Agosto 16th, 2014 Riccardo Fucile
FINALMENTE UNO CHE PARLA CHIARO: “IL SOCCORSO IN MARE E’ OBBLIGATORIO IN BASE A TUTTE LE CONVENZIONI E A TUTTI I CODICI DI NAVIGAZIONE, INUTILE FARE DEMAGOGIA”…”SU 101.480 PROFUGHI ARRIVATI, SOLO 35.424 HANNO CHIESTO PROTEZIONE, GLI ALTRI HANNO RAGGIUNTO ALTRE NAZIONI DOVE HANNO PARENTI”… “NESSUN RISCHIO TERRORISMO”…”ATTUALMENTE OSPITIAMO SOLO 53.243 PROFUGHI”
“L’Italia spende 28 milioni ogni tre mesi, 300 mila euro al giorno, per salvare vite e far fronte ad un esodo senza uguali dal secondo dopoguerra. È chiaro che non possiamo andare avanti in questo modo. È certo che non possiamo più farlo da soli”.
Domenico Manzione è il sottosegretario all’Interno con delega all’immigrazione e l’uomo che finora ha permesso, con l’ausilio di prefetture, enti locali e la rete del volontariato la gestione quasi ordinaria di un’emergenza straordinaria evitando, finora, che assumesse contorni drammatici.
Il ministro Alfano ha dichiarato che “presto Mare Nostrum cesserà ”. Un auspicio o una certezza?
“A fine settembre il governo dovrà trovare nuovi fondi, altri soldi, per finanziarla per altri tre mesi, non possiamo andare avanti all’infinito in questa nostra solitudine. Detto questo, dubito fortemente che possano cessare a settembre: le condizioni geopolitiche nel quadrante africano e mediorientale ci dicono che i flussi migratori potrebbero invece crescere. La certezza è invece che da subito deve essere massima l’assunzione di responsabilità da parte dell’Europa”.
Il commissario Malmstrom, il ministro dell’Interno europeo, ha già detto che “Frontex non ha i mezzi per affrontare l’emergenza”
“Con tutto il rispetto per il commissario Malmstrom, la struttura Frontex (agenzia europea per la gestione delle frontiere esterne degli Stati membri, nata nel 2005 con sede a Varsavia, ndr) si può sempre attrezzare per svolgere la sua mission. Che non è più quella per cui è nata, il respingimento di un flusso migratorio importante dai paesi più poveri verso paesi ricchi. Frontex adesso deve calibrarsi per fare fronte ad un’accoglienza obbligatoria di flussi di profughi e rifugiati che le stesse Nazioni Unite stimano essere i più intensi dal secondo dopoguerra”.
Intanto il tempo passa, il semestre europeo a guida italiana è iniziato a luglio, l’emergenza immigrazione doveva essere la prima emergenza e non si muove nulla.
“Nei primi incontri con i ministri degli Affari Interni e di Giustizia della Ue sono stati ribaditi i principi e l’emergenza. Malmstrom, inoltre, è il commissario uscente e, per quanto punti ad essere confermata, in questo momento non è in condizioni di decidere nè di fare promesse”.
I finanziamenti ?
“Per ora sono circa 300 mila euro spalmati in sette anni. Nulla rispetto ai 28 milioni spesi dall’Italia ogni tre mesi per la missione mare Nostrum. A cui poi dobbiamo aggiungere il costo del Piano strutturato di accoglienza a cui il Viminale ha destinato 700 milioni”.
Perchè Bruxelles è così latitante?
“Fronteggiare queste emergenze non è politicamente conveniente per nessun governo. Detto questo, credo ci sia un punto che ancora non è stato chiarito: il servizio di pattugliamento e soccorso in mare è obbligatorio in base a tutte le Convenzioni e a tutti i codici di navigazione. Chiarito che non ci sono alternative, l’Europa deve fare due ulteriori passi: capire che il soccorso in mare implica obblighi e costi diversi da una più semplice accoglienza a terra; attrezzarsi per un Piano europeo di accoglimento finalizzato a riequilibrare la distribuzione dei richiedenti asilo in tutti i singoli paesi membri. Significa tot all’Italia, alla Germania, alla Francia e via di questo passo. Serve un tavolo europeo”
C’è il rischio di un altro 3 ottobre 2013, con 386 morti accertati nel mare di Lampedusa
“Il rischio è alto anche se Mare Nostrum finora lo ha impedito. Proprio per questo il Tavolo europeo dovrebbe anche cominciare a ragionare sulla creazione di un soggetto internazionale, le Nazioni Unite o altro, che facciano il soccorso a terra nei paesi di transito, prima cioè che i migranti raggiungano le coste da dove partono per l’Europa. In questo modo si impedirebbe alle organizzazioni criminali di lucrare sulla disperazione”.
Un’idea molto raffinata.
“Forse. Ma l’unica se si vuole affrontare questa emergenza epocale che continua a crescere. Adesso cominciano ad arrivare anche dal Pakistan. La situazione in Ucraina è delicatissima. Per non parlare della Libia. Cosa succede se queste popolazioni sono costrette a fuggire dai loro paesi?”.
101.480 gli arrivi dal primo gennaio 2014. E però le richieste di protezione internazionale (rifugiati, protezione sussidiaria, motivi umanitari) sono solo 35.424, meno della metà . Perchè così poche se si tratta di popolazioni in fuga da guerre e persecuzioni?
“Perchè molti, la maggior parte, rifiutano di farsi identificare. Temono i tempi lunghi delle procedure italiane e di restare bloccati anche un anno quando invece molti di loro sanno già dove andare, da qualche parente che vive nei paesi europei. Noi avviamo le identificazioni già sulle navi, loro rifiutano e quando scendono nei vari porti, spariscono. Esistono organizzazioni di passeurs che li prendono in carica nei porti di arrivo e li guidano fino a Milano che è diventato il punto di partenza per i paesi europei. Il tutto, ovviamente, facendosi pagare”.
E noi non lo impediamo?
“Vorrebbe dire trattenerli nei Cie quando è solo gente che vuole raggiungere pezzi di famiglia in Europa. Abbiamo invece aumentato da 10 a 30 le Commissioni territoriali per i rifugiati per abbreviare i tempi”.
Risulta che nelle strutture temporanee e nei Sprar (Sistema protezione richiedenti asilo) siano ospitate solo 53.243 stranieri. Ancora una volta, non sono troppo pochi rispetti agli arrivi?
“Possiamo dire che il 25% ha raggiunto nei modi che dicevo prima il resto d’Europa, gli altri si sono già resi indipendenti da soli: hanno un pezzo di famiglia in Italia, hanno aderito a progetti pilota di formazione e avviamento al lavoro. Non dobbiamo più assisterli”.
Esiste un rischio terrorismo in questi flussi migratori?
“È gente che scappa dalla guerre. Il rischio infiltrazione non è più alto rispetto a prima”.
(da “Huffingtonpost“)
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Agosto 16th, 2014 Riccardo Fucile
CI VUOLE PERIZIA ANCHE NEL DIRE SCIOCCHEZZE
Prima l’indecente epiteto di Ebolino affibbiato al premier da Grillo, in sprezzo alle più elementari regole di civiltà vista la gravità dell’emergenza umanitaria in corso, ora il delirio geopolitico di Di Battista che comprende la linea politica dell’Isis e vorrebbe aprire un dialogo con i terroristi… dopo aver difeso la linea della fermezza a suo tempo, come nota un ispirato Spinoza su twitter, quando c’era da chiudere ogni boccaporto nei confronti del temibilissimo Bersani.
Scorrendo i commenti al blog del leader, qualcuno prova anche a chiedersi che senso abbiano operazioni del genere, che lasciano il fianco aperto a critiche, strumentalizzazioni e ad attacchi. Più che giustificati, aggiungiamo noi.
Che succede a quella che fu la tosta opposizione del M5s?
È una questione di carenza di ispirazione o di stanchezza politica di guru e spin doctor del movimento?
È una conseguenza del conflitto a bassa intensità tra l’ala dura e l’ala di palazzo personificata dal tattico Di Maio?
Probabilmente la sommatoria di tutti questi fattori.
L’estate, per i partiti e per la loro propaganda, è un periodo difficile da gestire, ma anche una frontiera da riempire con contenuti che possono, complice il tam tam da spiaggia, scaldare i cuori di elettori vecchi e nuovi.
Grande protagonista in questo senso fu la Lega del periodo d’oro, che lanciava boutade inenarrabili, buone a scandalizzare mezzo paese e a consolidare lo zoccolo duro, che va detto, è comunque abbastanza sui generis.
Ci vuole comunque una certa perizia per dire sciocchezze politiche e poi capitalizzare in termini di consenso.
Ne sa qualcosa Angelino Alfano che ci ha provato e si è bruciato in questi giorni con la storia dei “vu’ cumprà “.
Che poi le occasioni per un’opposizione più seria non mancherebbero.
Si voleva attaccare Renzi? Bastava criticarlo per aver fatto un tour sostanzialmente inutile e ansiogeno al Sud, un’oretta a città , e non aver trovato lo spazio di un tweet in memoria del povero reporter, italiano e coetaneo del premier, Simone Camilli (o per andare al suo funerale).
Per non parlare del silenzio assordante di Palazzo Chigi sul conflitto di Gaza.
Altro che Ebolino e dialogo con i terroristi della jihad.
Stefano Baldolini
(da “Huffingtonpost“)
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Agosto 16th, 2014 Riccardo Fucile
STRAPARLA DI ISIS E TERRORISMO E FA SOLO UN FAVORE AI TROMBONI DELLA POLITICA
“Dovremmo smetterla di considerare il terrorista un soggetto disumano con il quale nemmeno intavolare una discussione. Questo è un punto complesso ma decisivo. Nell’era dei droni e del totale squilibrio degli armamenti il terrorismo, purtroppo, è la sola arma violenta rimasta a chi si ribella. E’ triste ma è una realtà “.
Le parole del grillino Alessandro Di Battista che in un lunghissimo post fornisce la sua personale opinione sul terrorismo in genere e sulla “logica politica” dei miliziani dell’Isis, hanno creato una sollevazione bipartisan nel mondo politico.
In questa calda metà di agosto, il messaggio di Di Battista (che ha sottolineato come “l’obiettivo politico dell’ISIS, ovvero la messa in discussione di alcuni stati-nazione imposti dall’occidente dopo la I guerra mondiale ha una sua logica”) ha scaldato gli animi di molti esponenti di forze diverse.
Dalla Santanchè a Rostan, da Librabdi a De Poli, sono in molti a condannare l’uscita del grillino.
Spinoza ad esempio, twitta: “Di Battista sull’Isis: “Il terrorista non è un soggetto disumano con il quale non si può dialogare”. Quello è Bersani”.
“Le parole del senatore Di Battista non vanno sottovalutate perchè rappresentano un pericolo per la tenuta di principi sui quali non si può transigere, e anche perchè delineano un indirizzo preoccupante della politica estera del M5S”, afferma Debora Serracchiani.
Dura Nunzia De Girolamo, presidente dei deputati Ncd: “Mentre migliaia di uomini sono trucidati, bambini rapiti e donne massacrate Di Battista cerca il suo momento di notorietà . Fa pena la sua ignoranza, indigna la sua arroganza”.
“Al di la del grave deficit di analisi della vicenda irachena – scrive in una nota Emanuele Fiano, responsabile sicurezza del Pd – quello che è ancor più insopportabile nelle parole di Di Battista è la copertura morale che nel suo post da al gesto terroristico in sè. Il nostro Paese ancora piange le decine di morti e feriti degli anni di piombo: anche gli autori di quelle stragi, di quei morti, erano soggetti da elevare al rango di interlocutori?”
Tranchant il senatore di Forza Italia Francesco Giro: “Le dichiarazioni di Di Battista sono stupide e inutilmente provocatorie. Fanno parte del personaggio. Spiace perchè sono parole che giungono nel giorno in cui si celebrano i funerali del giovane fotoreporter Camilli che con i suoi reportage ci racconta la tragedia di Gaza attraverso storie anche piccole e minute di uomini donne e ragazzi che vivono con grande dignità e coraggio la loro tragedia con la speranza nel cuore di giustizia e pace”.
Parole di condanna anche da Stefano Pedica del Pd che sottolinea: “Al delirio grillino non c’è mai fine. Arrivare a dire che dovremmo smetterla di considerare il terrorista un soggetto disumano fa capire che forse Di Battista a Ferragosto deve aver preso un brutto colpo di sole”.
Dello stesso avviso Antonio De Poli dell’Udc: “Giustificare il terrorismo è un gesto di ignoranza che ferisce la comunità occidentale. Sono parole vergognose. I peggiori complici dei terroristi sono quelli che pensano di giustificare l’orrore della violenza attribuendo ad essa una finalità storica positiva. I tuttologi cinque stelle si fermino a riflettere, una volta tanto”, conclude De Poli.
Anche i social network si schierano contro il post di Alessandro Di Battista. Molti i tweet che condannano severamente le parole del grillino. “#DiBattista dimentica che è un po’ improbabile riuscire a dialogare con chi ha una visione dogmatica della vita…”, scrive uno. “#DiBattista : “Non sto approvando il terrorismo in Iraq, sto solo cercando di capire”. Ok, ma allora studia in silenzio”, aggiunge un altro. “Allibita dalle dichiarazioni su terrorismo e Isis del grillino #DiBattista.Imbarazzante che un imbecille del genere sieda in Parlamento” aggiunge un altro.
(da “Huffingtonpost“)
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Agosto 16th, 2014 Riccardo Fucile
TASSO AL 3,07% CONTRO UNA MEDIA EUROPEA DEL 2,71%… DA ICI A IMU A TASI E SCHIZZA IL PESO DEL FISCO
Non bastasse la recessione, il livello record della disoccupazione e il calo del potere di acquisto degli stipendi
A incidere sull’economia delle famiglie italiane sono anche le spese per il mutuo, in media le più alte dell’Eurozona: a maggio di quest’anno, il tasso medio d’interesse sui prestiti per acquisto di abitazioni si è attestato al 3,07 per cento.
Il che equivale a 36 punti base in più rispetto al 2,71 per cento del resto d’Europa.
Una dato contenuto in uno studio di Confartigianato, in cui si rivela come il mercato immobiliare sia sempre più zavorrato dal peso del carico fiscale: in 2 anni le tasse sulle abitazioni sono aumentate del 107,2%, con il passaggio dall’Ici all’Imu e ora alla Tasi.
Non stupisce, allora, che il mercato dei mutui abbia avuto una nuova battuta d’arresto: è diminuito lo stock complessivo di mutui concessi alle famiglie: sempre a maggio, l’ammontare è stato di 360,1 miliardi, in flessione dell’1,1 per cento rispetto all’anno scorso.
Il maggio calo, su base regionale, si registra in Abruzzo (-4%), Basilicata (-3,4%), Molise (-3,4), mentre sono in aumento in Trentino Alto Adige (+1%).
“Sconcertante” è il divario nord-sud: l’80,7 per cento dei mutui è stato concesso nelle regioni del centro-nord e solo il rimanente 19,3 per cento nel Mezzogiorno, dove per altro si registrano i maggiori cali sulle somme erogate, con Abruzzo (-4 per cento), Basilicata e Molise (-3,4 per cento).
A pesare sulla crisi del mercato immobiliare, secondo il rapporto, “c’è anche la tassazione, che tra il 2011 e il 2013, nel passaggio da Ici a Imu, è aumentata del 107,2%.
E con l’introduzione della Tasi, (la nuova tassa sui servizi indivisibili) le cose potrebbero peggiorare”.
L’applicazione del nuovo tributo ad aliquota base “farebbe crescere il prelievo fiscale del 12%, mentre se venisse applicata l’aliquota del 2,5 per mille la tassazione sull’abitazione principale aumenterebbe addirittura del 60% rispetto al 2013”.
I numeri, del resto, parlano dell’edilizia come di un settore in crisi: tra giugno 2013 e giugno 2014, le aziende del settore sono diminuite dell’1,7%.
Ancor più negativo l’andamento delle imprese edili artigiane che nell’ultimo anno sono calate del 2,7%.
Quanto agli occupati, sono 1.496.920 i posti di lavoro nelle costruzioni, la contrazione nell’ultimo anno si attesta a – 4,8%.
Le imprese del settore costruzioni sono anche quelle che ‘soffrono’ maggiormente la diminuzione dei finanziamenti bancari: tra aprile 2013 e aprile 2014 lo stock di credito è calato del 10,8% rispetto alla flessione del 6,7% registrata dal totale delle imprese.
Peggiora anche la qualità del credito all’edilizia: i tassi di interesse sui prestiti bancari alle aziende si attestano al 7,21% a fronte del 6,48% applicato al resto delle imprese
“Qualche spiraglio di luce – conclude l’organizzazione degli artigiani – si intravede nel trend delle compravendite immobiliari, che nel primo trimestre 2014, per la prima volta dopo 8 trimestri consecutivi di calo, sono cresciute dell’1,6% rispetto a marzo 2013”.
Inoltre, nello stesso periodo, “il prezzo delle abitazioni è diminuito del 5,3%”.
Luca Pagni
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Agosto 16th, 2014 Riccardo Fucile
MENTRE ERA IN CORSO IL BANDO, LA DIREZIONE HA CAMBIATO L’ELENCO DEI PAESI PRIORITARI: UNA SERIE DI PROGETTI PASSANO COSI’ DAVANTI AD ALTRI
Potrebbe finire in Procura l’ultimo pasticcio sotto il tappeto della Cooperazione. “Credo ci sia un errore nelle graduatorie”.
Il primo ad accorgersi del problema, senza magari coglierne pienamente la gravità , è stato un cooperante. Qualcosa non va nelle ultime graduatorie dei progetti approvati a fine giugno e ammessi al finanziamento per 14,4 milioni di euro dal ministero degli Affari esteri.
“I numerosi progetti presentati sull’Ecuador sono stati valutati come se il paese non fosse prioritario. La delibera del bando faceva invece riferimento alle linee guida 2013-2015, nelle quali l’Ecuador è paese prioritario. La cosa risulta anche alle altre organizzazioni che hanno proposto progetti sull’Ecuador?”.
La domanda viene postata sul sito Infocooperazione.it e da lì ha inizio un terremoto sotterraneo che manda in fibrillazione il settore, con tante ong pronte a bussare, con ricorsi e denunce alla mano, alle porte della Direzione generale per la Cooperazione.
Quel che è emerso, senza smentite da parte del Mae, è che col bando in pieno svolgimento qualcuno, a Roma, ha pensato bene di modificare l’elenco dei cosiddetti “paesi prioritari”, introducendo — per così dire — una variante in corso d’opera. L’Avviso Pubblico del bando, pubblicato in Gazzetta il 3 dicembre 2013, all’articolo 8 comma 5 faceva riferimento esplicito alle linee guida 2013-2015 (pag.16). In seguito, con delibera della Direzionale del 27 marzo 2014 venivano emanate le nuove linee guida 2014-2016 (pag.27) con una geografia delle priorità profondamente cambiata: da 24 si passava a 20 Paesi; Guinea, Ecuador, Vietnam e Iraq erano del tutto spariti.
Un tratto di penna, zac. Gli esiti pubblicati a fine giugno sembrano confermare il sospetto che la variante abbia prodotto una spaccata da biliardo sulle graduatorie, alterando il giudizio della Commissione: tra i 173 progetti ritenuti idonei (guarda) ben 10 riguardavano l’Ecuador ma nella graduatoria finale se ne trovano soltanto due, mentre non c’è traccia alcuna di quelli destinati a Guinea e Iraq.
Evidentemente, alcune Ong sono state penalizzate dalla variante, scivolando o uscendo dalla graduatoria, altre ne hanno ricavato invece un beneficio, ottenendo punteggi più alti.
E son milioni che ballano, da una parte e dall’altra.
Non l’hanno presa bene, gli esclusi. Tanto che i loro legali rappresentati pronti dossier da tempo dossier da depositare in Procura, ai Tar e ovunque pur d’invalidare il bando. Per i ricorsi ordinari hanno tempo fino alla prima decade di settembre e finora, a quanto pare, nessuno si è mosso.
Le grandi organizzazioni che le rappresentano — tra cui Aoi, Cini, Link 2000 e altre — stanno tentando infatti di tenere a freno i soci tentati dalla fuga in avanti, verso tribunali e pubblici ufficiali.
E il perchè è presto detto: un annullamento che restituisse giustizia alle ong danneggiate dal cambio di “priorità ” provocherebbe un danno a quelle che ne hanno ottenuto invece un beneficio.
E siccome le rappresentano entrambe, come uscirne senza danni è diventato per loro il complicatissimo rebus dell’estate.
“Abbiamo chiesto un incontro al viceministro Lapo Pistelli e al direttore generale Giampaolo Cantini per evidenziare il problema e verificare la loro disponibilità politica e fattiva per trovare modalità e strumenti per “sanare” la situazione che si è creata, evitando penalizzazioni per i “beneficiati” e gli “ingiustamente esclusi”, ha spiegato Silvia Stilli, portavoce dell’Associazione delle organizzazioni italiane di cooperazione e solidarietà internazionale.
Gli incontri si sono poi tenuti a fine luglio, ma l’approccio morbido e “politico” si è rivelato per ora infruttuoso.
La pretesa di incollare i cocci rotti e salvare tutto il vaso si è tradotta in una proposta difficile da far passare al ministero. In sostanza verteva sulla possibilità di rimediare con il prossimo bando, quello di ottobre, utilizzando le graduatorie esistenti. Ammettendo cioè soltanto i progetti rimasti fuori dall’ultima tornata.
Dal lato Farnesina il rimedio dev’esser sembrato peggiore del male.
Quell’opzione, infatti, avrebbe esposto l’amministrazione al rischio di una seconda ondata di ricorsi da parte di nuovi soggetti esclusi e stavolta non per un eventuale errore ma deliberatamente.
Così, la proposta — a quanto riferiscono le Ong — non è stata neppure presa in considerazione. E la vicenda pende tutt’ora, irrisolta.
Interessante è capire perchè non è venuta fuori per un mese e mezzo.
Perchè nessuno ne parla, nonostante riguardi il sospetto di assegnazioni irregolari di quasi 15 milioni di euro?
Tra le altre risposte plausibili, oltre all’impasse tutto interno alle ong descritto prima, c’è una ragione di fondo: il coltello dalla parte del manico, quando si parla di fondi di cooperazione, ce l’ha sempre e ancora la Farnesina, almeno fino a quando non sarà operativa la nuova Agenzia per la Cooperazione che dovrebbe avere più ampia autonomia. In soldoni: chi volesse impuntarsi, procedendo per vie legali, potrebbe finire per danneggiare anche se stesso, esponendosi a eventuali “rappresaglie” nei bandi successivi.
“Da questo punto di vista siamo sempre ricattabili”, ammette a denti stretti il presidente del Coordinamento delle Organizzazioni non governative per la Cooperazione Internazionale allo Sviluppo, Giancarlo Malvolti. Non solo.
Gli arditi che alzassero la testa potrebbero danneggiare anche le altre ong, bloccando di fatto l’erogazione dei fondi già assegnati per effetto del bando.
E sarebbe un bel guaio per tutti, anche in vista della stesura della Legge di Stabilità , che richiederà a tutti di lottare per assicurare risorse al settore.
Come sempre si attende il miracolo di San Gennaro, con i fondi che si trovano all’ultimo grazie a uno sfiancante pressing su partiti e Parlamento.
Un passo falso comprometterebbe tutto. Con la beffa finale, stavolta, che anche i soldi già stanziati e non erogati entro l’anno, a causa dei possibili ricorsi, tornerebbero indietro lasciando tutti i cooperanti a bocca asciutta.
Anche se il pasticcio lo hanno subìto, mentre l’amministrazione, probabilmente l’unica responsabile, continua a dormire sonni tranquilli.
Thomas Mackinson
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Agosto 16th, 2014 Riccardo Fucile
EX PARLAMENTARI QUOTIDIANAMENTE AFFOLLANO IL TRANSATLANTICO: LETTURA DEI GIORNALI, PENNICHELLA E BUVETTE… SPERAVANO CHE LA CAMERA NON ANDASSE IN VACANZA: “E ORA COSA FAREMO FINO AL 4 SETTEMBRE?”
Fino all’ultimo minuto hanno sperato che la Camera dei deputati non andasse in vacanza. Troppo lontana la ripresa dei lavori, il 4 settembre. “Cosa faremo fino a quel giorno? Come occuperemo il nostro tempo?”.
La disperazione, manco a dirlo, non arriva da uno dei 630 deputati eletti nel febbraio del 2013. Attanaglia, invece, i pensieri degli ex parlamentari che quotidianamente affollano il Transatlantico e i corridoi di Montecitorio.
Ex parlamentari che continuano a varcare l’ingresso di Montecitorio come se fossero ancora in carica. Con una costanza che lascia di sasso. E che maliziosamente lascia scappare a un commesso di piazza del Parlamento la seguente affermazione: “Guardi, quando erano in carica non venivano con questa frequenza”.
Ex parlamentari che adorano ancora oggi fregiarsi del titolo di “on.”, indossano abiti sartoriali acquistati in uno dei vicoli del centro della Capitale, e si atteggiano a decani della politica italiana in virtù dei gradi cuciti addosso.
In una tradizione che da nord a sud varia e assume un significato e una colorazione differente.
Di fatto, spiega il senatore Augusto Minzolini (ex cronista parlamentare, conoscitore degli angoli del palazzo come pochi), “ai tempi della Prima Repubblica il ruolo delle istituzioni era sacrale. Sì, resta un atteggiamento attento a quei ruoli perchè c’è chi l’ha vissuto soprattutto come un elemento sano. Ma prima con la Lega, poi con l’avvento del M5s, al nord questo concetto è venuto meno. Mentre al sud il valore del concetto del deputato “onorevole” è superiore”.
Un atteggiamento di rispetto nei confronti delle istituzione che porta uno come l’ex Dc Calogero Mannino — sei legislature sulle spalle, più volte ministro — a ri-frequentare i corridoi del Palazzo un paio di giorni a settimana.
Il siciliano adora la giornata montecitoriana. Prima lo sfoglio dei giornali nella raffinatissima sala lettura adiacente al Transatlantico, poi un caffè alla buvette per un saluto ai commessi, e, infine, uno scambio di battute con vecchi amici, come un altro ex ministro democristiano come Paolo Cirino Pomicino o come Salvatore Cardinale, altro ex ministro, anche lui sicilianissimo e anche lui frequentatore del palazzo come pochi, che dalla Dc passò al Ccd e poi all’Udeur, al Ppi e alla Margherita.
Scorrendo l’album dei “nostalgici” non si può non annoverare l’ex segretario generale della Cisl, Sergio D’Antoni.
Dopo tre legislature con le fila dei democratici, l’ex sindacalista ha il record di presenze fra gli ex parlamentari che non abbandonano il palazzo.
E non manca giorno che non si scorga la sua sagoma. Allieta i cronisti parlamentari, chiacchiera con l’ex segretario Pier Luigi Bersani, e cura “principalmente” l’attività di lobbying al punto che recentemente è stato nominato ai vertici del Coni Sicilia. Però. La lunga lista dei “nostalgici” di Montecitorio arriva giù giù fino all’ennese Vladimiro Crisafulli, “Mirello”, noto alle cronache nazionali per essere stato escluso dalle liste dei candidati (prima delle elezioni 2013) perchè “impresentabile”.
Ma anche per una affermazione che resterà nella storia della politica italiana: “Ad Enna vinco anche con il sorteggio”.
Raggiunto telefonicamente, il siciliano cerca di spiegare con il solito piglio le ragioni del presentismo: “Io ho i miei problemi a Roma che non c’entrano nulla con Montecitorio. Non sono un nostalgico. Vado spesso a trovare il mio amico Angelo Capodicasa e il segretario regionale del Pd (che è Fausto Raciti, deputato Pd, ndr). Avimu voglia di parlare dei problemi della Sicilia”.
E i problemi tende ad allontanarli rifugiandosi a Montecitorio l’ex deputato Gustavo Selva. Lui insidia per presenze D’Antoni. Dalla colazione alla pennichella pomeridiana in un divanetto della sala lettura, Selva usufruisce di tutti i servizi del palazzo.
Del resto, confessa, “io abito a Piazza del Parlamento. Ma guardi, io sono uscito dalla vita parlamentare per mia volontà nel 2008. La mia è una situazione differente…”. L’elenco continua e sfiora tutto l’arco costituzionale.
Annoverando democratici come Anna Paola Concia, ex sinistri come Franco Giordano, o ex finiani come Chiara Moroni, Italo Bocchino, Nino Lo Presti.
O chi, come l’ex popolare Pier Luigi Castagnetti e l’ex Ds Luciano Violante, ambisce al Colle o a un ruolo all’interno del Csm.
Fino ad arrivare a un altro democristiano, Gerardo Bianco, presidente dell’associazione ex parlamentari (1600 iscritti, organi statutari e un collegio dei probiviri, ndr): “Io sono costretto ad andare per ragioni legate all’associazione. Ma le assicuro che prima era diverso. Adesso non c’è più nessuna attrazione…”.
E allora perchè continuano a frequentare Montecitorio?
Giuseppe Alberto Falci
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Agosto 16th, 2014 Riccardo Fucile
UNDICI LE SCADENZE FISCALI E CONTRIBUTIVE DEL MESE: 13 MILIARDI DI IVA E QUASI 8 DI IRPEF
Altro che ferie tranquille. Di qui a fine agosto imprese e lavoratori autonomi dovranno versare al fisco oltre 29 miliardi di euro di imposte.
Al netto dei contributi previdenziali.
La stima è dell’ufficio studi della Cgia di Mestre, secondo il quale le scadenze di questo mese sono ben 11.
A pesare maggiormente sulle tasche dei contribuenti sarà l’Iva, il cui gettito dovrebbe superare i 13 miliardi di euro.
Segue il versamento da parte dei datori di lavoro delle ritenute Irpef dei dipendenti e dei collaboratori, per un importo che raggiungerà i 7,6 miliardi di euro, e il pagamento del saldo e dell’acconto Irpef, il cui gettito sarà di 2,45 miliardi.
Altri 1,7 miliardi arriveranno nelle casse dello Stato dal pagamento dell’addizionale Irpef, mentre dall’Irap e dall’Ires sono previsti altri 3 miliardi di euro.
Infine, gli autonomi dovranno versare le proprie ritenute Irpef per un importo che dovrebbe toccare gli 1,3 miliardi di euro.
Gli “appuntamenti” d’agosto con il fisco, ricorda l’associazione degli artigiani e delle piccole e medie imprese, sono sette nei primi 20 giorni del mese, uno tra il 20 e il 25 agosto e altri tre dal 25 al 31.
Visto che quest’ultima data cade di domenica, il termine slitta però di un giorno, all’1 settembre. Secondo Giuseppe Bortolussi, segretario della Cgia, ”anche in vista delle scadenze fiscali di agosto molti italiani sono stati costretti ad accorciare le vacanze o, nella peggiore delle ipotesi, a starsene a casa. A settembre, poi, non è detto che tutte le attività riaprano i cancelli.
In attesa di tempi migliori, imprese e famiglie hanno deciso di risparmiare. In definitiva, la paura del futuro sta condizionando gli italiani che in questo momento di difficoltà hanno solo una certezza: onorare un fisco sempre più esoso.”
La Cgia sottolinea che “in prospettiva il carico fiscale che grava sui contribuenti italiani potrebbe addirittura aumentare.
Nel 2015 il governo ha deciso di tagliare la spesa pubblica di 17 miliardi di euro, con un impegno minimo da raggiungere che non potrà essere inferiore ai 4,4 miliardi di euro.
Nel caso il governo non sia in grado di centrare questo obbiettivo minimo, scatterà la cosiddetta ‘clausola di salvaguardia’. In altre parole, come ha confermato nei giorni scorsi il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, a fronte del mancato taglio della spesa i contribuenti saranno chiamati a sopportare un aggravio fiscale di 3 miliardi di euro, a seguito della riduzione delle agevolazioni/detrazioni fiscali e all’aumento delle aliquote, mentre i ministeri dovranno tagliare la spesa per un importo di almeno 1,44 miliardi di euro”.
“In buona sostanza o si riesce a razionalizzare la spesa pubblica e a ridurre gli sprechi, gli sperperi e le inefficienze, altrimenti a pagare il conto saranno ancora una volta gli italiani che già ora sono tra i contribuenti più tartassati d’Europa”. , è la conclusione di Bortolussi.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Agosto 16th, 2014 Riccardo Fucile
RENZI SI ACCODA AI PRECEDENTI, SOLO PROMESSE
Mentre riparte il carosello sull’articolo 18 la campana suona per il sempre evocato e poi dimenticato popolo delle partite Iva.
L’ultimo rintocco è arrivato pochi giorni fa dal Mef: a giugno le nuove posizioni aperte sono state 38.111 e hanno segnato un — 3,8% rispetto allo stesso mese del 2013.
Il calo si accoda a un filotto di altri “meno”: -7% a maggio, -3 ad aprile fino al -9 di gennaio.
Il funerale è certificato dal numero di posizioni chiuse: dal 2008 a oggi si sono estinte 500mila imprese individuali, schiantate dalla crisi, costrette dalle tasse e dalla burocrazia a un lento e inesorabile suicidio sotto gli occhi di tutti.
Nel 1992 gli autonomi con partita Iva erano 7,5 milioni, oggi non arrivano a sei.
Un milione e mezzo di lavoratori allevati nel culto dell’autonomia, col refrain dell’essere imprenditori di se stessi sono finiti dunque a ingrossare i numeri della disoccupazione o alimentare le forme del lavoro parasubordinato e precario.
Molti gli appelli, della Cgia di Mestre, di Rete Imprese, Confartigianato e Confcommercio per quella che sembra la cronaca di una morte annunciata.
La categoria e le sue afflizioni, per un lungo ventennio, sono stati oggetto di alterne attenzioni della politica e del legislatore che hanno guardato al fenomeno in modo contraddittorio, indulgente a destra perchè comunque elettorato, punitivo a sinistra perchè associato all’evasione fiscale.
Uno strabismo che ha favorito la coazione a non occuparsene affatto, ad annunciare riforme e provvedimenti mai arrivati o misure inefficaci rimaste spesso sulla carta, a costellare di note il requiem delle partite Iva.
E’ appena successo, infondo, col decreto Irpef.
Matteo Renzi, incalzato a destra da Ncd e a sinistra da Sel, aveva fatto balenare la possibilità di estendere il bonus di 80 euro anche agli autonomi.
L’ipotesi è durata giusto qualche settimana, passando dal “non garantisco” a un più vago impegno a rimandare tutto al 2015, salvo coperture.
Ancora una volta una cocente delusione ben descritta dalle parole di Anna Soru, presidente dell’Acta (Associazione consulenti terziario avanzato), che rappresenta i lavoratori autonomi di seconda generazione, che non hanno un ordine professionale di riferimento, come traduttori, grafici, creativi, professionisti del web.
E di Paola Ricciardi, esponente di Iva sei partita, un’associazione di architetti e ingegneri nata nel 2011 per combattere il fenomeno delle finte partite Iva.
Anche il lessico che viene usato, talvolta, rivela dove si collochi il popolo dimenticato. A maggio si è registrata la prima fiammata di notizie sulla necessità di aggiustare i conti pubblici con una manovra correttiva. Renzi, risoluto, la nega e rilancia: “Governo esclude manovra, bonus a incapienti e partite Iva nel 2015” (Ansa, 14/05/2013).
Incapienti e Partite Iva, nella geografia politica, pari sono.
Come se i secondi non fossero categoria produttiva, e tra le più sfiduciate e mortificate nell’era infinita della crisi e della precarietà .
Sarà più clemente qualche settimana dopo, annunciando futuri sgravi fiscali “per incapienti, partite Iva e pensionati”.
LA LUNGA LISTA DI PROMESSE
Nella campagna elettorale del 2001 un energico Giulio Tremonti sosteneva di fronte agli imprenditori veneti che “Le partite Iva sono il nostro azionista di governo”, accreditano, niente meno, che il programma economico del centrodestra fosse “tarato sulla logica dei padroncini”.
E dunque alternativo alla sinistra, che coi sindacati difende solo l’occupazione nella grande impresa e i dipendenti pubblici.
Ma nel 2008, quando aveva l’occasione di dimostrarlo concretamente, anche lui ha mancato l’appuntamento.
Nelle prime bozze del suo “decreto anticrisi”, quello che prevedeva bonus una tantum per famiglie e anziani, una riga estendeva il beneficio al popolo degli ivati.
Nella versione definitiva quella riga sparì, lasciandolo ancora una volta orfano tra le priorità del governo Berlusconi.
In Sardegna la reazione fu furibonda, con gli agricoltori e gli artigiani che inscenarono un corteo con carro funebre, una bara portata a spalla da sei manifestanti con un annuncio tetro: “Per la scomparsa delle partite Iva a causa delle vessazioni dello Stato“.
Col governo dei tecnici si scoprì poi che il problema delle partite Iva non è tanto o solo l’eccesso di prelievo fiscale e di burocrazia e il difetto di diritti sociali e forme di integrazione al reddito, quanto il fenomeno delle “false partite Iva”, quelle che in realtà nascondo un rapporto di lavoro subordinato. Verissimo.
Ma l’antidoto della riforma Fornero si è rivelato tanto inefficace che ha finito, paradossalmente, per alimentare la disoccupazione.
Da una parte, e i giuslavoristi l’hanno segnalato per tempo, è mancato l’incentivo alle aziende per regolarizzare i collaboratori, dall’altra gli stessi requisiti per definire falsa una partita Iva erano troppo stringenti per rappresentare una vera minaccia per i datori: per fare causa bisognava dimostrare di lavorare per una stessa azienda da almeno otto mesi, di guadagnare meno di 18mila euro lordi (9-10mila euro netti o giù di lì) e di ricavare almeno l’80% del proprio reddito da quell’unico datore.
Per non dire dell’esclusione delle professioni soggette a ordine professionale che sono una fetta importante del popolo delle partite Iva.
I numeri certificano che la sperata “emersione” non si è verificata.
Del ricollocamento della partite Iva “per costrizione” sotto il giusto contratto non c’è traccia mentre non è ingeneroso collegare la crescita della disoccupazione, soprattutto tra i giovani, agli effetti della revisione dell’articolo 18 che la Fornero ha iniziato a smantellare, cancellando il reintegro automatico in caso di licenziamento illegittimo sostituito da un’indennità .
Esaurita la buonuscita, il lavoratore senza occupazione bussa alla stessa porta e accetta anche di fare fattura. L’ex datore si sfrega le mani e ringrazia.
TOCCA A POLETTI
I controlli svolti con pochi mezzi nel 2013 dagli Ispettorati del lavoro e dall’Inail hanno stanato 19mila contratti di collaborazione a progetto e partite Iva farlocchi.
Come svuotare il mare con un cucchiaio. Non è cambiato nulla.
L’impotenza ha indotto il popolo ivato a unirsi alla protesta nazionale che lo scorso febbraio ha avuto epicentro in Piazza del Popolo.
In testa al corteo di 30mila persone, catapultate a Roma con 400 pullman e 7mila posti in treno e 2mila in aereo, c’erano loro. Che possa ripetersi da un momento all’altro, con l’economia che affonda nella terza recessione nel giro di sei anni, lo sa anche l’attuale ministro del Lavoro.
Giuliano Poletti sta lavorando al secondo tassello del JobActs, la legge delega che inizierà la discussione il 2 settembre prossimo a Palazzo Madama per essere calendarizzata a gennaio.
E’ basata su cinque capitoli, tra cui spiccano la riforma degli ammortizzatori sociali, con una previsione di estensione dell’assegno di disoccupazione involontaria (Aspi), e la semplificazione delle procedure e degli adempimenti in materia di lavoro a carico di cittadini e imprese.
E i professionisti della fattura tornano a sperare, anche se il primo atto della riforma non ha dato loro grande prova di attenzione. Anzi, le partite Iva non c’erano proprio.
Poletti, nel frattempo, fa sapere che non si capacita proprio della persistenza dei datori nel ricorrere a rapporti di lavoro “utilizzati in modo improprio, strumentale, che mascherano in realtà rapporti di lavoro subordinato”. Una prassi “tanto più ingiustificata — dice — considerati i nuovi contratti a termine che mettono al riparo l’imprenditore dal rischio di contenziosi e garantiscono al lavoratore le stesse tutele del contratto a tempo indeterminato”.
Evidentemente neppure il primo JobsAct, che ha cancellato l’obbligo di specificare il motivo dei contratti di lavoro a termine e innalzato il loro numero a otto nell’arco di tre anni, ha sortito effetti.
Certo non sull’occupazione, meno che mai per il popolo di mezzo.
Thomas Mackinson
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Agosto 16th, 2014 Riccardo Fucile
NEL 2013 SONO AUMENTATE DEL 6,1%… POCO PIU’ DI UN MILIARDO DI RICAVI VOLA A PECHINO, MA IL RESTO ALIMENTA I NOSTRI CONTI
Dalla piccola imprenditoria alla grande finanza passando per il calcio, la Cina è sempre più vicina.
E non perchè per la prima volta nella storia un cittadino cinese è diventato presidente di una squadra di pallone italiana, nella fattispecie il Pavia Calcio, ma in quanto le aziende italiane guidate da immigrati del grande Stato orientale hanno fatto registrare una crescita record del 6,1% fra il 2012 e il 2013, nello stesso periodo in cui l’imprenditoria italiana arrancava perdendo l’1,6%.
Ancora di più, fa impressione osservare la vera e propria scalata che la banca centrale cinese sta portando avanti fra i colossi tricolore, ultima la Generali, che solo due giorni fa ha ceduto ai rossostellati il 2,014% delle proprie azioni.
I dati relativi all’imprenditoria sono stati forniti dalla Cgia di Mestre.
Le aziende guidate da stranieri, secondo quanto emerge dall’ultimo studio, sono aumentate del 3,1%, toccando, in valore assoluto, quota 708.317.
Quelle però rette da cinesi hanno addirittura siglato un vero e proprio boom (+6,1%), superando di poco le 66.000 unità .
Degli oltre 708.000 imprenditori stranieri presenti in Italia, la Cina ne conta ben 66.050.
I settori maggiormente interessati sono il commercio con quasi 24.050 attività (soprattutto concentrate tra i venditori ambulanti), il manifatturiero, con poco più di 18.200 imprese (quasi tutte nel tessile-abbigliamento e calzature) e la ristorazione-alberghi e bar (oltre 13.700).
Ancora contenuta, ma con un trend in salita molto importante, è la presenza di imprenditori cinesi nel settore dei servizi alla persona, ovvero tra i parrucchieri, le estetiste e i centri massaggi: il numero totale è di poco superiore alle 3.400 unità , ma tra il 2012 e il 2013 l’aumento è stato esponenziale: +34%.
«Sebbene in alcune aree del Paese esistano delle sacche di illegalità che alimentano il lavoro nero e il mercato della contraffazione – rileva il segretario Cgia di Mestre Giuseppe Bortolussi – non dobbiamo dimenticare che i migranti cinesi si sono sempre contraddistinti per una forte vocazione al business».
La nota positiva è che l’ammontare complessivo delle somme di denaro inviate verso la Cina dagli immigrati cinesi presenti in Italia è stato di 1,10 miliardi di euro.
Meno della metà dell’importo registrato nel 2012 (2,67 mld di euro).
Ma come spesso accade, è Piazza Affari il vero termometro di tutti i fenomeni economici. E proprio all’ombra del dito medio di Cattelan, il «Dragone» sta facendo shopping selvaggio del capitalismo italico.
Abbiamo detto della quota acquistata da Generali, che si aggiunge a quelle che Pboc ha rastrellato recentemente in Fiat, Telecom e Prysmian dopo che alla fine di marzo la banca centrale cinese aveva fatto capolino nell’Enel e nell’Eni.
Tutte partecipazioni di poco superiori al 2% del capitale che, in quanto tali, devono essere comunicate al mercato.
Potrebbe essere segno della volontà della Cina di dare visibilità ai suoi movimenti, dopo la missione a Pechino, un paio di mesi fa, di Matteo Renzi, e di quella, lo scorso 23 luglio, del ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan.
Il totale degli investimenti della Peoplès Bank of China a Piazza Affari sale così a quota 3,3 miliardi, concentrati soprattutto su Eni (1,4 miliardi) ed Enel (734 milioni).
In realtà i capitali del Celeste Impero affluiti sul nostro mercato negli ultimi mesi ammontano a quasi 6 miliardi di euro, se si considera la vendita a Shanghai Electric del 40% di Ansaldo Energia per 400 milioni da parte della Cdp e l’investimento da 2,1 miliardi fatto da State Grid of China sulle reti di Terna e Snam.
D’altronde, in questo momento la Cina sembra essere davvero un gigante inarrivabile per la «povera» Italia: se il Dragone in patria a luglio ha fatto registrare una crescita del Pil del 7,5%, il nostro Paese, come noto, è sceso del 0,2%, per un disastro economico che forse i capitali orientali provenienti da fuori non aiuteranno ad attenuare, se non attraverso una progressiva crescita dell’imprenditoria degli immigrati cinesi arrivati in Italia.
Per il momento, gli unici a rallegrarsi davvero di questi dati sono i tifosi del Pavia Calcio.
Vincenzo Bisbiglia
argomento: economia | Commenta »