Marzo 30th, 2016 Riccardo Fucile
E’ TRA I TOP 50 DI FORTUNE, NOMINATO TRA LE PERSONE PIU’ INFLUENTI DEL MONDO
C’è un solo italiano fra i 50 personaggi più influenti al mondo.
Non ha incarichi di governo, nè è a capo di una grande azienda. Si chiama Domenico Lucano, e da tre mandati è sindaco di Riace, paesino calabrese di poco più di duemila abitanti.
Un quarto dei suoi concittadini non sono nati in Calabria: arrivano dall’Afghanistan, dal Senegal, dal Mali, hanno rischiato la vita attraversando il Mediterraneo e a Riace hanno trovato una casa.
Per questo, Lucano si è guadagnato il 40esimo posto nella classifica delle persone più influenti al mondo della rivista Fortune, fianco a fianco con Angela Merkel, papa Francesco e l’ad di Apple, Tim Cook.
In passato, aveva fatto innamorare un regista come Wim Wenders, che a Riace ha dedicato il film Il Volo.
“Qui non ci sono centri d’accoglienza, qui ai migranti diamo una casa vera”, dice orgoglioso Lucano, sindaco della cittadina che neanche i Bronzi – statue di guerrieri del V secolo a. C. ritrovate in mare negli anni ’70 – hanno salvato da povertà e desertificazione.
Lo hanno fatto i profughi: strade e case svuotate dall’emigrazione sono state ripopolate da una comunità multietnica che ha riportato in vita anche gli antichi mestieri.
Hanno riaperto laboratori di ceramica e tessitura, bar, panetterie e persino la scuola elementare.
È stato avviato un programma di raccolta differenziata con due asinelli che si inerpicano nei vicoli del centro, e il Comune ha assunto mediatori culturali “che altrimenti avrebbero dovuto cercare lavoro altrove “.
Un modello che, scrive Fortune, “ha messo contro Lucano la mafia e lo Stato, ma è stato studiato come possibile soluzione alla crisi dei rifugiati in Europa”.
Lei è l’unico italiano in classifica . Si è chiesto perchè?
“Non so neanche chi mi abbia candidato. Forse una studentessa statunitense che ha lavorato su Riace, o una tv che si è occupata di noi. Io l’ho saputo da chi mi chiamava per farmi i complimenti, ma per me non è cambiato niente. Sono solo un sindaco che ci mette l’anima. Nonostante le difficoltà di un territorio condizionato dalle mafie, da problemi economici, dalla disoccupazione e dall’isolamento istituzionale, è un lavoro appassionante”.
Qual era, prima, la vita di Mimmo Lucano?
“Per anni, sono stato un insegnante del laboratorio di chimica. Ora sono in aspettativa, ma non ho mai vissuto di politica nè intendo farlo in futuro. Sono stato anche io un emigrante a Torino, a Roma. Tornare in Calabria è stata la scelta più difficile: come tanti, avrei potuto costruire la mia vita al Nord, ma la voglia di tornare era troppo forte”.
Con quale scopo?
“Da militante del movimento studentesco pensavo di poter partecipare alla costruzione di un mondo migliore. Poi quella via in Italia si è smarrita, ma a me è rimasta la voglia di fare qualcosa di concreto. Provarci non è stato semplice: la prima volta che mi sono candidato, non mi ha votato neanche mio papà . Poi, nel ’98, sulle nostre coste è sbarcato un veliero pieno di richiedenti asilo curdi. E quell’esperienza ha cambiato tutto”.
Cos’è successo?
“Anche con l’appoggio di monsignor Bregantini, allora vescovo di Locri, che invitò ad aprire i conventi per accogliere i migranti, ci venne l’idea di usare le case abbandonate del centro storico per ospitare un popolo in fuga. In paese non erano rimaste più di 400 persone, una comunità che si spegneva giorno dopo giorno. Poi, Riace ha aderito al Programma nazionale asilo ed è diventata luogo di transito di tantissimi migranti. Questo ha dato speranza a chi è arrivato, ma anche a chi ha accolto”.
Questa esperienza è servita da modello in Calabria?
“Quando discutono di immigrazione in Regione neanche mi chiamano. Pensavo che il governatore Mario Oliverio, che come me viene da una tradizione di sinistra, sarebbe stato più aperto al confronto. Nel 2009, l’ex presidente della Regione Loiero fece approvare una legge nota come “Modello Riace”. La presidente della Camera Laura Boldrini è nostra cittadina onoraria. Oggi non riusciamo più a farci ascoltare”.
Si è pentito di essere tornato?
“No, ma non è stato facile. Qui sono solo: mia moglie è a Siena, i miei figli studiano a Roma. Ma quest’esperienza, per quanto non pretenda di risolvere i problemi del Sud, dà un contributo. Dimostra che un altro modo di agire è possibile”.
Alessia Candito
(da “La Repubblica”)
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Marzo 30th, 2016 Riccardo Fucile
ESCONO A DISTANZA DI POCHI MESI LE FATICHE LETTERARIE DEI DUE EX SINDACI DI ROMA… TRA ACCUSE E TRADIMENTI, CHE FATICA LIBERARSI DELLA MALEDIZIONE DEL CAMPIDOGLIO
Mentre la campagna elettorale per il Campidoglio entra nel vivo, arriva il momento della verità per due ex sindaci della Capitale: Ignazio Marino e Gianni Alemanno. Verità affidate a due libri, due racconti della propria esperienza sulla poltrona di primo cittadino, in uscita a distanza di meno di un mese l’uno dell’altro.
Repubblica anticipa alcuni passaggi di “Un marziano a Roma”, il testo di Ignazio Marino in uscita il 31 marzo.
Al centro del racconto, un atto di accusa permanente contro il presidente del Consiglio Matteo Renzi, colpevole di avere orchestrato un golpe nei suoi confronti per rimuoverlo dalla carica.
Il quotidiano riporta un passaggio in cui l’ex sindaco racconta della via d’uscita offerta dal Pd – attraverso il vicesindaco Marco Causi – per uscire di scena.
“Tu lasci Roma, vai a Filadelfia e spegni il cellulare. Così per irreperibilità del sindaco il governo dovrà nominare un commissario e sciogliere consiglio e giunta.
Marino parla anche delle Olimpiadi, definendo la decisione di presentare la candidatura “una fuga solitaria” del premier eseguita senza coinvolgere il Comune.
E a Giovanni Malagò e Luca Cordero di Montezemolo – scrive il quotidiano – “imputa di avere incentrato il dossier olimpico sulla costruzione del Villaggio di Tor Vergata per soddisfare il consorzio di imprese che su quell’aerea vantano diritti di costruzione”.
E proprio ai costruttori Marino rivolge accuse dirette.
A Francesco Gaetano Caltagirone imputa di avere “quasi sempre utilizzato i media che possiede per infangarmi”, “dei fratelli Toti o Sergio Scarpellini, ho sempre avuto l’impressione che detestassero il rischio di impresa”.
E in giornata il sindaco ha parlato anche a Radio Capital, prendendo tempo sulla sua possibile candidatura.
“Credo che in questo momento i partiti non hanno più la dignità per esprimere una candidatura in una città come Roma. Spero in un movimento e una mobilitazione civica che offra l’opportunità ad un candidato di governare la città . Io non ho detto che mi ricandido. La mia candidatura sarà tema di dibattito nelle prossime ore”, ha detto. “Non è detto che poi sarò io – ha aggiunto – In Italia abbiamo superato i 60 milioni di abitanti e sono sicuro che tra loro c’è una donna o un uomo che sono all’altezza della guida di Roma”.
Altre verità quelle che emergono dal libro di Gianni Alemanno, Verità Capitale, anticipato dal Tempo e in uscita il prossimo 28 aprile. Un racconto non privo di ammissioni di colpa:
“Ci siamo lanciati verso obiettivi difficili e impervi con una macchina con le ruote sgonfie e il volante rotto. Non potevamo non romperci l’osso del collo, anzi fin troppo è stato realizzato in queste condizioni”.
Alemanno riconosce “la debolezza e l’impreparazione della mia squadra di governo, che deriva dai miei personali errori di valutazione e dalla fragilità del movimento politico che mi ha portato a governare il Campidoglio”
Il sindaco poi sferra diverse accuse a diversi esponenti del Centrosinistra.
L’ex sindaco richiama l’attuale presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti, allora numero uno della provincia di Roma, soprannominato “er saponetta”, dice per la sua abilità nello schivare problemi e difficoltà .
Fu lui, sostiene Alemanno, a “salvare Luca Odevaine” (uno dei protagonisti dell’inchiesta della Procura di Roma ndr). già vicino all’ex primo cittadino Veltroni, nominandolo capo della Polizia provinciale.
“Con questo non voglio dire che Walter Veltroni e Nicola Zingaretti fossero consapevoli dei traffici di Odevaine, ma non posso non rilevare la profonda differenza di trattamento tra me e loro”
(da “Huffingtonpost”)
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Marzo 30th, 2016 Riccardo Fucile
L’EX SINDACO: “IO CONTRO LE LOBBY, RENZI CI SI SIEDE A TAVOLA”
E’ il giorno di Ignazio Marino. Che ne ha per tutti durante la presentazione del suo libro “Un marziano
a Roma” presso la sede della Stampa estera.
Ha attaccato il Partito democratico: “Se avessi seguito tutti i consigli del Pd forse mi avrebbero messo in cella di isolamento”.
Ma soprattutto il premier Renzi: “Roma bisognava sganciarla dalle lobby, mentre Renzi preferisce sedersi a tavola con le lobby”.
Non è una resa dei conti: “Raccogliere dati, studiarli e archiviarli fa parte dei compiti di un professionista. Il libro è un’analisi per capire il perchè abbiamo tante difficoltà nei trasporti, perchè si è permesso che si costruisse in luoghi senza strade e asili, del come si sia arrivati a un tale debito nel 2008. E perchè tutto questo deve essere fermato – ha detto Marino – Non è una resa dei conti. È un libro che ho iniziato a scrivere a metà mandato in cui spiegavo come mi ero concentrato inizialmente sul risanamento dei conti e nella seconda parte del mandato avremmo di nuovo investito. Purtroppo il governo Renzi, nel momento in cui avevo terminato l’opera di risanamento economico, ha ordinato ai consiglieri del Pd di dimettersi. Il capo del governo ha preferito riallacciare il rapporto con le lobby”.
Le lobby
“Dovevamo sganciare Roma dalle lobby, ma Renzi preferisce sedersi ai tavoli con le lobby. Avevo grandi aspettative nei suoi confronti nel momento in cui lui aveva un ruolo politico nazionale. Pronunciava parole in cui mi riconoscevo, come quelle sulle liberalizzazioni delle aziende che al Comune non servivano o sulle scelte delle persone da fare sulla base dei curricula. Da quella affermazioni siamo passati alle scelte dei direttori Rai e delle reti. Se l’avesse fatto Berlusconi molti giornali si sarebbero ribellati”.
Il “marziano di Roma”
Marino ha dato la sua versione anche sulle gelide parole del Papa dopo le polemiche del viaggio a Filadelfia. “Sia chiaro, Marino non l’ho invitato io”, aveva sillabato ai giornalisti Bergoglio in aereo di rientro dagli Usa, ma anche qui l’ex sindaco ha offerto una sua lettura: “Ho avuto una piacevole conversazione con Papa Francesco durante la quale ho ripercorso in termini severi la mia visione dei fatti. Non va attribuito a lui ciò che va attribuito a Renzi e al Pd anche se alcuni hanno voluto interpretare le sue parole come un via libera contro Marino per potersi liberare di questa figura scomoda. L’incontro si è tenuto a febbraio. Abbiamo stabilito che avrei raccontato gli incontri avuti con lui e che lui avrebbe letto il testo prima della pubblicazione”.
Si ricandida o no?
Non risponde sul suo futuro e sulla sua eventuale ricandidatura alle prossime elezioni di Roma, in programma a giugno. “Non è questa la sede per annunci e io non faccio nessun balletto. Non detto sì nè ho detto no. Non è l’argomento del giorno, ma il lavoro va certamente completato in questa città . Non ci sono unti dal Signore, ma spero ci possano essere candidati di statura molto più elevata di quelli che si sono presentati fino ad ora”.
Ha sbagliato addirittura il nome di Giachetti, il candidato sindaco del centrosinistra, chiamandolo Riccardo invece di Roberto: “Non lo conosco personalmente – si è poi giustificato – mentre Virginia Raggi (M5s) sì”.
Quindi non ha sciolto le riserve sulla sua candidatura, ma ci ha scherzato sopra: “E’ vero che il mio libro si intitola ‘Un marziano a Roma’, ma non sono ancora pronto a trasferirmi su Marte…”.
Sindaco per 28 mesi
Marino ha ripercorso i poco più di due anni del suo mandato, fino allo scandalo degli scontrini che ha provocato il terremoto in Campidoglio e le sue dimissioni. Ma senza spiegare nel dettaglio, non rispondendo nel merito e accusando ancora Renzi: “Ritengo di non aver nulla di più da spiegare di quel che ho fatto. Quando verrò chiamato spiegherò a proposito di questi 12mila euro che mi vengono imputati. Mi piacerebbe che la stessa trasparenza venisse utilizzata dal capo del governo che – lo leggo sui giornali – ha speso in un anno come presidente della provincia di Firenze (che è più piccola nella capitale) 600mila euro in spese di rappresentanza, rapidamente archiviate dalla magistratura contabile”.
Di nuovo attacco frontale a Renzi. “Parigi riceve dal governo nazionale 1 miliardo all’anno per gli extra costi della città … Londra riceve 2 miliardi… Occorrono investimenti sulla Capitale, ma bisogna amarla la Capitale, evidentemente il nostro capo del governo non ama Roma”.
I guastatori in Campidoglio
Marino ha difeso le sue scelte e giustificato alcune mosse: “Per l’ultimo rimpasto di giunta (quello di luglio 2015 con l’estromissione di Sel, ndr) mi sono fidato dei consigli di Matteo Orfini che sosteneva di averne discusso con il capo del governo. Io ho condiviso questa scelta e me ne assumo la responsabilità , non mi aspettavo che alcuni degli assessori nominati fossero arrivati lì con il compito di guastatori”.
E sugli attuali rapporti con il Pd ha osservato: “Io ho la tessera del Pd dell’anno 2015. Quest’anno non l’ho ancora rinnovata, ma l’anno non è ancora terminato. Io mi sento democratico nell’animo, e non rinuncio all’idea che anche nel nostro paese possano esistere finalmente due forze, conservatori e riformisti. Il partito che io ho fondato è diverso dal partito che c’era, che aleggiava in questa città nei mesi di ottobre e novembre, un partito dove tutti i circoli sono stati chiusi dove c’è un commissario, dove i consiglieri comunali hanno ricevuto l’ordine di dimettersi senza venire in aula a confrontarsi con il loro sindaco. Il Pd non esiste”.
Non solo. Per l’ex sindaco “in questo momento noi abbiamo non un governo di centrosinistra ma di centrodestra, con Alfano e Lorenzin di Ncd, e al Senato l’appoggio di Verdini. E il fatto che per due anni e mezzo Roma abbia ricevuto meno della metà del denaro dato a Milano per il trasporto pubblico, è indice che non c’è stata una piena collaborazione dal governo nazionale e da quello regionale”.
Questione Mafia Capitale.
“Quando iniziò la vicenda nel dicembre 2014 ed era evidente che nè io nè la mia Giunta avevamo nulla a che fare con quel mondo, l’allora vicesindaco Luigi Nieri mi disse ‘perchè non ti dimetti adesso, verrai rieletto a furor di popolo nella primavera 2015′. Io ho ragionato come avrei fatto in sala operatoria: ero vicinissimo a chiudere per la prima volta il bilancio preventivo del 2015 entro il 2014 e dovevo buttare la città in una campagna elettorale solo perchè io ne avrei avuto un grande vantaggio? Ho scelto di chiudere il bilancio 2015 entro il dicembre 2014”.
Ha parlato poi del suo successore, il commissario starordinario Francesco Paolo Tronca: “E’ stato indicato monocraticamente da un capo del governo non eletto dal popolo. Non posso giudicarlo, le azioni del prefetto sono riconducibili al governo, è semplicemente un esecutore”.
Valeria Forgnone
(da “La Repubblica”)
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Marzo 30th, 2016 Riccardo Fucile
L’AMBASCIATORE ITALIANO: “GIRONE DEVE POTER TORNARE IN ITALIA IN ATTESA DELLE DECISIONI DEL TRIBUNALE INTERNAZIONALE”
Altri quattro lunghissimi e durissimi anni in India.
Questo rischia il marò Salvatore Girone secondo l’ambasciatore Francesco Azzarello, agente del governo italiano, che nell’udienza al Tribunale arbitrale che si è aperta stamani all’Aja ha spiegato che il procedimento arbitrale sul caso “potrebbe durare almeno tre o quattro anni” e Salvatore rischia di rimanere “detenuto a Delhi, senza alcun capo d’accusa per un totale di sette-otto anni”, determinando una “grave violazione dei suoi diritti umani”.
Azzarello sostiene che il Fuciliere “deve essere autorizzato a tornare a casa fino alla decisione finale” dell’arbitrato
Il suo caso sarà oggi all’esame del tribunale arbitrale dell’Aja e sempre oggi la vicenda dei due militari italiani arrestati in India sarà al centro delle discussioni tra i vertici dell’Unione Europea e il premier Narendra Modi in visita a Bruxelles
L’udienza dell’Aja è stata aperta dal presidente del Tribunale arbitrale e nel pomeriggio toccherà alla parte indiana.
La sentenza è attesa tra circa 4 settimane.
“L’unica ragione per cui il sergente Girone non è autorizzato a lasciare l’India è perchè rappresenta una garanzia che l’Italia lo farà tornare a Delhi per un eventuale futuro processo. Ma un essere umano non può essere usato come garanzia per la condotta di uno Stato” ha detto ancora l’ambasciatore.
“L’Italia ha già preso, e intende ribadirlo nel modo più solenne, l’impegno di rispettare qualsiasi decisione di questo Tribunale”, compresa quella di “riportare Girone in India” nel caso in cui l’arbitrato dovesse riconoscere alla fine del procedimento la giurisdizione indiana.
(da “Huffingtonpost”)
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Marzo 29th, 2016 Riccardo Fucile
PD 31,4% (-0,2%) M5S 27,9% (+ 0,7%), LEGA 13,3% (-0,5%) FORZA ITALIA 12,8% (+ 0,1%), FDI 4,4% (-0,1%), SINISTRA ITALIANA 4,3% (-0.1%) NCD 3% (+0,2%)
Dopo una pausa di 15 giorni, tornano le intenzioni di voto di Tg La7: i sondaggi elettorali a cura di
EMG.
Chi sale di più è il M5S che arriva al 27,9% (+0,7%) mentre cala il PD AL 31,4% (-0,2).
A destra la rottura tra Forza Italia e Lega – Fdi premia Berlusconi che sale al 12,8% (+0,1%).
Crolla ancora pesantemente la Lega al 13,3% (-0,5%) e cala anche Fdi al 4,4% (-0,1%).
Segno evidente che gli elettori non hanno gradito il tradimento romano e politica sempre più estremista del duo Salvini-Meloni.
Tra l’altro a breve Salvini corre pure il rischio di venire sorpassato da Forza Italia che insegue ad appena uno 0,5% di differenza.
Al centro recupera lo 0,2% Ncd, attestandosi al 3%, mentre non convince Sinistra Italiana al 4,3%, in calo dello 0,1%.
In caso di ballottaggio il M5S batterebbe sia il Pd (51,9% a 48,1%) che il centrodestra unito (53,7% a 46,3%), mentre il Pd avrebbe la meglio sul centrodestra unito 52,3% a 47,7%.
A dimostrazione che questo centrodestra a trazione xenofoba potrebbe vincere solo la coppa del nonno.
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Marzo 29th, 2016 Riccardo Fucile
ISOLATO TOTI, ORMAI AL SERVIZIO DI SALVINI PUR DI MANTENERE LA POLTRONA IN LIGURIA COI SUOI COMPAGNI DI MERENDA PADAGNI A PROCESSO PER PECULATO
Lo cambierà , probabilmente, ma non lo vorrebbe cambiare.
Da Forza Italia, il pressing su Silvio Berlusconi è incessante: “Presidente, scelga Alfio Marchini o Giorgia Meloni. Guido Bertolaso non funziona”.
Lui, l’ex premier, cerca ancora di resistere sulla candidatura dell’ex capo della protezione civile a sindaco di Roma ma si dà un orizzonte limitato per quanto riguarda la parola definitiva: “I sondaggi ancora non lo premiano, ma diamogli altri dieci giorni di tempo o anche due settimane per crescere”.
I forzisti che lo chiamano ad Arcore chiedono uno sconto: “Presidente, la campagna elettorale è già nel vivo. Decidiamo in una settimana”.
Berlusconi aspetta i report che dovrebbero arrivare sulla sua scrivania tra un paio di giorni e prende tempo.
I due personaggi molto attivi in questa partita sono Giovanni Toti e Antonio Tajani. Il primo è schierato con Meloni, il secondo propende per Alfio Marchini. Anche gli ex di Alleanza nazionale sono orientati verso Marchini, che viene da una famiglia comunista, ma pur di non appoggiare Meloni la quale appartiene al loro album di famiglia e che secondo loro ha fatto una giravolta, sarebbero disposti a qualsiasi candidato.
Tutti sono uniti su un punto: Berlusconi deve scegliere.
Per il resto, Bertolaso chiede a Marchini di fare un passo indietro e di lavorare con lui.
E Marchini, che non ci pensa proprio a rinunciare alla sua opzione civica in favore di qualsiasi altro candidato, sta alla finestra ad aspettare che il groviglio del centrodestra si risolva in suo favore.
E intanto continua la propria campagna elettorale. Marchini e Bertolaso si annusano.
Il candidato civico, ufficialmente, non apre le porte al candidato azzurro e non apre neanche alla possibilità di un ticket. Il suo slogan rimane: “Lontani dai partiti”.
Nessuno dei due alza i toni contro l’altro. Bertolaso dice che Marchini, insieme a lui, è l’unico a parlare dei problemi della città , per questo “possono esserci sinergie”. L’entourage di Marchini a sua volta, così riporta il Corriere della Sera, parla di Bertolaso come “un fuoriclasse assoluto. Uno così potrebbe fare qualcosa per la città “.
L’ipotesi di un ticket però viene smentita da entrambe le parte, almeno per ora, così come il passo indietro da parte di uno dei due ma, allo scadere del tempo che Berlusconi si è dato, si vedrà .
Da Arcore però Berlusconi manda un consiglio a Bertolaso, che è quello di andare avanti per la sua strada, ma di fare una vera e propria full immersion tra la gente in queste due settimane.
“Solo così possiamo capire quanta presa avrà sui cittadini”, avrebbe detto Berlusconi, rinviando a un secondo momento il giudizio sulla candidatura.
Solo dopo il ‘test popolare’, raccontano, quindi a metà aprile, dovrebbe essere commissionato un ultimo sondaggio sul ‘gradimento’ dell’ex capo della Protezione civile e sulla sua competitività rispetto ai ‘favoriti’ Giachetti-Raggi.
(da “Huffingtonpost”)
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Marzo 29th, 2016 Riccardo Fucile
CHIESTA L’AUTORIZZAZIONE AL MINISTRO ORLANDO… RISCHIA UNA MULTA RIDICOLA, DA 1000 A 5000 EURO
Matteo Salvini rischia di essere processato per vilipendio dell’ordine giudiziario. 
La procura di Torino ha chiesto infatti al ministro della Giustizia, Andrea Orlando, l’autorizzazione a procedere contro il segretario della Lega per aver definito, il 14 febbraio scorso, “una schifezza” la magistratura italiana.
Ad avanzare la richiesta è stato il procuratore capo Armando Spataro che dopo le affermazioni di Salvini al congresso del Carroccio piemontese a Collegno, aveva disposto l’avvio degli accertamenti per la sussistenza del reato.
Ora che gli accertamenti sono conclusi a Spataro non resta che il via libera di Orlando per procedere: secondo il codice penale infatti, visto la tipologia di reato, al procuratore della Repubblica di Torino serve l’autorizzazione del ministero per procedere.
Secondo l’articolo 290 c.p Salvini rischia una multa che va dai 1.000 ai 5.000 euro.
(da agenzie)
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Marzo 29th, 2016 Riccardo Fucile
L’IMMAGINE DIVENTA PROVA DELLE BUGIE E DELLA CRUDELTA’ DEL REGIME: GRAZIE ALLA RETE AVREBBE UNA FORZA DEVASTANTE
Non è la prima volta che una madre piegata sul corpo del figlio si erge contro la morte, il dolore, l’ingiustizia.
Dalle Madri di Plaza de Mayo in Argentina, alle madri degli studenti massacrati dal cartello della droga in Messico, fino a, più vicino a noi, alle madri di Ilaria Alpi e di Stefano Cucchi.
Ma è forse la prima volta che il legame tra una madre e un figlio si inserisce nel luogo dove può cambiare se non la storia almeno la relazione fra due paesi.
A occhi asciutti durante una conferenza stampa affollatissima la madre di Giulio Regeni ha agitato la sua leva contro un intero sistema, un governo, un Generale che guida una grande potenza , cui si inchinano, per bisogno e interesse, tutti i paesi occidentali.
Una leva piccola, come tutte le leve: la foto del volto del figlio. Quel volto descritto da lei, sempre a occhi asciutti, “gli avevano fatto così tanto che era diventato piccolo, piccolo, piccolo. Io e il padre lo abbiamo riconosciuto solo dalla punta del naso”. Quella immagine che è la prova delle bugie, della crudeltà , la madre Regeni sa quanta forza contiene, “non obbligatemi a pubblicarla”, dice appunto al Generale.
Con questo gesto, la famiglia Regeni ha fatto qualcosa di nuovo.
Invece di limitarsi alla usuale speranza, al solito appello alla verità , ha sfidato le autorità di un altro paese: “Su mio figlio si è scaricato tanto male, tutto il male del mondo”, ha detto, a sottolineare la grandezza della partita.
“Non possiamo dire, come ha detto il governo egiziano, che è un caso isolato… Non questo. Giulio, cittadino italiano, è un cittadino del mondo. Quello che è successo a Giulio non è un caso isolato rispetto ad altri egiziani, e non solo. Per questo continuerò a dire per sempre verità per Giulio”, ha detto la madre.
Un discorso di attacco, senza una piega di autocommiserazione, alla luce di una analisi spietata: “E’ dal nazismo che non viviamo una morte sotto tortura”.
A parte l’emozione (nostra) e la forza (di questa famiglia), questa sfida fra una madre e un generale è anche un suggerimento a tutti noi per capire i tempi in cui viviamo, le condizioni nuove che rendono possibile l’impatto di una sola vittima, di una sola madre su un universo così più grande.
La storia della morte di Giulio non sarebbe oggi quel simbolo che è in un mondo senza la Rete, cioè senza la comunicazione vasta, immediata, semplice , emozionata, della comunicazione globale.
Figlio di un mondo senza confini, come l’ha descritto la madre, Regeni è andato a lavorare in Egitto, un paese dove proprio la Rete ha avviato il maggiore e più turbolento processo di rivolta contro le dittature arabe, e sulla Rete, simbolica nemesi, è poi corsa la resistenza ad ogni silenzio sul suo omicidio, la ricerca di testimonianze, la verifica fatto su fatto di ogni versione ufficiale.
È il “magico” del web questo unificare e riscattare ciascuno dalla massa amorfa, per dare a ciascuno dignità di cittadino, di persona, di voce udibile da tutti, e, nel nostro caso, voce di una madre portata su una platea globale.
Tanti, tantissimi uomini e donne, che nella Primavera di Piazza Tahir hanno creduto hanno trovato la loro voce sulla Rete e hanno perso quella voce oggi nelle galere o nei cimiteri egiziani, persi in una lotta religiosa e politica che non hanno mai voluto accettare come tale.
L’Egitto oggi è dove è, non solo perchè al Sisi ha riportato in voga (sono sempre stati usati) i metodi forti dei regimi militari di quel paese, ma anche perchè dall’altra parte vive la intolleranza e la violenza dell’islamismo del movimento dei Fratelli Musulmani che nei brevi mesi del loro governo hanno ampiamente dimostrato la loro volontà di schiacciare ogni voglia e ogni desiderio di un nuovo Egitto.
Per questa umanità presa in mezzo, schiacciata in uno scontro immenso fra forze nemiche, quale quello che viviamo, la Rete, pur con tutti i suoi lati oscuri e manipolatori, rimane l’unico filo da cui dipanare un pò di verità e di giustizia per chi non ne ha.
L’unico strumento che in questi turbolentissimi ultimi anni è stato l’onda su cui ha navigato fin a noi il terrorismo, ma è anche il filo su cui sono state comunicati al resto del mondo la resistenza a Raqqa, il dramma della fuga di milioni di migranti, la mobilitazione delle città europee contro le esplosioni.
Nel piccolissimo, è anche oggi l’onda su cui si muove la ribellione di una singola madre alla morte di un figlio .
Nelle mani della signora Regeni c’è quella leva, una foto, che sulla Rete può valere quanto uno scontro fra Stati.
E che fa oggi della famiglia Regeni, in attesa di “un segnale forte, ma molto forte da parte del nostro governo”, lo strumento più efficace che ha il nostro paese per riflettere sulle, e cambiare, le sue relazioni con un (ex?) grande alleato.
Lucia Annunziata
(da “Huffingtonpost”)
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Marzo 29th, 2016 Riccardo Fucile
“VOTERO’ SI’ AL REFERENDUM SUL SENATO”
L’ atelier di Renzo Piano è a un passo dal Beaubourg, l’opera che quarant’anni fa lo impose al mondo.
Cento ragazzi da 18 Paesi diversi lavorano a un ospedale in Uganda, alla biblioteca di Atene, al museo archeologico di Beirut, al campus della Columbia a Harlem, a un centro culturale alla periferia di Mumbai.
Qui si pensano le nuove città contro la barbarie.
È vuoto il tavolo di Raphael, tedesco ucciso al Petit Cambodge il 13 novembre scorso: era con altri otto colleghi, Emilie si è presa una pallottola nella spalla; nessuno è scappato, tutti si sono aiutati l’un l’altro.
Un altro giovane di studio, americano, era al Bataclan, è sopravvissuto.
Renzo Piano sulla scrivania tiene le bozze del libro in uscita per il Corriere. In tre ore di conversazione, Piano ricostruisce il suo percorso e racconta i suoi progetti per questo tempo terribile e grandioso che ci è dato in sorte.
Il giovane Renzo
«A scuola ero un asino. Non che mi passasse in testa chissà che cosa; un asino autentico. Non sapevo studiare. In compenso suonavo la tromba. Gino Paoli è un mio amico d’infanzia: io ero lupetto, lui nei giovani esploratori. Siamo “figli di un temporale”, come diceva un altro di noi, Fabrizio De Andrè: venuti fuori dalla guerra, cresciuti con la convinzione che ogni giorno ci allontanava da quella tragedia, che tutto – le strade, il cibo, il sorriso della mamma – sarebbe migliorato con il tempo. Per questo, a 78 anni, credo ancora all’idea folle per cui il tempo che passa migliora le cose: lasci perdere quel che non va, prendi quel che va. C’è una cosa che non condivido con il mio amico Beppe Grillo: la paura del futuro, che è l’unico posto dove possiamo andare».
Il Beaubourg
«Il modo più feroce, più esplicito di ribellarsi all’idea del centro culturale come mausoleo intimidente era fare una fabbrica. Una macchina come quelle pensate da Jules Verne. Ma anche un villaggio medievale in verticale, con le piazze sovrapposte. Una macchina urbana, aperta, trasparente, flessibile: tutto quello che ingombra l’abbiamo portato fuori, comprese le scale mobili, che svelano Parigi poco a poco. Il Beaubourg ogni sabato ha 30 mila abitanti, in 40 anni l’hanno visitato 250 milioni di persone. Al concorso partecipammo in 681. Il Sessantotto era finito da poco, Rogers e io vivevamo a Londra. Non pensammo di vincere per un solo attimo».
L’importanza della musica
A fargli notare che le opere successive sono molto diverse dal Beaubourg, Piano risponde di badare alla coerenza, non allo stile: «L’importante è svicolare dall’accademia, ribellarsi alle tendenze, andare alla fonte delle cose. Respirare la realtà , farla cantare. Il cinema neorealista è stato molto importante per me. Come lo è stata la musica. Con il tempo da trombettista sono diventato liutaio: l’auditorium di Roma è una cassa armonica. A Parigi collaborai con Pierre Boulez, che mi fece incontrare John Cage, Karlheinz Stockhausen e due artisti che sarebbero diventati amici della vita: Luciano Berio e Luigi Nono. Come gli architetti, i musicisti lavorano sulla materia, che per loro è il suono; per Boulez, il rumore. La vibrazione della corda per gli archi, l’aria per i fiati. Una solida base d’ordine cui ti diverti a disobbedire. Come in architettura, appunto».
I grattacieli
«Non ho mai fatto grattacieli arroganti, ma macchine urbane». Lo Shard di Londra è la torre più alta d’Europa. «Non mi interessa. Presto sarà superata. Ma è una torre che non finisce, le schegge di vetro si perdono nel cielo, esprimono uno slancio, un’aspirazione, al centro di un quartiere risorto. Nel cantiere avevamo operai di 70 nazionalità diverse. A Osaka avevamo 5 mila lavoratori: tutti giapponesi. Un cantiere è un’avventura dello spirito e anche fisica: in Nuova Caledonia abbiamo avuto quattro uragani con vento a 220 chilometri; in Giappone in 36 mesi contammo 35 terremoti. Sul cantiere del Beaubourg venivano Umberto Eco, Michelangelo Antonioni, Marco Ferreri, Roberto Rossellini, Italo Calvino, che dava suggerimenti su come pulire le pareti di vetro. Venne il signor Honda e disse: “Mi piace, sembra una motocicletta”. Sul cantiere di Postdamer Platz a Berlino ho conosciuto Mario Vargas Llosa. Anche lì c’erano 5 mila operai, tra cui cento palombari ucraini, per piantare le fondamenta sott’acqua. Trovarono sei bombe della seconda guerra mondiale, inesplose: “Sono russe, quindi non esplodono” dissero con un sorriso. Ora qui nella banlieue di Parigi stiamo costruendo il Palazzo di Giustizia: trasparente, come la verità ; deve ispirare fiducia, non mettere soggezione». Come trova i nuovi grattacieli di Milano? «Sono un segno di vitalità , che è sempre una buona cosa. Ma la mia Milano è quella delle periferie. Quando studiavo al Politecnico abitavo a Lambrate, andavo a sentire il jazz in un locale in fondo ai Navigli, che si chiamava non a caso Capolinea».
La scommessa delle periferie
«Le periferie sono sempre associate ad aggettivi negativi. Sono considerate desolanti, alienanti, degradate, brutte. Proviamo invece a guardarle con occhio positivo, a cercare quel che c’è di sano. Le periferie sono ricchissime di una bellezza umana e spesso anche di una bellezza fisica, che è nascosta, che emerge qua e là . Come scrive Italo Calvino nella postfazione delle Città invisibili, anche le più drammatiche e le più infelici tra le città hanno sempre qualcosa di buono. Questo approccio alla periferia è come andare a caccia di perle, di scintille. Viene da lontano, dal mio essere genovese, uno che non butta via niente: Braudel l’aveva capito, Genova stretta tra il mare e la montagna è stata educata a non sprecare nulla. Così, quando Napolitano mi fece senatore a vita, mi è venuto naturale pensare che il mio impegno politico sarebbe stato far lavorare giovani architetti nelle periferie italiane. Quest’estate porteremo i progetti alla Biennale dell’architettura»
Il Giambellino
I progetti sono a Torino, Catania, Roma e Milano. Si tratta di «dare forza e ossigeno a mille cose che già c’erano». Basta casette a perdita d’occhio: «L’idea della città che cresce diluendosi si è rivelata insostenibile. Come porti i bambini a scuola, come organizzi il trasporto pubblico, come medichi la solitudine? Le città sono luoghi di incontro, di scambio, in cui si sta insieme, si costruisce la tolleranza, l’idea che le diversità non sono per forza un problema, sono una ricchezza. La città ora cresce per implosione, riempiendo i buchi neri. Al Giambellino vivono 6 mila persone, 18 etnie. C’è la signora che d’estate invita la gente a scendere in cortile con la sedia e fa il cinema. L’elettricista egiziano che aggiusta gratis i citofoni rotti dai vandali. Abbiamo abbattuto il muro tra il parco e il mercato. Lavoriamo con la gente del quartiere per costruire una biblioteca. Servono tanti cantieri piccoli, microinvestimenti, microimprese: lavoro per le nuove generazioni. Dobbiamo fertilizzare le periferie con edifici civici. Non solo musei; librerie, ospedali, palazzi pubblici, stazioni della metropolitana, posti dove la gente si ritrova. Allo scorso esame di maturità uno dei temi era il rammendo delle periferie: sono stati scritti 60 mila compiti; tutti ragazzi nati in periferia».
Il ruolo della politica
«Sono lungi dal disprezzare la politica. In Senato ho provato ad andarci, ci andrò ancora, ma sono più utile nel mio ufficio a Palazzo Giustiniani. Comunque, ogni volta che metto piede nell’Aula sono davvero onorato, fiero. È una grande istituzione. Al referendum di ottobre sulla riforma costituzionale voterò sì. Se il Senato diventa più piccolo, meno ridondante, se costa meno, è cosa buona. Non vorrei perdesse il suo ruolo di guida morale del Paese: l’abbiamo inventato noi italiani, l’abbiamo esportato ovunque. Deve rimanere il luogo in cui si discutono i grandi temi della società ».
«L’architetto è un mestiere politico. La ricerca estetizzante della bellezza, quando è fine a se stessa, è inutile. Ma Sengor, con cui lavorai in Senegal, mi ha insegnato che il bello, quando è autentico, non è mai disgiunto dal buono. È l’idea dei greci: kalos kagathos , bello e buono. È un’idea che ho ritrovato in Libano. È il principio della civiltà mediterranea, oggi messa così a dura prova». Farebbe il Ponte sullo Stretto? «Un vero costruttore è sempre favorevole a gettare ponti, è sempre contrario ad alzare muri». E qual è il costruttore della storia che ammira di più? «Brunelleschi. Il primo a curvare la cupola, dopo secoli che l’uomo non ne era più capace; e dimostra che è possibile costruendo un modellino di legno. Da giovane faceva l’orologiaio: un artigiano diventato artista. Il percorso contrario è molto più difficile. Fondere arte e tecnica: qui è la grandezza».
Aldo Cazzullo
(da “il Corriere della Sera”)
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