Agosto 3rd, 2014 Riccardo Fucile
DA CINQUE MESI SENZA CONTRATTO ANCHE IL PORTAVOCE DEL GOVERNO FILIPPO SENSI… PER ENTRARE AL LAVORO SONO FATTI FIGURARE ALL’UFFICIO PASS COME “OSPITI ”
Lavorano senza stipendio e senza contratto da 5 mesi.
I loro “capi” non sono persone qualunque: il presidente del Consiglio, Matteo Renzi e il sottosegretario Graziano Delrio.
A 160 giorni dall’insediamento del governo, lo staff di Palazzo Chigi è assunto solo “sulla parola”: non ha uno straccio di contratto ed è tuttora in attesa della prima busta paga.
Dall’inizio del suo mandato, Renzi non ha ancora firmato i decreti delle nomine degli “uffici di diretta collaborazione”.
Nè i suoi, nè quelli dell’ex braccio destro Delrio.
Il personale delle segreterie politiche è operativo da mesi, pur essendo a tutti gli effetti “abusivo”.
Una situazione che riguarda, nel complesso, circa 100 lavoratori in decine di uffici e dipartimenti.
Le solecitazioni dei sindacati sono state inutili. L’ultima lettera di protesta è stata inoltrata il 22 luglio dal Sipre (Sindacato indipendente della presidenza del Consiglio dei ministri).
Come le altre, non ha ottenuto risposta.
“Il personale estraneo all’Amministrazione — si legge nel comunicato — tutt’ora in assenza di contratto, non percepisce nemmeno lo stipendio e, pertanto, lavora ‘sulla parola’, privo com’è di titolo giuridico (come accede a Palazzo Chigi?) e anche di copertura assicurativa”.
Tra i 100 in attesa ci sono situazioni differenti: ai dipendenti di ruolo, per esempio, non viene corrisposto “solo” il salario accessorio, circa il 40 per cento della busta paga (e non si tratta di stipendi particolarmente pesanti: un dipendente di fascia B percepisce una cifra attorno ai 1500 euro al mese).
Poi ci sono i lavoratori provenienti da altri uffici della pubblica amministrazione. Anche loro senza salario accessorio, ma con un problema in più: a rigor di legge, la ratifica della loro nuova assegnazione sarebbe dovuta avvenire entro 30 giorni, pena l’annullamento della nomina.
Scaduto quel termine, lavorano negli uffici della presidenza del Consiglio dei ministri in modo del tutto “informale”.
La posizione più seria comunque non è la loro, ma quella del personale “estraneo” alla pubblica amministrazione: quelli che sono stati chiamati da fuori.
Sprovvisti di un contratto e di un precedente inquadramento in qualche ufficio pubblico, sono ancora in attesa del primo stipendio: lavorano gratis da più di 5 mesi. Entrano e si muovono all’interno di Palazzo Chigi sulla base di un incarico conferito a voce.
Hanno un computer, un telefono e un ufficio, ma sono sprovvisti anche del tesserino della presidenza del Consiglio: lavorano “sulla parola” ed entrano con pass giornalieri, come fossero ospiti.
Tra di loro non ci sono solo i peones che difficilmente possono sporsi in proteste e lamentele, in quanto privi di visibilità , oltre che di qualsiasi forma di tutela contrattuale.
Ma pure alcuni dei collaboratori più stretti e più in vista del presidente del Consiglio. Come Filippo Sensi, uomo ombra di Renzi e di fatto portavoce unico del governo. Una responsabilità enorme, ma senza portafogli, nel verso senso della parola. Sull’argomento, Sensi — in trasferta al Cairo — preferisce glissare.
Insieme a lui, in tutte le cerimonie ufficiali, compresi i viaggi all’estero sui voli di Stato, ci sono il fotografo personale di Matteo Renzi, Tiberio Barchielli e un altro foto-cameraman, l’ex poliziotto Filippo Attili.
Tutti rigorosamente senza contratto.
Un altro degli “abusivi”, nella squadra informale dell’ufficio stampa del governo, è Luca Di Bonaventura. “Tecnicamente non so bene come funzioni la faccenda dell’inquadramento e dei contratti — spiega — ma non esiste nessun problema sostanziale. Manca solo il passaggio formale. Siamo in parola con chi ci ha conferito l’incarico e sappiamo che non appena le nomine saranno ufficiali, ci sarà restituito quello che ci spetta, sia a livello di stipendioche di coperture”.
Rimane poco chiaro, cosa dovrebbe mettere al riparo il governo dalle attenzioni della Corte dei Conti, considerando la natura giuridicamente “anomala” di queste figure professionali, che si muovono nella pubblica amministrazione e utilizzano i suoi uffici e i suoi servizi.
Non è chiaro nemmeno cosa aspetti Renzi a formalizzare le nomine.
Non solo della sua squadra, ma pure di quella di Delrio, che è grosso modo la stessa con cui lavorava già da inistro del governo Letta.
Tutto immobile.
Tranne iapporti tra i due, che — come noto — non sono più come prima.
Tommaso Rodano
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Agosto 3rd, 2014 Riccardo Fucile
CLAUDIA MINUTILLO E’ STATA PER ANNI A FIANCO DELL’EX GOVERNATORE DEL VENETO: “CON ME GALAN PIU’ VIOLENTO PERCHE’ HO CONFESSATO”
Quando lo incontrerà gli tirerà due ceffoni, se lui non l’avrà stesa prima.
E garantisce che glielo dirà in faccia: «Per salvare te stesso e i tuoi soldi hai infamato una donna con falsità e cattiverie. Io i peccati li ho confessati, tu no».
Oggi lo detesta almeno quanto lo sosteneva negli anni ruggenti, quando lavoravano fianco a fianco per intere giornate.
Lei a gestire la fitta agenda del governatore, lui a dettarla.
Era l’età della forte ascesa di Claudia Minutillo, formalmente la segretaria di Giancarlo Galan, di fatto vicepresidente della Regione Veneto.
Il doge e la dogaressa oggi si trattano a pesci in faccia.
È partita lei confessando fondi neri e denunciandolo.
«Era lei a rubare», è insorto lui creando così le premesse di questa intervista indignata e fumantina
Abito elegante nero, la gonna due dita sopra il ginocchio, un filo di trucco, un filo di tacco, della battagliera Claudia Minutillo sorprende la fragilità che di tanto in tanto esce allo scoperto bagnandole gli occhi di commozione, quando ricorda suo padre, sua madre o alcune persone semplici nelle quali si scioglie.
Ma quando si parla del doge torna inflessibile.
Galan sostiene che lei ha trattenuto i soldi di due contributi elettorali in nero, 500 mila euro, e che si faceva dare una sorta di ticket da chi chiedeva un appuntamento col governatore.
«Dico che io quei soldi non solo non li ho trattenuti ma neppure li ho ricevuti. Dei contributi cash destinati a lui non ho mai intascato nulla, pur vivendo in quella realtà corrotta e pur avendo confessato fondi neri. Figuriamoci poi se facevo pagare un ticket».
Lussi, case, macchine, il cappotto da 18 mila euro. Il vecchio capo punta il dito sul suo patrimonio che non sembra quello di una segretaria.
«Galan si difende attaccando chi lo accusa per cercare di salvarsi colpendo i testimoni: non ci sono solo io, anche Baita e Mazzacurati. Con me è particolarmente violento, forse perchè sono stata la prima a confessare. Guardi, io le dico una cosa: giravano così tante tangenti che Galan faceva pure confusione fra questo o quell’imprenditore, questa è la verità . In ogni caso non ho mai avuto un cappotto da 18 mila euro».
Lei sta dicendo che è venuta a galla solo una parte di verità ?
«Il sistema era quello. Molti nomi non usciranno mai perchè ci vorrebbe un esercito di inquirenti per provare le accuse prima della prescrizione. Eravamo in grado di corrompere molte persone, politici, magistrati, generali, al punto che quando decisi di parlare temevo che qualcuno dei finanzieri potesse fare il doppio gioco. Quando sei dentro a un sistema malato pensi che tutto sia malato».
Poi ha cambiato idea?
«Pensi che a farmela cambiare sono stati proprio i miei accusatori, quei magistrati, Ancilotto, la Tonini, e il gruppetto di finanzieri della Tributaria di Venezia che hanno saputo lavorare in un ambiente difficilissimo, per il fatto che noi cercavamo di inquinarlo. Guadagnano quel che guadagnano ma nulla può tentarli. Mi hanno incastrato, certo, ma alla fine è come se mi avessero liberato».
Come cercavate di inquinare?
«Con Baita, Buson e Mazzacurati sono stati pagati milioni di euro per corrompere e per pagare investigatori privati che potessero in qualche modo controllare le indagini. Ricordo che una volta, quando ci fu la richiesta di ulteriori due milioni di euro, Buson che era il responsabile finanziario del gruppo Mantovani, mi disse: pazzesco, ma tu sai quanti dipendenti pagherei io con tutti questi soldi».
In quel mondo lei ci ha sguazzato a lungo, giusto?
«Sì ma non ne potevo più. Eravamo arrivati a un punto che non ci si fidava più di nessuno. Non sapevi più con chi parlare, dove, avevo sempre il sospetto di essere spiata, indagata. Era diventata una vita grama. Ho confessato anche per questo».
Dopo la confessione com’è cambiata la sua vita?
«Forse sono più sola di prima ma più in pace con me stessa. Ho dovuto fare i conti con varie minacce, anche a persone a me vicine. Ma alla fine è come se mi fossi tolta una grande peso».
Cosa fa ora dei suoi giorni?
«Mi sto dedicando a un nuovo progetto imprenditoriale che non ha nulla anche fare con la Pubblica amministrazione».
Come vede il suo futuro?
«Non lo vedo ancora ma sarà certamente migliore del mio passato. Il mio passato e il mio futuro sono divisi da un arresto che mi ha liberato».
Andrea Pasqualetto
(da “il Corriere della Sera“)
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Agosto 3rd, 2014 Riccardo Fucile
DOPO L’OSTRUZIONISMO IL PARTITO DI VENDOLA SI APPRESTA A DIALOGARE CON RENZI… NESSUNA ROTTURA TOTALE CON IL PD
La festa di Sinistra Ecologia e Libertà , a piazza San Giovanni in Roma, si trascina stancamente. Chi sta dietro lo stand, dopo la fatica di giorni e sere in cui, a volte, non si è vista anima viva, ammette sconsolato: “Prego Dio, e anche la Madonna, che finisca presto”.
Stasera sarà accontentato, la festa di chiusura permetterà ai militanti di andare in vacanza.
Ma l’attenzione alle mosse future di Sel resterà alta.
Il partito di Vendola, infatti, dopo una prima fase di forte opposizione alla riforma di Renzi, ha tirato giù le vele dell’ostruzionismo e sembra tornare a una più normale dialettica parlamentare. Frutto delle offerte in materia di legge elettorale, si dice, o paura di essere risucchiati in una spirale grillina.
“La nostra non è una trattativa che può far cambiare orientamento a Sel sul voto finale che daremo sul provvedimento” assicura il senatore Peppe De Cristofaro.
“Voteremo contro la riforma costituzionale voluta dal governo Renzi. Continueremo la nostra battaglia alla Camera e poi di nuovo al Senato nella terza lettura”.
Battaglia di lungo periodo che sfocerà nei “comitati per il No” quando si terrà il referendum confermativo.
Resta però il sapore di un rientro dopo i giorni più duri di una rottura annunciata.
Le offerte di Renzi sulla legge elettorale sono state decisive.
Sel aveva già ricevuto garanzie dal Capo dello Stato che si era adoperato per una revisione dell’impianto dell’Italicum in direzione di un abbassamento delle soglie per accedere al Parlamento.
Sel punta al 4% ma anche un 5, dicono nel partito, “per noi è potabile”.
C’è poi la partita delle elezioni regionali che ha visto anche settori del Pd preoccuparsi di una rottura che, in regioni come la Calabria o la Puglia, significherebbe la sconfitta per il centrosinistra.
A pesare di più, però, è la strategia di Sel.
Fin dalla rottura con Rifondazione comunista, il partito di Vendola ha fatto della prospettiva di governo un obiettivo fondante.
Dismettere questo orientamento significherebbe vanificare anni di lavoro politico. “Diciamo che siamo in una guerra di lungo periodo”, spiega il responsabile organizzativo Massimiliano Smeriglio: “Il nemico è una delle tante varianti del neoliberismo e noi siamo impegnati in piccole sortite di guerriglia”.
Ecco, oltre la guerriglia, Sel non può andare.
Sal. Can.
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Agosto 3rd, 2014 Riccardo Fucile
IL SUGGERIMENTO: “MEGLIO SOTTOPORSI ALLA TROIKA CHE CONTINUARE NELLA VANAGLORIA”…. “RENZI ASSOMIGLIA A CRAXI”
“Fallita l’operazione “80″euro, compresa una situazione ormai difficile per conti ed economica, non ci resta che la Troika”. Il messaggio è di Eugenio Scalfari che fa intendere che in un paio di mesi le cose sono cambiate e parecchio, visto che alla vigilia delle elezioni europee scrisse uno dei suoi fondi domenicali con il titolo “Il 25 maggio bisogna votare per Renzi e per Schulz“.
Nell’editoriale di oggi, 3 agosto, il fondatore di Repubblica arriva al punto quasi nel finale: “Dirò un’amara verità che però corrisponde a mio parere ad una realtà che è sotto gli occhi di tutti: forse l’Italia dovrebbe sottoporsi al controllo della Troika internazionale formata dalla Commissione di Bruxelles, dalla Bce e dal Fondo monetario internazionale“.
Secondo Scalfari non c’è più la Troika per come l’abbiamo conosciuta fin qui.
“Un tempo (e lo dimostrò soprattutto in Grecia) quella Troika era orientata ad un insopportabile restrizionismo — ammette — Ora è esattamente il contrario: la Troika deve combattere la deflazione che ci minaccia e quindi punta su una politica al tempo stesso di aumento del Pil, di riforme sulla produttività e la competitività , di sostengo della liquidità e del credito delle banche alle imprese”.
Certo, l’Italia non farebbe questa gran figura, ma in certi casi serve mettere da parti l’orgoglio, spiega Scalfari: “Capisco che dal punto di vista del prestigio politico sottoporsi al controllo diretto della troika sarebbe uno scacco di rilevanti proporzioni, ma a volte la necessità impone di trascurare la vanagloria e questo è per l’appunto uno di quei casi”.
La premessa a questo ragionamento è che tutti gli indicatori che “l’economia non va affatto bene” e d’altra parte “l’hanno dichiarato esplicitamente il ministro Pier Carlo Padoan e anche Renzi”.
L’esclusione dei poveri dal bonus degli 80 euro “conferma le difficoltà finanziarie che — secondo il fondatore di Repubblica – sono il vero problema del governo, ma i giornali non hanno colto a sufficienza un altro dato estremamente significativo: il bonus di ottanta euro doveva servire a rilanciare i consumi e quindi ravvivare la domanda. Invece non è accaduto nulla, i consumi sono fermi e in certi settori sono addirittura in diminuzione. L’operazione ottanta euro è dunque fallita (come avevamo previsto quando fu annunciata) e rivela ora la vera ragione per la quale fu fatta: suscitare simpatia elettorale a favore del Partito democratico renziano”.
Quanto alle riforme istituzionali Scalfari da una parte fa notare come “la gente è indifferente, della riforma del Senato e della legge elettorale non gliene importa niente come del resto non importa niente neppure all’Europa. È un gioco tutto italiano, e il circuito mediatico lo moltiplica. Ci si accapiglia sul nulla, ma dietro a quel nulla ci sono progetti di potere coltivati con grande abilità ”.
Dall’altra ammette la necessità di alcuni contrappesi che servono nel caso di un sistema monocamerale.
Altrimenti la somiglianza più aderente a Renzi non è Mussolini nè Napoleone.
Ma Craxi: “Qualcuno lo chiama dispotismo democratico. Altri autoritarismo o centralismo democratico. Altri ancora egemonia individuale — scrive Scalfari — Ma la sostanza è la stessa, i pessimisti ad oltranza rievocano addirittura i rapporti tra il Direttorio e Napoleone Bonaparte. Personalmente sono meno pessimista e quando penso al nostro presidente del Consiglio il cursus di Napoleone non mi viene neanche in mente e neppure quello di Benito Mussolini. Però mi viene in mente Bettino Craxi, quello sì, e debbo ammettere che non mi piace per niente. Craxi era un socialista, ma di destra non di sinistra. Era alleato della Dc che aveva molti più voti di lui ma i suoi erano determinanti, quelli democristiani erano divisi in correnti molto in contrasto tra loro. Lui avrebbe voluto che Berlinguer lo appoggiasse restando però all’opposizione. Un piano alquanto bizzarro. Anche Renzi vorrebbe che la sinistra lo appoggiasse e perfino i 5Stelle. Ma il vero cardine è con Berlusconi, la sua forza sta lì, nel patto del Nazareno”.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Agosto 3rd, 2014 Riccardo Fucile
EVENTUALI TAGLI COLPIRANNO PENSIONI, SANITA’ E SERVIZI PUBBLICI: COSI PER 80 EURO CHE ELARGISCE A QUALCUNO CON UNA MANO, NE FOTTE 100 A TUTTI CON L’ALTRA
Prima la presa d’atto della frenata dell’economia, poi la rinuncia all’allargamento del bonus di 80 euro a pensionati e partite Iva (che sarebbe costato 5 miliari), quindi l’impegno a lavorare d’agosto alla legge di Stabilità .
La task force renziana ha già in mente la contromossa autunnale alla caduta del Pil e alla rinnovata tensione sui conti pubblici.
Un piano d’emergenza per trovare 20 miliardi per il 2015 e costruire un cordone di sicurezza intorno ai conti pubblici, cercando di evitare cure drastiche a colpi di austerità .
A far scaldare i motori, dopo le polemiche delle ultime ore e il “caso” Cottarelli, è intervenuta nel frattempo la mancata bollinatura da parte della Ragioneria generale di due norme del decreto Madia, approvato nei giorni scorsi alla Camera: il pensionamento di 4.000 insegnanti con le norme, pre-Fornero, di “quota 96” (costo nel 2014 circa 50 milioni) e l’anticipo del pensionamento dei professori universitari da 70 a 68 anni (costo un centinaio di milioni).
La Ragioneria pone rilievi per la qualità e l’entità delle coperture, soprattutto per la seconda misura, e il governo, al Senato, è intenzionato a correre ai ripari: Madia e Morando sono al lavoro nel week end.
Il nuovo quadro che si è venuto a delineare ha convinto Renzi ad accelerare la preparazione della legge di Stabilità , che sarà comunque varata, regolarmente, a settembre.
La valutazione di fondo è che servono circa 20 miliardi di manovra lorda: non lo dice solo l’ex viceministro del Tesoro, Stefano Fassina, che parla di 23 miliardi da giorni, ma che sta in una posizione critica nel Pd.
Anche all’interno del governo i primi calcoli portano a questa cifra.
Da trovare ci sono infatti i 7-10 miliardi per il rinnovo del bonus Irpef da 80 euro per il 2015, i 4 miliardi di spese indifferibili (Cig in deroga, 5 per mille, missioni militari ed altro), i 4 miliardi di tagli alle spese postati sul 2015 dal governo Letta che dovranno essere trovati, pena l’entrata in funzione della clausola di salvaguardia con relativo taglio lineare delle agevolazioni fiscali.
Infine 2-3 miliardi dovranno servire per proseguire nella correzione del deficit. In tutto una ventina di miliardi.
Dove trovarli? L’idea che sta circolando è quella di far conto intanto su una riduzione dello spread e la conseguente minor spesa per interessi di circa 3 miliardi, dato che gli stanziamenti sono stati per prudenza sovrastimati nel Def.
La seconda mossa, che darebbe un paio di miliardi, riguarda la contabilizzazione del buon gettito dell’Iva che arriva dalle ristrutturazioni ecologiche delle abitazioni per le quali si stima un giro d’affari di 20 miliardi per il 2015.
Il resto verrebbe dalla spending review: la cifra annunciata da Renzi è di 16 miliardi, ma a fronte di queste nuove risorse individuate dal governo, potrebbe essere limata con l’obiettivo politico di non intaccare più di tanto sanità , pensioni e servizi essenziali.
Molto dipenderà dal rapporto con l’Europa e dall’obiettivo di deficit-Pil che ci si porrà per il prossimo anno.
Il Def fissava l’1,8 per cento per il 2015, ma già nei giorni scorsi Renzi, durante la direzione del Pd, ha annunciato di voler portare il livello al 2,3 per cento: dunque manovra più leggera.
Non è escluso che si salga ancora, restando sotto il 3 per cento e riuscendo a racimolare qualche miliardo di margine, 5 oppure 6.
Naturalmente questa opzione deve fare in conti con Bruxelles. Salire ulteriormente verso il 3 per cento (dopo aver già fatto slittare il pareggio strutturale di bilancio al 2016) aprirebbe un fronte con l’Unione che potrebbe trovare una soluzione solo una volta consolidati gli assetti della nuova Commissione e stabilite le modalità del meccanismo di flessibilità a fronte di riforme.
Da considerare anche che preme la raccolta delle firme per il referendum per l’abolizione del Fiscal Compact: l’ulteriore ricorso al rigore non farebbe che dare maggiore fiato all’iniziativa.
Infine c’è la rivalutazione del Pil: il 20 settembre scatteranno le nuove serie di Eurostat che, cambiando metodo di calcolo e allargando il campo delle attività illecite contabilizzate, aumenterà il prodotto interno lordo di circa il 4 per cento.
Una stima elaborata dalla Confcommercio valuta nello 0,1 la diminuzione del rapporto deficit-Pil dovuta alla crescita del denominatore: dunque 1,7 miliardi in più che comunque contribuiranno alla composizione della manovra allargando i margini.
Roberto Petrini
(da “la Repubblica”)
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Agosto 3rd, 2014 Riccardo Fucile
LE “ILLECITE FORZATURE” CON CUI IL PRESIDENTE DEL SENATO HA FACILITATO IL CAMMINO DELLA RIFORMA
La domanda è: nella settimana in cui il Senato della Repubblica ha approvato i primi due articoli della riforma costituzionale, ovvero i più importanti (stabiliscono che i senatori si riducono a cento e non saranno più eletti direttamente dal popolo), Piero Grasso si è comportato come un arbitro super partes o come un giocatore in campo utilizzando forzature del regolamento ai limiti della legalità ?
Secondo le opposizioni (Sel, Lega e Movimento Cinque Stelle), il presidente ha fatto di tutto per facilitare il cammino della riforma voluta dall’esecutivo, rendendo ostico e complicato il sacrosanto diritto di opposizione.
Qui, poi, non si parla di una norma qualunque, che può essere modificata in futuro in un battito di ciglia, al mutare della maggioranza parlamentare.
Parliamo di una legge costituzionale, che modifica la seconda parte della Carta e necessita di una maggioranza dei due terzi e di un doppio passaggio parlamentare. Grasso, secondo l’opposizione, ha dato una grossa mano al governo attraverso l’uso di tre strumenti discutibili se non illegali: la “tagliola”, il “canguro” e lo “spacchettamento”.
Più altri piccoli soprusi, come quello di togliere la parola a senatori che avevano tutto il diritto di parlare.
Il governo ribatte: la minoranza ha presentato una valanga di emendamenti fittizi solo per portare al limite l’ostruzionismo, giusto quindi usare tutti gli strumenti per evitarlo.
La tagliola che strozza voti e dibattito
Facciamo un passo indietro a giovedì 24 luglio, giorno in cui la conferenza dei capigruppo decide di votare la riforma entro l’8 agosto.
Una strettoia che, come si è visto, strozzerà il dibattito in modo clamoroso. La decisione spetta, appunto, alla capigruppo. Ma la parola finale è comunque del presidente. Che si è ben guardato dall’opporsi a una decisione che andava in favore del governo.
Così si è andati in Aula con oltre 8mila emendamenti e due settimane e mezzo per arrivare al traguardo.
“Contingentare una riforma costituzionale è una forzatura abnorme”, osserva il capogruppo di Sel a Palazzo Madama, Loredana De Petris.
“Ai tempi della devolution del centrodestra, nel 2005, facemmo 35 sedute, sotto lo sguardo vigile di Marcello Pera che, in confronto a Grasso, è stato un arbitro più imparziale”, ricorda la senatrice.
Troppi emendamenti? Tranquilli, si saltano col canguro
Insomma, il tempo è poco e gli emendamenti tanti, specialmente quelli di Sel, quasi 7mila.
E allora che si inventa Grasso, su suggerimento di qualche mente fina del Pd?
Applica la legge del canguro, ovvero quel procedimento secondo cui, se un emendamento viene bocciato, automaticamente decadono anche quelli simili.
Di canguri nel regolamento del Senato non vi è traccia.
“Il metodo è stato usato per la prima volta alla Camera da Nilde Iotti. A Palazzo Madama si è visto sulla devolution di Berlusconi per far decadere una sessantina di emendamenti.
Ma l’uso che se n’è fatto in questi giorni è spropositato: prima ha sanato le irregolarità del giorno prima e poi ha stravolto il regolamento a colpi di maggioranza”, continua De Petris.
Insomma, per prassi il canguro deve essere usato con parsimonia: saltelli piccoli e non balzi giganti.
Martedì 29, invece, Grasso fa sparire 1.400 emendamenti in un colpo solo.
Mercoledì 30 viene convocata la giunta per il regolamento, che dà ragione a Grasso. Il quale in Aula poi afferma testuale: “La decisione di usare il canguro risponde alla decisione della maggioranza di decisione della maggioranza di finire entro l’8 agosto. Il mio compito è di utilizzare tutti gli strumenti per ottemperare a questa esigenza. Ma sarà utilizzato con buon senso”.
Come a dire: Renzi vuole andare veloce e io farò di tutto per accontentarlo.
Peccato, però, che il presidente del Senato dovrebbe garantire tutte le forze politiche presenti a Palazzo Madama, a partire proprio dalle minoranze.
Con lo spacchettamento addio scrutinio segreto
Infine, per evitare il ricorso al voto segreto, che avrebbe messo in grave difficoltà la maggioranza (nell’unico concesso il governo è andato sotto), Grasso ha accolto la richiesta della maggioranza di votare per parti separate alcuni emendamenti.
Il più clamoroso è quello di martedì 29. Sel ne presenta uno secondo cui “le Camere sono elettive garantendo la rappresentanza delle minoranza linguistiche”.
Si procede a voto segreto. Allarme rosso per l’esecutivo: se passa, stabilisce che il Senato debba restare elettivo.
Allora il Pd chiede di votare per parti separate: palese la prima, segreto sulla seconda. Ma quest’ultima parte — “garantendo la rappresentanza delle minoranze linguistiche” — non ha un valore legislativo autonomo.
Sganciata dalla prima, non significa nulla. Ma Grasso acconsente e l’emendamento viene spacchettato. Il voto a quel punto diventa inutile. Infine, a margine, altri piccoli e grandi soprusi.
Come quello di non dare la parola al leghista Candiani per illustrare un emendamento che prevede il dimezzamento dei deputati. Grasso non lo fa parlare e scoppia il parapiglia.
Ma a lamentarsi per la riduzione al silenzio sono tanti.
Causa tagliola, per esempio, Sel ha avuto in totale un’ora e 26 minuti per intervenire su tutta la riforma. Tempo già esaurito. Per gli articoli dal 3 al 40 il partito di Vendola dovrà stare in silenzio, a meno di gentile concessione del presidente Grasso.
Se parli, devi pure ringraziare.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Agosto 3rd, 2014 Riccardo Fucile
L’EX MAGISTRATO FU ELETTO ANCHE GRAZIE AD ALCUNI GRILLINI: “MA ANZICHE’ FARE L’ARBITRO E’ SCESO IN CAMPO PER GIOCARE”
«Pentito della mia scelta? Risponderò alla fine di questa partita, quando tutto sarà più chiaro. Ma una cosa è certa: Grasso anzichè fare l’arbitro è sceso in campo per giocare. Da lui mi aspettavo un atteggiamento diverso».
Mario Michele Giarrusso un anno e mezzo fa disubbidì a Grillo e alla linea ufficiale del Movimento, votando Grasso come presidente del Senato.
Perchè se l’ex magistrato siede sullo scranno più alto di Palazzo Madama lo deve (anche) a un gruppetto di grillini.
Quelli che, di fronte alla scelta «o Grasso o Schifani», non lasciarono la scheda bianca, come da linea ufficiale.
No, loro scelsero il magistrato antimafia. Quello che è oggi è il Nemico.
«Sarebbe stata un’infamia insopportabile collaborare all’elezione di Schifani», disse Giarrusso, tra i pochi a uscire allo scoperto dopo che Grillo chiese ai ribelli di palesarsi. «L’eletto deve rispondere delle sua azioni con il voto palese per questo vorrei che i senatori M5S dichiarassero il loro voto» tuonò il leader dal blog.
E ancora: «Il voto segreto non ha senso».
Ah, e le battaglie di questi giorni?
«Il problema è che Grasso non sta svolgendo il suo ruolo di presidente super partes», aggiunge Giuseppe Vacciano, uno che dopo aver votato Grasso disse: «Se si cercano i colpevoli di alto tradimento ai princìpi del M5S, ecco: uno lo avete trovato. Sono pronto a dimettermi».
Ripensamenti? «Del senno di poi son piene le fosse». Però lo scontro in atto in Senato fa riflettere. «Quando l’ho votato — ammette —, l’ho fatto per il suo percorso personale, avevo speranze. Prendo atto che non è così».
E allora aveva ragione Grillo?
«A quanto pare sì» sospira il senatore Francesco Molinari. «Una precisazione, però — mette subito le mani avanti — io non ho votato Grasso. E sfido chiunque a dimostrare il contrario».
Ma in quei giorni prese le difese dell’ala dissidente, chiedendo a Grillo «meno reazioni isteriche e più fiducia», invitando a «studiare le differenze tra cariche istituzionali e ruoli politici».
Oggi la pensa diversamente. «Grasso gestisce l’Aula come se fosse una Corte d’Assise».
A molti di quei senatori l’intransigenza è costata cara.
Se ne sono andati sbattendo la porta o sono stati cacciati, come Fabrizio Bocchino. «Io non rinnego quel voto a Grasso – ripete difendendo la sua autonomia di pensiero – perchè in quel momento era una scelta tra due persone. E tra Grasso e Schifani il meno peggio era Grasso».
Lo rifarebbe? «Certo. I fatti di questi giorni mi hanno fatto sorgere dubbi sulle sue capacità di essere al di sopra delle parti, di garantire le opposizioni”.
Marco Bresolin
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Agosto 3rd, 2014 Riccardo Fucile
E BERLUSCONI ORDINA AI SUOI: “NESSUN BASTONE TRA LE RUOTE A RENZI, NESSUNA CRITICA, NESSUNO STOP”… IN CAMBIO DI COSA, SILVIO?
L’aspirazione è andare, se possibile, oltre il Patto del Nazareno.
Cioè: se Renzi, a settembre, dovesse trovarsi in una situazione critica, legata ai conti pubblici ma anche alla spinta elettorale della fronda interna al Pd (e non solo), Forza Italia — nel volere del “Cavaliere” — dovrebbe farsi trovare pronta a fare da stampella alla maggioranza di governo pur di garantire il buon fine del percorso riformatore.
E, ovviamente, non solo quello.
Ogni giorno che passa, infatti, il premier diventa sempre una maggior garanzia per Silvio Berlusconi che ha dato preciso mandato ai maggiorenti del partito di agevolare in ogni modo possibile l’azione di governo. E su ogni fronte.
Ma non tutti hanno voglia di obbedire.
La linea è partita nei giorni scorsi direttamente da Arcore, tra le proteste di un Renato Brunetta che aveva già pronto un doppio piano per pungolare il premier sull’economia a partire dalla riapertura dei battenti parlamentari a settembre, ma Berlusconi è stato netto: nessun bastone tra le ruote a Renzi, nessuna critica, nessuno stop sul ddl Boschi.
Che Verdini continuasse a vigilare sulla dissidenza interna al Senato.
Così, mentre fervono i preparativi per in nuovo incontro tra Renzi e Berlusconi che avverrà probabilmente martedì prossimo di mattina presto a Palazzo Chigi, con sul tavolo il nuovo Italicum, ridisegnato nel dettaglio con nuove soglie di sbarramento, nuovo tetto del 40% per il ballottaggio e una strana alchimia tra preferenze e capilista bloccati per accontentare la falange sinistra del Pd e anche in po’ i grillini, Renzi ieri dal Cairo ha ricambiato cotanta cortesia arcoriana sul possibile sostegno al governo in caso di guai.
“È importante — ha infatti detto Renzi — che Berlusconi stia al tavolo della riforma elettorale così come è stato a quello per la riforma costituzionale: un segnale importante, di serietà del sistema”.
D’altra parte, il coro di battimani dentro Forza Italia pro Renzi si ascolta da giorni.
La prima è stata Maria Rosaria Rossi, più nota come “badante” e tesoriera azzurra, che ha sancito in modo sicuro l’impossibilità di “un’alternativa al Patto del Nazareno”.
Poi è stata folgorata sulla via di Pontassieve anche Maria Stella Gelmini: “Siamo pronti ad aiutare Renzi se darà uno choc all’economia”, ma anche senza, probabilmente.
Quindi è passato Paolo Romani, capogruppo al Senato: “Nessuno può fermare il processo riformatore, e noi andiamo avanti con convinzione”, per finire con il responsabile dell’ufficio elettorale forzista Ignazio Abrignani. Che s’è lasciato scappare che “se su economia e fisco Renzi volesse discutere con noi di altre proposte, saremmo senz’altro pronti a farlo”.
Infine, il peana di Giovanni Toti su Twitter: “Per riforme e legge elettorale Forza Italia c’è. Le regole si scrivono insieme #unademocraziaditutti”.
Tutto apparecchiato, dunque, al tavolo di Renzi per sostenere la sua azione di governo.
Che, d’ora in poi, sarà sempre più anche quella del “Cavaliere”. Martedì si parlerà di questo: approvazione del nuovo Italicum entro l’anno, casomai si dovesse comunque andare a votare in primavera.
Quindi , focus sulla crescita economica. Che continuerà a essere fragile, ma che potrebbe riprendersi con un grande sforzo sull’occupazione su cui Berlusconi non farà mancare il suo appoggio.
Il passaggio successivo, per Berlusconi sarà poi quello di spiegare ai suoi parlamentari il perchè di questi nuovi endorsement su Renzi, evitando il più possibile di replicare quanto accaduto per le riforme.
Strada in salita: al Senato, si aspettano di vedere scritta in chiaro la questione dei capilista bloccati.
Già perchè la vera “guerra” si aprirà con la composizione delle liste, nelle mani dei fedelissimi di Arcore.
A far salire la tensione, la possibilità di poter individuare una rosa di nomi da poter candidare come capilista in più collegi, forse lo stesso nome in 10 collegi differenti. Un’ipotesi che porterebbe le persone più vicine al “Cavaliere” (il cerchio magico) a prendere i collegi migliori lasciando agli altri la sfida di giocarsi la ricandidatura con le preferenze.
E su questo, l’accordo dentro Forza Italia è di là da venire.
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Agosto 3rd, 2014 Riccardo Fucile
UNA VITA DI SLALOM PER NON SCONTENTARE NESSUNO… PER POI ALLA FINE SCHIERARSI CON I PIU’ FORTI, ANCHE SE VIOLANO LA LEGGE
Se la politica italiana fosse un fumetto, e non un filmaccio trash-horror, Piero Grasso sarebbe Gastone, il cugino fortunato di Paperino.
E non solo perchè uno del suo livello sia assurto nientemeno che alla seconda carica dello Stato.
Ma per tutto il resto della carriera, di magistrato e poi di politico. Una continua altalena fra pochi atti nobili, come la sentenza del maxi-processo alla Cupola scritta nel 1987 da giudice a latere, o come il rifiuto di salvare Mancino dall’inchiesta sulla Trattativa su richiesta del Colle; e molti slalom a zigzag per non scontentare nessuno.
Come il rifiuto di firmare nel  1980, giovane pm a Palermo, gli ordini di cattura per il clan Gambino-Spatola-Inzerillo spiccati dal procuratore Gaetano Costa, lasciato solo e assassinato poco dopo.
Come la mancata firma sull’appello contro l’assoluzione di Andreotti e la guerra aperta ai pm “caselliani” nei cinque anni di procuratore a Palermo.
Come l’ascesa a Procuratore Antimafia grazie a tre leggi targate Berlusconi che eliminavano il suo concorrente Caselli.
Come l’incredibile proposta di premiare il Caimano per la presunta lotta alla mafia. L’ultimo colpo di fortuna l’anno scorso, appena entrato a Palazzo Madama: presidente del Senato grazie a Pd, Sel e alcuni dissidenti 5 Stelle, comprensibilmente terrorizzati dal suo rivale Schifani.
Da allora Piero l’Equilibrista non ha fatto che barcamenarsi per piacere a tutti o almeno non dispiacere a nessuno.
Poi la scorsa settimana è finalmente giunto il redde rationem: la controriforma del Senato, osteggiata dalle opposizioni con 7800 emendamenti.
Le opzioni erano solo due: o applicare la Costituzione, o cedere alle pressioni ricattatorie del premier, del Pd e del Quirinale al seguito.
La Costituzione è chiarissima: “La procedura normale di esame e approvazione diretta… è sempre adottata per i disegni di legge in materia costituzionale” (art.72). Non c’è regolamento che tenga: niente ghigliottine, tagliole, canguri o altre specie faunistiche per strozzare il dibattito.
Ma osservando la Carta si sarebbe discusso per mesi, com’è normale per una riforma che ne modifica ben 47 articoli su 139 (oltre un terzo), e la Trojka Renzi-B.-Napolitano non voleva.
Sulle prime, Grasso ha provato a fare la cosa che gli riesce meglio: l’anguilla.
Poi, richiamato all’ordine (vale sempre la minaccia della Serracchiani quando lui si disse timidamente critico sul nuovo Senato: “Si ricordi chi l’ha messo lì”), ha dovuto scegliere.
Indovinate per quale opzione? Che domande: quella del più forte.
Il prof. Giannuli ha spiegato bene sul blog di Grillo le procedure irregolari e truffaldine con cui il Senato ha votato il cuore della controriforma: la non elettività dei 100 senatori nominati.
Prima lo spacchettamento dell’emendamento De Petris sull’elettività delle Camere, per aggirare l’obbligo di voto segreto che avrebbe mandato sotto il governo.
Poi l’uso illegittimo del “canguro” per radere al suolo 1400 emendamenti ritenuti simili a quello illegittimamente bocciato (seguiti a ruota, con lo stesso trucco da magliari, da altri 3mila, con dentro 120 voti segreti obbligatori e dunque tagliati). Ancora la promessa di voto segreto su alcuni emendamenti Mucchetti, fatta al mattino e rimangiata la sera.
Infine il capolavoro: voto palese pure sull’emendamento Candiani che, a fronte della riduzione dei senatori a meno di un terzo, prevedeva un sacrosanto taglio dei deputati. Respinto anche quello: così il premier-padrone controllerà 354 deputati (grazie al mega-premio dell’Italicum) e gli basteranno 9 senatori su 100 per eleggersi un presidente della Repubblica di stretta osservanza e due terzi della Consulta di stretta obbedienza.
Sel e Lega intanto continuano ad abbaiare ma smettono di mordere, in cambio di un ritocchino al ribasso dell’Italicum sulle soglie di accesso alla Camera.
E quei pochi che ancora protestano Grasso li minaccia di sgombero da parte della “polizia” (s’è poi scoperto che parlava dei commessi d’aula).
Resterà agli annali il suo ordine perentorio “sequestrate quel canguro di peluche!”, imperituro reperto di un’epoca.
L’epoca in cui un Parlamento illegittimo cambiava la Costituzione con procedure illegali.
E meno male che il presidente del Senato era un magistrato.
Marco Travaglio
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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