Agosto 7th, 2014 Riccardo Fucile
DOPPIA INTERVISTA AGLI ECONOMISTI ALBERTO BAGNAI E FABIO SCACCIAVILLANI DOPO LE PAROLE DI DRAGHI
Quale scenario prefigurano i tre passaggi del discorso del governatore della Banca Centrale Europea, Mario Draghi, che più riguardano l’Italia?
Lo abbiamo domandato a due economisti, uno favorevole e l’altro critico nei confronti dell’euro: Fabio Scacciavillani, docente e Chief Economist del Fondo d’investimenti dell’Oman, e Alberto Bagnai, professore di Politica economica all’università “Gabriele d’Annunzio” di Pescara
Prima il focus sull’Italia: “Uno dei componenti del basso Pil italiano è il basso livello degli investimenti privati”. Il problema ”è dovuto anche all’incertezza sulle riforme, che scoraggia gli investimenti”. Poi lo sguardo si allarga al continente e indica la strada da seguire: “Per i Paesi dell’Eurozona è arrivato il momento di cedere sovranità all’Europa per quanto riguarda le riforme strutturali”.
Pil, riforme, sovranità : quale scenario prefigurano i tre passaggi del discorso del presidente della Banca Centrale Europea, Mario Draghi, che più riguardano la situazione economica italiana e l’operato del premier Matteo Renzi?
Lo abbiamo domandato a due economisti, entrambi opinionisti, uno favorevole e l’altro critico nei confronti dell’euro: Fabio Scacciavillani, docente e Chief Economist del Fondo d’investimenti dell’Oman, e Alberto Bagnai, professore di Politica economica all’università “Gabriele d’Annunzio” di Pescara.
Quella di Draghi è una bocciatura dell’Italia e delle riforme di Renzi o è un aut aut che sarebbe comunque arrivato perchè la cessione di sovranità è parte integrante del processo di integrazione? Ovvero, la Bce ha nei fatti commissariato l’Italia?
CACCIAVILLANI: “Innanzitutto è improprio personalizzare. Draghi esprime il consenso forgiato in seno alla Bce, un’istituzione governata da un organismo di 24 membri provenienti da 18 paesi. La Bce non ha il potere di commissariare l’Italia, o altro stato membro dell’area euro, così come la Fed non il potere di commissariare il Presidente Obama. La Bce non ha bocciato le riforme di Renzi per il semplice fatto che non si possono definire riforme i pastrocchi abborracciati di cui Renzi e le sue Giovani (e vecchie) Marmotte vantano le mirabilia. La riforma istituzionale in particolare darà vita ad un mistura di Pro Loco strapaesane e vestigia di caudillismo paraguayano. La coincidenza tra il dato negativo del Pil e l’invito ad una maggiore integrazione dei meccanismi decisionali a livello comunitario è meramente casuale. Da decenni si ripete il mantra che l’Unione Europea deve dotarsi di un assetto istituzionale più solido e coerente. Questa crisi è l’occasione storica per scardinare le resistenze della Vandea retrograda nazionalista agli Stati Uniti d’Europa”.
BAGNAI: “La cessione di sovranità è una fuga in avanti per la quale i dati Istat sono solo un pretesto. Con in più un problema fondamentale: Draghi non è stato eletto da nessuno e non ha alcun titolo per dettare la linea economica di uno Stato sovrano. L’attuale processo di integrazione condurrà l’Europa alla catastrofe: l’Eurozona è l’unica area del mondo in cui non si sia tornati al livello del 2008. In questo momento c’è un partito in Italia e in Europa che vuole il commissariamento del nostro paese: per farsene un’idea basta rileggere l’editorale di Eugenio Scalfari di domenica su Repubblica. Questo avviene perchè storcamente l’Italia è il concorrente più temibile della Germania. Proporre il commissariamento dell’Italia sul tema del debito pubblico è una strategia che serve a fare un favore a Berlino. Si tratta di un assurdo, perchè per risolvere il problema si vuole utilizzare la stessa strategia che lo ha creato”.
Che differenza c’è tra la situazione in cui si trova oggi Renzi e quella in cui si trovava Silvio Berlusconi nel 2011?
SCACCIAVILLANI: “Quando Berlusconi fu cacciato a furor di popolo il paese era a pochi giorni dalla bancarotta. Il suo governo non aveva una maggioranza in Parlamento e tra i ministri si intrecciavano congiure. Tremonti in un delirio di autoesaltazione credeva di poter fare la festa al suo padrone e prenderne il potere. Per cui cavalcava la destabilizzazione finanziaria convinto di poter pescare nel torbido la chiave di Palazzo Chigi. Il tributarista socialista era persino convinto di trovare appoggi autorevoli a Bruxelles e Francoforte dove notoriamente del soggetto si parla dandosi di gomito. Renzi al contrario ha una maggioranza solida anche se finora ha speso capitale politico e negoziale per far girare il motore in folle. Inoltre non si trova nel mezzo di una tempesta finanziaria, grazie al bluff della Bce che si è solennemente impegnata a fare qualsiasi cosa per preservare l’euro. Da due anni nessuno è andato a scoprire le carte perchè fa comodo a tutti preservare l’arcano. Ma la situazione sta diventando fragilissima per cui la quiete potrebbe tramutarsi in tempesta nel giro di pochi giorni. Per cui un replay del novembre 2011 non si può certo escludere. Il Pd è pur sempre il partito dei 101 stiletti che si sguainano all”occor-renzi’”.
BAGNAI: “La situazione in cui si trova Renzi è ancora più tragica, perchè il premier non fa nemmeno finta di opporsi all’Unione Europea. Se continua così, finirà maciullato. C’è una parte dell’opinione pubblica che, con molta malizia, è portata a pensare che aver messo al governo un inetto che va in giro dicendo che la crescita non è importante sarebbe una strategia per favorire la cessione di sovranità . Renzi, purtroppo, è un personaggio inaffidabile e rafforza nell’opinione pubblica l’opinione secondo cui al suo posto sarebbe meglio un governo fatto di tecnici”.
Per Draghi “non c’è nulla che la politica monetaria possa fare per sopperire ai ritardi dei governi”. E’ proprio così?
SCACCIAVILLANI: “E’ assolutamente vero. Si può ricorrere a misure straordinarie di politica monetaria per tamponare situazioni di emergenza e organizzare un cordone finanziario. Ma la crisi dura ormai da sette anni e a parte una riforma delle pensioni la cui urgenza era nota da decenni in Italia non si è preso nessun provvedimento significativo. Si sono partorite buffonate retoriche pomposamente denominate SalvaItalia, Decreto Semplificazione et similia”.
BAGNAI: “Non c’è nulla che una politica monetaria di livello europeo possa fare. Una politica monetaria nazionale potrebbe fare molto: per poterne avere una è necessario uscire dall’euro“.
Cosa potrebbe accadere se gli Stati decidessero di non cedere sovranità ?
SCACCIAVILLANI: “Non c’è alternativa: su questo ormai il consenso è quasi unanime. A livello politico due paesi frapponevano ancora ostacoli. La Francia, dove dopo il crollo alle europee persino i socialisti hanno preso atto che le ricette spendi e spandi sono un boomerang, e il Regno Unito che è uscito scornato dalla fase post elettorale e quindi si è dimostrato incapace di opporre veti come un tempo. Io spero che il referendum sulla permanenza dei sudditi di sua Maestà Britannica nell’Ue venga convocato al più presto in modo da eliminare un membro da sempre dannoso per il processo di integrazione. Anzi proporrei di indire un referendum nel resto dell’Ue per votare sulla permanenza del Regno Unito”.
BAGNAI: “Gli Stati decideranno di non cedere sovranità , i vari elettorati non lo accetteranno mai, in primo luogo quello francese. Gli europei avvertono sempre di più questo defict di democrazia che si è venuto a creare con il progredire del processo di integrazione europea e lo rifiuteranno“.
Cosa cambierà per gli italiani in termini pratici se l’Italia cederà sovranità sulle riforme?
SCACCIAVILLANI: “Che finalmente a una classe politica corrotta e incapace, parolaia e collusa con la criminalità organizzata (dai consigli di quartiere fino alle poltrone di governo), venga sottratto il potere di decidere l’utilizzo delle risorse pubbliche per mantenersi al potere, al di fuori di qualsiasi controllo e violando sistematicamente lettera e spirito della Costituzione“.
BAGNAI: “Accadrà che la Bce deciderà quanto pagheremo le cure in ospedale, quale sarà la percentuale delle nostre tasse andranno a finanziare i bisogni di un altro Paese, a quanti chilometri da casa mia sorgerà la scuola in cui andrà mio figlio”.
Marco Pasciuti
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Agosto 7th, 2014 Riccardo Fucile
SARA’ VERO AMORE O SOLO UN CALESSE?
“Amore”. Proprio così. Fabrizio Cicchitto è uno che Berlusconi lo conosce bene. Ed è un burbero. Poco avvezzo ai sentimentalismi.
Usa proprio questa parola per spiegare il rapporto tra Berlusconi e Renzi: “Silvio è innamorato. Considera Renzi il suo vero figlio. Bisogna cogliere questo dato, altrimenti non si capisce la contraddizione, Perchè sulla politica, e in particolare sulla politica economica, Forza Italia dovrebbe essere durissima. E invece… Invece Berlusconi vede in azione il figlio politico, l’erede che ha fatto fuori i comunisti”. Contraddizione che altri non vedono.
Riavvolgendo la pellicola del nastro, a giovedì sera, si colgono i frutti dell’amore. Paolo Romani, uomo Mediaset profondamente legato a Fedele Confalonieri, scandisce in Aula con entusiasmo: “Capisco che non vadano compressi i diritti delle minoranze, ma francamente ritengo che non vadano compressi nemmeno i diritti delle maggioranze”.
Scorrendo col telecomando fino a La7, un livido Pier Luigi Bersani, intervistato a in Onda alla stessa ora, non cela una rabbia fredda: “Abbiamo un’ampia maggioranza parlamentare, dovremmo discutere con tutti ma l’ultima parola non può essere lasciata a Verdini”.
A poche ore dall’incontro tra Renzi e Berlusconi l’aria è cambiata: “Forza Italia — è il refrain a palazzo Madama — si sente in maggioranza, quasi al governo, grazie a Renzi”.
Altri un po’ meno. E chissà se il disegno viene da lontano.
In molti, dentro Forza Italia, ricordano la “profezia di Sallusti” che, in tempi non sospetti scrisse sull’house organ di famiglia che Renzi è “l’erede” che compie la missione storica di Berlusconi e che alle urne si andrà con una cosa tutta nuova guidata da Renzi (ma non con gli ex comunisti) e sostenuta da Berlusconi (con tutto il suo impero).
Chissà . Suggestioni, forse. Perchè è vero che tra i due c’è simpatia, complicità , sentimento.
Qualche giorno fa, in versione particolarmente ciarliera, Berlusconi così ha spiegato la simpatia a un suo interlocutore: “Questo Renzi mi piace perchè è matto come me”. Però Berlusconi è uomo anche molto realista. Che misura il sentimento con l’obiettivo. E non è un caso che nel corso del colloquio a palazzo Chigi si è parlato dei dossier a cui l’ex premier tiene come al sangue che gli scorre in corpo.
A partire dal prossimo inquilino del Colle, il vero oggetto dell’accordo con Renzi. Nel senso che ormai è assodato che sarà eletto insieme. Ma anche Rai e giustizia.
Dossier in nome dei quali il Cavaliere è disposto a perdere che punti di consenso facendo la stampella al governo.
Altro che amore puro, tesi di Verdini, Sallusti, Santanchè. È un “calesse”.
Un calesse che porterà il nuovo inquilino del Colle e le urne, già il prossimo anno.
E che porta la tutela di Mediaset e dell’Impero.
Pier Ferdinando Casini, in un’intervista all’Espresso, la mette giù senza girarci attorno: “Il patto del Nazareno garantirà a Berlusconi la tutela di Mediaset, l’impresa di famiglia”. Ecco, è questo l’oggetto vero del Patto e del reciproco sostegno.
Realismo è sinonimo di cerchio magico, anzi di “cerchio attorno al Magico” (copyright Maria Rosaria Rossi).
Dove, a differenza di Verdini, nessuno ha fatto proprio l’approccio sentimentale dell’amore, vero o inventato che sia.
Giovanni Toti spiega all’HuffPost: “Non è amore. Tra i due c’è stima, e per la prima volta Berlusconi a sinistra ha trovato uno con cui parlare, ma è un patto tra avversari. E Berlusconi è consapevole che le ricette economiche di Renzi, improntate a principi di sinistra non porteranno effetti positivi per il paese”.
Un patto sì, ma senza amore.
L’essenza del rapporto starebbe, soprattutto, nell’indebolimento di Renzi, che sull’approccio alla crisi ha sbagliato previsioni (la crescita), stime (con la spesa pubblica aumentata) e promesse (gli ottanta euro).
E nell’ambizione di Matteo. Soprattutto le ascoltate donne che stanno attorno a Berlusconi hanno colto il tratto spregiudicato dell’uomo Renzi, uno “a cui non importa di stare a destra o a sinistra, ma a cui importa solo stare sopra e non sotto”. Convenienza vuole farlo sentire sopra, almeno per ora.
E proseguire nel Patto a due. Che prevede il sostegno al governo ora.
Ma anche l’ipotesi che si vada a votare il prossimo anno. Sarebbe il “piano A” di Renzi, secondo gli azzurri che contano. Per poi eleggere il nuovo capo dello Stato con un nuovo Parlamento.
Perchè in questo Parlamento Forza Italia ha poco meno di un centinaio di eletti, meno del rassemblement di centro di Alfano, mentre il Pd ha un gruppo fortemente condizionato dai bersaniani.
Il capo dello Stato del Patto del Nazareno necessita di liste a immagine e somiglianza di Renzi e Berlusconi.
Che sia amore o calesse, solo così darà i suoi frutti.
(da “Huffingtonpost“)
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Agosto 7th, 2014 Riccardo Fucile
GLI 80 EURO? ECCO L’ITALIA REALE: IL TURISMO
C’erano una volta le ferie estive degli italiani: i grandi esodi, le colonne in autostrada, gli alberghi strapieni e le ore di attesa al ristorante.
Nel 2014, invece, più della metà del Paese (31 milioni di persone) rimarrà a casa. Secondo una recente indagine di Federalberghi, la crisi economica e il solleone che latita concorrono ad acuire le sofferenze dell’industria del turismo.
Su quale sia il problema principale però non ci sono dubbi: il 58 per cento di quelli che resteranno a casa lo faranno per ragioni economiche.
Anche la riviera romagnola, per sessant’anni il simbolo delle vacanze degli italiani, stenta.
“Notti in cui l’albergo è completo? — mormora tra sè e sè Alessandro Giorgetti, proprietario di un tre stelle a Bellaria —, mentre consulta il calendario delle prenotazioni. Un paio in tutto il mese, quest’anno va così”.
La crisi si vede non solo da quelli che stanno a casa, ma anche da quelli in vacanza ci vanno, ma spendono il meno possibile.
“Quasi la metà dei clienti scelgono l’opzione senza pranzo nè cena, e si arrangiano tra supermercati e piadinerie. E non parlo di ragazzi di vent’anni, ma di clienti storici che hanno sempre scelto la pensione completa”, prosegue Giorgetti.
Per questo sempre più alberghi e Bed and Breakfast la cucina non ce l’hanno nemmeno. Per risollevare la stagione, gli albergatori sono costretti “a sperare nel meeting di Comunione e liberazione. Da un po’ di anni a questa parte, l’ultima settimana di agosto la riempiamo così”, conclude Giorgetti.
Se anche gli italiani che vanno in ferie scelgono soggiorni sempre più brevi (nove notti contro le undici del 2013) e spendono solo 660 euro a testa, Federalberghi si aggrappa all’unica “à ncora di salvezza”: i turisti stranieri (+ 2,5).
Anche questo dato positivo però cela una realtà nient’affatto felice.
L’Italia, che negli anni ’50 era il primo Paese turistico al mondo — un viaggiatore su cinque sceglieva il Belpaese — oggi è scivolata al quinto posto, preceduta nell’ordine da Francia, Usa, Cina e Spagna.
I cugini d’Oltralpe quasi ci doppiano (81 milioni di turisti a 46) perchè non è solo il portafogli più magro a mettere in crisi il sistema turistico italiano, ma anche un’offerta giudicata inadeguata e mediamente cara.
Secondo il Trivago price index, una doppia a Roma costa 31 euro in più che a Berlino, a Milano 50 euro in più che a Madrid.
Per questo l’Italia, nonostante primeggi nella classifica dei Paesi con più siti Unesco, cresce meno degli altri e sempre più italiani (+ 1,4 milioni quest’anno) hanno deciso di spendere i pochi soldi oltre confine
Alessio Schiesari
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Agosto 7th, 2014 Riccardo Fucile
GLI 80 EURO? ECCO L’ITALIA REALE: ALIMENTARI
Le vetrine sono tappezzate di cartelli con la scritta “in offerta”.
È un pomeriggio di agosto e dentro le corsie sono quasi deserte. “Da un anno abbiamo deciso di fare gli sconti ogni due settimane su una quindicina di prodotti freschi, come salumi, frutta e verdura” racconta la responsabile marketing di Alta, supermercato a conduzione familiare in piazza Clemente XI, zona Battistini, capolinea della metro rossa di Roma est, un quartiere di case popolari.
“Io gli 80 euro li ho usati per pagare la bolletta della luce, mica per comprare più carne o pesce”, lo dice una cliente di 25 anni.
Percezione e realtà non si confondono. “I saldi non decollano, nessun beneficio dagli 80 euro” dichiara coi dati alla mano Mario Resca, presidente di Confimprese -. Dopo aver soddisfatto i bisogni essenziali, il 42 per cento degli italiani pensa a risparmiare”.
L’ultimo rapporto Istat sul commercio al dettaglio di fine luglio non lascia scampo: le vendite di prodotti alimentari sono precipitati dell’1,2 per cento in un mese, da aprile a maggio.
Rispetto allo stesso periodo di un anno fa, invece, sono calati dello 0,5 per cento.
A pagarne di più le conseguenze sono le imprese fino a cinque addetti (meno 1,8 per cento rispetto a maggio 2013) e in quelle da sei a 49 impiegati (meno 0,8 per cento).
Il volume di affari della grande distribuzione (almeno 50 addetti), invece, ha registrato una lievissima crescita, dello 0,4 per cento.
Che riempire il carrello nelle catene di marca sia un’abitudine passata per molti italiani sono sempre i numeri a denunciarlo.
Le vendite di ipermercati e supermercati infatti è scesa rispettivamente dell’1,1 e 0,9 per cento. La parte del leone la fanno i discount: più 2,4 per cento in 12 mesi.
Nel quartiere Battistini, oltre al piccolo supermercato, spuntano vicini due discount separati da duecento metri di asfalto.
“Occasione da prendere al volo”: scritta rossa su sfondo giallo appesa all’entrata di un Todis, stessa zona della Capitale.
“Cotolette agli spinaci a 3,49 euro al chilogrammo”, “Hamburger di pollo a 1,30 euro per confezione”: se la carne è in promozione, la gente la compra e la mangia.
“Ci sono più clienti dell’anno scorso – dice la cassiera- solo perchè alcuni hanno deciso di passare le ferie a casa”.
Chi fa spesa qui sono soprattutto le famiglie giovani, età media 40 anni.
Una signora davanti alla cassa tira fuori i contanti per tre barattoli di fagioli: “Ottanta euro in più meglio averli che non averli, anche se non mi cambiano la vita. Li ho usati per per comprare un gioco a mio figlio, vanno accontentati pure loro ogni tanto”.
Facendo una breve salita c’è l’In’s, l’altro discount. “Il nostro target sono gli anziani e gli stranieri – dice il commesso -. In promozione ci sono soprattutto i cibi in scatola”.
Poi si riprende la metro e dopo quattro fermate, in cinque minuti di tempo, si arriva nel quartiere Prati. Studi di avvocati, la Corte di Cassazione vicina, uffici, negozi, vip e turisti per strada.
In piazza Cola di Rienzo, c’è un supermercato Simply, tutta un’altra storia.
“Qui non è cambiato niente, 80 euro in più o in meno nel portafogli non contano. Qui c’è sempre gente, è una zona benestante” commenta il direttore.
Basta imboccare la via perpendicolare e al Despar tra i portoni dei palazzi i dati peggiorano.
“A luglio – taglia corto il capo, che preferisce parlare con una sigaretta accesa fuori – abbiamo venduto il due per cento in meno rispetto allo stesso mese di un anno fa”.
Chiara Daina
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Agosto 7th, 2014 Riccardo Fucile
GLI 80 EURO? ECCO L’ITALIA REALE: LE IMPRESE
“Se fosse per l’Italia saremmo morti”. Il commento finale di Giorgio Sangalli sintetizza il pensiero degli industriali italiani a poche ore dai dati Istat che certificano il ritorno in recessione del Paese.
La Sangalli vetro è il secondo produttore europeo di vetro piano, e il primo italiano (4 stabilimenti e 130 milioni di euro di fatturato), ma in Italia non riesce più a vendere. “Se mi chiedete cosa penso – spiega Sangalli – vi rispondo questo: nel 2007 in Italia si vendevano 1.300.000 tonnellate di vetro. Nel 2013 siamo a 870mila”.
Tradotto in forza lavoro: “Dei quattro stabilimenti esistenti in Italia, due hanno chiuso, con una perdita di oltre il 50 per cento dei posti di lavoro, parliamo di centinaia di addetti”.
È lo specchio della crisi nera del settore che ha trainato il boom economico italiano, e che ora tira giù tutto: l’edilizia (quella residenziale è crollata in di un terzo rispetto al 2012).
“Noi lavoriamo soprattutto per loro, quindi – di fatto – non lavoriamo in Italia, ma solo con l’estero. Al nord, lo stabilimento di San Giorgio resiste grazie alle vendite verso Austria e Baviera. Se fosse per il mercato interno avremmo già chiuso”.
Il crollo dell’edilizia ha affossato anche il comparto arredo.
“Da noi i negozi stanno morendo uno dopo l’altro – racconta Paolo Frattali, titolare di un negozio di mobili a Roma – la classe media è completamente sparita, i professionisti e le commesse estere ci danno un po’ di ossigeno, altrimenti avremmo chiuso a dicembre scorso”.
Dal lato produttori va anche peggio: “Se lavorassi per i mobilifici italiani sarei morto da tempo – spiega Fabio Simonella, per anni responsabile della sezione legno e arredo dell’unione industriale di Pordenone e ad di SinCo, impresa che faceva da terzista a un fornitore di Ikea -Lavoro soprattutto per gli americani, gli ordinativi nativi degli arredatori italiani sono ai minimi storici”.
Dal 2007 al 2012 il mercato del legno e dell’arredo ha perso quasi 14 miliardi di fatturato, 4200 imprese hanno chiuso i battenti.
Il risultato è stato un salasso di 28mila posti di lavoro.
Sono gli effetti del crollo della domanda interna (-2,7 per cento sul Pil, rispetto al 2013), che l’Istat certifica con due righe asettiche: “Il contributo della componente nazionale sulla variazione congiunturale del Pil risulta nullo (…)”.
Quel che è peggio, però, è che “quello estero è addirittura negativo”.
Tradotto: le esportazioni, che finora hanno tenuto a galla la produzione industriale, stanno dando segnali di cedimento.
A fronte della crescita di quelle verso i Paesi europei, a giugno 2014 le esportazioni verso il resto del mondo si sono contratte del 4,3 per cento.
Il saldo è negativo, e quindi impatta negativamente sul Pil.
Se a questo si aggiunge il terrificante dato della Germania sugli ordini di fabbrica diffuso ieri, – 2,4 per cento annuale (si aspettavano un +1,1 per cento), cioè del nostro più grande importatore (48, 4 miliardi di euro nel solo 2013) è difficile immaginare un rimbalzo della nostra economia nei prossimi mesi.
Anche chi non esporta, però, arranca.
“A noi ci salvano i Russi – spiega Lucia – responsabile per l’Italia di una grande multinazionale dell’abbigliamento con centinaia di dipendenti – Finora il calo delle vendite è stato del 10 per cento. Gli italiani non entrano più nei negozi, funzionano solo gli outlet. Si lavora grazie ai turisti. E quest’anno non se ne sono visti molti. Perfino la Spagna è andata un po’ meglio”.
Carlo Di Foggia
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Agosto 7th, 2014 Riccardo Fucile
DOPO AVER POLEMIZZATO SUI COMPENSI DEI MANAGER PUBBLICI, PERCEPIRE UNA CIFRA DI QUEL LIVELLO CONTRASTA CON QUANTO FINO A IERI AVEVA SOSTENUTO
Sarà dunque Massimo Giannini a sostituire Giovanni Floris alla conduzione di Ballarò.
Il contratto sarà biennale e la cifra di cui si parla è intorno ai 450 mila euro l’anno.
Il vicedirettore di Repubblica, in onda dal 16 settembre, dovrà dimettersi dal quotidiano diretto da Ezio Mauro, che pare non abbia intenzione di concedere aspettative.
Dunque, per Giannini sarà una scommessa doppia, visto che in tv finora ci era andato solo come ospite.
La notizia ha fatto saltare sulla sedia il sindacato Usigrai, che ha accusato il direttore generale Gubitosi di buttare i soldi dalla finestra prendendo un esterno e non valorizzando le risorse interne.
“Siamo alla spending review a giorni alterni. O più probabilmente agli spot personali quotidiani. L’ennesima chiamata di un cronista esterno è uno schiaffo ai 1700 in forza alla Rai. E anche alla tanto decantata revisione della spesa”, si legge in un comunicato del sindacato interno di Viale Mazzini.
Sulla questione, ma senza toccare il tema dei conti, risponde il direttore di Raitre, Andrea Vianello, dalle pagine del Corriere.
“La Rai ha grande rispetto per le potenzialità interne, basti vedere la promozione di Gerardo Greco alla conduzione di Agorà . Ma occorre guardare anche alle professionalità esterne. Del resto, lo stesso Floris veniva da fuori”, spiega Vianello. Intanto a Viale Mazzini si traccia l’identikit del nuovo Ballarò: molta economia (a Repubblica Giannini è stato per anni capo dell’economico e ora è il direttore dell’inserto Affari e finanza), più inchieste e servizi di approfondimento sul campo e meno talk show politico.
Anche se è stato proprio il dibattito in studio a fare la fortuna di Ballarò e a far conoscere Giannini al grande pubblico.
Lo stesso Giannini, tra l’altro, nei suoi articoli e nelle partecipazioni televisive ha spesso puntato il dito contro gli sprechi delle aziende di Stato. Eni, Finmeccanica, Enel, Ferrovie dello Stato, Alitalia, Inps. E Rai. Sempre nel mirino. E sul banco degli imputati i supermanager pubblici pagati a peso d’oro.
Nessun imbarazzo, però, adesso, da parte del giornalista, a scivolare verso l’azienda nazionale radiotelevisiva con tanto di mega contratto.
Insomma, chi di spending review ferisce a colpi di articolesse, di spending non perisce, anzi il contrario.
Resta da vedere chi vincerà la partita del martedì sera. Il bel vicedirettore che può vantare molte fan tra il pubblico femminile o l’accoppiata storica “usato sicuro” Floris-Crozza?
Nel frattempo le malelingue si sprecano. I sussurri in arrivo dal quotidiano di largo Fochetti raccontano di un Ezio Mauro non troppo dispiaciuto per la dipartita del giornalista che, negli ultimi tempi, era molto più in sintonia con Carlo De Benedetti che con il suo direttore.
g. l. r.
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Agosto 7th, 2014 Riccardo Fucile
CAMBIA SINDACO E CAMBIA LOGO: MA PER “CAMBIARE VERSO” NEL RIDICOLO ERA MEGLIO CONSERVARE QUELLI DI D’ANNUNZIO… IL SINDACO: “NESSUNA AVVERSIONE, MA BISOGNA GUARDARE AVANTI”
“Piove” sul Poeta. Il nuovo sindaco Marco Alessandrini ha deciso: Pescara non è più ufficialmente “dannunziana”.
Sarà cancellato dalle lettere, dal materiale cartaceo, dai manifesti e dal sito web del Comune il logo “Pescara città dannunziana”, imposto e istituzionalizzato a macchia d’olio dal precedente primo cittadino Luigi Albore Mascia.
Che a sua volta aveva fatto rimuovere ogni traccia di quel “Pescara città vicina” che era stato apposto un po’ ovunque dal suo immediato predecessore Luciano D’Alfonso.
Oggi lo spoil system si esercita anche a livello simbolico.
Come avveniva nel Medioevo.
La decisione è stata comunicata dal sindaco Marco Alessandrini ai suoi dirigenti in una lettera con intestazione ancora “dannunziana”.
Via il vecchio logo inneggiante a Gabriele D’Annunzio, nato in Corso Manthonè, in pieno centro storico pescarese; e ritorno al classico stemma della città di Pescara, “così come è previsto dalla legge e dall’articolo 7 dello Statuto comunale” si legge nella missiva.
Ma “si tratta di una richiesta che non cela alcun furore iconoclasta nei confronti del logo della precedente amministrazione, nè un’avversione nei confronti di d’Annunzio — ha dichiarato in seguito Alessandrini -. È innegabile l’importanza del Vate per la città : è sicuramente stato un gigante, come lo è stato anche Flaiano”.
Cambio-sindaco, cambio-logo? “Pescara non ricorrerà ad alcuna nuova definizione, e il logo precedente non verrà rimosso da dove è stato collocato, impiegando risorse preziosissime per l’Ente — (r)assicura il nuovo sindaco Pd -. Si tratta solo di guardare avanti, alla contemporaneità della città e al suo futuro”.
Nessun impatto, assicurano, sulle casse comunali.
“L’idea non avrà costi, e riguarderà soltanto la futura produzione cartacea del Comune. Fino a esaurimento scorte, continueremo a utilizzare la vecchia carta intestata consacrata all’autore de Il Piacere” spiega Giovanni Di Iacovo, nuovo assessore comunale alla cultura.
Ma che ne pensa di tutto ciò Di Iacovo, scrittore super-pop prestato alla politica? “Che trovo sbagliato utilizzare personaggi storici trapassati a mo’ di logo. Magari contro la loro volontà , se potessero manifestarla”.
Pescara, città non più dannunziana? “Dalle mie parti serpeggia una sorta di feticismo dannunziano. Si usa D’Annunzio come un grimaldello buono per tutto. Lasciamo riposare i morti in pace”.
D’altro avviso il presidente della Provincia di Pescara Guerino Testa. Ente che, non fosse stato per un D’Annunzio ancora in vita e influente, non sarebbe stato istituito, nel remoto 1927. “D’Annunzio, per Pescara, non ha nulla a che vedere con il colore politico degli amministratori in carica, ma tra i primi atti della giunta Alessandrini c’è la cancellazione del logo. Forse per il sindaco e per la giunta questo vuol dire cambiare verso, ma sinceramente mi sarei aspettato qualcosa di più in queste prime settimane di attività , un segno di discontinuità che doveva passare per altro e non attraverso un logo”.
Protestano gli amanti e le amanti del “pescarese più illustre”.
Come Franca Minnucci, scrittrice, curatrice di “Come il mare io ti parlo”, edito di recente da Bompiani, che raccoglie il carteggio d’epoca tra D’Annunzio ed Eleonora Duse: “Sono senza parole — dice la Minnucci -. Non mi scandalizza, anche se non condivido, che si voglia tornare alla vecchia immagine e al vecchio logo di Pescara. Trovo, invece, grave che il sindaco dica che il fatto di avere una città legata a un personaggio della storia del ‘900 come il nostro Gabriele D’Annunzio, lo vede perplesso. Un’affermazione offensiva, non solo per il poeta, per i suoi estimatori, per gli studiosi e appassionati della sua opera: ma per la città tutta”.
Lassù, o laggiù, il “poeta-soldato” D’Annunzio gradirebbe?
Maurizio Di Fazio
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Agosto 7th, 2014 Riccardo Fucile
“MEGLIO FARE UNA SOLA COSA MA FARLA BENE, COMINCIANDO DA LAVORO, GIUSTIZIA E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE”… “IL GOVERNO NON HA IDEE CHIARE SU COSA FARE”
Subito avanti con cinque riforme. Dopo la batosta, Matteo Renzi rilancia, com’è nel suo stile.
L’Istat ha certificato l’Italia è piombata di nuovo in recessione, ma con quelle “garantisco la crescita”, ha ribattuto il premier in un’intervista al Messaggero.
Il “gambler in a rush”, il giocatore d’azzardo che va di fretta come lo ha ribattezzato l’Economist, tira dritto per la propria strada in una bulimia riformatrice che finora ha prodotto tanti incipit entusiasti (e magari anche promettenti) e pochi approdi concreti. Ma che, stando agli indicatori economici e ai pareri degli economisti, non sembra quella giusta.
Partiamo dal presupposto che i problemi dell’economia non si risolvono in pochi mesi, però…”.
Però, professor Tito Boeri?
“Però il governo è partito in quarta con un’agenda di riforme ambiziose e non è andata molto oltre gli annunci. Doveva fare un’altra cosa: doveva cominciarne una e portarla avanti fino in fondo. Bastava fare una cosa e farla bene”.
Eppure, secondo Boeri, docente di Economia alla Bocconi ed ex consulente di Commissione Ue, Bce e Banca Mondiale, la scelta era ampia: “Poteva cominciare dal lavoro, per esempio. Oppure dalla giustizia: le aziende straniere non investono in Italia per paura della lunghezza dei processi. Avrebbe potuto portare a termine la riforma della Pubblica Amministrazione, che è un fatt0re di competitività molto importante per le imprese”.
Invece?
“Invece Renzi è partito da una misura come il bonus di 80 euro, commettendo un errore: non ha trovato subito i finanziamenti per renderlo strutturale. In questo momento le famiglie si domandano: ‘Quanto durerà ?’. E questa incertezza pesa: se le persone non hanno la sicurezza che quei soldi continueranno ad arrivare anche in futuro, di certo non li spendono. Infatti gli effetti sui consumi sono risultati molto relativi”.
Secondo molti sarebbe stato meglio abbassare il peso fiscale sulle aziende, tagliando l’Imposta regionale sulle attività produttive, ad esempio.
“Il punto centrale sono sempre le coperture: se le imprese non hanno la sicurezza di poter contare su quelle risorse sul lungo periodo non investono e non assumono. Sarebbe stato meglio a questo punto, e lo dico da tempo, agire sui contributi sociali: sarebbe risultato più semplice e ne avrebbero beneficiato sia i lavoratori che le imprese”.
Ora la mazzata arrivata dall’Istat: per Boeri non era poi così difficile prevederla. “Renzi ha voluto negare la difficoltà del momento — continua il professore, fondatore del sito di informazione economica lavoce.info — quelle indicate nel Def sono stime di crescita non in linea con i dati che emergevano da tempo. C’erano segnali chiari, come l’andamento della produzione industriale: si prevedeva la stagnazione, ora l’Istat ci dice che siamo in recessione. Il problema, però, non sono i decimali, il -0,1 oppure il -0,2%. Il messaggio è che l’Italia è una malata grave, è afflitta da i grossi problemi di fondo che conosciamo e ha dovuto affrontare due pesantissime recessioni in pochi anni”.
I pochi segnali positivi dell’inizio del mandato di Renzi sono stati spazzati via da un comunicato dell’Istituto centrale di statistica: “Anche tra il 2009 e il 2011 ce n’erano stati, ma la crescita era bassissima. Per ripartire davvero ci vuole ben altro”.
Gli appelli ad avere “coraggio e orgoglio“, alla voglia di cambiare, a tirare dritto sul percorso delle riforme non bastano.
“Il premier ha giocato fin dall’inizio la carta dell’ottimismo. Ma come dimostrano i 10 anni di politica economica di Berlusconi il falso ottimismo genera pessimismo. Oggi paghiamo lo scotto di quella decade sprecata: lui e Tremonti hanno avuto 10 anni per cambiare l’economia e la storia di questo Paese e ora siamo in questa situazione per colpa loro”.
Renzi è partito di slancio, il suo dinamismo ha fatto intravedere la possibilità di una scossa positiva, ma nel bilancio pesano le molte riforme iniziate e non portate a termine come quella del lavoro, che per Boeri fotografa il momento che il governo e l’Italia stanno attraversando: “Perchè il Jobs Act si è arenato in Parlamento? Perchè la maggioranza non ha le idee chiare su cosa vuole fare”.
Marco Pasciuti
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Agosto 7th, 2014 Riccardo Fucile
IL CAPO DELLA BCE RICORDA A RENZI LE PRIORITA’: “RIFORMARE LA BUROCRAZIA E IL MERCATO DEL LAVORO”… BCE PRONTA A USARE IL BAZOOKA
Mario Draghi, da Francoforte, ribadisce l’avvertimento che ieri il Wall Street Journal aveva fatto nei confronti del Governo Renzi e cioè che sulle misure economiche non ci siamo.
Il calo del Pil in Italia è stato determinato anche dalla debolezza degli investimenti, che a loro volta può riflettere “la generale incertezza che circonda le riforme economiche”, ha affermato il presidente della Bce Mario Draghi, citando giustizia e competitività .
Sull’Italia poi circolano molte “storie” che scoraggiano gli investitori, ha aggiunto.
“Ci sono storie di investitori che vorrebbero creare fabbriche e creare posti di lavoro”, che però richiedono innumerevoli autorizzazioni e mesi.
“Ci sono storie di giovani che vorrebbero mettere su una attività – ha insistito – ma servono nove mesi”.
Sul fronte ‘inflazione, Mario Draghi è pronto a usare il bazooka.
Ovvero il Quantitative Easing, l’acquisto in larga scala di titoli. La Bce è pronta ad intervenire con altre misure non convenzionali e potrebbe uscire dalla cosiddetta politica del “wait and see”: “Abbiamo intensificato i lavori preparatori per acquisti titoli Abs”, spiega il presidente Mario Draghi, aggiungendo che nel caso in cui la previsione di medio termine dell’inflazione dovesse cambiare, l’Eurotower è “pronta a acquisti Abs e Quantitative Easing”.
In tal senso, un eventuale quantitative easing della Bce “includerebbe sia titoli di Stato sia asset privati”.
Le aspettative di inflazione sono calate solo a breve termine, ha detto Draghi. “Non abbiamo visto – spiega – nessun declino a medio termine delle aspettative di inflazione”.
Al termine della riunione, la Banca Centrale Europea ha lasciato invariati tassi al minimo storico dello 0,15%.
Il presidente Draghi ha dichiarato: “Il consiglio della Bce è unanimemente determinato a usare anche misure non convenzionali se fosse necessario, come il Quantitative Easing, cioè l’acquisto di bond su larga scala. Gli interventi riporteranno l’inflazione verso l’obiettivo del 2%. Gli ultimi dati sull’area euro confermano il quadro di prosecuzione di “una ripresa moderata e diseguale”, assieme a “bassa inflazione e dinamiche sommesse del credito”, ha aggiunto.
(da “Huffingtonpost”)
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