinaia di poliziotti, penitenziari, forestali e vigili del fuoco si ritroveranno in piazza del Popolo, assieme a un’autoemoteca che effettuerà  prelievi di sangue», spiegano i segretari generali Gianni Tonelli (Sap), Donato Capece (Sappe), Marco Moroni (Sapaf) e Antonio Brizzi (Conapo).
A sostegno dell’iniziativa anche l’Advps, l’Associazione Donatori e Volontari Personale Polizia, la Fondazione Franco Sensi con la presidentessa Rosella Sensi e il comico Enzo Salvi in qualità  di testimonial.
Presente pure la banda musicale dell’Anpee, l’Associazione Nazionale Polizia Penitenziaria.
«Ci state togliendo il sangue, allora noi preferiamo donarlo ai cittadini», questo lo slogan della manifestazione alla quale si affiancherà  un presidio nazionale a Montecitorio fino al 10 settembre.
L’annuncio della manifestazione ha scatenato la reazione del responsabile sicurezza del Pd, Emanuele Fiano, che ha rivendicato la sua sensibilità  nei confronti del comparto sicurezza, ricordando come l’attuale governo abbia investito nel 2014 500 milioni di euro per le forze di polizia, a fronte di 4 miliardi di tagli avvenuti dal 2008 al 2014.
Cifre che i sindacati autonomi contestano: «Noi come Sap – spiega il segretario generale Gianni Tonelli – siamo scesi in piazza con governi e maggioranze di tutti i colori politici, proprio perchè non abbiamo padroni e non facciamo riferimento a sigle confederali contigue a questo o quel partito. Fiano tenta di deresponsabilizzarsi quando ricorda i tagli dei precedenti esecutivi, ma dovrebbe anche aggiungere che l’attuale governo, nel confermare il turn over al 55%, ha operato un taglio di circa un miliardo e mezzo al comparto sicurezza. E altri tagli avverranno nei prossimi anni». Prosegue Tonelli: «Siamo compiaciuti di apprendere per tramite di un’agenzia che l’onorevole Fiano ha attenzione, nella sua qualità  di responsabile della sicurezza Pd, verso gli uomini in divisa. Peccato che, nonostante il Sap abbia tentato a più riprese di entrare in contatto con lui per confrontarsi, si sia visto sbattere ogni volta la porta in faccia. C’è poco da stare sereni».
Sap, Sappe, Sapaf e Conapo snocciolano i punti delle loro rivendicazioni: «Contratto fermo da 5 anni; tetto stipendiale imposto da 4 anni nonostante le promesse, anche recenti, dei ministri Alfano e Pinotti; mancato riordino delle carriere che sarebbe necessario per rendere più efficiente tutto il sistema; nessun avvio della previdenza complementare che trasformerà  i poliziotti pensionati di domani nei nuovi poveri».
«La cosa più grave di tutte – conclude Tonelli – è la mancata riforma dell’apparato della sicurezza o, meglio, la falsa riforma che si vuol far passare in nome della spending review. Solo per quel riguarda la Polizia di Stato, il progetto di chiusura di 267 uffici di polizia ritornerà  sul tavolo. Problemi analoghi anche per la Polizia Penitenziaria, il Corpo Forestale e i Vigili del Fuoco. Questa falsa riforma non farà  che peggiorare la sicurezza dei cittadini. L’unica operazione da mettere in campo è la riduzione e l’unificazione delle Forze di Polizia. Si otterrebbero risparmi ed efficienza, potremmo dare più sicurezza ai cittadini eliminando gli sprechi, si porterebbe un po’ di respiro alle retribuzioni dei poliziotti che ormai sono da fame».

Luca Caso

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FERRAGOSTO DI CRISI: UN ITALIANO SU DUE A CASA, SOLO IN ROMAGNA E’ TUTTO ESAURITO

Agosto 14th, 2014 Riccardo Fucile

SOLO IL 15% PASSERA’ LA GIORNATA DI FESTA ALL’APERTO, VUOTI I RISTORANTI… IN VIAGGIO CON TRENITALIA 710.000 PERSONE…METE PREFERITE QUELLE MARITTIME DELL’ADRIATICO

Complici crisi e maltempo, solo il 15 per cento degli italiani sceglierà  di trascorrere il giorno di Ferragosto a pranzo con un picnic all’aria aperta con barbecue o al sacco, mentre la metà  (50 per cento) resterà  a casa e l’11 per cento da parenti e amici.
E’ quanto emerge da una indagine Coldiretti/Ixe sul clou dell’estate 2014 dalla quale si evidenzia che appena l’8 per cento degli italiani va al ristorante o in pizzeria.
Le città  quest’anno non si svuotano neanche a Ferragosto e, sottolinea la Coldiretti, il traffico sulle strade è ben diverso dal passato.
La crisi ma anche l’andamento climatico anomalo hanno modificato l’organizzazione estiva delle attività  nei centri urbani dove è assicurato un maggiore livello di servizi e di prodotti rispetto al passato.
In media sono aperti tre negozi su quattro nell’alimentare e in particolare l’80 per cento dei centri commerciali faranno orario continuato, il 70 per cento dei panifici avrà  le serrande alzate ma anche il 75 per cento dei benzinai.
Se l’apertura degli ipermercati non è una novità , moltissimi piccoli negozi hanno deciso di non abbassare le saracinesche per cercare di risollevare i bilanci pesantemente colpiti dalla crisi ma a questi si sono aggiunti i sempre più numerosi mercati degli agricoltori di campagna amica in città , dove è possibile acquistare senza intermediazioni prodotti alimentari freschi col miglior rapporto prezzo/qualità .
Tuttavia se le città  non si svuotano, almeno per il ponte di Ferragosto si riempiono le località  di mare: almeno secondo uno studio dell’osservatorio Trivago.
“Tutto esaurito” in Emilia-Romagna che conferma il suo grande appeal sia con Milano Marittima (solo 2% di strutture disponibili) che con le super gettonate Riccione e Rimini al 3%.
Al sud spicca la Puglia dove Vieste e Gallipoli, con solo il 3% di disponibilità , si preparano ad essere letteralmente prese d’assalto dai numerosi turisti.
Situazione simile anche in Campania, dove risulta molto difficile trovare un posto libero sia ad Ischia che a Sorrento (entrambe al 7%).
Lo scenario cambia, però, in Sicilia dove a Taormina si registra una maggiore disponibilità  (16%).
Secondo Trenitalia saranno 710mila i viaggiatori che nel ponte si sposteranno in treno per raggiungere o tornare dalle località  di vacanza.

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DAL TACCHINO A GUFI E AVVOLTOI: LO ZOO POLITICO SI E’ FATTO CUPO

Agosto 14th, 2014 Riccardo Fucile

ETOLOGIA AL POTERE: MA GLI ANIMALI DI BERSANI ERANO PIU’ SOLARI

Matteo Renzi propone che l’inaugurazione dell’Expo sia «un no gufi day»; e l’altra sera, intervistato da Mia Ceran a Millennium, ha evocato la parola «zoo»: «Tra gufi, sciacalli e avvoltoi ormai potremmo fare uno zoo».
Ma se evochi lo «zoo» la minima cosa che ti puoi aspettare è che a chi ascolta torni in mente… il tacchino. Con effetti imprevisti.
Sì, il tacchino sul tetto, proprio quello. Cioè Bersani e la metafora più clamorosamente infelice della recente storia politica.
Anche lì eravamo in campo zoologico, era il novembre del 2012, il faccia a faccia tv tra l’allora segretario e il sindaco di Firenze. Renzi aveva spiegato poco prima che occorreva un accordo per la Svizzera per tassare i capitali esportati illecitamente dall’Italia, e Bersani replicò a modo suo, masochistico (anche se involontariamente divertente).
Disse di aver parlato col presidente dei socialdemocratici tedeschi: «Anche lui ama le metafore. Su questa storia dell’accordo con la Svizzera, dice: “So anch’io che c’è tanta gente che preferisce un passerotto in mano piuttosto che il tacchino sul tetto, però questo è un condono. E fino a questo punto di trattativa, se non cambia nei prossimi giorni, è un condono”».
Grande fu lo sconcerto nel pubblico; non per il contenuto (a chi importava?), ma per quell’assurda frase, il tacchino, il tetto.
Si scoprì poi che il segretario aveva per lo meno mal tradotto il detto tedesco («meglio un passerotto in mano piuttosto di un piccione sul tetto», che è l’equivalente tedesco del nostro «meglio un uovo oggi che una gallina domani»).
Cosa che in alcuni (non in tanti, a quel tempo, erano pro Renzi) rafforzò la sensazione istintiva che il bersanismo fosse anche linguisticamente qualcosa di arcaico.
Anche altri animali piacevano molto a Bersani; chiuse una campagna gridando «lo smacchiamo, lo smacchiamo (il giaguaro)», a quel punto l’imitazione di Crozza era diventata già  proverbiale, un genere.
Passerotti, tacchini, giaguari, alla fine il minimo che potessero fare fu presentargli il conto facendogli fare la figura del pollo.
Ma gli animali bersaniani tradivano un immaginario tutto sommato solare, lo zoo era uno zoo per bambini e nonne di campagna; con Renzi è diverso.
Mettendo qui tra parentesi le cose serie – l’economia, sulla quale permangono seri problemi – il premier si sta cucendo addosso da solo un immaginario fatto di animali cupi (i gufi), per non dire palesemente profittatori (gli sciacalli e gli avvoltoi), o iettatori, gli «uccellacci del malaugurio» di cui scrisse.
È una visione del mondo che Renzi naturalmente addebita a chi lo critica, non a sè, ma gli finisce appiccicata addosso, ci pensi; rischia di essere dal punto di vista della comunicazione un purissimo autogol, la sensazione di qualcosa di buio, e di una lingua troppo aggressiva.
Si dirà  che è la politica, bellezza; anzi, lo zoo della politica.

Jacopo Iacoboni

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CONTE NUOVO CT DELLA NAZIONALE, CE LO PAGA LA GERMANIA

Agosto 14th, 2014 Riccardo Fucile

LA TEDESCA PUMA FINANZIERA’ GRAN PARTE DELLO STIPENDIO DI 3,6 MILIONI DI EURO NETTI L’ANNO

Antonio Conte potrebbe essere il primo c.t. della Nazionale nato in Meridione, a breve l’annuncio ufficiale.
Il nuovo presidente della Figc, Carlo Tavecchio, dopo le polemiche sulla sua elezione sta per portare sulla panchina dell’Italia il miglior allenatore del movimento calcistico del Paese.
La volontà  dell’ex timoniere della Juventus c’è sempre stata, così come un progetto tecnico già  pronto. Le due parti hanno già  parlato e sono in sintonia, l’ultimo ostacolo è quello economico.
Per superarlo però la Figc ha già  avviato la trattativa con lo sponsor tecnico Puma che contribuirà  a pagare gran parte dello stipendio di Conte.
L’azienda tedesca infatti ha già  diramato un comunicato ufficiale in cui dichiara pieno appoggio alla Figc nella scelta del nuovo c.t. della Nazionale.
Conte infatti chiede un ingaggio almeno uguale a quello percepito a Torino: circa 3,6 milioni di euro che la Federazione non potrebbe certamente sborsare.
Per superare l’impaccio quindi la Figc sta coinvolgendo lo sponsor che sembrerebbe ben disposto a colmare il gap, considerando che una Nazionale allenata da un mister campione d’Italia nelle ultime tre edizioni della Serie A avrebbe una caratura molto più importante.
L’ex c.t. Cesare Prandelli percepiva 1,7 milioni di euro netti (3,2 lordi), cifra da cui la Figc non può e non vuole distaccarsi, non solo per ragioni di bilancio ma anche etiche e d’immagine.
Anzi Tavecchio vorrebbe spendere qualcosa in meno. La differenza per portare Conte in azzurro e arrivare dunque a quei 5,5 milioni lordi chiesti dal mister pugliese sarebbe quindi garantita dalla Puma.
La trattativa tra l’azienda e la Figc è già  avviata sulla base di un contributo annuo di 2 milioni netti che sommati a quegli 1,6 milioni messi dalla Federazione garantirebbero la copertura economica dell’ingaggio di Conte.
In questo caso l’affare andrebbe in porto anche grazie ad una tassazione più favorevole.
Dunque nella giornata di oggi arriverà  la risposta di Puma alla proposta della Figc.
Se ci fosse il sì scatterebbe subito l’incontro tra Conte e Tavecchio con la firma del contratto che diventerebbe solo una formalità .
Se tutto andasse in questa direzione lunedì il nuovo tecnico sarà  presentato ufficialmente.
Per quanto riguarda il progetto tecnico Conte sarebbe un c.t. a tempo pieno e gestirebbe il coordinamento di tutte le Nazionali.
Già  pronta la definizione di un codice etico e degli obiettivi prefissati.
Il mister vuole tanta autonomia per rifondare la rappresentativa italiana e in Federazione sembrando disposti a concedergliela dopo le ultime esperienze fallimentari.
Qualche piccolo nodo su stage e amichevoli da risolvere, ma dal punto di vista dell’organizzazione tecnica tra Tavecchio e Conte c’è piena sintonia.

(da “Huffingtonpost“)

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DOPO DUE ANNI SI FERMA LA LOKOMOTIVA GERMANIA: PAESI EUROPEI FERMI E BERLINO NON ESPORTA PIU’

Agosto 14th, 2014 Riccardo Fucile

LA FRANCIA A CRESCITA ZERO… COLPO DI SOLE DI RENZI AL SUD: “TRASCINEREMO NOI L’EUROPA FUORI DALLA CRISI”

La locomotiva Germania rallenta.
Per la prima volta dopo due anni il Pil tedesco registra uno -0,2% nel secondo trimestre 2014.
Il dato è peggiore delle attese che indicavano una possibile flessione del -0,1%.
La crescita del primo trimestre rispetto all’ultimo del 2013 è stata rivista dal +0,8 al +0,7%. Il rendimento del bund, il titolo di Stato decennale, crolla sotto l’1% su attese crescenti per ulteriori misure da parte della Bce per venire in soccorso ai governi con misure non convenzionali pro-crescita: è la prima volta mai registrata dalle serie storiche.
Quelle che arrivano da Berlino non sono le uniche brutte notizie sul fronte della ripresa.
Oggi l’Eurostat ha diffuso le stime sull’economia dell’Eurozona: nei 18 Paesi la crescita è ferma e sale dello 0,76% su base annua.
Le previsioni degli analisti erano di una crescita trimestrale dello 0,1%.
Nell’Unione europea a 28 paesi il Pil cresce dello 0,2% trimesterale e dell’1,2% annuale.
Ma oltre al prodotto interno lordo, che è fermo anche in Francia, a far paura è lo spettro deflazionistico: dopo il Portogallo (-0,7%) anche la Spagna segna un’inflazione negativa (-0,4%).
A livello europeo si registra un nuovo calo dal 0,5% di giugno al 0,4% di luglio.
I dati del Pil nel secondo trimestre, diffusi questa mattina dall’istituto di statistica Insee, segnano che l’economia francese è ferma per il secondo trimestre consecutivo. Il dato invariato rispetto al trimestre precedente segue la crescita zero già  registrata nel primo trimestre dell’anno rispetto all’ultimo trimestre del 2013. L’economia francese ristagna e il governo si prepara a rivedere le stime per il 2014.
Il ministro delle finanze, Michel Sapin, ha scritto sul quotidiano Le Monde che per l’anno in corso la previsione di crescita sarà  ridotta dall’1% allo 0,5%. Come conseguenza Parigi mancherà  l’obiettivo di deficit-Pil al 3,8%.
La nuova stima è un rapporto superiore al 4%. Sapin sollecita risposte dall’Europa, dal rafforzamento dell’azione della Bce ad un adattamento delle regole di budget alla situazione economica, quindi maggiore flessibilità  rispetto ai vincoli che gravano sui conti pubblici.
Arriva a stretto giro la replica di Francoforte.
A parlare è la Banca centrale europea nel suo bollettino mensile dove cita fra i rischi anche una «domanda interna inferiore alle attese» e invita i governi a «riforme strutturali».
Riforme strutturali che «dovrebbero mirare innanzitutto a promuovere gli investimenti e la creazione di posti di lavoro», e i Paesi dell’Eurozona dovrebbero «procedere in linea con il Patto di stabilità  e crescita senza vanificare i progressi conseguiti», risanando i bilanci «in modo da favorire l’espansione economica», scrive la Bce.
Per quanto riguarda l’allarme deflazionistico (le nuove stime danno l’inflazione al 0,7% nel 2014) la Bce dice di essere pronta a fare la propria parte con «misure non convenzionali».
C’è però una possibile luce in fondo al tunnel di buona parte dell’Eurozona, ed è la Grecia ormai prossima a uscire da una recessione durata sei anni.
Anche la Spagna, con un +0,6% già  incassato grazie alle riforme decise adottate dal premier Mariano Rajoy sotto la pressione di Ue e Fondo monetario internazionale.
La Grecia, sempre nel secondo trimestre, ha segnato un -0,2%, un dato migliore del -0,5% previsto e che apre all’uscita dalla recessione peggiore dal dopoguerra.
Ma proprio la Spagna riaccende l’allarme-deflazione: mentre i prezzi restano positivi in Francia e Germania e stagnano in Italia, in Spagna sono scesi a luglio dello 0,3% su anno.
Numeri che rischiano di rivelare che la ripresa ha già  dato il meglio di sè.
Al termine della disamina delle cose serie, da annotare l’affermazione del premier italiano Renzi, frutto ci auguriamo di un colpo di sole, visto il suo tour al sud dove il sole picchia forte: “Oggi l’Italia è nelle condizioni di poter essere la guida dell’Europa, di trascinare l’Eurozona fuori dalla crisi», ha detto parlando a Napoli alla Città  della Scienza.
Meglio non commentare.

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SULL’ECONOMIA LA NUOVA FRONDA ANTI-SILVIO

Agosto 14th, 2014 Riccardo Fucile

DENTRO FORZA ITALIA C’E’ CHI DICE NO

Il «Patto per l’emergenza», la mano d’aiuto che Silvio Berlusconi tende a Matteo Renzi lascia più che perplessa una fetta del partito.
Non è un’opposizione interna che alza la voce, perchè ancora il leader non ha ufficializzato la sua strategia.
Ma di fatto, come avvenuto per la riforma al Senato, anche sull’economia si sta aprendo una fronda destinata a crescere
Toti, Romani, Verdini, Gelmini, sono tra i big sponsor della «collaborazione».
Per non dire della retromarcia del capogruppo Renato Brunetta che ancora ieri gettava ponti («Daremo il nostro appoggio per tutti quei provvedimenti funzionali alla salvezza del Paese»).
Altri non la pensano così.
Raffaele Fitto, eurodeputato ormai capofila dell’area di dissenso, da settimane tace per non alzare il tiro, ma ai suoi continua a ripetere che il governo «va incalzato, proponendo la nostra ricetta liberale e alternativa», altro che mano d’aiuto.
Deputati e senatori pugliesi sono dalla sua parte. Non solo loro.
Augusto Minzolini fa un ragionamento generale: «Le opposizioni che hanno avuto posizioni poco marcate non hanno portato mai a nulla di buono, l’elettorato non capisce. E con questo Pd, rischiamo di essere aggiuntivi, marginali, di donare sangue inutilmente, in assenza di patti chiari con Renzi».
Daniele Capezzone continua a menare fendenti contro Renzi che «nega la realtà , sarà  inevitabile una pesante manovra», sostiene da presidente della commissione Finanze. E autocita la ricetta del suo libro: «Occorre sfondare il tetto del tre per cento per un taglio choc delle tasse».
Sulla stessa linea Renata Polverini contro Renzi che «sembra ascoltare soltanto il suo specchio ripetergli quanto sia il più bravo in un reame in rovina».

Carmelo Lopapa
(da “La Repubblica”)

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AUTOSTRADE, L’ULTIMO ASSALTO DEI FURBETTI DEL CANTIERINO

Agosto 14th, 2014 Riccardo Fucile

LA PRIVATA BREBEMI, INAUGURATA A LUGLIO, GIà€ CHIEDE L’AIUTO PUBBLICO… HANNO SBAGLIATO LE PREVISIONI SU TRAFFICO E COSTI… TANTO PAGA IL CONTRIBUENTE

I nodi dell’intricata saga Brebemi arrivano al pettine con il grande inganno chiamato project financing.
La direttissima Brescia-Bergamo-Milano è la prima autostrada terminata con il miracoloso sistema che apparentemente fa finanziare le grandi opere dai privati perchè le casse pubbliche sono vuote.
Solo che alla fine paga comunque lo Stato.
LA BREBEMI è un caso esemplare. La società  controllata da Intesa Sanpaolo e Gavio ha chiesto un generoso contributo al Cipe (il comitato che coordina gli investimenti statali): 450 milioni di euro di sconto sulle tasse o, in alternativa, un contributo diretto di 90 milioni e l’allungamento da 20 a 30 anni della concessione.
Senza un aiuto, lamenta la società , il piano finanziario non regge e si rischia di portare i libri in tribunale.
La singolare opera (62 Km paralleli alla vecchia A4 e senza aree di servizio) è stata finanziata “senza soldi statali”, ha spiegato orgoglioso il presidente Franco Bettoni durante l’inaugurazione, il 23 luglio scorso alla presenza di un raggiante Matteo Renzi.
La frase del presidente andrebbe però tradotta: degli 1,5 miliardi di costi propri, 830 milioni sono prestiti della Cassa depositi e prestiti (che è pubblica) e 700 della Bei (Banca europea degli investimenti, pubblica anch’essa).
Che succede se Brebemi non ce la fa a restituirli? Paga Pantalone.
La Cdp è controllata dal Tesoro e per la Bei c’è la garanzia della Sace, la società  che assicura i contratti delle aziende che lavorano con l’estero.
Di chi è Sace? Al 100% della Cdp.
In pratica, l’autostrada “totalmente a carico dei privati” è fatta con debiti garantiti dallo Stato, e ora — preso atto che non ce la farebbe a restituirli perchè le stime di traffico sono state gonfiate — chiede allo Stato l’aiutino.
Così il contribuente non ha scelta: o paga subito, o pagherà , di più, quando la Bei farà  scattare la garanzia statale.
L’aiuto invocato serve a ripagare gran parte degli 800 milioni di oneri finanziari, cioè gli interessi sui debiti.
I finanziamenti di Bei e Cdp, infatti, non sono andati direttamente alla società , ma al consorzio di banche dietro il progetto (Intesa Sanpaolo, Unicredit, Mps , Centrobanca e Credito Bergamasco) che a sua volta li ha girati a un tasso più elevato per remunerare il rischio: un pesante 7,8 per cento, sbandierato orgogliosamente da Bettoni in un’intervista al Corriere di Brescia: “Nessuno ci ha fatto un favore”.     Intanto si sono espropriati migliaia di terreni agricoli, per la gioia degli agricoltori lombardi, di cui Bettoni è, guarda caso, il presidente.
I costi iniziali dell’autostrada — stimati in 800 milioni di euro — sono triplicati nel tempo e il 21 per cento dell’incremento è attribuito proprio al costo imprevisto degli espropri.
Di questi, 212 ettari solo nella provincia del bresciano Bettoni, che si è vantato di aver fatto tutto senza litigi: “Il 98 per cento — ha spiegato — ha trovato accordi bonari con la società ”. E ci mancherebbe.
La richiesta d’aiuto della Brebemi era scritta nei numeri: degli 80mila veicoli al giorno di traffico previsto (poi rettificati a 60mila) oggi siamo a 40mila.
I dati del progetto erano gonfiati. Per tentare un recupero, la società  è stata costretta ad applicare tariffe doppie rispetto alla concorrente A4, e del 44 per cento superiori alla media nazionale.
“Eppure — spiega Dario Balotta, presidente dell’Osservatorio nazionale trasporti — nel 2003 la concorrenza degli americani di Bechtel è stata battuta grazie alla promessa di applicare tariffe molto più basse. Se Brebemi ottenesse l’aiuto richiesto, potrebbero ricorrere per violazione del bando di gara”.
Tanto più che le linee guida del Cipe prevedono che il beneficio fiscale possa essere concesso solo se le infrastrutture non sono ancora entrate in servizio.
Sono già  sette i grandi project financing che hanno richiesto aiuti pubblici, attraverso la defiscalizzazione, con stanziamenti a fondo perduto o con l’allungamento della concessione.
Dopo la Tem Milano (la nuova tangenziale dove confluirà  la Brebemi, oggi strozzata in due statali mono-corsia che entrano a Milano) e la Pedemontana Veneta, salvate dal governo Letta (rispettivamente con 330 e 370 milioni di euro), la Pedemontana Lombarda (350 milioni) e la l’Autostrada Tirrenica (completamento della Livorno-Civitavecchia).
Per quest’ultima, il regalo (270 milioni) arriverà  con lo Sblocca Italia, come promesso al presidente della concessionaria Sat, Antonio Bargone, dal ministro delle Infrastrutture Maurizio Lupi.

Carlo Di Foggia
(da “Il Fatto Quotidiano“)

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