Maggio 2nd, 2015 Riccardo Fucile
ATTACCHI A GRUPPI DI CINQUE CON MAZZE, MARTELLO E SAMPIETRINI… ENTRANO ED ESCONO DAL CORTEO IN POCHI MINUTI DOPO AVER SPACCATO TUTTO…POI FUMOGENI PER COPRIRE IL CAMBIO DI ABITO
Milano come Francoforte. Il centro del capoluogo lombardo devastato come accadde un mese fa in Germania.
Cambiano le occasioni: oggi si protestava contro l’avvio di Expo. A marzo contro l’inaugurazione della nuova sede della Banca centrale europea.
Ma le immagini sono le stesse: macchine in fiamme, negozi e banche distrutti. Anche i protagonisti sono gli stessi.
Oggi erano almeno 500. La grande marcia contro l’Esposizione universale non è ancora partita. Ma loro indossano già l’uniforme nera che li copre da capo a piedi. Non hanno bandiere. Cantano pochi slogan.
Non si confondono insieme alle altre sigle o ai centri sociali.
Sfilano inquadrati dietro un furgone bianco con una bandiera No Tav, l’unico vessillo che espongono.
La prima linea non regge striscioni. Ha solo bastoni di bambu, maschere anti-gas e caschi in testa per proteggere lo spezzone nero piazzato a metà corteo.
In mezzo ci sono italiani: romani, veneti, napoletani, torinesi. Ma anche tanti stranieri: francesi, tedeschi e spagnoli.
La loro tattica messa in atto per devastare il cuore della Milano bene è semplice, rapida, efficace. Perfetta.
La loro potenza caotica in Italia si è già vista, ma è un ricordo di 14 anni fa: Genova, G8 2001. Li chiamarono black bloc.
Una semplificazione giornalistica mai accettata dalle frange dell’antagonismo radicale che ingrassano quelle fila. Poi più niente.
Nemmeno a Roma il 14 dicembre 2010, quando piazza del Popolo per ore divenne teatro di duri scontri tra polizia e manifestanti.
Qualcosa di simile avvenne durante la mobilitazione degli Indignati, il 15 ottobre 2011.
Oggi Milano, che da almeno 20 anni non era abituata a scene di tale violenza, si è trasformata nel palcoscenico ideale per il loro mordi e fuggi. Azioni continue. Attacchi che si susseguono a ripetizione. Obiettivi colpiti a distanza ravvicinata l’uno dall’altro.
Si muovono lentamente in gruppi di cinque. Escono dal “loro” spezzone. Puntano su banche, negozi di lusso, agenzie turistiche. Distruggono con mazze, martelli e sampietrini. In alcuni casi appiccano il fuoco prima di tornare a mescolarsi agli altri. I blitz durano una manciata di minuti.
Il copione si ripete durante tutto il tragitto della manifestazione: nessuna vetrina di via De Amicis e via Carducci rimane integra dopo il loro passaggio.
Il contatto con la polizia viene evitato scientificamente.
Le forze dell’ordine sono un bersaglio lontano a cui lanciare petardi, molotov o sassi. Come avviene all’angolo tra via Carducci e corso Magenta, un’ora dopo l’inizio della grande mobilitazione No Expo partita da piazza 24 Maggio.
La parte pacifica del corteo sfila verso la stazione di Cadorna. I neri sono subito dietro.
La testa dello spezzone si gira unita verso le camionette della polizia e dei carabinieri distanti cinquanta metri per fronteggiare eventuali cariche. Il grosso del gruppo si sistema all’incrocio. Iniziano le devastazioni. Viene presa di mira una filiale di Cariparma. Pochi secondi e le vetrate vanno in frantumi. Poi inizia il lancio di petardi e bombe carta contro gli agenti in tenuta antisommossa dispiegati in via Buttinone. In risposta vengono sparati lacrimogeni.
L’aria diventa chimica. Il corteo si sfalda. Le devastazioni continuano.
Due macchine vengono incendiate, a fine giornata saranno 14. Ma non parte nessuna carica.
La polizia preferisce allontanare i neri con continui lanci di candelotti. Mentre dall’altra parte viene gettato di tutto.
Il contatto non c’è mai. Il tira e molla con gas da una parte e pietre dall’altra continua fino alla fine del corteo in via Pagano, dove il Blocco accende i fumogeni per accecare le telecamere della Digos, si toglie l’uniforme e si cambia gli abiti. Lascia a terra un tappeto di armi e vestiti. Poi sparisce.
Alessandro Bartolini
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Maggio 2nd, 2015 Riccardo Fucile
NO EXPO, LE PAROLE DEL MANIFESTANTE E LA REAZIONE SUI SOCIAL
“E’ giusto spaccare tutto, mi diverto”. Le parole sono del manifestante con cappuccio e giacca nera
immortalato dalle telecamere di TgCom24 dopo il corteo MayDay.
Che è stato bruscamente interrotto dalla devastazione di centinaia di black bloc in pieno centro a Milano.
L’intervista è rimbalzata sui social, dove ha incassato molti commenti indignati.
Su Facebook sono spuntate diverse pagine “dedicate” a lui, che in poche ore hanno raggiunto migliaia di like.
“A Baltimora una mamma ha regalato qualche ‘manata’ — ha commentato un utente, ricordando la scena del ragazzo americano incappucciato rincorso in strada dalla madre durante le proteste contro la polizia — al figlio che manifestava senza peraltro fare nulla di grave. La tua mamma e il tuo papà spero ti diranno almeno che sei un pirla“.
E ancora: “La sera quando ti guardi allo specchio ti chiedi mai quale senso hai dato alla tua giornata?”, “evito di dire cosa gli farei”, “eccolo qua l’eroe di nero vestito. Se bruciava la macchina di papà facevi il bulletto?”.
“Certo — scrivono altri — spaccare tutto è una bella esperienza. La gente non compra auto, apre negozi, fa l’imprenditore, alimenta l’economia legalmente andando a rubare, emerito cialtroncello da quattro soldi e perditempo. Remember ‘Chi la fa, l’aspetti’”.
E il sentimento condiviso è sintetizzato da un messaggio: “Se lanci mattoni sulle vetrine di negozi di gente che lavora sodo, bruci le automobili non sei un rivoluzionario, sei un criminale“.Selfie_Milano_visoscoperto
Tra le immagini della devastazione, è spuntata anche quella di una ragazza che ha deciso di farsi immortalare a fianco di un’auto bruciata.
Un’immagine anche questa rimbalzata sui profili social, dove non mancano gli attacchi ai black bloc.
“Cento, mille Diaz” e ancora “dateli all’Isis“.
Su Twitter e Facebook foto di auto incendiate, vetrine di negozi distrutte, pareti imbrattate, accompagnate da commenti di rabbia e risentimento: “Si sentono protetti e fanno quello che vogliono”, “che schifo“, “possibile che il governo non prenda seri provvedimenti? Speriamo che questa volta gli arrestati li mandino in viaggio premio di solo andata in qualche campo del’Isis, per una rapida rieducazione!”.
Tanta l’esasperazione: “Mille Diaz a queste merde”, “delinquenti e poi voglio vedere chi ha ancora il coraggio di difendere questa feccia della società civile ed inveire contro la polizia” e “antagonisti di cosa? Chiamateli con il loro nome”.
Infine, c’è chi avrebbe preferito un intervento duro delle forze dell’ordine: “Finchè la Polizia non può sparare che volete?”.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Maggio 2nd, 2015 Riccardo Fucile
METRO PER METRO LA RICOSTRUZIONE DELL’ASSALTO ANTAGONISTA COMPIUTO DA 500 TUTE NERE
Un’ora non di più. Cinquecento incappucciati non di più.
Ma tanto basta perchè in serata Milano si scopra devastata. Una lunga ferita aperta nel cuore della città , tra via Carducci e via Pagano.
In quelle strade solitamente silenziose, dentro quelle case borghesi, a due passi dalla chiesa di Santa Maria delle Grazia, dal cenacolo Vinciano e dal collegio San Carlo, la scuola dei figli della cosiddetta Milano bene.
Oggi, però, la fotografia è cambiata. E la fotografia simbolo di questa giornata di guerriglia urbana è quella distesa di panni neri abbandonati lungo la strada, e poi mazze, pietre, caschi, lacrimogeni ancora accesi, fumo nerissimo che sale per decine di metri oltre i palazzi.
Qui in via Pagano, dove la battaglia finisce e gli incappucciati, smessa la divisa, si confondono tra i manifestanti. Azione perfetta, studiata, militare.
Perchè così doveva andare nei piani degli antagonisti. E così è andata: nessuno scontro con la polizia, solo semplice e brutale devastazione.
In Italia capitò solo al G8 di Genova. In Europa l’ultima volta il 18 marzo 2015 a Francoforte durante l’inaugurazione della nuova sede della Banca centrale europea.
E così, poche ore dopo, il bottino dei fermati non supera la decina.
“Tutti italiani”, rende noto la questura. Sono di più le auto bruciate durante il tragitto: quattordici, tra via Carducci e via Ariosto.
In via Leopardi una viene ribaltata e poi incendiata. Antagonismo di matrice europea, dunque.
E del resto gli stranieri tra i cinquecento sono in tanti. Antagonismo che non punta allo scontro con le forze dell’ordine, ma solamente al caos. Come fu per Genova.
Il resto è una gestione dell’ordine pubblico che, al di là delle devastazioni, ha seguito il piano di cui nei giorni scorsi già si ragionava al quarto piano della procura di Milano.
La scelta era contenere i rischi, mettendo in conto danni anche ingenti, ma senza mettere a repentaglio l’incolumità dei cittadini. Così è andata. E se così doveva andare, allora, va subito detto, che l’ordine pubblico è stata gestito come si era deciso di fare.
I VENTIMILA DI PIAZZA XXIV MAGGIO
Riavvolgiamo il nastro. Ore 14 in piazza XXIV maggio. Tanta gente. Ventimila, anche di più.
Cielo grigio e musica alta. Atmosfera tipica da MayDay Parade. Non solo studenti come due giorni fa, ma realtà diverse: lavoratori, anarchici, centri sociali.
Gli incappucciati non si vedono. Solo s’intuiscono da piccoli gruppi che indossano la divisa classica: abiti scuri e zainetto sulle spalle. Molti parlano straniero. Ci sono spagnoli, francesi, greci, tedeschi. Non mancano gli italiani. Veneti soprattutto. Milanesi anche: una trentina dal Corvetto. Si parte a rilento. Il percorso è breve.
La questura ha tagliato la parte che avrebbe dovuto portare i manifestanti verso piazza Duomo. Una scelta decisamente azzeccata.
VIA DE AMICIS: SMASH CAPITALISM
A metà corteo: una bandiera porta scritto “Smash capitalism”. E’ quella degli stranieri. Gli stessi che il 30 aprile in viale Majnohanno dato l’assalto alla sede di Manpower. Sono trenta non di più. E soprattutto sembrano tranquilli.
Ora il corteo scorre lungo via De Amicis. Qualcosa però sta succedendo. Cinquecento metri a ritroso, oltre al camion del centro sociale il Cantiere, dietro a un altro mezzo i neri si sono ricompattati.
Nascosti dal corteo e senza il controllo delle forze dell’ordine hanno indossato i caschi. Compaiono mazze e martelli, e soprattutto zaini pieni.
Oltrepiazza Resistenza Partigiana le prime azioni. Vengono colpite diverse vetrine. Ogni metro di strada, però, quella macchia nera s’ingrossa. Davanti il cordone di bastoni, dietro il resto. Si risale verso via Carducci in direzione di piazza Cadorna.
Il disastro è a pochi metri, ma ancora non si percepisce. Altri negozi danneggiati.
VERSO PIAZZA CADORNA: GUERRIGLIA URBANA
All’incrocio con corso Magenta inizia l’azione.
Il cordone dei neri svolta a sinistra facendo muro davanti alle forze dell’ordine che stazionano a un cinquantina di metri. Un incappucciato urla: “Fermi, fermi, adesso”. Pochi secondi, il primo botto devastante. Ne seguiranno decine. Si lancia di tutto. Prima contro il bar Magentae nella via laterale dove stazionano le forze dell’ordine. Contemporaneamente un altro gruppo si scaglia contro le sedi di due banche: il banco Desio e Cariparma che stanno all’angolo con via Vincenzo Monti.
Di nuovo dall’altra parte verso via Meravigli, bidoni dell’immondizia in mezzo alla strada. Il fumo è fitto. I lacrimogeni di polizia e carabinieri piovano a manciate. Respirare è impossibile. L’azione qui dura almeno quindici minuti.
In largo D’Ancona arriva di tutto e da tutte le parti. Gli zaini vengono svuotati. Si caricano le molotov, si raccolgono bottiglie, si lancia. Pochi metri più in là due vetrine di un negozio vengono date alle fiamme. Dall’altra parte della strada bruciano due auto.
I neri ora sono in piazzale Cadorna. Il grande corteo è definitivamente spaccato in due. Chi stava avanti prosegue. Gli altri attendono dietro.
Le forze dell’ordine seguono gli antagonisti che proseguono nel loro percorso di devastazione. Scendono per via Boccaccio in direzione via Pagano. La strada ora e dritta.
Ogni metro è un colpo alla città . Altre auto bruciate. In piazza Virgilio la polizia abbozza una carica. Nulla di fatto.
In piazza Giovine Italia verso via Aurelio Saffi altre quattro auto vengono date alle fiamme. Bruciano una accanto all’altra. Il rischio che esplodano è altissimo.
In piazza Conciliazione la polizia ferma un italiano. Un dirigente della polizia di Stato si raccomanda: “Non deve essergli torto un capello”.
La tensione è altissima, l’adrenalina scorre veloce. Un altro dirigente urla: “Carichiamo? Ci proviamo? Ve la sentite?”.
Sono parole contro volti tesi, impauriti anche, sorpresi, forse, da una violenza di piazza che in Italia non si era mai vista.
Il reparto Celere, però, non avanza. Si prosegue nella strategia di accompagnare i manifestanti.
VIA PAGANO: GLI INCAPPUCCIATI SI DILEGUANO
In via Alberto da Giussano il fumo nero delle auto bruciate si mescola a quello bianco dei fumogeni. I neri ora ne accendono a decine. La città scompare, non si vende oltre un metro. L’azione è studiata.
Dentro al fumo, i neri abbandonano armi e divise. Pochi secondi è tornano ad essere manifestanti qualsiasi. Impossibile distinguerli.
Ora corrono dentro al parco oltre via Pagano. E’ l’ultima tappa. A questo punto la polizia carica. E’ caccia all’uomo. Pochi minuti appena. Viene fermata una ragazza. Intanto il resto del corteo è già verso piazza Buonarrotti e oltre verso la zona dello stadio Meazza.
Arriva la notizia che undici tra carabinieri e reparto mobile sono rimasti feriti. Tra questi c’è anche quel dirigente che poco prima si era raccomandato di “non torcere un capello” al fermato. E’ ferito. E’ stato il primo a partire e ad essere colpito. Era in piazza con i colleghi, lui che nel lavoro quotidiano dirige il commissariato di Quarto Oggiaro, uno dei quartieri più complicati della città .
Corteo chiuso poco prima delle 18,30.
La giornata si chiude. Non prima di aver fatto a ritroso il percorso del disastro. Ecco Milano. Che pochi minuti dopo la ferita torna a respirare.
Ecco la città di Expo sventrata, piegata, sanguinante. Sacrificata alla rabbia. Dal potere. Quello che poche ore prima con le parole di Matteo Renzi apriva l’Esposizione universale.
Quella che ore dopo, indossato lo smoking, si è accomodata alla Scala per la Turandot.
Valgano per tutti, le parole del ministro Dario Franceschini: “Non saranno certo poche centinaia di violenti a rovinare questa festa”.
Festa?
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Maggio 2nd, 2015 Riccardo Fucile
UNA MINIMA ANALISI DOVREBBE PORRE BEN ALTRI INTERROGATIVI CHE CERCHIAMO DI RIASSUMERE
Sono bastate poche ore di guerriglia urbana, come da 14 anni non si vedeva in giro, per assistere
non solo alla giusta e dovuta indignazione degli italiani per gli atti vandalici compiuti dalle tute nere a Milano, ma anche per far riemergere quel tipico errore che ha causato il pressapochismo culturale e politico per cui a destra ci si schiera “senza se e senza ma” con “il potere” costituito, scambiandolo per “lo Stato di diritto”.
Riflessi istintivi, quindi tipicamente “reazionari”, che evitano qualsiasi analisi su come è potuto accadere e su perchè è avvenuto, fino a tracimare nell’apologia dell’Expo come se un fatto commerciale, macchiato da vergognosi scandali, possa rappresentare la nuova frontiera di chi sventola il tricolore.
Ma andiamo per ordine e fissiamo qualche paletto.
Prima considerazione: i disordini di oggi erano prevedibili, previsti e nulla è stato fatto per evitarli.
Aggiungiamo: sono stati permessi volutamente dal governo, come peraltro ammesso dal ministro degli Interni, come frutto ufficialmente della scelta del “male minore”.
Il problema non è Alfano in sè, per capirci: come la microcrominalità crea allarme sociale e favorisce determinate forze politiche, in questo momento di gravi difficoltà del nostro Paese individuare nelle “tute nere” il “nemico principale” fa gioco a chi governa l’Italia e costituisce un potente arma di distrazione di massa.
Chi, come noi, ha seguito le vicende del G8 di Genova denuncia da tempo che le forze dell’ordine sono state ormai trasformate in “polizia di contenimento” da un lato e in ‘agenzia fotografica” dall’altro.
Le manganellate le prendono ormai solo gli operai di qualche fabbrica, mai chi in piazza attacca le forze dell’ordine con metodi quasi militari.
Li si lascia fare, si spara qualche lacrimogeno e si fanno migliaia di foto ricordo. Sperando poi con calma di riconoscere qualcuno, peraltro con scarso successo, visto il numero minimo di condannati pr i disordini del G8 di Genova.
Ci si chieda perchè: a chi giova creare insicurezza, devastazioni e danni?
E’ scientificamente dimostrato: ne beneficia “mamma chioccia”, ovvero il governo e i poteri economici che esso rappresenta. Non a caso la Dc ha governato il nostro Paese per 40 anni come “baluardo contro gli estremisti”.
Chi ha un minimo di dimestichezza con la gestione dell’ordine pubblico non si beve certo le giustificazioni sul “male minore” data da Alfano.
Si sa benissimo come si muovono i black bloc, dove si collocano all’interno del corteo, come introducono armi improprie, come si travisano: se ci fosse la volontà politica li isoleresti in pochi minuti dal resto del corteo, neutralizzandoli con un “cordone sanitario”, intervenendo all’interno.
Ovviamente ci vorrebbe un “contatto fisico”, ma nessuna forza dell’ordine al mondo si porrebbe mai la pregiudiziale di evitarlo.
Quelle guidate da politici in buona fede, non i nostri, ovvio.
Altrimenti se valesse lo stesso principio perchè mai i carabinieri dovrebbero accorrere nel caso di una rapina in corso?
Per evitare il “contatto fisico” sarebbe sufficiente attendere che la rapina venga compiuta e poi esaminare le telecamere con comodo, sperando di individuare gli autori della stessa.
Non è certo colpa delle forze dell’ordine, loro seguono le direttive: evitare contatti e lasciare sfasciare la città , cosi oggi i protagonisti sui media sono da un lato “i cattivi” e dall’altro “il pacioso buono” che taglia il nastro dell’Expo e che prometterà ora pugno di ferro contro gli eversori.
In questo teatrino ognuno recita la sua parte, salvo la “destra a responsabilità limitata” che l’ultima analisi logica deve averla fatta alle scuole medie.
Invece che comprendere la strategia altrui, strilla contro l’inefficienza della catena di comando, facendo inconsciamente il gioco del governo del “minor male” che, con un paio di provvedimenti draconiani annunciati dal venditore di pentole, si prenderà pure il merito della svolta decisionista.
E poi a destra trovi mai qualcuno che denunci che spendere 12 miliardi per l’Expo rappresenti uno scandalo?
Con la stessa cifra si potevano aiutare pensionati al minimo e disoccupati, altro che tavole rotonde sulla fame nel mondo e marchette a Farinetti.
Avete mai visto ricchi che si riuniscono per risolvere i problemi dei poveri?
Ha ragione il sociologo De Masi quando dice che la sede di certi eventi sul tema povertà dovrebbe essere il Sahel, non una città dove il problema di molti è semmai l’obesità , non certo la denutrizione.
Per non parlare degli scandali, della corruzione e degli arresti.
E questo, per certa destra italiana, dovrebbe essere la bandiera da sventolare?
Per conto di chi?
Delle Coop e della Confindustria? Di Renzi e Farinetti?
Delle multinazionali che hanno saccheggiato e inquinato il Terzo mondo?
O si capiscono certi meccanismi o questa destra si lasci rappresentare da Renzi, non merita altro.
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