Agosto 20th, 2014 Riccardo Fucile
IL GOVERNO POSTICIPA DAL 20 SETTEMBRE AL 1 OTTOBRE L’AGGIORNAMENTO AL DEF: COSI’ I DATI SARANNO RICALCOLATI COL SISTEMA ESA 2010 CHE GONFIERA’ IL PIL FINO AL 2%
Pur di garantire la “ripartenza col botto” promessa l’1 agosto agli italiani, Matteo Renzi cambia in corsa il calendario dell’aggiornamento dei conti pubblici. §
Il nuovo Documento di economia e finanza, ha comunicato il Tesoro, non sarà presentato alle Camere il 20 settembre, come prevede una legge del 2011: arriverà in Consiglio dei ministri per il via libera solo l’1 ottobre.
Per aspettare che l’Istat diffonda i nuovi conti nazionali aggiornati sulla base del tanto atteso (a Palazzo Chigi) nuovo sistema di contabilità pubblica European system of national accounts 2010, meglio noto come Esa 2010 o, in italiano, Sec 2010.
Quello che prevede, tra le altre cose, che nel calcolo del prodotto interno lordo rientrino le spese in ricerca e sviluppo e quelle militari, ma pure le attività illegali, compreso traffico di droga, contrabbando e prostituzione.
E che si tradurrà per l’Italia, senza che nulla cambi in concreto nell’economia reale, in un aumento del Pil di 1-2 punti percentuali.
Un “doping” che non ci farà uscire dalla recessione, perchè le variazioni, positive o negative, resteranno uguali, ma avrà un effetto rilevante su due parametri cruciali per il rispetto del Patto di Stabilità : il rapporto deficit/Pil e il debito/Pil.
Il primo, che stando ai dati più recenti rischia di sforare il 3%, in caso di un aumento del Pil di 2 punti si ridurrebbe di una percentuale compresa tra 0,05 e 0,06%.
Il secondo, che come è noto ha raggiunto il 135,6% del Pil, calerà fino a 2,6 punti percentuali.
Manna dal cielo, ora che commentatori e analisti fanno a gara per suggerire ricette in grado di colmare la voragine dei conti pubblici.
“Gli italiani vadano in ferie tranquillamente, a settembre ci sarà una grande ripartenza col botto”, aveva garantito il premier l’1 agosto, durante la conferenza stampa che l’ha visto fare marcia indietro sull’estensione a pensionati e partite Iva del bonus di 80 euro.
Pensando, probabilmente, proprio ai nuovi numeri che sarebbero usciti dall’aggiornamento dei conti sulla base di Esa 2010.
Ma a luglio l’Istat ha comunicato che i conti nazionali così rivisti verranno rilasciati solo il 22 settembre.
Problema: il ministero dell’Economia guidato da Pier Carlo Padoan avrebbe dovuto presentare l’aggiornamento del Documento di economia e finanza – cruciale appuntamento d’autunno in vista della Legge di Stabilità – proprio due giorni prima, il 20 settembre. Una vera disdetta.
Quindi che si fa? Semplice: si fa slittare l’aggiornamento.
Poter presentare numeri più rassicuranti agli italiani e agli investitori internazionali varrà bene qualche giorno di attesa.
Detto, fatto. Mercoledì sera il Tesoro ha diffuso un comunicato che recita: “Per gli adeguamenti al Sec 2010 la Nota di Aggiornamento al Def sarà disponibile per la discussione in Consiglio dei Ministri il primo ottobre 2014″.
Peccato che il termine ultimo per la presentazione alle Camere prescritto dalla legge 39 del 7 aprile 2011, adottata per coordinare il calendario della programmazione economica italiana con quello degli altri Paesi Ue, sia il 20 settembre.
D’altronde l’utilizzo dei nuovi dati, spiega il ministero, “è il presupposto essenziale per la predisposizione di un Def coerente con questa nuova metodologia di rilevazione statistica adottata a livello europeo”. Insomma: non si può proprio far senza.
Tocca aspettare. Anche se le date, in teoria, sono tassative: entro il 20 bisogna aggiornare il documento che mette nero su bianco gli obiettivi triennali di politica economica e di finanza pubblica del governo, entro il 15 ottobre si deve presentare alle Camere il disegno di legge di Stabilità e a novembre la legge va inviata a Bruxelles per il vaglio della Commissione europea.
Ma evidentemente stavolta Padoan e i tecnici di via XX Settembre hanno preferito chiudere un occhio e mettere al sicuro il “botto” di Renzi.
Tra violare i parametri del Patto e prendersi un po’ di “flessibilità ” almeno sui tempi, meglio la seconda opzione.
Se poi il 15 ottobre, quando l’Istat avrà aggiornato anche i dati sul Pil del primo e secondo trimestre, “vi saranno modifiche di rilievo nei tassi di crescita trimestrali dei vari aggregati tali da portare a modifiche significative anche nelle proiezioni, verrà successivamente presentata una Relazione ad hoc al Parlamento, come previsto per legge”.
Chissà che l’asso nella manica di Renzi non riservi altre sorprese.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Agosto 20th, 2014 Riccardo Fucile
E’ STATO AVVISTATO AL BEACH DI MONTECARLO DOVE UNA TENDA VISTA MARE COSTA 400 EURO AL GIORNO: FORSE PER QUESTO NON GLI BASTANO…
Ci sono cose che solo in Italia possono accadere, perchè altrove potrebbero essere seri guai. Qualche insulto minimo te lo prenderesti.
Da noi, nella terra dei Fiorito, delle mutande leghiste, dei Trota e dei rimborsi taroccati di consiglieri regionali di Pd e ceneri Pdl, della fu An e dei furono Udc, succede questo e altro.
La palma d’oro dell’estate porta il nome di Pino Cangemi, conosciuto nel Lazio per le sue attività sportive (tennis, calcetto, paracadutismo) e anche perchè ha fatto l’assessore regionale e, oggi, è consigliere regionale.
Un lavoro che di per sè non suona come difficile o sfiancante.
Diciamo che è politica, e che si può fare più o meno bene.
Lamentarsi perchè 6800 euro al mese sono pochi, ci vuole coraggio.
Ma Cangemi, in un’intervista fatta al Messaggero, lo ha detto senza mezzi termini: “Sono pochi soldi”. Il suo pensiero, probabilmente, più che al lavoro era già alle vacanze da pagare.
Già , perchè Cangemi due giorni dopo è stato avvistato al Beach di Montecarlo, sotto una tenda vista mare che costa 400 euro al giorno.
Luogo di principi e principesse. Assidua frequentatrice è Stefania di Monaco con una lunga corte di figli e guardie del corpo. Giusto per citarne una.
Negli stessi giorni a Monaco c’erano più Ferrari, Lamborghini e Rolls che ombrelloni aperti.
E poi c’era Cangemi detto Pino che, speriamo nel contesto, si sia fatto chiamare Giuseppe Emanuele, il nome di battesimo per esteso.
Ovvio che non gli bastino i soldi che prende dalla Regione. Anche perchè a Monaco avrà alloggiato da qualche parte (se uno va al mare al Beach, come minimo prenota una suite in un 4 stelle che vuol dire 1000 euro a notte).
Non che lo vogliamo in una spiaggia libera, ci mancherebbe.
Se può permetterselo il Beach è anche un bel posto dove intrattenersi. Si può anche fare politica, apprendere dai russi tecniche a noi oscure.
Insomma, vada pure dove vuole, ma non si lamenti. Ci sono persone che non sanno cosa sia il Beach e la storia di ori e fasti che si porta appresso.
Non lo faccia almeno in un giorno d’estate, dove l’argomento sono la spending review, le strigliate di Mario Draghi, la recessione.
Non lo faccia nel corso dell’estate di un italiano su due rimasto a casa causa mancanza di quattrini, perdita del lavoro, cassa integrazione.
Cose che anche il consigliere regionale del Lazio, in quanto tale, dovrebbe sapere benissimo.
Cangemi, uomo di destra, passato da ufficiale della Folgore (non sappiamo quanto lo pagassero, probabilmente non arrivava ai 2000 euro, dipende dal grado), sicuramente non poteva permettersi di rosolare sotto il sole di Montecarlo, principato non da tutti, nonostante uno possa anche disquisire sulla bellezza della città che è diventata una grande colata di cemento. Ma che resta assai ambita.
Qui si fanno incontr memorabili. Un tempo l’avvocato Gianni Agnelli era di casa. Mick Jagger ha una villa a pochi chilometri di distanza.
E poi una serie di russi dal nome impronunciabile e l’emiro di chissà dove che romba sulla nave su e giù nei paraggi.
Ma lui, Cangemi, pare che in quella zona ci sguazzi alla perfezione.
Va in vacanza nel principato e considera il suo stipendio basso.
Assessore regionale nel Lazio al tempo di Renata Polverini, poi è passato con l’Ncd, quando ha sentito odor di bruciato attorno a Forza Italia.
Probabile che torni indietro perchè dovesse presentarsi con Alfano alla prossima legislatura, si vedrebbe ulteriormente ridotto lo stipendio per mancata rielezione.
Va a finire che gli tocca iniziare a frequentare Ostia o Riccione dove, con 400 euro, l’ombrellone lo affitti per un paio di mesi.
E almeno puoi fare il bagno, a Monaco è difficile anche quello se non hai lo yacht.
Ma siamo sicuri che l’ottimo Cangemi — grande tifoso laziale, sempre a leggere il curriculum — avrà avuto anche quella possibilità , magari un passaggio l’avrà recuperato.
Emiliano Liuzzi
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Agosto 20th, 2014 Riccardo Fucile
ALLA GUARDIA DI FINANZA HA DETTO: “NON LA USO PERCHE’ COSTA TROPPO”
La compagnia di Forlì della Guardia di Finanza ha chiuso una verifica fiscale nei confronti di un commerciante di prodotti ittici contestandogli di aver evaso 210.000 euro tra Iva e imposte.
L’uomo dichiarava redditi annui per circa 10mila euro, cioè meno di 900 euro al mese, ma era intestatario di una Ferrari 360 Modena del valore di 90mila euro e di un Suv Mercedes ML320.
Coi finanzieri ha sostenuto di utilizzare molto raramente la vettura, per gli elevati costi di gestione.
L’imprenditore, tra le altre cose, era da tempo sotto il controllo dei finanzieri, visto che più di una volta aveva “dimenticato” di fare lo scontrino dopo aver venduto della merce, incappando nella relativa sanzione.
Durante la verifica i militari hanno ricostruito le attività del magazzino merci e l’applicazione della percentuale di ricarico (ricavata dai prezzi di acquisto e di vendita dei prodotti), oltre ad una serie di controlli incrociati nei confronti di fornitori e clienti del commerciante.
Intersecando i dati quindi la Finanza è riuscita a contestare al commerciante per il 2011, 2012 e 2013 una evasione di 198mila euro di imposte dirette e 12mila di Iva. Non riconosciuti inoltre 2mila euro di costi che l’imprenditore aveva indebitamente portato in dichiarazione.
Quando sono entrati nel garage dove erano custodite le vetture, il commerciante ha appunto spiegato che la Ferrari la utilizzava “molto raramente” causa gli elevati costi di gestione.
Pochi giorni prima della chiusura della verifica l’imprenditore, spiega la Gdf, ha deciso di vendere la fuoriserie.
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Agosto 20th, 2014 Riccardo Fucile
IN SETTE ANNI A QUESTO AMMMONTA LA SPESA PER LA PROPRIA SICUREZZA PERSONALE… MA L’ESBORSO NON ERA MAI STATO AUTORIZZATO
Il primo tentativo, con le buone, lo hanno fatto ad aprile.
Il Consiglio di Amministrazione di Aeroporti di Puglia aveva chiesto, con una comunicazione personale, di restituire quanto “impropriamente” speso negli ultimi 7 anni.
Ma per quattro mesi non s’è mossa foglia e neppure assegno.
Per questo dalle vie diplomatiche si è passati a quelle legali. Così Aeroporti s.p.a ha deciso di fare causa al suo ex amministratore unico Domenico Di Paola per ottenere la restituzione di 576mila euro che il dirigente avrebbe speso per pagare la sicurezza personale.
Senza che la scelta fosse stata mai autorizzata da alcuno. La vicenda, come detto, risale a diverso tempo fa ma solo ora pare essere arrivata alla svolta finale.
Domenico Di Paola, candidato dal centrodestra alle ultime elezioni comunali a Bari, dal 2001 al 2013 ha ricoperto la carica di amministratore unico di Aeroporti di Puglia.
Nominato da Raffaele Fitto, confermato da Nichi Vendola, ha smesso i panni di dirigente lo scorso anno, quando con una diplomatica stretta di mano, il Cda e la Regione gli preferirono Giuseppe Acierno, già direttore del Distretto dell’Aerospazio.
Di Paola non è andato via a mani vuote avendo, nel corso dei 12 anni, percepito qualcosa come 4 milioni e 900mila euro in stipendi, compensi e benefit.
Cifra contenuta in una relazione messa a punto dal dirigente del Servizio Finanza e Controlli della Regione, Mario Lerario, che scandagliando fattura dopo fattura, ha fatto il punto su quanto elargito sino a quel momento all’amministratore.
È bastato questo per fare emergere tra le pieghe del bilancio, ma senza riscontro nelle delibere del Cda, una spesa di 576mila euro spesi dal 2006 al 2013 per pagare la sicurezza personale di Di Paola.
Necessaria, pare, per vigilare non solo sull’incolumità personale dell’ex amministratore, ma anche per sorvegliarne l’abitazione.
Nulla a che vedere, dunque, con l’attività della società .
La decisione di Di Paola di dotarsi di body guard scaturì dalle minacce ricevute per aver contrastato la costruzione di alcuni edifici nell’area confinante a quella dell’Aeroporto.
La sua opposizione, evidentemente, non andò giù a qualcuno tanto da arrivare a minacciarlo se non avesse deposto le armi.
Di Paola decise di far da sè assumendo guardie del corpo private.
La società alla quale si rivolse Di Paola era la Isi Security Management guidata da Giuseppe Italiano, già noto ad Aeroporti di Puglia avendo per 10 anni curato proprio lui la sicurezza della S.p.a.
La contestazione della Regione, che di Aeroporti è socia unica, non si limita a questo ma va oltre:
Di Paola non avrebbe usufruito della vigilanza solo per se stesso, ma anche per la sua abitazione.
A questo la Regione è arrivata per esclusione, dopo che il confronto tra le fatture emesse e i giorni conteggiati evidenziava come nei festivi, nei giorni di ferie e nelle ore notturne la vigilanza avesse lavorato come e più del solito.
E non è tutto: quando Di Paola era in trasferta per esigenze di lavoro, le fatture della sicurezza rimanevano invariate senza, cioè, traccia di spostamenti e spese aggiuntive, segno del fatto che la loro opera continuavano a svolgerla in città , nonostante non fosse presente la persona da sorvegliare.
Questo non ha fatto che avvalorare la tesi che ad essere vigilata fosse anche solo l’abitazione dell’interessato.
Se l’ingegnere deciderà di intraprendere un battaglia legale per difendere la legittimità delle sue scelte o se preferirà dare atto ad Aeroporti della veridicità delle contestazioni non è ancora noto.
Quello che sembra, però, è che potrebbe non essere finito qui l’elenco delle spese da rendere alla società pubblica.
Tra le pagine della relazione della Regione appare sottolineata in rosso anche un’altra fattura emessa nel 2009, relativa ad una spesa da 290 euro effettuata in una gioielleria dell’Oman. Briciole, in ogni caso.
Mary Tota
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Agosto 20th, 2014 Riccardo Fucile
ANGELINO ALFANO AVEVA IMMAGINATO NAVI ORMEGGIATE, FASSINO VOLEVA RICORRERE AL PROJECT FINANCING, SEVERINO E CANCELLIERI PENSAVANO ALLE CASERME…. RISULTATI? POCHI (O NULLI)
Oltre vent’anni di promesse (quasi) mai mantenute.
Il piano carceri, almeno nella Seconda Repubblica, è il cavallo di battaglia dei vari inquilini di via Arenula.
Ma l’Italia, ancora oggi, continua ad avere lo stesso problema: il sovraffollamento nelle celle, per cui la Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato il nostro Paese nel gennaio 2013. Dietro le sbarre, al 31 luglio di quest’anno, si contano 54.414, persone, cioè 5.012 in più a fronte dei posti disponibili.
Secondo un rapporto del Consiglio d’Europa di due anni fa, è messa peggio di noi soltanto la Serbia. Per via della solita cattiva abitudine: annunciare la costruzione di nuovi padiglioni e poi rimangiarsi le parole.
Eppure, lo rileva l’Istat, il tasso di detenzione per 100mila abitanti è pari a 112,6 da noi, contro una media europea del 127,7, e 156 nel mondo.
La sequela dei buoni propositi per aumentare la capienza delle patrie galere parte con Piero Fassino, ministro della Giustizia dal 2000 al 2001 sotto il governo Amato II.
Sul tavolo presentò un pacchetto che prevedeva anche l’uso di procedure di leasing immobiliare e l’ingresso dei privati nella costruzione di nuove prigioni.
Chi segna lo spartiacque tra la stagione delle grandi sparate (gli ultimi sei anni) e l’era dei vergini pensierini (fino al 2001) il leghista Roberto Castelli, ministro della Giustizia dal 2001 al 2006 sotto i governi Berlusconi II e III, che annunciò l’apertura di sei nuove carceri in Sardegna (a Tempio Pausania, Cagliari, Oristano e Sassari), poi avverata.
Le figuracce iniziano sul serio con Angelino Alfano in versione Guardasigilli, dal 2008 al 2011, sotto Berlusconi IV.
Alfano, cinque anni fa, mise nero su bianco “le carceri galleggianti”, come soluzione alle galere terrestri troppo piene, consegnata in un dossier all’allora capo del Dap Franco Ionta.
Varata anche l’ipotesi di prendere in affitto navi all’estero. Le chiatte-prigioni avrebbero sostato al largo di Genova, Livorno, Civitavecchia, Napoli, Gioia Tauro, Palermo, Bari, Ravenna.
Per la gioia degli agenti penitenziari, l’idea è naufragata.
Nel piano carceri, era prevista anche la costruzione di 46 nuovi padiglioni, da realizzare nelle aree verdi della carceri già esistenti, e di 22 istituti nuovi di zecca, per raggiungere una capienza complessiva di 80 mila posti.
Un’impresa da 1,5 miliardi, stimò Berlusconi. Ma durante gli anni il progetto ha subito una brusca sterzata.
Il sito web Pianocarce  ri.it   ci offre un’istantanea dei lavori in corso. E un chiarimento sul cambio di marcia: “Il Piano carceri rimodulato — si legge -, così come approvato dal Comitato di indirizzo e di controllo il 31 gennaio 2012, in conseguenza dei tagli del CIPE di 228 milioni di euro, che hanno comportato un ridimensionamento delle esigenzialità da parte del Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, prevede la realizzazione di 11.573 posti detentivi, rispetto ai 9.300 posti già previsti, con un incremento pari a n. 2.273 posti detentivi, nonostante una riduzione di risorse, per tagli, di 228 milioni di euro rispetto al Piano iniziale”. Tradotto, allo stato attuale, significa: dieci nuovi istituti in programma (per circa 4400 posti nuovi), di cui solo uno portato a termine, quello di Catania, e cinque in fase di completamento. Tredici padiglioni in ampliamento a carceri già esistenti, per conquistare altri tremila posti.
A cui vanno aggiunti i 1212 che in futuro saranno ottenuti dalle opere di recupero di aree dismesse di altre nove istituti.
In buona sostanza, l’Italia a distanza di quasi cinque anni è ancora in attesa di quei benedetti 11.573 posti in più per risolvere il dramma del sovraffollamento e riconoscere un briciolo di dignità ai prigionieri.
Nel frattempo a rinverdire le speranze del Paese ci aveva pensato Paola Severino, arruolata come Guardasigilli da Mario Monti nel novembre 2013. “Entro giugno 2013 saranno 5.500 i posti in più realizzati negli istituti di pena italiani grazie al Piano carceri varato nel 2010, di cui 2300 aggiuntivi in virtù di nuovi fondi”.
La Severino ha passato il testimone a Anna Maria Cancellieri, nominata da Letta junior: “A fine anno (siamo sempre nel 2013, ndr) ci saranno 4mila posti in più nelle carceri per effetto del piano di edilizia penitenziaria”.
E subito dopo ribadiva l’intenzione di convertire edifici inutilizzati già adibiti a caserme in istituti penitenziari “leggeri” per detenuti di “modesta pericolosità sociale”.
Il tutto, ovviamente, con una “spesa limitata”.
Neanche dieci giorni più tardi, era già pronta fare promesse declinate al modo condizionale, che “entro il 2016, nelle carceri italiane, dovrebbero esserci 10mila posti letto in più, 5 mila dei quali saranno realizzati entro il maggio del 2014”.
Le ultime parole famose.
Intanto, il commissario straordinario al Piano carceri Angelo Sinesio risulta indagato su un presunto giro di appalti e mazzette legato ai lavori di recupero delle carceri.
La realtà , insomma, è lontana dai sogni dei politici.
Chiara Daina
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Agosto 20th, 2014 Riccardo Fucile
QUANDO UNA PROMESSA MANCATA E’ ORMAI VISSUTA COME UN TRADIMENTO
Ti guardi attorno e incontri facce rattristate, umori torvi, occhi disillusi.
Il futuro non è più quello d’una volta, diceva Valery; specialmente qui in Italia.
Una ricerca dell’istituto tedesco Iw, appena diffusa, mostra come in Europa la povertà reale sia di gran lunga minore rispetto a quella percepita; e gli italiani (al 73%) si percepiscono poverissimi, molto più degli altri popoli europei.
Perchè sono poveri di speranze, d’ottimismo, di fiducia. Ecco, la fiducia.
Quel sentimento volubile e impalpabile come volo di farfalla che nutre l’economia non meno della politica, non meno delle istituzioni.
Se pensi che il peggio arriverà domani, non spenderai un centesimo dei tuoi pochi risparmi, neanche gli 80 euro che t’ha messo in tasca il governo; e il crollo dei consumi farà inabissare il sistema produttivo. Se vedi tutto nero, qualsiasi inquilino di Palazzo Chigi indosserà ai tuoi occhi una camicia nera, meglio combatterlo, con le buone o con le cattive.
C’è un farmaco per curare questa malattia ?
A suo tempo Berlusconi dispensò sorrisi e buoni auspici, raccontò di ristoranti pieni e aerei con i posti in piedi, promise di soffiare in cielo per scacciarne via le nuvole.
Renzi rischia di ripeterne l’errore, se alle sue tante promesse non seguiranno presto i fatti. Perchè una promessa mancata è un tradimento, e nessun tradimento si dimentica.
Vale nelle relazioni amorose: se lo fai una volta, non riavrai mai più quella fiducia vergine e incondizionata che t’accompagnava durante i primi passi della tua vicenda di coppia. E vale, ahimè, nei rapporti con lo Stato.
Che ci ha buggerato troppe volte, e ancora ce ne ricordiamo.
Nella memoria nazionale campeggia, per esempio, il prelievo del 6 per mille sui depositi bancari deciso nottetempo dal governo Amato, fra il 9 e il 10 luglio 1992. Fruttò 11.500 miliardi di lire, una manna per i nostri conti perennemente in rosso; ma «’l modo ancor m’offende», direbbe il poeta.
E l’offesa si traduce in un riflesso di paura ormai diventato atavico, che si gonfia a ogni crisi. Le cassette di sicurezza delle banche sono piene di contanti, lo sanno tutti, e la ragione sta proprio in quel remoto precedente.
Adesso, a quanto pare,tocca alle pensioni. Come se non fossero bastati gli esodati, gente mandata in pensione senza pensione dallo Stato: un’altra truffa, e 3 anni dopo non sappiamo nemmeno quanti siano.
Speriamo almeno che l’esecutivo sappia d’una sentenza costituzionale (n. 116 del 2013) che ha già bocciato il prelievo introdotto dal governo Berlusconi, perchè colpiva i pensionati, lasciando indenni le altre categorie di cittadini.
L’ennesimo colpo alla fiducia collettiva, come le bugie di Stato, come le rapine fiscali, come le leggi ingannevoli che parlano ostrogoto per non farsi capire, neanche dai parlamentari che le votano.
Eppure è la fiducia, è l’affidamento nella lealtà delle istituzioni, che dà benzina alle democrazie: non a caso il primo termine conta 485 ricorrenze nelle decisioni della Consulta, il secondo 500. Mentre il diritto civile tutela l’«aspettativa» circa la soddisfazione dei propri legittimi interessi.
E in effetti un’aspettativa ce l’avremmo, per ritrovare qualche grammo di fiducia.
Ci aspettiamo dal governo – quale che sia il governo – il linguaggio della verità , non le favole che si raccontano ai bambini.
E ci aspettiamo che ogni sua decisione sia leale, affinchè sia legale.
Michele Ainis
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Agosto 20th, 2014 Riccardo Fucile
CLASSE MEDIA DA SPREMERE E CONTRIBUTO DI SOLIDARIETA’
Non si chiamano più «pensioni d’oro» e si preferisce parlare di «pensioni alte», almeno da quando il ministro Giuliano Poletti annunciando un ennesimo prelievo sugli assegni Inps ha riconosciuto che per incassare una cifra adeguata occorre abbassare la cosiddetta asticella.
Basterebbe, per esempio, fissarla a 1500 euro lordi e la platea si allargherebbe al punto da risolvere il problema, o quasi.
Ovviamente non sarà quella la soglia. Ma si presume sia quella contenuta nel rapporto sulla «spending review» di Carlo Cottarelli che prevede un giro di vite temporaneo, in linea con quelli indicati a suo tempo dal sottosegretario all’Economia Pier Paolo Baretta, ossia intorno ai 2.500-3 mila euro.
Sui calcoli di governo grava però un equivoco.
Il piano di Cottarelli si riferisce agli assegni sopra i 2.500 euro lordi, che non possono essere considerati d’oro.
Corrispondono a prestazioni mensili poco sotto i 1.700 euro. Classe media da spremere se si vuole fare un po’ di cassa, ma certamente non un’operazione di giustizia sociale. Il loro numero è pari a 956.215 (dati Inps del 2012), il 5,7% del totale.
Comunque persone e famiglie con un reddito da classe media.
Se il riferimento è invece ai pensionati che percepiscono pensioni nette tra 2.500 e 3.000, il rischio è una misura non efficace.
I pensionati con un reddito lordo sopra i 4.800 euro al mese sono meno di 50 mila. Cifre ancora più ridotte per le classi di pensionati che incassano assegni più ricchi, basti ricordare che il contributo di solidarietà richiesto dal governo di Mario Monti, che colpiva i pensionati con redditi sopra i 150 mila euro lordi all’anno, ha portato allo Stato appena 81 milioni di euro, soldi che poi sono stati restituiti in quanto, com’è noto, la Corte Costituzionale ha bocciato clamorosamente il prelievo.
Il piano di Cottarelli chiede un contributo di solidarietà del 10-15% e un blocco della indicizzazione biennale.
Le voci più insistenti parlano però di un 10% per la durata di un biennio.
Ebbene, facciamo un po’ di conti. Dato che non conosciamo dove verrà posizionata la famosa «asticella», abbiamo ipotizzato diverse situazioni, con pensioni di importo mensile da 2 mila a 7 mila euro.
Le rendite con un importo mensile sopra i 7 mila euro, grazie alla Legge di Stabilità del 2014, stanno già scontando (e lo faranno sino a tutto il 2016) un prelievo che va dal 12 al 18%.
Tornando ai nostri conteggi possiamo notare che un pensionato che abita a Milano o Roma, con un assegno lordo di 3 mila euro, in realtà , tolte le tasse (Irpef più le addizionali, comunale e regionale), ogni mese mette in tasca 2.113 euro.
Ma non solo. Se il ticket sarà veramente pari al 10% dell’importo lordo, alla fine dell’anno subirà un prelievo di ben 3.900 euro, pari a circa due mensilità di pensione netta.
Altro che pensione d’oro.
Domenico Comegna
(da “il Corriere della Sera“)
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Agosto 20th, 2014 Riccardo Fucile
TRA I PROGETTI A RISCHIO GLI INTERVENTI CHIRURGICI PER I BAMBINI COLPITI DALLA GUERRA
Le armi italiane all’Iraq sì, gli aiuti umanitari e allo sviluppo no.
Un macigno sulla coerenza del governo arriva proprio nel giorno della visita lampo a Baghdad ed Erbil del premier Renzi e dell’informativa urgente dei ministri Mogherini e Pinotti sul caso dei convogli di armamenti che entro la settimana dovrebbero lasciare l’Italia per giungere nel Kurdistan iracheno, teatro delle violenze dell’Isis.
Ma l’Italia che si scopre interventista e pronta a caricare i suoi C-130 di mitragliatori deve fare i conti anche con quella che fino al giorno prima era impegnata in un sistematico disimpegno.
Lo strabismo italiano fa tutto capo al Ministero degli Esteri e al ministro Mogherini: proprio mentre s’incendiava il conflitto, la “sua” Farnesina — che gestisce gli aiuti umanitari e gli aiuti allo sviluppo — cancellava con un tratto di penna l’Iraq dalle priorità italiane.
Due mesi dopo l’insediamento del ministro, senza un voto in Parlamento, l’Iraq è sparito dai radar della cooperazione.
La Direzione generale per la Cooperazione allo Sviluppo (Dgcs) ha aggiornato le Linee guida e gli indirizzi di programmazione per il triennio 2014-2016 (leggi).
Insieme a Guinea, Ecuador e Vietnam anche l’Iraq veniva “derubricato”, da paese prioritario a “non prioritario”.
Un’esclusione che ha effetti non formali ma sostanziali, che in parte si sono già verificati. L’indicazione della priorità svolge infatti un ruolo determinante nella destinazione dei fondi umanitari e di cooperazione allo sviluppo, nelle politiche di credito d’aiuto, di rinegoziazione e conversione del debito.
Un’area di intervento che per il 2014 ha ricevuto uno stanziamento pari a 385,7 milioni, 64,3 in più rispetto al 2013.
Ebbene, di questi soldi l’Iraq, secondo la nuova programmazione, non avrà neppure le briciole.
Il declassamento improvviso di alcuni Paesi ha determinato un’alterazione nell’assegnazione delle risorse previste con l’ultimo bando per progetti di cooperazione.
In ballo c’erano 14,5 milioni di euro e 173 proposte da parte delle Ong.
La graduatoria finale riporta 44 progetti finanziati e tra gli esclusi dalla variante in corso d’opera c’è anche l’Iraq, il Paese nel quale oggi — a distanza di pochi mesi — viene giustificato sotto l’ombrello dell’azione umanitaria l’invio dei C-130 carichi di armi obsolete per l’esercito italiano ma buone per i peshmerga.
Non era prioritario, invece, il progetto “Un sorriso per l’infanzia” che organizza missioni chirurgiche per la cura delle malformazioni al volto dei bimbi per esiti da ustioni e traumi bellici. Grazie a medici volontari da 11 la Ong svolge questa attività a Nassiriya, Baghdad e città minori e ha curato 960 bambini.
Chiedeva 417mila euro per portare avanti la sua azione negli ospedali iracheni.
Alla luce delle diverse priorità il progetto viene giudicato “non idoneo”: ottiene 55 punti e si posiziona 82esimo in graduatoria. Prioritario è diventato, invece, armare i guerriglieri.
La scelta di escludere l’Iraq oggi appare tanto più grave alla luce della recrudescenza dei fanatici a danno dei civili non islamisti e della mobilitazione internazionale cui l’Italia prende parte.
Ma lo è anche alla luce degli stessi criteri indicati dal Ministero per la definizione delle nuove linee di intervento.
A pagina 19 delle Linee Guida criteri spiccano ancora “la povertà , le gravi emergenze umanitarie, le situazioni di conflitto e fragilità nel percorso di democratizzazione, la presenza di minoranze”.
Il ritratto dell’Iraq da mesi a questa parte. Ma il nostro Paese, che si è disimpegnato militarmente dal 2006, ha continuato l’opera di disinvestimento.
Mentre il ministro cancellava l’Iraq dalle priorità si riprendeva anche parte dei soldi che i governi precedenti aveano stanziato nei famosi accordi bilaterali del 2007, quando il governo italiano e quello iracheno concordarono una serie di aiuti per la ricostruzione e il sostegno allo sviluppo economico dopo il conflitto.
L’Italia aveva sottoscritto allora un programma di credito d’aiuto da 100 milioni di euro per l’acquisto da parte del ministero dell’Agricoltura iracheno di trattori e macchine agricole italiane. Dal 15 aprile scorso, con una delibera della DGCS, sono stati revocati 60 milioni.
Al posto dei trattori, manderemo le armi.
Thomas Mackinson
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Agosto 20th, 2014 Riccardo Fucile
LA DENUNCIA DOPO LO SCUOTACARCERI: “ORMAI ABBIAMO UN REATO SENZA PENA, E’ UNA LICENZA DI SPACCIARE”
L’ultimo caso particolare è successo solo qualche giorno fa.
A Torino uno spacciatore di cocaina è stato arrestato il 6 agosto. Il pm di turno ne chiede l’arresto, il gip in base alla legge “svuotacarceri” non accoglie la domanda, il pusher torna fuori e l’11 agosto viene preso ancora e scarcerato di nuovo.
Il caso è finito nelle mani del sostituto procuratore Andrea Padalino: “Ormai abbiamo un reato senza pena. È una licenza per spacciare”, dichiara.
Dopo la lettera aperta dei funzionari di polizia al ministro dell’Interno Angelino Alfano sul dimezzamento degli arresti per spaccio, il pm torinese torna a spiegare gli errori della norma voluta dal governo Renzi per rimediare al sovraffollamento dei penitenziari, convertita in legge dal Senato all’inizio di agosto.
Dottore, quali sono gli ultimi dati?
Sono stato di “turno arrestati” la scorsa settimana e posso dire che le detenzioni per spaccio a Torino sono dimezzate. Se di solito in un territorio così c’erano dai venti ai trenta arresti al giorno, ora siamo arrivati a una decina.
Perchè?
Perchè lo “svuota carceri” riduce la pena prevista per lo spaccio di quantità modiche dai sei mesi ai quattro anni e mezzo, non importa quale sia il tipo di droga. Il codice di procedura penale prevede che se la pena prevista è fino ai cinque anni si può disporre la custodia cautelare in carcere, al di sotto si possono dare gli arresti domiciliari. Tuttavia la maggior parte di queste persone non hanno una dimora e non possono essere messi ai domiciliari e quindi tornano liberi dopo 48 ore in camera di sicurezza.
Ma ciò vale anche nei casi in cui uno spacciatore venga arrestato più volte?
Non esistono aggravanti, anche se lo spacciatore è recidivo. Se il pusher venisse condannato più volte nel corso di un anno, ciò comporterebbe degli aumenti minimi della condanna, che non supererebbe i quattro anni e mezzo, e lui rimarrebbe libero di spacciare.
Donatella Ferranti del Pd difende la norma dicendo che tutela quei ragazzini che spacciano tra amici.
Quelli sono casi rari, uno ogni cento. Chi ne usufruisce di più sono certi delinquenti che a questo punto hanno una licenza per spacciare.
Il problema era già stato sollevato a giugno. È cambiato qualcosa nella conversione in legge del decreto?
No, il problema è rimasto. La norma però va cambiata.
Quali modifiche si potrebbero fare?
Basterebbe cambiare i limiti della pena per lo spaccio di modiche quantità , portare il massimo da quattro anni e mezzo a cinque anni per ripristinare la custodia in carcere. Oppure si potrebbe prevedere un range unico per lo spaccio, con un limite minimo di un anno fino a un massimo di venti anni di carcere (previsto per la vendita di grosse quantità di stupefacenti, ndr) lasciando al giudice la possibilità di scegliere. In questo modo non verrebbe impedita la custodia cautelare in carcere.
Il problema vale solo per lo spaccio o ci sono anche altre “categorie” di reati?
Prima c’era il problema provocato dal decreto legge 92 del 26 giugno. Secondo questo testo se un giudice prevede che un arrestato, al termine del processo, debba scontare una pena sotto i tre anni, allora dovrà lasciarlo ai domiciliari. In questo modo però la norma restringe la custodia cautelare per molti reati. La legge di conversione sembra contenere i danni, ma deve ancora essere approvata. Al momento è stato inserita una norma che prevede il carcere per chi non ha una dimora.
Andrea Giambartolomei
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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