Agosto 19th, 2014 Riccardo Fucile
BERLUSCONI, MONTI, LETTA, RENZI: E DAL 2009 AD OGGI IL PIL E’ CALATO DI 10 PUNTI
Qualcosa come 160 miliardi sottratti ogni anno all’economia.
L’industria ha perso un quarto della sua capacità produttiva. La produzione di autovetture sul territorio nazionale è diminuita del 65 per cento.
L’indicatore più scandaloso dello stato dell’economia, quello della disoccupazione, insieme con quelli relativi alla immensa diffusione del lavoro precario, ha raggiunto livelli mai visti.
La scuola e l’università sono in condizioni vergognose.
Sei milioni di italiani vivono sotto la soglia della povertà assoluta, il che significa che non sono in grado di acquistare nemmeno i beni e i servizi di base necessari per una vita dignitosa.
Il rapporto debito pubblico-Pil sta viaggiando verso il 140 per cento, visto che il primo ha superato i 2100 miliardi.
Questo fa apparire i ministri che si rallegrano perchè nel corso dell’anno saranno di sicuro trovati tre o quattro miliardi per ridurre il debito dei tristi buontemponi.
Ultimo tocco per completare il quadro del disastro, l’Italia sarà l’unico Paese al mondo in cui la compagnia di bandiera ha i colori nazionali dipinti sulle ali, ma chi la comanda è un partner straniero.
Si possono formulare varie ipotesi circa le origini del disastro.
La più nota è quella avanzata da centinaia di economisti europei e americani sin dai primi anni del decennio.
È un grave errore, essi insistono, prescrivere al cavallo maggiori dosi della stessa medicina quando è evidente che ad ogni dose il cavallo peggiora.
La medicina è quella che si compendia nelle politiche di austerità , richieste da Bruxelles e praticate con particolare ottusità dai governi italiani.
Essa richiede che si debba tagliare anzitutto la spesa pubblica: in fondo, a che cosa servono le maestre d’asilo, i pompieri, le infermiere, i ricercatori universitari?
In secondo luogo bisogna privatizzare il maggior numero possibile di beni pubblici.
Il privato, dicono i medici dell’austerità , è sempre in grado di gestire qualsiasi attività con superiore efficienza: vedi, per dire, i casi Ilva, Alitalia, Telecom.
Infine è necessario comprimere all’osso il costo del lavoro, rendendo licenziabile su due piedi qualunque tipo di lavoratore.
I disoccupati in fila ai cancelli sono molto più disposti ad accettare qualsiasi lavoro, a qualsiasi condizione, se sanno che al minimo sgarro dalla disciplina aziendale saranno buttati fuori come stracci. Altro che articolo 18.
Nell’insieme la diagnosi appare convincente.
Le politiche di austerità sono un distillato delle teorie economiche neoliberali, una macchina concettuale tecnicamente agguerrita quanto politicamente misera, elaborata dagli anni 80 in poi per dimostrare che la democrazia non è che una funzione dell’economia.
La prima deve essere limitata onde assicurare la massima espansione della libertà di mercato (prima di Draghi, lo hanno detto senza batter ciglio Lagarde, Merkel e perfino una grande banca, J. P. Morgan).
La mente e la prassi di tutto il personale che ha concorso a governare l’economia italiana negli ultimi anni è dominata sino al midollo da questa sofisticata quanto grossolana ideologia; non c’è quindi da stupirsi che essa abbia condotto il Paese al disastro. Domanda: come mai, posto che tutti i governanti europei decantano e praticano i vantaggi delle politiche dell’austerità , molti dei loro Paesi se la passano meglio dell’Italia?
La risposta è semplice: perchè al di sotto delle coperture ideologiche che adottano in pubblico, le iniziative che essi prendono derivano piuttosto da una analisi spregiudicata delle reali origini della crisi nella Ue.
In Italia, non si è mai sentito un membro dei quattro “governi del disastro” proporre qualcosa di simile ad una tale analisi, con la conseguenza che oltre a praticare ciecamente le politiche neoliberali, i nostri governanti ci credono pure.
Facendo di loro il personale politico più incompetente della Ue.
Si prenda il caso Germania; non a caso, perchè la Germania è al tempo stesso il maggior peccatore economico d’Europa (copyright Flassbeck), e quello cui è meglio riuscito a far apparire virtuoso se stesso e peccatori tutti gli altri.
Il motivo del successo tedesco è noto: un’eccedenza dell’export sull’import che col tempo ha toccato i 200 miliardi l’anno.
Poco meno di due terzi di tale somma è dovuta ad acquisti da parte di altri paese Ue. Prodigio della tecnologia tedesca? Nemmeno per sogno.
Prodigio, piuttosto, della formula “vai in malora te e il tuo vicino” (copyright Lapavitsas) ferreamente applicata dalla Germania a tutti i Paesi Ue.
Grazie alle “riforme” dell’Agenda 2010, dalla fine degli anni 90 i lavoratori tedeschi non hanno visto un euro in più affluire ai loro salari; il considerevole aumento complessivo della produttività verificatosi nello stesso periodo si è tradotto per intero nella riduzione dei prezzi all’esportazione.
In un regime di cambi fissi come quello imposto dall’euro, questo meccanismo ha trasformato la Germania in un Paese a forte surplus delle partite correnti e tutti gli altri Paesi dell’Eurozona in Paesi deficitari.
Ha voglia la Cancelliera Merkel di decantare le virtù della “casalinga dello Schlewig-Holstein”, che spende soltanto quel che incassa e non fa mai debiti.
La virtù vera dei tedeschi è consistita, comprimendo i salari interni per favorire le esportazioni, nel diventare l’altezzoso creditore d’Europa, mettendo in fila tutti gli altri Paesi come debitori spreconi.
È vero che negli incontri ufficiali è giocoforza che ognuno parli la neolingua del regime neoliberale che domina la Ue.
Invece negli incontri dove si decidono le cose serie bisognerebbe chiedere ai governanti tedeschi che anzichè della favola della casalinga si discuta magari delle politiche del lavoro – quelle tedesche – che hanno disastrato la Ue.
Potrebbe essere utile quanto meno per condurre trattative per noi meno jugulatorie. Tuttavia per fare ciò bisogna avere una nozione realistica della crisi, e non è chiaro se esiste un solo governante italiano che la possegga.
Nei discorsi con cui verso metà agosto Matteo Renzi ha occupato gran parte delle reti tv, si è profuso in richiami alla necessità di guardare con coraggio alla crisi, di non lasciarsi prendere dalla sfiducia, di contare sulle risorse profonde del paese.
Sarà un caso, o uno spin doctor un po’ più colto, ma questi accorati richiami alla fibra morale dei cittadini ricordano il discorso inaugurale con cui Franklin D. Roosevelt inaugurò la sua presidenza nel marzo 1933.
In Usa le conseguenze furono straordinarie. Ma non soltanto perchè i cittadini furono rianimati di colpo dalle parole del presidente.
Bensì perchè nel giro di poche settimane Roosevelt creò tre agenzie per l’occupazione che in pochi mesi diedero un lavoro a quattro milioni di disoccupati, e attuò la più grande ed efficace riforma del sistema bancario che si sia mai vista in Occidente, la legge Glass-Steagall.
Ci faccia vedere qualcosa di simile, Matteo Renzi, in tempi analoghi, e cominceremo a pensare che il suo governo potrebbe anche risultare meno disastroso di quanto oggi non sembri.
Luciano Gallino
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Agosto 19th, 2014 Riccardo Fucile
TRA IMPRESE SOTTO INCHIESTA, BUROCRAZIA, COOP COINVOLTE NELLO SCANDALO EXPO E BIDELLI TRASFORMATI IN PITTORI
Per migliorare la vita di dieci milioni di studenti e professori e rendere le scuole sicure, il premier Matteo Renzi si è speso in prima persona: «Il 15 settembre, quando riprenderanno le lezioni, vogliamo che sia visibile, plastica, evidente l’opera di investimento che è stata fatta». Era febbraio.
E per la sua prima uscita da presidente del Consigio, il leader del Pd aveva scelto un istituto di Treviso, dopo aver messo l’istruzione in cima alle sue priorità anche nel discorso per la fiducia al Senato.
Per rimettere in sesto le shangherate aule italiane, il governo annuncia un piano da tre miliardi e 500 milioni.
A giugno conclusi gli esami e chiusi i portoni, le delibere del Cipe (il Comitato interministeriale per la programmazione economica) danno il via libera ai primi stanziamenti: 510 milioni.
Quattrocento andranno alla messa in sicurezza del programma #scuolesicure.
Gli altri 110 saranno destinati agli interventi di piccola manutenzione previsti dal piano #scuolebelle, cui si aggiungono altri 40 messi a disposizione dal Miur.
Sul piatto, il Def (Documento di Economia e finanza) di aprile aveva messo 784 milioni di euro, 244 milioni dei quali per il progetto #scuolenuove.
La somma investita sarà assai più bassa di quella annunciata. Perchè buona parte dei lavori non potrà essere effettuata.
Il programma messo a punto dal ministro Stefania Giannini piace poco agli istituti, che spesso e volentieri non richiedono abbellimenti, ma veri e propri interventi strutturali. Tante scuole si sono trovate con una cifra inferiore a quella attesa.
E senza la possibilità di destinarla alle esigenze reali.
Il ministero ha infatti posto una serie di vincoli che, ad esempio, impediscono di scegliere le ditte che lavoreranno alle ristrutturazione.
Dal Piemonte alla Basilicata sono in tanti a chiedersi se veramente quei fondi non potevano essere impiegati in maniera migliore.
Il caso limite in Lombardia: nonostante il coinvolgimento della cooperativa Manutencoop nella maxi-inchiesta Expo, dal ministero sono comunque arrivati milioni di euro.
PRIMA L’ARRESTO POI L’APPALTO
Manutencoop fa la parte del leone in Lombardia, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Trentino e Veneto.
L’azienda, guidata da Claudio Levorato, è finita nel mirino dei giudici di Milano per gli appalti Expo.
Levorato è indagato per turbativa d’asta insieme all’ex senatore di Forza Italia Luigi Grillo, all’ex segretario provinciale della Dc milanese Gianstefano Frigerio e a Primo Greganti. In ballo c’era l’assegnazione di un appalto milionario per le pulizie del nuovo ospedale di Sesto San Giovanni.
Il nome del manager di Manutencoop rientra nel faldone di indagini che hanno visto l’inibizione dai lavori del sito di Rho-Pero della società di costruzione Maltauro : per la società vicentina lo stop ai lavori è stato chiesto e ottenuto dal presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione Raffaele Cantone.
Manutencoop, invece, si è tuffata nel giro dei lavori di #scuolebelle.
E ha fatto un affare. Su dodici lotti assegnati, ne ha ottenuti tre: la cooperativa bolognese è la ditta che più lavorerà nell’opera di maquillage, incassando oltre 20 dei 150 milioni messi a disposizione dall’esecutivo.
Non male per un’azienda il cui numero uno è stato arrestato il 30 luglio, esattamente un mese dopo l’assegnazione dell’appalto.
Sorgono dubbi anche sulle reali competenze del colosso emiliano da oltre settemila dipendenti.
Per soddisfare le esigenze dei dirigenti delle scuole, non è bastato il corso di formazione fatto in fretta e furia agli addetti in cassa integrazione da mesi. I lavoratori potranno soltanto dipingere le pareti fino all’altezza di due metri, non potendo salire su nessuna impalcatura.
E dovranno limitarsi a lavori di manutenzione ordinaria.
Nella circolare arrivata sulla scrivania delle segreterie si citano espressamente le opere autorizzate: «Verniciatura delle pareti e degli infissi a smalto o cementite con cancellazione di scritte, piccole riparazioni e rifacimento della coloritura degli infissi esterni e interni, al piano terra o comunque raggiungibili dall’interno, piccoli interventi all’impianto idrico escluse le caldaie». Insomma i classici lavoretti domestici come dipingere, riparare i rubinetti o sistemare il giardino.
Non è tutto: molti edifici non vedranno nemmeno fisicamente i soldi stanziati dal governo Renzi.
L’accordo prevede che ci siano degli istituti capofila, che raccoglieranno le esigenze di tutti gli altri e, ramite la centrale degli acquisti degli enti pubblici (la Consip), compreranno i servizi da Manutencoop.
Ma chi sono le scuole capofila? Quelle che avevano già contratti aperti con la cooperativa, che fornisce da anni il personale che, in molti casi, ha sostituito i vecchi bidelli.
Il programma di interventi, presentato come fiore all’occhiello dell’esecutivo, lascia perplesso chi vive la scuola ogni giorno.
«Abbiamo ricevuto molto meno di quello che in realtà ci servirebbe», spiega Corrado Ezio Barachetti della Cgil scuola della Lombardia: «Secondo il programma ministeriale, “decoro” significa rifare la facciata delle scuole, che però hanno bisogno di interventi strutturali. Il piano di ristrutturazione copre il 75 per cento degli interventi necessari, nel nostro caso bastava finire i lavori che aspettano da anni. Forse il governo poteva avere un occhio particolare per Milano dove ci sono edifici che hanno anche più di duecento anni».
In provincia le cose non sembrano andare meglio. Come racconta Maria Teresa Barisio, preside degli istituti comprensivi di Mortara e Gambolò, due piccoli centri in provincia di Pavia: «L’idea di fondo è buona e giusta perchè per anni le scuole sono state trascurate, ma non andrebbero dati i soldi a pioggia. Servirebbe una maggiore attenzione sulle ditte appaltatrici».
SOLO UNA SCUOLA SU NOVE
In Piemonte il piano è rimasto un sogno. «Ad oggi, su più di 300 istituti, solo 35 hanno firmato l’attivazione che permetterebbe di partire con i lavori», denunciano Cgil, Cisl e Uil. Il numero è venuto fuori dall’ultimo tavolo dei primi di agosto con il ministero dell’Istruzione. Per le sigle si tratta di un “dato drammatico”.
Solo in una scuola su nove sono entrati operai e imbianchini durante questa estate. Ma in gioco non ci sono soltanto intonaci freschi, tapparelle nuove e bagni rifatti. Questi lavori servono a reimpiegare il personale delle cooperative che fino a pochi mesi fa hanno pulito e svolto servizio di vigilanza negli istituti piemontesi.
Solo nel Torinese dovrebbero essere 286 gli edifici scolastici interessati dalla mossa del Governo, che per quest’area ha stanziato più di quattro milioni, una media di 14 mila euro a istituto.
Eppure, evidenziano i sindacati, finora si è mosso ben poco e, come a Milano, il blocco è principalmente concentrato nella città di Torino, dove gli studenti sono migliaia.
Cosa è accaduto? In teoria le scuole interessate avrebbero dovuto essere pronte con le gare d’appalto, entro fine luglio, anche se l’annuncio del via libera all’erogazione dei fondi ministeriali era arrivato appena dieci giorni prima. Per i sindacati, l’impasse ha tre responsabili: «L’Ufficio scolastico regionale, che non ha fatto pressione sui direttori scolastici, i direttori stessi, che hanno preferito aspettare, e le cooperative sociali che hanno seminato ulteriore confusione affermando di non essere ancora pronte». Il termine ultimo, per tutti, è il 31 agosto: se gli appalti non verranno attivati entro questa data, le risorse torneranno indietro.
Antonio Catania, vicedirettore dell’Ufficio scolastico regionale, tranquillizza: «Il numero di scuole che hanno già avviato gli appalti è aumentato in questi ultimi giorni e abbiamo già inviato una circolare in cui sollecitiamo gli istituti a completare le operazioni».
Il periodo è tutt’altro che facile, perchè in questi giorni le segreterie sono quasi deserte, con buona parte del personale in ferie. Catania però è convinto che i soldi non andranno sprecati: «Le scuole si muoveranno per tempo. In alcune ci sono problemi di sicurezza, legate per esempio al fatto che la cooperativa che prima prestava servizio è di tipo “b”, dunque ha personale disabile che difficilmente sarebbe in grado di svolgere i nuovi lavori richiesti. Ma anche per questi casi troveremo una soluzione».
DA BIDELLI A PITTORI
In Basilicata la società che ha vinto l’appalto è la stessa che durante l’anno scolastico si occupa delle pulizie negli istituti. Si chiama Team Service e ha iniziato lo scorso aprile con l’obbligo di far lavorare tutte le persone impegnate con il precedente appalto: 400 sono state destinate alle due province lucane.
A giugno ecco la sorpresa: due settimane di formazione obbligatoria per trasformarli in pittori, operai, giardinieri. Sono tutte persone sopra i 50 anni e per la maggior parte donne.
Costrette alla “riqualificazione”. In provincia di Potenza, l’istituto comprensivo del comune di Bella è capofila per gli appalti per la manutenzione di tre scuole dove sono impiegati in trenta.
Il direttore Mario Coviello si sfofa con “l’Espresso”: «Il nodo di fondo è che questi sono bidelli da dieci anni e non pittori. Inoltre io che sono un dirigente scolastico e come me la direttrice dei servizi amministrativi. Non abbiamo le competenze tecniche per garantire che i lavori vengano eseguiti a regola d’arte. Ho a disposizione 22 mila euro e se avessi avuto la possibilità avrei chiamato un’impresa. È vero che il governo e l’Anci hanno raccomandato ai Comuni di collaborare con noi ma quanti sono i tecnici comunali disponibili a luglio e agosto e quali poteri hanno per eventualmente correggere interventi fatti male?».
Per questa estate la “vigilanza” sulle opere si aggiunge a tutta la mole di burocrazia e impegni (a partire dalle infinite graduatorie per gli insegnanti) da smaltire prima della riapertura. Rimane un dubbio a Coviello, condiviso da molti presidi: «Siamo già a metà agosto. Se non si interviene entro i primi di settembre, quando potranno essere abbellite le aule e le palestre?».
Andrea Ballone e Michele Sasso
(da “L’Espresso”)
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Agosto 19th, 2014 Riccardo Fucile
“E’ UNA PICCOLA AGENZIA SENZA SOLDI, NAVI ED AEREI”… “SONO GLI STATI MEMBRI CHE DEVONO CONTRIBUIRE DI PIU'”
Angelino Alfano lo aveva detto a Ferragosto: l’operazione Mare nostrum finirà a ottobre e subentrerà la Ue con Frontex.
Sulle certezze del ministro dell’Interno e del governo italiano, però, è arrivata oggi una doccia gelata direttamente da Bruxelles.
Frontex, ha detto un portavoce della Commissione, “è una piccola agenzia” senza mezzi e dunque tocca a tutti i paesi Ue “fare di più” sull’emergenza sbarchi e la corsa verso l’Europa di decine di migliaia profughi di guerre e carestie dalle zone più calde dell’Africa e del Medio Oriente.
Anche Ewa Moncure, portavoce di Frontex, conferma in un’intervista al Tagesspiegel: “Allo stato non abbiamo i mezzi finanziari per farci carico dell’operazione Mare nostrum”.
“Siamo in contatto con l’Italia – ha detto il portavoce di Bruxelles, Antony Gravili – e non possiamo che essere d’accordo sul fatto che l’Ue nel suo complesso debba fare di più, abbiamo ripetuto continuamente che gli stati membri devono fare di più contribuendo con mezzi e finanziamenti”.
Noi, ha detto ancora il portavoce Ue, “stiamo facendo tutto quel che possiamo per l’Italia con i mezzi che abbiamo a nostra disposizione”, mentre Bruxelles “riconosce pienamente il magnifico lavoro che sta svolgendo l’Italia” e sta “cercando di vedere insieme” cosa l’Ue possa fare in più.
Il portavoce della Commissione, poi, ha ricordato che “l’Italia ha avuto aiuti senza precedenti”: “L’Italia ha beneficiato di circa 500 milioni di euro di aiuti nel periodo 2007-2013 e sarà il più grande beneficiario nel periodo 2014-2020 con 315 milioni di euro, cifra inferiore dovuta al generale taglio del bilancio Ue chiesto dagli stati membri”.
Poi la dichiarazione finale: “Frontex da sola, così come è oggi, con un piccolo bilancio e senza guardie di frontiera, nè navi nè aerei”, non può intervenire da sola ed è per questo che “per un’operazione di lungo periodo devono essere coinvolti e contribuire tutti gli stati membri”.
L’operazione Mare nostrum costa all’Italia oltre 100 milioni di euro all’anno
Si torna dunque al vecchio, insormontato problema che i governi italiani sollevano da anni: la partecipazione dell’Unione al controllo ordinario e quotidiano di un’emergenza che è Europea, ma che l’Italia continua ad affrontare quasi in solitudine per la propria posizione geografica di porta del continente sul Mediterraneo.
(da “La Repubblica”)
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Agosto 19th, 2014 Riccardo Fucile
RENZI A CHI CAZZO HAI DATO GLI 80 EURO? HAI VENDUTO I VERI POVERI PER UN PUGNO DI VOTI E TU STAI NELLA SUITE DA 1.000 EURO AL GIORNO
Cosa fareste se, alla soglia dei sessant’anni, perdeste nel giro di pochi mesi il marito, il lavoro di una vita e la vostra casa?
In questo periodo di crisi economica, sono numerose le persone che all’improvviso si trovano letteralmente per strada.
Una di queste è Lia, una signora di cinquantotto anni. Suo marito è morto poco più di un anno fa.
Poco tempo dopo lei ha perso l’impiego: il ristorante per cui lavorava come cuoca da più di vent’anni è fallito. «Una serie di tragedie ravvicinate. Mi sono ritrovata sola e senza mezzi per vivere – racconta – da un anno passo le mie giornate in strada a chiedere l’elemosina. Prima sotto i portici delle Poste, ma in questo periodo di ferie c’è meno gente e quindi mi sono spostata in Corso Italia».
Lia siede sugli scalini di un negozio: con sè ha un bicchiere di plastica dove raccoglie gli spiccioli che riesce a racimolare durante il giorno e un cartello con cui accenna alla sua storia.
«Mi sono rivolta al dormitorio ma non hanno posto – prosegue Lia – Per mia grande fortuna una mia amica ha accettato di ospitarmi. Non finirò mai di ringraziarla. Io mi sento in imbarazzo perchè non so come ricambiare questa enorme generosità . Posso solo darle i pochi euro che riesco a guadagnare, ma lei mi risponde che non li vuole. Quando ne accetta qualcuno, mi dice che li mette da parte per me e, se un giorno li vorrò, me li renderà . D’estate le mense dei poveri sono chiuse. Non sempre posso mangiare il cibo fornito dai volontari di strada, soffro di gastrite».
Lia va ogni giorno al centro per l’impiego: «Non c’è lavoro per i plurilaureati, figuriamoci per una signora anziana come me. L’Italia non tutela chi è nella mia situazione».
(da “il Tirreno”)
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Agosto 19th, 2014 Riccardo Fucile
SOLO I PISTOLA A GRAPPA DELLA LEGA LA VOGLIONO MORTA
A difesa dell’orsa Daniza, colpevole di aver difeso i suoi due cuccioli dall’incursione di uno sprovveduto nel suo habitat naturale, alcune associazioni ambientaliste e animaliste hanno avviato a Trento, davanti al palazzo della Provincia, un presidio no stop a staffetta fino a sabato 23 agosto.
Scopo dell’iniziativa è chiedere il ritiro dell’ordinanza della Provincia di Trento che ordina la cattura dell’orsa, definita «llegittima, inaccettabile nonchè sbagliata, presa sull’onda dell’emotività dai nostri amministratori».
Un gruppo di animalisti e ambientalisti aderenti a Lac, Oipa, Lav, Eticanimalista, Enpa e Animaliamo ha acceso delle fiaccole, «simbolo di speranza di libertà per Daniza ed i suoi cuccioli».
Intanto il gruppo Facebook “Salviamo l’orsa Daniza” ha superato i 10.000 sostenitori e la petizione da inviare alle autorità locali ha quasi superato le 35.000 firme.
Mentre prosegue la fuga dell’Orsa Daniza, continua ad aumentare il fronte di personaggi pubblici che si schierano al suo fianco e si dichiarano contrari al suo abbattimento
Dopo aver suscitato le simpatie di Licia Colò che aveva lanciato un video-appello su Youtube, di Reinhold Messner e del WWF Italia, aa favore dell’orsa Daniza si schierano anche esponenti politici della politica: per Michela Vittoria Brambilla, parlamentare di Forza Italia e presidente della Lega Italiana per la Difesa degli Animali e dell’Ambiente, “abbatterla sarebbe un crimine”.
Per questo annuncia un’interrogazione parlamentare in cui chiederà che il Ministero dell’Ambiente intervenga per garantire la libertà dell’animale.
Sulla faccenda si esprime anche il Movimento 5 Stelle che, in un post pubblicato sul blog di Beppe Grillo a firma Filippo Degasperi (consigliere Ms5 in Trentino), chiede il “ritiro immediato dell’ordinanza e l’interruzione delle operazioni in corso” per la cattura.
Va ricordato che l’orsa era stata immessa in quel territorio ben 18 anni fa, proprio allo scopo di evitarne l’estinzione e favorire cosi il ripopolamento. Ha un sensore che permette di seguirne gli spostamenti: a maggior ragione è assurdo che le stesse autorità che avrebbero avuto il compito di monitorarla e tutelarla, oggi invochino il suo abbattimento o cattura solo perchè ha difeso i suoi piccoli.
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Agosto 19th, 2014 Riccardo Fucile
L’ALLARME LANCIATO DA ALCUNI VOLONTARI ANTINCENDIO: “I PILOTI SI SONO LANCIATI”
Un incendio, preceduto da un forte boato, è stato segnalato sulle colline a una trentina di chilometri da Ascoli Piceno, tra le località di Olibra e Venarotta.
A essere coinvolti due aerei militari che, secondo le prime testimonianze raccolte, si sono scontrati in volo.
Sarebbero due jet “Tornado” dell’Aeronautica militare.
I due aerei, secondo quanto apprende l’Ansa da fonti qualificate, stavano svolgendo attività addestrativa.
Una prima conferma sulla dinamica, in ogni caso, è arrivata dalla responsabile della sala operativa della protezione civile delle Marche, Susanna Balducci.
A dare l’allarme sono stati alcuni gruppi di volontari che svolgono attività antincendio nella zona. I vigili del fuoco finora avrebbero solo individuato pezzi di ala e di altre parti dei velivoli e stanno cercando di circoscrivere l’incendio che si sta estendendo verso una zona abitata. Tranciata anche la linea elettrica.
All’opera sul luogo del disastro aereo un Canadair per spegnere le fiamme e un elicottero del XV stormo Cervia — che si è levato in volo da Falconara — per la ricerca delle persone.
Alcuni testimoni raccontano di avere visto i due velivoli toccarsi in volo, uno dei dei due ha preso fuoco ed entrambi sono precipitati al suolo.
Nella zona ci sono vari focolai d’incendio, alcuni vicino alle abitazioni della frazione di Casa Murana. I piloti si sarebbero eiettati, secondo quanto apprende l’Ansa.
Non si sa ancora se vi siano vittime.
“Dalle prime informazioni — ha detto il sindaco di Ascoli Guido Castelli — a bordo si trovavano 4 piloti che risultano dispersi. Al momento le informazioni sono ancora frammentarie”.
Sulla zona in fiamme in cui i due velivoli sono precipitati sono accorse squadre dei vigili del fuoco boschive di tutta la zona.
“Stavo lavorando al computer nella mia casa ad Ascoli Piceno, quando ho sentito passare un aereo sopra di me — racconta un testimone all’Ansa — Mi sono affacciato alla finestra e pochi secondi dopo, all’incirca dalla direzione opposta, ho visto giungere un altro caccia. Ho visto i due velivoli scontrarsi e l’esplosione”.
(da agenzie)
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Agosto 19th, 2014 Riccardo Fucile
TOCCARE LE PENSIONI VUOL DIRE CHE NON VI E’ PIU’ CERTEZZA DEL DIRITTO… UN TRUCCO PER SUPPLIRE ALLE CARENZE DELLO STATO
L’ipotesi governativa di toccare le pensioni cosiddette alte per aiutare gli esodati – i lavoratori che, in forza di una legge, non hanno più un lavoro, ma neppure la pensione – ferma l’orologio delle riforme alla redistribuzione della ricchezza (si toglie a qualcuno per dare ad altri) già praticata dai governi precedenti e che ha portato l’economia nazionale nella depressione della crescita zero.
Le previdenza è una sorta di contratto che il lavoratore stipula con lo Stato, in base al quale, dietro il pagamento di contributi durante gli anni lavorativi, il cittadino riceverà una pensione.
L’assistenza è l’aiuto che lo Stato (sociale) fornisce ai meno abbienti attraverso la fiscalità generale.
Il nostro Stato – che fa volentieri confusione fra assistenza e previdenza – supplisce alle proprie carenze sociali e finanziarie con la redistribuzione della ricchezza.
Questa – che meglio sarebbe definire distruzione di ricchezza – si traduce in una doppia tassazione per chi ha già ha pagato le tasse sui propri guadagni e finisce così col (ri)pagarle, in modo surrettizio, con la sottrazione da parte dello Stato di una parte ulteriore di quegli stessi guadagni.
Se, dunque, lo Stato tradisce, o mostra di voler tradire, il contratto previdenziale, non c’è più certezza del diritto, il cittadino non è in grado di programmare la propria vita, smette di spendere, gli investimenti si fermano, lo sviluppo si arresta.
Così come ha prodotto la fine del socialismo reale, la forzosa redistribuzione della ricchezza minaccia, da noi, di uccidere l’economia libera.
L’idea di prelevare dalle pensioni cosiddette alte le risorse per aiutare i meno fortunati – facendo pagare l’assistenza a chi ha già pagato previdenza e tasse – è un trucco per supplire ai costi e alle carenze di uno Stato sociale che non aiuta i meno abbienti, ma fa pubblicità a se stesso e produce consenso a chi governa.
Il trucco è, a sua volta, reso necessario dalla carenza di risorse, dall’esigenza di reperirle e dalla promessa di riforme che chi ne parla non è, poi, in grado o non ha la volontà politica di fare.
È il caso del governo Renzi – che si ripromette di essere riformista – e si rivela tutt’altro che tale.
Esso, che piaccia o no, è uguale ai governi che lo hanno preceduto.
Non fa, come non hanno fatto quelli, le riforme, soprattutto quella fiscale e amministrativa, che snellirebbero lo Stato e gli consentirebbero di spendere meglio le risorse di cui dispone.
Un’abile e opportuna operazione di marketing a favore di se stesso, diffusa da un sistema informativo inadeguato, ha promosso il governo Renzi a «ultima spiaggia» contro l’eventualità di elezioni anticipate.
Che nessuno pare volere.
Senza che i cittadini-elettori manco se ne accorgessero, l’Italia è passata, così, dalla condizione di democrazia rappresentativa a quella di democrazia «guidata» da una tecnocrazia.
L’Italia rimane – malgrado l’involuzione istituzionale – un Paese libero. Ciò non toglie, peraltro, che si sia concretata in parte quella rivoluzione sociale, fallendola, che la sinistra filosovietica avrebbe voluto fare subito dopo la fine della guerra. Rivoluzione che la stessa Costituzione in qualche modo ha favorito con le sue ambiguità .
Ancorchè condizionata da una burocrazia eccessiva e criminalizzata da una diffusa cultura politica statalista e dirigista, l’economia di mercato è da noi (ancora) relativamente in buona salute.
Ma non è neppure il caso di ignorare certi sintomi.
Piero Ostellino
(da “il Corriere della Sera”)
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Agosto 19th, 2014 Riccardo Fucile
MARCIA INDIETRO SUL POSSIBILE APPOGGIO: INDICATORI ECONOMICI DEBOLI, MEGLIO LASCIARE IL PREMIER DA SOLO
“Sta scemando l’ipotesi di entrare al governo perchè i problemi di natura economica sono enormi”.
Da Arcore, un Berlusconi rinvigorito dalla pausa e dalla lettura di libri di storia — soprattutto sul passaggio dalla Prima alla Seconda Repubblica — lascia filtrare questo messaggio.
Un messaggio che un fedelissimo come il capogruppo di Palazzo Madama, Paolo Romani, mette a verbale in un’intervista alla Stampa: “Abbiamo dunque contribuito in modo decisivo a cambiare Senato e Titolo V della Costituzione. Siamo disposti a lavorare anche per una nuova legge elettorale che vada nel senso del bipolarismo maggioritario, senza lasciare dubbi su chi vince e chi perde. Ma, questo dev’essere chiaro, noi ci fermiamo lì. Niente confusione sulle responsabilità in materia di economia”.
Il cambio di sentimenti — dopo la sequela di interventi tutti a favore di un appoggio in materia economica – ”Se il premier apre alle nostre ricette Forza Italia dialogherà , anche subito”, diceva dal Corsera il consigliere politico Giovanni Toti il 12 agosto ndr) — si può segnare sul calendario estivo in un data compresa tra il 14 agosto e il 15 agosto.
Davanti ai dirigenti più cari l’ex Cavaliere avrebbe rotto gli indugi come soltanto sa fare lui: “È una follia entrare al governo perchè gli italiani ci attribuirebbero la prossima legge di stabilità che sarà certamente fatta di lacrime e sangue”.
Un ragionamento che messo così confina in un angolo chi, come il toscano Denis Verdini, avrebbe prefigurato un ingresso nell’esecutivo all’indomani della ripresa dei lavori d’aula.
Ma l’economia è al palo, non si vede nulla di buono all’orizzonte, e in autunno — è il ragionamento che prudentemente spifferano ad Arcore — “nonostante gli scongiuri che provengono da via XX Settembre il premier sarà costretto ad una manovra correttiva”. Economia a parte, c’è un motivo per cui Berlusconi si mostra prudente su ciò su che ieri sembrava volesse accelerare.
E il motivo si chiama riforma della giustizia.
E’ bastato sfogliare i giornali di stamane e leggere l’intervista della presidente della commissione Giustizia, Donatella Ferranti — in un cui la democrat precisava che “il fantasma di Berlusconi non aleggia sulla riforma della giustizia targata Orlando” — per capire che in fondo restare all’opposizione è la ricetta migliore.
“Sulla giustizia Renzi, così come sull’articolo 18 e sul contributo di solidarietà alle pensione massime, non è un interlocutore affidabile perchè se la dovrà pur sempre vedere con il suo partito”.
Insomma, così non va. Meglio aspettare il 29 agosto, “quando arriverà in consiglio dei ministri il testo nero su bianco della riforma della Giustizia”, annota l’house organ il Mattinale, curato dallo staff di Renato Brunetta.
Prima di quella data, invece, l’ex Cavaliere si dedicherà al dossier sulla ricostruzione del centrodestra.
Un dossier delicato stando agli scontri delle ultime settimane con il partito di Angelino Alfano.
Eppure più di un segnale è giunto ad Arcore.
In un albergo di Cefalù, il Sea Palace, domenica scorsa l’ex presidente del Senato Renato Schifani ha incontrato il berlusconiano Gianfranco Miccichè, protagonista della stagione del 61 a zero.
Un primo incontro cui seguiranno altri nelle prossime settimane. Con l’obiettivo di ricompattare il centrodestra siciliano per poter esportare il modello nella Capitale.
E nel giorno di ferragosto l’avvocato siciliano avrebbe persino telefonato ad Arcore. Una telefonata che potrebbe prefigurare un ritorno al passato.
Giuseppe Alberto Falci
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Agosto 19th, 2014 Riccardo Fucile
ITALIA IN LIQUIDAZIONE: CONTI IN ROSSO E LA PROVINCIA METTE LO STABILE SUL MERCATO PER 17 MILIONI
«Alienazione dei complessi immobiliari di proprietà provinciale di corso Vinzaglio 10 e dell’Area Ponte Mosca. Appalto per l’acquisizione di servizi finalizzati alla sollecitazione del mercato immobiliare».
L’avviso, riportato sul sito della Provincia di Torino, in fase di traghettamento verso la Città Metropolitana, è passato inosservato ai più.
Nè è immediato il collegamento tra il primo indirizzo e la Questura di Torino, che nei prossimi mesi – questo è l’obiettivo della Provincia – potrebbe passare di mano.
Gara pubblica
«A.A.A. vendesi Questura di Torino». Il senso dell’operazione, che da settembre entrerà nel vivo con una gara ad evidenza pubblica, è questo.
Operazione piena di incognite, trattandosi di vendere l’immobile senza (poter) sfrattare gli attuali inquilini, per di più vincolata a tempi stretti: entro fine anno. Perchè sarà vero che la Provincia sta cambiando pelle, ma i vincoli restano (pena sanzioni da parte dello Stato): in primis, il rispetto del Patto di stabilità che da anni leva il sonno agli amministratori pubblici di tutta Italia.
Il piano vendite
Da qui la brusca accelerata su un’operazione di cui si parla da anni , cioè il via libera a un piano di dismissioni immobiliari per un importo di 28,8 milioni.
Altrettanti, nelle intenzioni, dovrebbero arrivare dalla vendita del pacchetto di azioni detenuto dall’ente (da Sitaf ad Ativa, per citare le più significative).
Nel primo elenco ecco comparire la Questura, che in base alla perizia vale 17 milioni, e l’area di Ponte Mosca (9 milioni). A seguire, 8 appartamenti a Torino e Moncalieri (1,3 milioni), 2 ex-case cantoniere (422 mila euro), due terreni a Ciriè e Orbassano (351 mila euro), una porzione dell’ex-convitto Gutterman (153 mila euro), una palazzina a Torino (463 mila euro), più una serie di altri edifici di rilievo minore.
Il pezzo forte
Va da sè che il pezzo da novanta è rappresentato dalla Questura, proprietà della Provincia insieme a Palazzo Cisterna, al palazzo della Prefettura e alla Caserma Bergia di Torino (gli ultimi due tutelati dalla Soprintendenza): immobili fonte di costi considerevoli per l’ente, con riferimento ai costi di adeguamento e manutenzione, a fronte di affitti pagati con cospicui ritardi da parte dei rispettivi inquilini.
Non a caso, Antonio Saitta, all’epoca in cui presiedeva la Provincia, aveva tentato di barattare la Prefettura e la Caserma Bergia cedendoli al demanio in cambio di beni di pari valore ma immediatamente vendibili per fare cassa: operazione mai andata in porto.
«Ora la volta della Questura, da piazzare con un gara a evidenza pubblica o, in caso di malaparata, con trattativa privata», spiega Giuseppe Formichella, segretario generale della Provincia.
Se è per questo, sono in corso contatti anche con la Cassa Depositi e Prestiti, che l’anno scorso ha già levato alla Provincia le castagne dal fuoco comprando per una trentina di milioni il complesso immobiliare su corso Giovanni Lanza, oggetto di due gare andate deserte.
Le incognite
Questo è il punto: chi può avere interesse a comprare il palazzo della Questura, con la Questura dentro? Difficile a dirsi.
Vorrà pur dire qualcosa se l’annuncio sul sito dell’ente è volto, in prima battuta, a trovar un advisor «per la sollecitazione del mercato immobiliare».
Anche così, spiegano da Palazzo Cisterna, il traguardo non è irraggiungibile: si tratta di un investimento che potrebbe fare gola a qualche fondo immobiliare, tanto più che la natura degli inquilini garantisce la riscossione dei canoni.
In altri termini, il Viminale paga: magari in ritardo, ma paga.
Alessandro Mondo
(da “La Stampa”)
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