Maggio 1st, 2015 Riccardo Fucile
COSàŒ “RIPARTE L’ITALIA”, COME ANNUNCIANO OGNI SETTIMANA PREMIER E GIORNALI… RISPETTO AL 2014 LE PERSONE SENZA LAVORO SONO AUMENTATE DEL 4,4 PER CENTO
Per tracciare un bilancio si parte sempre da dati e statistiche. E se la disoccupazione sale e l’occupazione scende, non è imprudente dire che il primo maggio del Jobs Act renziano è quello che si specchia nei numeri diffusi ieri dall’Istat.
A marzo, secondo le analisi dell’Istituto italiano di statistica, il mercato del lavoro è in piena crisi, con 138 mila disoccupati in più e 70 mila occupati in meno rispetto allo stesso mese dell’ anno scorso (-59mila rispetto a febbraio 2015).
I cali che si erano registrati a dicembre e a gennaio sono stati annullati, cancellati, da un unico dato: il numero dei disoccupati è salito del 4,4 per cento rispetto allo stesso mese dell’anno precedente e il tasso di disoccupazione è pari al 13 per cento (0,5 per cento in più nell’arco dodici mesi).
Così il dato si avvicina al picco di valore di novembre scorso (13,2 per cento) ed è parallelo al tasso di occupazione, che invece scende al 55,5 per cento, raggiungendo i livelli di aprile 2014. Non contenti, allarghiamo lo spettro di osservazione fino ai dati sulla disoccupazione giovanile. La situazione non è migliore.
A marzo, il tasso risale al 43,1 per cento, con un aumento di 0,3 punti rispetto al 42,8 di febbraio.
È un altro passo indietro perchè si tratta del livello più alto raggiunto da agosto scorso.
E, a marzo, le persone in cerca di occupazione in Italia erano circa 3,3 milioni, in aumento di mese in mese (+ 1,6 per cento rispetto a febbraio).
“Questi dati erano più che prevedibili — spiega al Fatto Quotidiano il sociologo ed economista Luciano Gallino — e sono destinati a peggiorare perchè conseguenza di politiche di austerità fondate su tagli forsennati alle spese dello Stato e al lavoro. Si rinuncia agli infermieri nella sanità , agli insegnanti nella scuola pubblica, a migliaia di operai nelle fabbriche: crolla la domanda interna e crolla anche l’occupazione. E, ovviamente, aumenta la disoccupazione. Una dinamica che va avanti da almeno tre governi. Ma quello attuale sta esagerando”.
Forza Italia, Lega e sindacati sono immediatamente intervenuti nel dibattito, sottolineando la disparità tra i dati Istat e gli annunci sul Jobs Act del presidente del Consiglio nei mesi scorsi.
A margine della cerimonia di commemorazione di Pio La Torre e Rosario Di Salvo, a Palermo, il segretario della Cgil, Susanna Camusso, ha parlato di emergenza nel Paese: “Il tema del lavoro — ha detto — dovrebbe essere l’ossessione quotidiana di chi ci governa. Ma non mi pare sia così”.
Una settimana fa, il ministero del Lavoro aveva celebrato la creazione di 92 mila posti in più a marzo 2015. Dopo qualche ora, lo stesso ministro Giuliano Poletti aveva specificato che il dato si riferiva soprattutto alla trasformazione dei contratti già esistenti in contratti a tempo indeterminato, nella tipologia introdotta con il Jobs Act.
Quelli attivati ex novo nel 2015, insomma, rispetto all’anno precedente sarebbero solo 19 mila, al netto delle cessazioni.
Lo stesso Poletti ha richiamato questa circostanza, ieri, in risposta ai commenti di sindacati e opposizioni.
I numeri, ha spiegato, andrebbero letti in un quadro complessivo dove segnali positivi si incrociano con elementi di criticità tipici di una situazione economica ancora non stabilizzata. Tutto e niente. Perchè, in fondo, i cambiamenti sembrano essere temporanei e privi di effetto a lungo termine.
“Il mutamento della tipologia di contratto è solo un grosso regalo alle imprese — spiega Gallino -. Gli incentivi alle assunzioni per le aziende sono stati introdotti con la legge di stabilità e determinano un risparmio per le aziende pari almeno a 8mila euro all’anno per ogni nuovo contratto a tutele crescenti”.
Una spinta che riduce il costo della forza lavoro di almeno il 30 per cento. E così le aziende cambiano più volentieri tipologia di contratto a chi già ne ha uno temporaneo.
Ma poi non assumono nessuno.
A tirare in ballo il Jobs Act, ieri, ci ha pensato il ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti: “Il Jobs act non ha poteri taumaturgici — ha detto — i dati Istat sulla disoccupazione riguardano il mese di marzo e la riforma è stata approvata da poco”.
Secondo il ministro è quindi ancora presto per vederne gli effetti che, invece, arriveranno nei prossimi mesi.
“L’unico effetto che può avere il Jobs Act è peggiorativo — commenta invece Gallino — Perchè sotto la ridicola etichetta del contratto a tutele crescenti, autorizza il licenziamento libero. A fronte di qualunque causa: economica, aziendale, corretta o meno. Ogni piccola cosa può essere un pretesto per il licenziamento, senza possibilità di reintegro. Questa riforma del lavoro, sembra un copia e incolla dei rapporti dell’Ocse (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) degli anni Novanta. Nel 1994 volevano dimostrare che una minore tutela legale, generava un conseguente aumento dell’occupazione. Dieci anni dopo, la stessa Ocse ha riconosciuto che non c’era una sola prova attendibile che supportasse questa teoria. Abbiamo scopiazzato quelle idee senza capirne l’assurdità .”
“Il Jobs Act — conclude amaro Gallino — ha calpestato il Primo maggio. E questo è anche il miglior motivo per festeggiarlo”.
Virginia Della Sala
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Maggio 1st, 2015 Riccardo Fucile
IN RICORDO DI PORTELLA DELLA GINESTRA
30 aprile 1947. Serata splendida di primavera.
A San Giuseppe Jato i marciapiedi sono pieni di persone sedute davanti la porta a godersi il fresco serale.
La televisione non esiste. I pochi fortunati che possiedono una radio alzano il volume al massimo e ascoltano le notizie dall’esterno.
È anche un modo per ostentare l’oggetto posseduto.
I contadini con i pantaloni di velluto e la camicia di “sbarracanu” (una stoffa molto resistente che si usava per le camicie dei contadini) conversano con i vicini di casa.
Nella maggior parte dei casi l’argomento principale della conversazione si concentra sulla festa del I° Maggio e il corteo che partendo da San Giuseppe Jato arriverà a Portella delle Ginestre. Le donne in casa a preparare il pasto serale e il companatico per la festa dell’indomani.
Alla Camera del Lavoro, anche sede del PCI locale, il segretario Sarino Di Piazza detto “pannizzu” per la sua giovane età (è uno dei pochi di famiglia non ricca che ha fatto il ginnasio e perciò occupa quel posto) si dà molto da fare ad organizzare per la mattina successiva: bandiere rosse del PCI, della Camera del Lavoro, ritratti di Di Vittorio, di Togliatti e di Nenni. I
n paese, nel mondo della sinistra, c’è euforia per la recente vittoria del Blocco della sinistra alle elezioni regionali.
A casa mia, mio padre ha deciso di portare alla “festa” me e mio fratello rispettivamente di 11 e 13 anni. Mia madre ha preparato il companatico: frittata di uova e ricotta.
Mattina del I° maggio: grande adunata in Corso Umberto I° davanti la sede della Camera del Lavoro.
Si organizza il corteo: in testa bandiere, ritratti, e tutti i dirigenti locali della sinistra, segue una folla immensa. Molti con muli e carretti erano già partiti.
Gli slogan: “Evviva il I° maggio Festa dei lavoratori” — “Vogliamo pane e lavoro”.
Intanto venditori di frutta, di calia e simenza (ceci e semi di zucca), di poveri e semplici giocattoli sono andati di buon mattino a piazzare le loro bancarelle.
Molte persone, di colore politico diverso, fanno delle battute sarcastiche, anche di cattivo gusto, rivolte alle persone che con allegria si avviano alla festa. In seguito a quello che è successo molte di queste persone saranno interrogati dai carabinieri.
Parte il corteo, mio padre mio fratello ed io siamo in mezzo alla folla. Dopo poco più di 1 ora ci troviamo insieme al popolo di Piana e al popolo di San Cipirello, nelle spianata di Portella. È festa.
Vengono piazzate le bandiere intorno al “Sasso di Barbato”. Chi è arrivato col mulo o col carretto ha cercato un posto per “sbardari u mulu” (togliere il basto al mulo) o “spaiari u carrettu” (sganciare il mulo dal carretto). C’è allegria.
La banda musicale di Piana suona, le persone delle bancarelle offrono la loro merce ad alta voce con la solita cantilena. Si è in attesa dell’oratore ufficiale Mommo Li Causi.
Passa il tempo e Mommo non arriva, non si conosce il motivo del ritardo (non esistono i telefonini).
La gente incomincia ad avere fame e vuole mangiare. Giacomo Schirò, dirigente del PSI di San Giuseppe Jato decide di cominciare a parlare lui, sperando che nel frattempo arrivi Mommo. Sale sul “Sasso di Barbato”. Io ragazzino undicenne, curioso mi metto in prima fila a circa 2 metri di distanza dall’oratore, la mia testa arriva all’altezza dove lui ha poggiato i piedi, mio padre e mio fratello dietro di me.
Giacomo Schirò inizia con le seguenti parole: “il I° maggio del 1945 eravamo poche decine di persone nel 1946 eravamo alcune centinaia oggi siamo una folla immensa”.
A questo punto si sentono le prime raffiche di mitraglia. Tutti rimaniamo ammutoliti e, passati alcuni secondi, visto che non era successo niente, un uomo di Piana incoraggia tutti dicendo: “su li nostri, ma chi un ciaviti vinutu mai a chiana?” cca si spara pi fari festa” (Sono i nostri a sparare. Non siete mai venuti a Piana degli Albanesi? qui si spara per far festa).
Intanto gli assassini si sono accorti che avevano sbagliato il bersaglio. Ritornano le raffiche, questa volta sopra la folla, urla dei feriti, grida da chi chiamava i parenti, cavalli imbizzarriti. La “festa” è finita.
Chi può torna di corsa al proprio paese. Con mio padre e mio fratello ci ritroviamo sulla strada per San Giuseppe Jato. A metà percorso incontriamo 5 carabinieri, a piedi, trafelati, provenienti dalla stazione di San Giuseppe Jato.
A San Giuseppe Jato e a Piana degli Albanesi si pensò subito che la strage di Portella della Ginestra (undici morti (nove adulti e due bambini) e ventisette feriti, di cui alcuni morirono in seguito per le ferite riportate) fosse stata opera della mafia locale (ancora oggi lo storico Giuseppe Casarrubea scrive che la mafia partecipò alla strage).
Molti mafiosi furono arrestati la stessa giornata della strage e poi rilasciati. Si seppe in seguito che a sparare furono alcuni componenti della banda di Salvatore Giuliano. Ci fu il processo di Viterbo e alcuni di questi vennero condannati, tra i quali il braccio destro e cugino di Giuliano, Gaspare Pisciotta.
La magistratura non indagò sui possibili mandanti. Ma Giuliano e la sua banda non potevano avere interesse a fare quella strage se non con la promessa di una amnistia.
Il Ministro dell’Interno era Mario Scelba.
In seguito Giuliano fu ammazzato mentre dormiva e poi fu inscenato un conflitto a fuoco. Pisciotta, dal carcere di Palermo, aveva annunciato di dire la verità nel processo d’appello e prima che lo potesse fare fu avvelenato col caffè.
Michele Maniscalco
(da Politicaprima.it)
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