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RAGGI, LA CANDIDATA CHE PIACE ANCHE A DESTRA

Marzo 1st, 2016 Riccardo Fucile

LE STRATEGIE DELL’AVVOCATO IN CORSA PER IL COMUNE DI ROMA

Virginia Raggi, anni 37, avvocato civilista, neo-candidata sindaco di Roma per i Cinque Stelle, è stata costretta ad imparare subito una delle lezioni più amare della politica italiana: occhio agli amici di cui, imprudentemente, ti fidavi.
Insieme a una sorpresa: che invece dai nemici possono venire gli appoggi, e i consensi, persino inaspettati.
E poi un altro insegnamento: che non si possono più fare le cose che, per leggerezza, si facevano prima.
Lei credeva di aver impostato in modo smagliante la sua immagine pubblica, con un video che la riprendeva mentre guidava. Ma ora tutti protestano perchè invece di guardare la strada, Virginia guardava dritta la telecamerina fissata sul cruscotto.
Roba da multa salata. Roba che un sindaco non potrebbe permettersi. Roba che se succedeva un incidente, la carriera politica della neo-candidata finiva lì, lo sguardo sulla camera e non sulla strada.
Le polemiche sul praticantato
Virginia Raggi è il volto nuovo che i romani stanno cominciando a conoscere. Dicono che Grillo ne sia entusiasta. Ma sono passate soltanto poche ore dall’ufficialità  della candidatura che subito su di lei si è rovesciato il fuoco amico.
La colpa: il suo praticantato da avvocato, all’età  di 25 anni, nello studio legale Sammarco, vicino allo studio Previti. Una fugace collaborazione professionale che è apparso come un crimine imprescrittibile.   Lei ricorda ai suoi detrattori che l’attività  dei praticanti negli studi legali è più vicina alla produzione di fotocopie che all’elaborazione di una linea politica.
Ma niente, viene da un Movimento in cui queste sfumature non sono molto apprezzate e poi ha già  imparato che per i puri c’è sempre uno più puro che ti epura.
Forse la Raggi non aveva imparato che anche i pasdaran renziani che pure non sembrano fan dell’immacolatezza, vogliono fare di questa cosa sulla «galassia Previti» un cavallo di battaglia, un esercizio tardivo di character assassination.
«Hanno paura», dice Virginia Raggi. E non ha tutti i torti.
Hanno paura davvero di perdere il Campidoglio, ma lei deve anche aver paura che questa storia del praticantato, nei miasmi della lotta politica a Roma sia il tormentone che l’accompagnerà  per tutta la campagna elettorale e, se vincente, anche oltre.
Il centrodestra
Poi però questa paura potrebbe essere resa più tenue dai borbottii segreti che attraversano il centrodestra romano, disperato per la sua sempre più accentuata marginalità .
Ora che affiora persino qualche simpatia per Alfio Marchini nell’ancora sparuta pattuglia di opinione salviniana nella fu «Roma ladrona», l’astro di Virginia Raggi nello schieramento a lei avverso dovrebbe far riflettere sulla sempre più labile tenuta delle linee di demarcazione tra destra e sinistra nell’elettorato che non guarda più con antipatia assoluta ai Cinque Stelle.
E certo in questo elettorato il tormentone sul praticantato dell’avvocato Virginia Raggi non dovrebbe procurare reazioni sdegnate come nel fronte giustizialista.
Anzi, potrebbe alimentare una tentazione che già  serpeggia, la percezione che l’unico vero, e potenzialmente vincente, antagonista al Pd, possa incarnarsi nell’avvocato Virginia Raggi.
La quale, quando qualcuno eccepisce che forse non ha l’esperienza necessaria per guidare una città  così disperatamente complicata come Roma, risponde con un disarmante: «Perchè gli altri hanno dimostrato forse di averla?».
Difficile darle torto, sul punto specifico. Ma gli spin doctor che le stanno accanto per questa campagna che si preannuncia dura e spietata le suggeriscono di non essere aggressiva, di non perdere la sua immagine di mitezza determinata ma allergica alle urla scomposte, e alle pose gladiatorie, della politica romana e romanizzata.
Di guardarsi dalla sinistra, apparentemente amichevole, e di non disdegnare gli elettori di destra, che alla retorica dell’antipolitica sono da sempre molto sensibili.
Un mestiere in cui Virginia Raggi dovrà  impratichirsi.
Un nuovo praticantato, stavolta.

Pierluigi Battista
(da “il Corriere della Sera”)

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LIBIA, ITALIA PRONTA A PRENDERE LA GUIDA DELLA MISSIONE

Marzo 1st, 2016 Riccardo Fucile

IL GENERALE SERRA IN POLE POSITION PER IL COMANDO

Palazzo Chigi garantisce agli Usa la capacità  dell’Italia di entrare in azione in Libia in una settimana, affiancandosi alle forze speciali “già  in teatro” per prendere la guida della Coalizione composta da diciannove Paesi uniti nella lotta contro l’Isis.
Secondo quanto scrive il Corriere della Sera, circolano già  indiscrezioni su cui potrebbe essere scelto per la guida.
Tra i nomi in pole position si fa quello del generale Paolo Serra, il consigliere militare dell’inviato dell’Onu Martin Kobler che ha grande esperienza sia per quanto riguarda la conoscenza della crisi libica, sia per i precedenti incarichi visto che è stato alla guida della missione Unifil in Libano.
Potrebbe essere proprio lui l’alto ufficiale scelto per comandare gli oltre 11mila uomini da impegnare in quella che potrebbe diventare una delle operazioni più imponenti dal punto di vista militare, ma che si preannuncia anche molto delicata proprio per la vicinanza con il nostro Paese e le possibili ritorsioni che potrebbe scatenare da parte dei terroristi dell’Isis.
Il generale Serra è senior adviser del capo negoziatore Onu già  dal novembre scorso, e a metà  gennaio è diventato l’interlocutore per la comunità  internazionale del comitato di sicurezza libico.
Secondo il sito specializzato “Africa intelligence”, è lui l’uomo che, da settimane, parla di sicurezza con i principali attori libici di Tripoli e Tobruk, mediando tra le diverse fazioni libiche.
Dal gennaio 2012 al luglio 2014 Serra è stato a capo della Missione Unifil in Libano, poi è diventato consigliere del Rappresentante permanente Italiano alle Nazioni Unite. Torinese, classe 1956, ha frequentato l’Accademia Militare di Modena e si è laureato in Scienze strategiche all’Università  degli Studi di Torino. In seguito ha conseguito un master presso lo Us Army War College di Carlisle, in Pennsylvania, negli Stati Uniti. Ufficiale degli Alpini, dal 1982 al 1987 ha comandato la compagnia controcarri taurinense facente parte della Forza Mobile della Nato nelle annuali esercitazioni in Norvegia e Danimarca; nel 1987 ha partecipato alla seconda spedizione italiana in Antartide e nel 1994 ha assunto il comando del battaglione “Susa” del 3 º Reggimento alpini a Pinerolo.
Nel 2000, al comando del 9 º Reggimento alpini, ha guidato il contingente nell’operazione Joint Guardian in Kosovo.
Dal 2005 al 2007 ha ricoperto l’incarico di Addetto militare per l’Esercito presso l’Ambasciata d’Italia negli Stati Uniti; al rientro in Italia ha assunto il comando della Brigata alpina “Julia” e della Multinational Force (italo-slovena-ungherese) a Udine. È stato anche in Afghanistan, dove è stato della Regione occidentale sotto l’egida della missione Nato Isaf dall’ottobre 2008 all’aprile 2009.
A questo punto si attende solo il via libero del governo di unità  nazionale libico.
Gli Stati Uniti si aspettano che il prossimo governo libico accolga il sostegno della Coalizione internazionale nella lotta contro lo Stato Islamico.
A dirlo è stato il Segretario alla Difesa Usa Ashton Carter nel corso di una conferenza stampa. “Ci aspettiamo che quando un governo sarà  formato in Libia – e ci auguriamo avvenga presto – questo sarà  considerato il benvenuto con solo da parte degli Stati Uniti, ma anche da parte della Coalizione e in particolare dall’Italia che è così vicina e si è offerta di giocare un ruolo guida. Spero sia parte del futuro del Paese”, ha detto Carter, aggiungendo che, nel frattempo, gli Stati Uniti devono proteggere se stessi contro lo Stato islamico in Libia come altrove.

(da “Huffingtonpost”)

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UNIVERSITA’, “PRECARI” PIU’ DEL 50% DEI RICERCATORI

Marzo 1st, 2016 Riccardo Fucile

DOPO IL DOTTORATO LAVORANO GRATIS PER 10 MESI, 55 ORE A SETTIMANA

I dati arrivano da un’indagine interna del Coordinamento nazionale non strutturati, che ha promosso uno sciopero bianco per il riconoscimento della ricerca come lavoro. Questo dopo che il governo ha negato loro l’indennità  di disoccupazione prevista per gli altri parasubordinati. I soli assegnisti forniscono nella loro carriera un contributo gratuito pari al lavoro di tutti i dipendenti della regione Piemonte per due anni.
Sono 66.097 i ricercatori precari dell’università  italiana.
Più di tutti i professori e i ricercatori a tempo indeterminato messi assieme.
Se gli atenei riescono ad andare avanti, nonostante i finanziamenti ridotti al lumicino, è anche grazie al loro lavoro, spesso gratuito.
Eppure restano degli invisibili cui non è concessa alcuna forma di contratto, in aperta violazione delle regole imposte dall’Europa.
Perciò il Coordinamento nazionale ricercatrici e ricercatori non strutturati ha promosso da un mese unosciopero bianco, anzi “sciopero alla rovescia”, per il riconoscimento della ricerca come lavoro.
“I precari rappresentano più della metà  del personale che nelle università  si occupa di ricerca e didattica”, denuncia il Coordinamento delle ricercatrici e dei ricercatori non strutturati.
Secondo i dati Miur del 2014 il numero di borsisti, assegnisti, ricercatori a contratto e consulenti, tutti con contratti in scadenza, ammonta a ben 66.097 a fronte dei 51.839 ricercatori diruolo, professori associati e ordinari. Questo significa che “in Italia la maggioranza della ricerca e della didattica a livello universitario è affidata a loro”.
Il Coordinamento ha raccolto di dati su un campione di 1.200 non strutturati in tutti i macrosettori della ricerca. La ricerca stima che i soli assegnisti, espressamente pagati per fare ricerca, hanno fornito nella loro carriera un contributo gratuito pari al lavoro di tutti i dipendenti della regione Piemonte per 2 anni.
I precari sono essenziali per lo svolgimento degli esami, seguono i tesisti, si occupano di mansioni amministrative e di incarichi all’esterno per l’università  (perizie, formazione, consulenze).
Ma, soprattutto, insegnano. Il coordinamento stima che gli attuali assegnisti italiani hanno tenuto lezione in corsi di cui non sono titolari per una quantità  di ore che è pari a10,6 volte tutta l’offerta formativa dell’università  di Milano Statale.
Il loro impegno nel mandare avanti l’università  è tutt’altro che residuale. Qui non si tratta di pochi mesi o di qualche anno in attesa di stabilizzazione. I non strutturati censiti dal sondaggio hanno concluso mediamente da 5 anni il dottorato di ricerca e da allora hanno già  lavorato 10 mesi gratuitamente, senza alcuna certezza per il loro futuro.
Hanno scritto progetti (mediamente 7 nella propria carriera), eseguito consulenze per l’università  (14 in media), partecipato a gruppi di ricerca stranieri (6 in media),pubblicato (mediamente 25 tra articoli, libri, curatele, atti di convegni) e realizzato brevetti (2 in media).
Hanno lavorato mediamente 55 ore a settimana, spesso costretti a trascurare proprio ciò per cui sono realmente pagati, ossia la ricerca: l’80% dichiara di fare fatica a fare ricerca proprio perchè spesso impegnato in attività  didattiche e amministrative.
Perchè lavorare gratis e per così tanto tempo?
“È la trappola dei lavori in cui non si timbra il cartellino, in cui continui ad andare avanti un po’ perchè devi un po’ perchè ci tieni”, spiegano Joselle Dagnes e Marianna Filandri, assegniste di ricerca a Torino e promotrici del Coordinamento nazionale.
“Se stai lavorando da mesi, o da anni, a un progetto e finisce il contratto ma devi scrivere o andare a presentare i risultati del tuo lavoro cosa fai? Lasci perdere tutto? Nella realtà  succede che non solo partecipi al convegno internazionale che era programmato, ma ti paghi pure il viaggio…”.
Peraltro la situazione italiana vìola apertamente quanto sancito dalla Carta Europea dei Ricercatori.
La Commissione europea, che eroga i fondi per la ricerca, pretende che gli assegnisti siano inquadrati come lavoratori.
“L’Unione europea pretende che gli assegnisti abbiano un contratto di lavoro, altrimenti non è disposta a finanziare neppure i bandi già  vinti — spiegano le ricercatrici-. Su questo punto c’è un contenzioso tra il Miur e l’Unione europea che se ci vedesse perdenti si trasformerebbe in un disastro. La ricerca in Italia si bloccherebbe del tutto”.
La goccia che ha fatto traboccare il vaso di una situazione già  al collasso, e che ha dato il via alla protesta, è stata la bocciatura, lo scorso 15 dicembre, dell’emendamento alla legge di Stabilità  2016 che chiedeva l’estensione agli assegnisti, ai dottorandi e ai titolari di borse di studio dell’indennità  di disoccupazioneprevista per gli altri lavoratori parasubordinati.
Il ministero del Lavoro ha risposto picche appellandosi alla “natura speciale del rapporto di ricerca” che a suo dire prevederebbe “una forte componente formativa”. Una componente che impedisce di essere contrattualizzati come lavoratori ma, a quanto pare, non crea nessun ostacolo perchè i ricercatori precari, anzichè fare ricerca, continuino ad insegnare e svolgere compiti amministrativi, mantenendo in vita un settore, l’università , cui sono destinate le briciole degli investimenti pubblici.
Meno dell’1 per cento del Pil, quando gli accordi europei (Trattato di Lisbonae Consiglio Europeo di Barcellona) fissano la soglia dei finanziamenti per ricerca e sviluppo a un minimo del 3 per cento.
Se davvero avesse ragione il ministro Giuliano Poletti nel sostenere che la ricerca non è lavoro, bisognerebbe ammettere che l’università  italiana sopravvive grazie al non-lavoro di decine di migliaia di precari.
“Dopo Torino organizzeremo un altro incontro nazionale, prima dell’inizio della primavera”, spiegano gli organizzatori.
“Vogliamo che tutti i soggetti interessati a questo tema si siedano attorno a un tavolo per costruire insieme una Carta della ricerca pubblica”.
Intanto la mobilitazione ha già  ottenutol’endorsement del fisico Giorgio Parisi che con altri 69 scienziati italiani ha promosso sulla rivista Natureuna campagna dal titolo inequivocabile: “Salviamo la Ricerca Italiana”.
Per chiedere che il governo “porti i fondi per la ricerca a un livello superiore a quello della pura sussistenza”. Una petizione sottoscritta già  da 50mila firme.
“Sono assolutamente favorevole a dare tutte le possibili garanzie a chi fa ricerca” ha dichiarato Parisi in un’intervista a il Manifesto “dico di più: bisogna considerare lavoro anche il dottorato. Bisogna raddoppiare questi posti e riconoscere a tutti un vero contratto di lavoro, oltre che i diritti previdenziali”.

(da “il Fatto Quotidiano”)

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ROMA, DESTRA NEL CAOS: TUTTI CONTRO TUTTI

Marzo 1st, 2016 Riccardo Fucile

SALVINI INVOCA LE PRIMARIE DOPO AVERLE FATTE, BERTOLASO RIVENDICA DI ESSERE LUI IL CANDIDATO, STORACE GLI RICORDA CHE E’ INDAGATO, LA PIVETTI SI CANDIDA PER IL VATICANO, BOSSI VUOLE L’INTERVENTO DI SILVIO CHE PERO’ TACE, LA MELONI CHIEDE CHE INTENZIONI HANNO GLI ALTRI, MARCHINI PARLA DA SOLO DI SINTESI

Il centrodestra a Roma le prova tutte per perdere ed evitare il ballottaggio.
Mentre in ogni dichiarazione si invoca l’unità , si conclude un’altra giornata di rissa: Salvini invoca le primarie, Bertolaso rivendica di essere il candidato, Storace gli ricorda i processi, la Pivetti lo declassa e si autocandida, Bossi chiede l’intervento di Berlusconi e quest’ultimo è dato per disperso, la Meloni supplica tutti di farle spaere solo chi diavolo deve sostenere.
Come se non bastasse, dopo che per mesi Forza Italia, Fratelli d’Italia e Lega Nord hanno rifiutato qualsiasi collaborazione con l’outsider Alfio Marchini, il risultato delle mini-primarie patacca del Carroccio dice che sarebbe proprio il costruttore il preferito su una base di molto presunte 15mila persone mentre il candidato ufficiale — Guido Bertolaso — non è nè secondo nè terzo, ma quarto (e con la metà  delle preferenze rispetto a Marchini).
E Fabio Rampelli, dirigente dei Fratelli d’Italia chiosa: “Quella fatta dalla Lega è una buffonata, con persone che hanno votato decine di volte e addirittura con il voto dei cinesi”. E Marchini? “È giusto continuare a cercare la sintesi tra le diverse storie politiche”.
A 3 mesi dalle elezioni, le destre sono nel caos, mentre i Cinquestelle hanno già  deciso con le primarie online che la candidata a guidare il Campidoglio sarà  Virginia Raggi e il Pd si prepara all’appuntamento del 6 marzo quando saranno aperte le urne del partito per scegliere il candidato sindaco tra 6 opzioni: Roberto Giachetti, Roberto Morassut, Stefano Pedica, Gianfranco Mascia, Domenico Rossi e Chiara Ferraro.
Il centrosinistra, che sembrava in crisi dopo la fine della giunta Marino, se la gode.
Sel definisce le primarie di Salvini una “boiata pazzesca“; per Giachetti, dall’altra parte “c’è grossa confusione”.
“L’unica vera consultazione popolare democratica — conclude Morassut — saranno ancora una volta le nostre primarie”.
Intanto proprio oggi una prima pattuglietta di consiglieri ed esponenti di partitini di centrosinistra hanno annunciato il loro sostegno a Marchini. “E’ lui l’unica vera novità ”.

(da “il Fatto Quotidiano”)

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