Dicembre 27th, 2015 Riccardo Fucile
E’ ORA CHE LO STATO RIPRISTINI LA LEGALITA’, NON DEVONO ESISTERE ZONE FRANCHE PER LA CRIMINALITA’
Dopo tante foto di abbracci, goal ed esultanze, ora sulla pagina Facebook dello Sporting Locri troneggia una scritta nera: “Game over”.
Le minacce, almeno per ora, fermano le ragazze del calcio. Si chiude. Causa intimidazioni.
È durata solo sei anni, malgrado risultati ed entusiasmo, l’avventura dell’Asd Sporting Locri, società di calcio femminile a 5, che ha annunciato, allo stato, il ritiro dal campionato nazionale di serie A Elite e la fine delle attività .
A determinare l’epilogo inatteso, nel pieno delle feste natalizie, è stata la decisione del presidente del sodalizio, Ferdinando Armeni, di gettare la spugna assieme alla dirigenza dopo la sequela di avvertimenti in stile mafioso, con frasi minacciose e inviti espliciti a farsi da parte, contenuti in alcuni biglietti anonimi fatti recapitare allo stesso Armeni e ad altri dirigenti dello Sporting Locri.
Nell’ultimo messaggio trovato sull’auto del presidente, lasciata anche con uno pneumatico lacerato, c’era scritto: “Forse non siamo stati chiari. Lo Sporting Locri va chiuso se non vuoi avere danni. Sappiamo chi solitamente si siede in questo posto”.
Il ‘pizzino’ era stato lasciato sul finestrino anteriore della vettura di Armeni, dove solitamente è sistemato il seggiolino del figlio di tre anni.
Tutti gli episodi sono stati denunciati a carabinieri e polizia, che hanno avviato accertamenti per vagliare la natura delle minacce e risalire agli autori. Nulla, però, al momento, si sa sugli esiti delle indagini.
Quello che prevale, a Locri e non solo, è lo sconcerto per un finale che lascia l’amaro in bocca.
“Siamo senza parole – dice Armeni – dal momento che il nostro è solo un hobby, una passione per lo sport calcistico. Non è accettabile che si possa correre il rischio di essere colpiti anche nei nostri affetti più cari. Certo, può darsi che si tratti di una bravata, ma davvero non ce la sentiamo di andare avanti. Inutile nasconderlo, c’è rammarico nel dover chiudere dopo anni di successi che ci hanno consentito quest’anno di diventare la squadra rivelazione del campionato nazionale di serie A. Non riusciamo a capire, tuttavia, quali interessi ci possano essere da parte di chi vuole ostacolare un’attività sportiva come questa”.
Lo Sporting Locri era ritenuta, sulla scorta dell’attuale quinto posto in classifica, la squadra rivelazione della massima serie di calcio femminile a 5, l’unica in Calabria a calcare la scena nazionale di categoria.
In queste ore ad Armeni e alla dirigenza è giunta da tutta l’Italia la solidarietà delle altre società che militano nel campionato nazionale.
Il vescovo di Locri mons. Francesco Oliva ha espresso “sentimenti di tristezza, indignazione e condanna”. Vicinanza e sostegno sono stati espressi dal presidente del Consiglio regionale Nicola Irto – con l’invito alla società ad andare avanti – dal segretario regionale del Pd Ernesto Magorno, dal presidente della Commissione contro la ‘ndrangheta del Consiglio regionale Arturo Bova e dal sindaco di Locri Giovanni Calabrese che, da socio fondatore, ha anche invitato i vertici del club a non ritirare la squadra dal campionato.
Le giocatrici, però, non si arrendono. Sara Brunello, vice capitano della formazione, si dice “delusa, indignata e amareggiata” per la decisione presa dopo le minacce.
Lei e le sue compagne ci sperano ancora, e sono pronte a scendere in campo contro la Lazio il 10 gennaio.
Al loro fianco si è schierata Patrizia Panico, capitano delle azzurre del calcio, che si dice indignata per la decisione presa dalla società di ritirarsi dal campionato “causa minacce”.
“È un fatto sconcertante, una cosa gravissima. Alle mie colleghe direi di non ritirarsi ma di giocare in altre città , dove troverebbero accoglienza e tifo”. E si dice pronta a organizzare una partita “di solidarietà tra le ragazze di Locri e le azzurre, una partita simbolo contro la malavita”.
“È una cosa gravissima e che desta preoccupazione – commenta la Panico al telefono con l’Ansa – Questo vale per tutta la società civile ma sono dinamiche che diventano ancora più sconcertanti perchè investono un settore che sembrava lontano dal vivere certe dinamiche”.
‘Sindacalista’ del pallone, la Panico invita però “a non restare negli spogliatoi”.
“La migliore risposta a simili nefandezze – aggiunge – è quella di non mollare e oltre che essere dispiaciuta per quanto successo penso anche alle mie colleghe che escono ancora più penalizzate da questa vicenda, non potendo più fare affidamento sul campionato e sui rimborsi. Io direi loro di non ritirarsi ma di giocare semmai in altre città , dove troverebbero accoglienza e tifo. A parte questo – aggiunge la Panico – mi piacerebbe che la giustizia svolgesse il suo ruolo, perchè tutte queste piccole attività non si possono lasciare alla gestione individuale che poi deve confrontarsi con la criminalità organizzata. Lo Stato deve intervenire”.
Intanto la capitano delle azzurre si dice pronta ad organizzare una partita “di richiamo, di solidarietà tra le ragazze di Locri e le azzurre. Si, mi piacerebbe che si facesse una partita simbolo tra le giocatrici del calcio a 5 e quelle del calcio a 11: ecco, una partita di calciotto sarebbe lo slogan migliore contro la malavita e la criminalità “.
(da “Huffingtonpost”)
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Dicembre 27th, 2015 Riccardo Fucile
NEL 1967 RIFIUTO’ DI SPOSARE L’UOMO CHE L’AVEVA VIOLENTATA… IL SUO CORAGGIO CAMBIO’ IL CODICE PENALE: “MAI AVERE PAURA DI LOTTARE”
È di nuovo Natale a casa Viola. In sala da pranzo finiscono il dolce e i racconti il marito, Giuseppe, i due figli, Sergio e Mauro, le nuore.
L’unica nipote, tredici anni, è appena uscita per raggiungere gli amici. Una ragazzina bellissima, Sonia: bruna e bianca come sua nonna Franca.
“Ha visto com’è cresciuta? Mi ricordo che dieci anni fa, quando lei signora venne a trovarmi, mi trovò che pulivo le scale, di fuori, e quando la feci entrare in soggiorno c’era il triciclo della bambina e i suoi giocattoli a terra. Che vergogna questo disordine, pensai. Ancora me ne dispiaccio. Lei è l’unica giornalista che ho fatto entrare in casa mia, lo sa? Non lo so perchè: certe volte è una parola, uno sguardo. Una cosa piccola, è quella che cambia”.
Non c’era nessun disordine signora Franca, solo il triciclo di una bambina.
“Sonia adesso ha la stessa età di quando mi sono promessa a suo nonno Giuseppe. La vita è un lungo attimo. Mi somiglia moltissimo: quando a scuola hanno chiesto le foto dei nonni le ho dato la mia alla prima comunione e la maestra ha detto ‘Sonia, avevo chiesto la foto di tua nonna non la tua’. Ma questa è mia nonna, è Franca Viola… Mi rende così felice che sia orgogliosa di sua nonna. Certo che la sa la storia, sì, gliel’ho raccontata io ma non ce ne sarebbe stato bisogno. Sta su Internet, mi cerca lei tutte le notizie. Io non so usare il computer, neppure riesco a vedere i messaggi nel telefono. Però c’è lei che fa tutto. Le ho solo detto, in più: l’importante Sonia è che tu faccia quello che ti dice il cuore, sempre. Poi certo, bisogna che le persone che ti amano ti aiutino e non ti ostacolino, come è successo a me con mio padre e mia madre. Ma lo sa che sono passati cinquant’anni dal fatto?”.
Il fatto, lo ha sempre chiamato. “Chi se lo poteva immaginare che sarebbe stata una vita così”. Così come? “Così bella. Perchè poi la storia grande nella vita delle persone è una storia piccola. Un gesto, una scelta naturale. Io per tantissimi anni non mi sono resa conto di quello che mi era successo. Quando mi volle vedere il Papa, il giorno del mio matrimonio, chiesi a mio marito: ma come fa il Papa a sapere la nostra storia, Giuseppe?”.
“Per me la mia vita è stata la mia famiglia. Stamattina sono andata a trovare mia madre, che vive qui accanto, da sola. Ha 92 anni, è lucidissima. Per prima cosa mi ha detto: Franca, ti ricordi che giorno è oggi? È il 26 mamma, sì. Per lei il 26 dicembre è il giorno del mio rapimento e il giorno della morte di mio padre. Lo sa che mio padre è morto 18 anni dopo il mio rapimento, lo stesso giorno alla stessa ora? È stato in coma tre giorni, io pensavo: vuoi vedere che aspetta la stessa ora. E infatti: è morto alle nove del mattino, l’ora in cui entrarono a casa a prendermi. Ha aspettato, voleva dirmi: vai avanti”.
Cinquant’anni fa, alle nove del mattino, Franca aveva 17 anni e 11 mesi. Era la ragazza più bella di Alcamo, figlia di contadini.
Filippo Melodia, nipote di un boss, la voleva per sè. Lei si era promessa a Giuseppe Ruisi, un coetaneo amico di famiglia.
Melodia e altri dodici della sua banda bussarono alla porta e rapirono lei e il fratello Mariano, 8 anni. Li portarono in un casolare in campagna. Dopo due giorni lasciarono andare il bambino, dopo sei portarono Franca a casa della sorella di Melodia, in paese. La legge diceva, allora, all’articolo 544 del codice penale, che il matrimonio avrebbe estinto il reato di sequestro di persona e violenza carnale.
Reato estinto per la legge, onore riparato per la società . Doveva sposare Melodia, insomma: era scritto. Ma Franca non volle.
Fu la prima donna in Italia — in Sicilia – a dire di no alla “paciata”, la pacificazione fra famiglie, e al matrimonio riparatore.
Ci fu un processo, lungo, a Trapani. Lei lo affrontò. Un grande giudice, Giovanni Albeggiani.
I sequestratori furono tutti condannati. Melodia è morto, ucciso da ignoti con un colpo di lupara, molti anni dopo. Gli altri sono ancora lì, in paese.
«Quando li incontro per strada, capita, abbassano lo sguardo. Non fu difficile decidere. Mio padre Bernardo venne a prendermi con la barba lunga di una settimana: non potevo radermi se non c’eri tu, mi disse. Cosa vuoi fare, Franca. Non voglio sposarlo. Va bene: tu metti una mano io ne metto cento. Questa frase mi disse. Basta che tu sia felice, non mi interessa altro. Mi riportò a casa e la fatica grande l’ha fatta lui, non io. È stato lui a sopportare che nessuno lo salutasse più, che gli amici suoi sparissero. La vergogna, il disonore. Lui a testa alta. Voleva solo il bene per me. È per questo che quando ho letto quel libro sulla mia storia, “Niente ci fu”, mi sono tanto arrabbiata. Non è quella la mia storia, per niente. Mio padre non era un padre padrone: era un uomo buono e generoso. Lo scriva». Lo scrivo.
«Perchè poi vede, il Signore mi ha dato una grazia grande: non ho mai avuto paura di nessuno. Non ho paura e non provo risentimento».
Intende risentimento per chi la rapì? «Nè per loro nè per nessun altro dopo. Sono stati molti altri i dolori della vita, ma di più sono state le gioie. Ho un marito meraviglioso. Nei giorni del processo e anche dopo mi arrivarono tante proposte di matrimonio, per lettera. Giuseppe però mi aveva aspettata. Io non volevo più maritarmi, dopo. Gli dicevo: sarà durissima per te. Ma lui mi ha detto non esistono altre donne per me, Franca. Esisti tu. Sono arrivati i figli, mio padre ha fatto in tempo a vederli e vedermi felice. Poi c’è stata la malattia di Sergio: temevo che morisse. Quando nel 2014 il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha voluto darmi il titolo di Grande ufficiale ho pensato ecco, una persona ora la conosco. E ho chiesto aiuto per curare Sergio. Ma non è servito a niente. Mi hanno dato il numero di un medico, dal Quirinale, poi questo medico non rispondeva e quando sono andata a Roma con mio figlio, ad agosto, mi hanno detto che era in ferie. Ho lasciato stare e ho fatto da sola. Un difetto si ce l’ho: l’orgoglio. Il Signore spero mi perdoni».
Il 9 gennaio Franca Viola compirà 69 anni. Nella sua vita ha visto abolire la norma del codice penale sul matrimonio riparatore.
Ha visto nel 1996, solo 20 anni fa, la legge che fa dello stupro un reato contro la persona e non contro la morale. Si è vista riprodotta in foto, con grande incredulità , sui libri di scuola. «Il primo è stato Sergio. Era alle medie, mi ha detto: mamma sul mio libro c’è una tua foto da ragazza. Come mai? Gli ho raccontato. Un poco, certo, non tutto. Certe cose non si possono raccontare. Ma altre sì: che ciascuno è libero fino all’ultimo secondo, che tutto quello che dipende da te è nelle tue mani. Questo ho potuto spiegare ai miei figli e adesso a mia nipote. Sonia è una ragazzina del suo tempo. Vorrebbe fare l’attrice, mi fa sorridere: mi dice nonna, ma tu non conosci nessuno che mi possa insegnare a recitare? Le dico amore mio, impara da sola. Ciascuno si fa con le sue mani. I fatti grandi della vita, glielo ripeto sempre, mentre accadono sono fatti piccoli. Bisogna decidere quello che è giusto, non quello che conviene».
E per se stessa, Franca? Cosa si augura, ancora? «Di vedere guarito del tutto mio figlio. Di avere altri Natali con mio marito, con Sergio e Mauro, le loro mogli. Che ci sia un mondo meno ostile, meno feroce tutto attorno a noi. Perchè è peggiorato, il mondo, sa, in questi anni. Però ora vedo questo Papa e sì, ecco, un desiderio ce l’avrei. Quando andai da Paolo VI ero giovane, tante cose non le capivo. Adesso che sono vecchia mi piacerebbe andare da Papa Francesco e consegnare a lui i miei ringraziamenti al Signore per la vita meravigliosa che mi ha dato. Ma lo faccio qui, se me lo consente lo faccio attraverso di lei. Ho il peccato dell’orgoglio, è vero, ma non quello della presunzione. Il Papa non può certo conoscere una storia così vecchia, una piccola storia siciliana. Come fa. Ha tantissime cose molto importanti da fare, in tutto il mondo. Un compito enorme. Infatti lo penso e lo prego. Tanto, prego per lui».
Concita De Gregorio
(da “La Repubblica”)
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