Giugno 1st, 2016 Riccardo Fucile
SUPERSCONTO SUI CREDITI CEDUTI, CON L’OK DI BANKITALIA
Il conto alla rovescia era già partito, Banca Etruria stava sprofondando e le obbligazioni diventavano
carta straccia per migliaia di risparmiatori.
Poco prima del crac, il Credito Fondiario spa concludeva con l’istituto toscano l’affare del decennio, comprando oltre 300 milioni di euro di crediti al prezzo di “saldo” di 49 milioni.
Con tanto di autorizzazione della Banca d’Italia.
È su questa operazione che si sta concentrando l’attenzione del pool di magistrati guidati da Roberto Rossi che hanno disposto accertamenti per ricostruirne i passaggi. La storia dell’affare di Fonspa è riassunta nella relazione finale del commissario liquidatore Giuseppe Santoni, inserita negli atti dell’indagine per bancarotta fraudolenta. Lo scrive oggi la Repubblica:
Torniamo dunque al novembre di un anno fa. Al comando della vecchia Etruria ci sono da qualche mese i due commissari inviati da Palazzo Koch, Sora e Pironti, i quali stanno toccando con mano il disastro dei conti già segnalato nelle relazioni ispettive di Bankitalia.
Il portafoglio dei crediti in sofferenza (cioè difficili da recuperare) ammonta a 1,9 miliardi, e per qualcuno sono una torta da mordere prima che la procedura di fallimento – a quel punto assai probabile – congeli il patrimonio.
Si è fatto avanti il fondo Algebris di Davide Serra, l’imprenditore vicino al premier Matteo Renzi, ma non si è concluso niente.
Sul tavolo c’è anche offerta del Credito Fondiario, che secondo alcune fonti finanziarie era stata presentata ai vecchi manager quando l’Etruria non era in amministrazione controllata.
Fonspa è un salotto esclusivo. È controllato dalla Tages Holding di Panfilo Tarantelli, manager del colosso finanziario americano Citigroup.
Ai vertici del gruppo ci sono, o sono passati, Piero Gnudi (ex presidente Enel, ora commissario dell’Ilva), l’ex Bce Lorenzo Bini Smaghi e Jean Baptiste de Franssu, presidente dello Ior. Tra i soci, Alessandro Benetton, la famiglia De Agostini e Umberto Quadrino, ex Fiat e ora presidente di Edison.
“Il 16 novembre – scrive Santoni – la banca perfezionava la cessione di un portafoglio di crediti a Sallustio srl, società veicolo di Credito Fondiario: 1.860 posizioni cedute per un valore di 302 milioni, riferiti per due terzi a esposizioni chirografarie (cioè senza nessuna garanzia reale o personale, ndr) e un terzo a esposizioni con garanzia ipotecaria. Il corrispettivo è di 49,2 milioni”.
Un sesto del valore. Con quale criterio sono stati scelti i crediti?
Difficile pensare che Fonspa abbia acquistato quelli impossibili da recuperare, e comunque Santoni non lo specifica. L’operazione si conclude con un tempismo perfetto: sei giorni prima del decreto Salva-Banche.
“Era condizionata – sottolinea però Santoni – all’ottenimento della autorizzazione della Banca d’Italia”. Anche quella arriva in extremis, pochi giorni prima della sentenza di fallimento dell’11 febbraio 2016.
(da “Huffingtonpost”)
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Giugno 1st, 2016 Riccardo Fucile
RECORD A BATTIPAGLIA: SETTE CANDIDATI HANNO GUAI LEGALI PER STUPEFACENTI, RICICLAGGIO E VIOLENZA PRIVATA
Detenzione di armi, detenzione di droga ai fini di spaccio, tentata estorsione, rapina, bancarotta fraudolenta, riciclaggio, sfruttamento della prostituzione, lesioni, abuso d’ufficio.
Sembra l’elenco dei capi d’accusa di Tuco, il Brutto del film di Sergio Leone, e invece sono i reati per i quali sono stati condannati o sono a processo alcuni dei candidati alle Comunali del 5 giugno analizzati dalla commissione Antimafia.
Un pezzo di “società civile” che si propone di farsi classe dirigente e in molti casi la mafia la sente vicina, tanto vicina da farci Natale insieme in qualche caso: nella relazione della commissione parlamentare c’è una sfilza di parentele di candidati a sindaco o ai consigli comunali con uomini tutti d’un pezzo che vantano curriculum di tutto rispetto dentro le cosche.
E pensare che l’Antimafia ha analizzato solo i Comuni che hanno avuto procedure di scioglimento o inchieste in cui è entrata la criminalità organizzata
I 14 che per vari motivi sono stati definiti impresentabili fanno parte di liste civiche. Chiamale civiche: Rosy Bindi, presidente della commissione, spiega che sono proprio le liste slegate dai partiti a rischiare da fare da traghetto nelle istituzioni.
Una si chiama Legalità e libertà e a San Sostene, 1300 abitanti, in provincia di Catanzaro, candida a sindaco Domenico Fera.
In lista per il consiglio comunale presenta Alessandro Codispoti che — spiega la relazione della commissione Antimafia — è sotto processo per droga e in appello è stato condannato a 4 anni, con l’interdizione ai pubblici uffici per 5 anni. Ma potrà essere eletto.
Toccherà all’assemblea cittadina dovrà subito passare alla procedura per la decadenza. La lista Per la tua città , a Scalea, in provincia di Cosenza punta anche su Carmelo Bagnato, che ha una condanna diventata definitiva a 2 anni per bancarotta fraudolenta.
Un piccolo record ce l’ha Battipaglia, provincia di Salerno, dove le liste civiche sono 18 su 22 e dove i candidati definiti impresentabili sono 7.
Alcuni sono incandidabili, alcuni dovranno essere sospesi.
Carmine Fasano rappresenta Azione Civica-Tozza sindaco: ha patteggiato un anno di reclusione per cessione illecita di stupefacenti.
Daniela Minniti, candidata per Battipaglia Popolare, è stata condannata a 2 anni per bancarotta fraudolenta.
Con lo stesso reato Lucio Carrara (che corre con Battipaglia con cuore-Motta sindaco) ha qualche problema: prima una condanna, poi un patteggiamento, pena finale 2 anni. Francesco Procida, che sostiene sempre l’aspirante sindaco Motta con la lista Speranza per Battipaglia, porta in dote la pena di 2 anni e 9 mesi per riciclaggio. Bartolomeo D’Apuzzo è uno dei portabandiera di Battipaglia a testa alta e forse anche mani in alto: nella relazione della commissione Antimafia risulta che ha patteggiato per rapina e è stato condannato definitivamente per cessione di stupefacenti a un anno e 2 mesi.
Demetrio Landi, invece, è uno dei Moderati per Battipaglia e i fatti lo dimostrano: è stato condannato per cessione di droga, violazione di domicilio, lesioni dolose, tentata violenza privata.
Fin qui gli incandidabili.
Poi c’è Giuseppe Del Percio, della lista Battipaglia-La città che verrà , che è stato condannato in primo grado per violazione delle norme sulla droga a 10 mesi e ora ha fatto appello: in ogni caso, se eletto, dovrà essere sospeso per la legge Severino. Incredibile, ma non finisce qui.
C’è per esempio un pubblico ufficiale, non meglio precisato, che in primo grado era stato condannato in primo grado per abuso d’ufficio e rivelazione di segreto d’ufficio: la sentenza è stata confermata dalla Cassazione, ma il reato è prescritto.
Ma c’entra anche Roma, che d’altra parte si ritrova a votare un nuovo sindaco anche per gli scossoni di Mafia Capitale.
Qui l’unico impresentabile che vuole sedere in consiglio comunale — Mattia Marchetti — si candida con una lista folkloristica, più che civica.
Si chiama Lega Centro con Giovanni Salvini, con chiari intenti di confondere l’elettore.
Una linea politica chiara visto che la Lega di Salvini, che nel simbolo ha anche una ruspa, si presenta con Viva l’Italia di Tiziana Meloni e Grillo Parlante e Movimento per l’Italia.
Marchetti, il candidato, non è in linea con i criteri del Codice di autoregolamentazione votato all’unanimità da tutti i partiti in commissione Antimafia: è infatti a processo per tentata estorsione, il processo inizierà a novembre.
Poi ci sono gli impresentabili tra i candidati del VI municipio della Capitale. Antonio Carone, candidato con la finta Meloni (Tiziana, di cui sopra), ha collezionato finora 8 condanne definitive, riporta la relazione dei commissari antimafia.
Una di queste è per ricettazione (2 anni e mezzo la pena) e per questo Carone è incandidabile.
La pena complessiva da scontare — e poi espiata — è stata di 6 anni, 10 mesi e 20 giorni.
Domenico Schioppa, candidato con Iorio sindaco (Movimento Sociale Italiano), è stato invece arrestato in flagranza e poi condannato in primo grado, in abbreviato, a 2 anni e 4 mesi. Il reato è detenzione di armi.
L’appello inizierà a ottobre 2017 ma nel frattempo, se eletto, dovrebbe essere sospeso dalla carica.
Antonio Giugliano e Fernando Vendetti sono candidati per la lista Storace-Marchini sindaco.
Al primo è stata inflitta una pena di due anni e mezzo per diversi reati (tra cui tentata estorsione), per il secondo sempre in primo grado i giudici hanno pronunciato una condanna a un anno e mezzo, sempre per tentata estorsione.
Entrambi hanno fatto ricorso in appello, Storace dice di aver chiesto e ottenuto il “ritiro della candidatura”
A Roma c’è anche un candidato a sindaco che non ha violato la legge Severino, ma il codice penale sì: fu arrestato per furto in flagranza di reato nel dicembre 2013.
Si tratta di Simone Di Stefano, vicepresidente di Casapound, che il 14 dicembre di 3 anni fa si portò via la bandiera dell’Unione europea nel corso di un blitz nella sede dell’Ue a Roma. Di Stefano fu poi condannato a 3 mesi.
“È stato un gesto politico e continuo ad esporlo come se fosse una medaglia appuntata sul petto — ha detto il dirigente neofascista — Un arresto e una condanna per furto di una bandiera, quella europea, che per me ha il valore di uno straccio”.
Non è impresentabile perchè il furto non tra i reati del codice di autoregolamentazione dei partiti, mentre la legge Severino interviene solo in caso di condanne superiori a due anni.
Al nord sembra andare un po’ meglio, anche nei Comuni sui quali si è allungata l’ombra dell’infiltrazione mafiosa.
A Finale Emilia, una delle amministrazioni toccate dall’inchiesta Aemilia, non ci sono nè incandidabili nè ineleggibili.
A Diano Marina, in provincia di Imperia, che la Bindi ha definito la settima provincia calabrese, bisogna andare con più cautela.
“Alcuni candidati appartenenti a più liste differenti” hanno “frequentazioni con soggetti gravati da precedenti penali e di polizia, nonchè più specificatamente con personaggi riconducibili a storiche famiglie di ‘ndrangheta, come le famiglie Papalia e De Marte, in quest’ultimo caso anche con vincoli parentali”.
Quest’ultimo passaggio è dedicato a quasi tutti i Comuni di Calabria e Campania analizzati dalla commissione Antimafia.
Il caso più noto e sul quale i parlamentari si spendono più a lungo è quello di Platì, in provincia di Reggio Calabria: qui tra gli altri si candida a sindaco Rosario Sergi che — scrivono i commissari — ha “rapporti di affinità ” con due frange di una stessa cosca, la Barbaro.
Tra gli “affini” anche il capostipite Francesco Barbaro, Cicciu u Castanu, quasi 90 anni, condannato tra le altre cose, per l’omicidio del comandante della stazione dei carabinieri di Platì. A Joppolo (Vibo Valentia) è andata meglio: l’ex sindaco Giuseppe Dato si vuole ricandidare, ma era finito ai domiciliari. Per fortuna gli hanno dato l’obbligo di dimora.
Diego Pretini
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Giugno 1st, 2016 Riccardo Fucile
LA DENUNCIA DI FEDERCONSUMATORI: “RISPARMIO UCCISO DA BANCHIERI, BANKITALIA E CONSOB COMPLICI”… OLTRE UN MILIONE E MEZZO DI RISPARMIATORI HANNO PERSO I LORO SOLDI
In 30 anni, dal 1985 a oggi, 1,617 milioni di risparmiatori hanno visto evaporare circa 100 miliardi di
euro di investimenti nei crac bancari ed industriali.
Il calcolo è stato fatto da Adusbef e Federconsumatori in occasione della presentazione della relazione annuale del governatore di Bankitalia.
“Il doppio dissesto della Banca Popolare di Vicenza di Giovanni Zonin e di Veneto Banca, dell’ex padre-padrone Vincenzo Consoli, pari a 18,9 miliardi di euro a danno di 210.000 mila azionisti (120.000 BpVi, 90.000 Veneto Banca) tra azzeramento del valore delle azioni (10 miliardi), perdite ultimi 3 anni (per 4 miliardi), aumenti di capitale (4,9 miliardi), è solo l’ultimo anello di una lunga catena di scandali e crac bancari”.
Il comunicato cita “Bipop-Carire (Bruno Sonzogni 2002); Banca Popolare di Lodi (Giampiero Fiorani 2005); Banca Italease (Massimo Faenza 2008); Tercas (Di Matteo & Samorì 2012); Banca Popolare di Milano (Massimo Ponzellini 2012); Carige (Giovanni Berneschi 2014); MPS (Giuseppe Mussari (2013)”.
Poi l’atto di accusa nei confronti dei “governatori che si sono succeduti in Bankitalia (Fazio, Draghi, Visco)”, che “non sono riusciti ad impedire un saccheggio sistematico del pubblico risparmio e la lunga catena di scandali bancari, che hanno messo sul lastrico 1 milione di risparmiatori (440.000 famiglie solo negli ultimi 6 mesi, 210.000 BpV e Veneto Banca, 130.000 con la risoluzione delle 4 Banche Marche, Etruria, Chieti, Ferrara, col decreto del 22 novembre 2015), per i rapporti incestuosi tra vigilanti e vigilati, che in qualità di azionisti privilegiati ricevono centinaia di milioni di euro di cedole l’anno, o per incapacità nella prevenzione delle crisi bancarie”.
Per questo, “in occasione della solita ed autocelebrativa ‘messa cantata’ del governatore di turno, Adusbef e Federconsumatori saranno in campo con i loro presidenti, ma anzichè celebrare fasti e nefasti delle banche, dovranno commemorare i funerali del risparmio, ucciso dai banchieri di sistema con la complicità dei killer di Palazzo Koch, che insieme alla Consob sono riusciti ad assassinare il sudato risparmio di milioni di famiglie saccheggiate col concorso del controllore dai Boschi & Rosi (Banca Etruria), Bianconi & Costa (Banca Marche) Zonin & Sorato (Banca Popolare Vicenza); Consoli & Favotto (Veneto Banca); Giovanni Berneschi (Carige); Giuseppe Mussari (MPS), (Giampiero Fiorani (Banca Popolare di Lodi) ecc”.
Mentre nella prima metà del periodo, fino al 1998, “sono stati colpiti 238.250 investitori che hanno perso 9.761 miliardi di vecchie lire (5.041,414 milioni di euro), nella seconda metà del periodo (dal 1999 al 2015) l’attività di rapina pianificata del sistema con il concorso dei distratti controllori, in particolare la inadeguata Consob a tutelare il pubblico risparmio (sentenza di Cassazione sul crack Parmalat), ha visto coinvolgere 1.379.000 concittadini per 95.067 milioni di euro.
E’ evidente l’azione di rapina pianificata negli ultimi 15 anni, la cui origine può essere datata alla conclusione del processo di privatizzazione degli istituti bancari (1995). Tra le più rilevanti spiccano le vicende Parmalat, 14 miliardi di euro di 175mila concittadini ed altrettanti dei tango bond a 450mila concittadini; Bipop Carire che ha bruciato 10 miliardi di euro a 73.500 risparmiatori; i bond Cirio; il crack Lehman Brothers, i cui bond erano consigliati affidabili da Patti Chiari dell’Abi a differenza dei più solidi Btp, considerati a rischio, Mps (che ha bruciato nell’acquisto di Antonveneta oltre 18 miliardi di euro)”.
Poichè almeno la metà delle Procure italiane, indagano o stanno celebrando i processi a carico di banche e banchieri per gravissimi reati quali usura, truffa, associazione a delinquere, bancarotta fraudolenta, ecc., il governatore di Bankitalia all’assemblea dei partecipanti di domani, invece della solita ‘messa cantata’, potrebbe provare il più appropriato canto gregoriano del ‘Regina Coeli’.
(da agenzie)
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Giugno 1st, 2016 Riccardo Fucile
MAURIZIO COSTANZO E KLAUS DAVI GIUDICANO IL CONFRONTO: “PIATTI, SENZA GUIZZI E COLPI DI SCENA”… I MENO PEGGIO? MARCHINI E GIACHETTI
Maurizio Costanzo e Klaus Davi concordano: i candidati a sindaco di Roma, nel confronto Sky, sono risultati piatti, con pochi guizzi e nessuno ha regalato colpi di scena. Insomma, secondo gli esperti, poca sicurezza.
Anche per “colpa del format, che di fatto ingabbiava il confronto e non prevedeva un botta e risposta tra i singoli”. Il che però ha favorativo l’illustrazione dei punti del programma.
I candidati dunque “non hanno scaldato e non hanno convinto veramente il pubblico”, spiega Klaus Davi, esperto di comunicazione.
Nessuno quindi è risultato essere un fuoriclasse davanti alla telecamera riuscendo a prevalere sugli altri.
Per Costanzo, che di mestere televisivo ne ha parecchio, lo scontro — se di scontro si può parlare – è stato tra la candidata pentastellata e Meloni: “Non si sono simpatiche e forse la Raggi ha detto cose che davano fastidio alla Meloni che infatti alzava sempre gli occhi. Poi tutti si sono coalizzati contro la Raggi”.
Però, dice ancora Costanzo, “nessuno era sicuro di sè, forse la grillina lo sembrava un po’ di più, ma nessuno ha trasmesso sicurezza. Non è stato uno scontro verbale da mercato, ma uno scontro fatto più di sguardi e di movenze. La Raggi è stata ripetitiva. Alla fine, secondo me, ha vinto Giachetti, ma confesso di avere una simpatia per lui. Il più convincente invece in termini televisivi è stato Alfio Marchini, più distacato e al di sopra. A seguire Giachetti”.
A proposito di movenze, secondo Davi, “la Raggi è la più costruita negli atteggiamenti. La Meloni a volte un po’ bulla e aggressiva, forse per recuperare voti. Alla fine la candidata M5S ha fatto un appello nervoso e poco incisivo, molto da baci perugina”.
L’esperto di comunicazione passa quindi i candidati in rassegna uno per uno: “Marchini impeccabile ma algido. È partito alla grande ma poi l’ho visto indebolirsi, è un centrometrista non un maratoneta. Non so dire che difetti abbia ma nell’insieme non convince”.
Secondo Davi, il candidato del Pd “era vestito male, ma i contenuti mi sono piaciuti, ha fatto un grande sforzo. A lui è toccata la prova più difficile: far dimenticare Ignazio Marino. E secondo me ci è abbastanza riuscito. All’inizio era molto nervoso, poi si è rilassato. Per competenza avrei premiato Giachetti, ma tra la barba e il fatto che non indossava la cravatta è bocciato. Mia mamma si spaventa. Non è rassicurante per un’anziana”.
Infine “Stefano Fassina il candidato di Sinistra italiana non mi è dispiaciuto per niente. L’ho trovato appassionato e non saccente. Anzi, dirò di più, si è tolto la saccenza del bocconiano. Era più diretto. Gli ha fatto bene essere stato eliminato per quell’errore nella presentazione delle liste e poi riammesso. Alla fine però – conclude Davi – nessuno ha scaldato, il problema era il format, ottimo in altri contesto ma mal si concilia con la romanità che è tutta fisica emotiva e calda. Insomma, in un format freddo per una politica calda, le due donne hanno vinto”.
E Carlo Freccero? Il consigliere Rai ha visto Gomorra. “Non sono masochista”.
(da “Huffingtonpost”)
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Giugno 1st, 2016 Riccardo Fucile
IL LEADER DELLA LEGA AVEVA DETTO DI AVER PARLATO CON LUI… O SI ERA IMBUCATO PER FARE UNA FOTO RICORDO O PERSINO TRUMP NON VUOLE PIU’ AVERE NULLA A CHE FARE CON LUI
Il populismo transatlantico sognato (e sbandierato) da Matteo Salvini annega in una bizzarra
sconfessione da parte di Donald Trump.
In una intervista condotta da Michael Wolff, il biografo di Rupert Murdoch, che sarà pubblicata oggi su The Hollywood Reporter, il candidato repubblicano alla Casa Bianca ha preso le distanze dalla nuova destra xenofoba europea e ha persino negato, a dispetto di foto e comunicati, di aver mai visto Salvini.
“Non ho voluto incontrarlo” ha detto Trump a Wolff, che gli chiedeva di possibili convergenze con i leader dei movimenti anti-immigranti in Europa, a cominciare da Marine Le Pen in Francia e Salvini in Italia.
Secondo quanto Trump ha detto a Wolff, il tycoon newyorchese, che sostiene di “non avere neppure conosciuto” il leader della Lega, non ritiene che ci sia “un terreno comune da esplorare”, nè sembra interessato “a stabilire alleanze al di là dell’Atlantico “.
Come si spiegano queste dichiarazioni isolazioniste di Trump, mentre è evidente l’assonanza di posizioni?
Come è possibile che smentisca di aver incontrato Salvini, mentre esiste una foto dei due che si stringono la mano, lo scorso 25 aprile, ai margini di una manifestazione elettorale a due ore da Filadelfia?
E che dire poi della presunta “benedizione” di Trump rilanciata dal Wall Street Journal (“Matteo, ti auguro di diventare presto il nuovo premier italiano”)? O delle dichiarazioni del leader della Lega in una intervista a Repubblica, in cui raccontava “del lavoro di mesi per arrivare a quella stretta di mano”.
Non c’è dubbio che il caso Trump-Salvini si inserisca in una strana stagione politica che vede, da un lato una rincorsa italiana al partito dei “trumpisti”, dall’altro una mutazione genetica della destra americana, ormai divisa, incoerente e quasi irriconoscibile.
Sull’episodio specifico dell’incontro di Filadelfia, Wolff avanza due ipotesi: la prima è che Trump non si fosse ben reso conto chi stesse incontrando nella ” photo opportunity” di aprile
Salvini era stato accompagnato da Amato Berardi, imprenditore di origini molisane, dirigente di una organizzazione italo-americana ed ex-parlamentare del Pdl per la circoscrizione dell’America del Nord.
I due si erano fatti fotografare in platea: il leader della Lega (in giacca e cravatta, ma con il bottone della camicia slacciato), teneva in mano un cartello con il motto di Trump: ” Make America Great Again”.
Il sospetto? Che Salvini si fosse quasi “intrufolato” in quella manifestazione e che Trump lo avesse poi confuso con uno dei tanti ammiratori.
Un’altra ipotesi è che Trump abbia semplicemente negato l’incontro per motivi di pura convenienza politica.
“Non ha alcun vantaggio nel valorizzare i legami con Le Pen o Salvini”, spiega Wolff a Repubblica: “La ragione? Anche questi leader europei sono considerati come degli “stranieri” dalla base elettorale di Trump, che rimane xenofoba e non ha alcun interesse nei rapporti internazionali del suo leader”.
Non sarebbe certo la prima volta che Trump nega di aver avuto dei rapporti personali scomodi: è già successo, ad esempio, con David Duke, un ex-dirigente del Ku Klux Klan.
E, più in generale, tutta la campagna elettorale del candidato repubblicano è costellata da dichiarazioni e promesse incendiarie, poi smentite o ridimensionate, come quella sul divieto d’ingresso negli Stati Uniti per i musulmani. Trump non ha mai pagato dei prezzi politici per questi bruschi cambiamenti di opinione o per aver negato la realtà .
Gli avversari gli hanno dato del bugiardo, i giornalisti hanno ironizzato sulle sue contraddizioni: ma lui non è mai sembrato turbato, nè ha chiesto scusa, nè ha offerto spiegazioni, nè ha cambiato stile.
(da “La Repubblica”)
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Giugno 1st, 2016 Riccardo Fucile
LA GRILLINA ALLA FINE HAI IL 43% DI GRADIMENTO, SEGUONO GIACHETTI 20%, MELONI 19%, MARCHINI 13%, FASSINA 5%
Il confronto parte pacato, poi s’accende sul tema della legalità . Virginia contro tutti. Tutti contro Virginia.
E alla fine, dal confronto nello studio di Sky moderato dal giornalista Gianluca Semprini, la pentastellata Raggi è quella che convince di più il pubblico secondo il quesito dell’emittente.
La grillina sorpassa i rivali con il 43% di gradimento tra i telespettatori di Sky che hanno visto in diretta il dibattito, seguita da Roberto Giachetti al 20%, Giorgia Meloni al 19%, Alfio Marchini che arranca al 13% e chiude Stefano Fassina al 5%.
Buche, Olimpiadi, rifiuti, traffico, legalità , campi rom questi i principali argomenti affrontati durante il primo confronto televisivo tra tutti e cinque i candidati.
La Raggi ha accettato soltanto il dibattito all’americana per il faccia a faccia con i suoi sfidanti
Buche.
Si inizia dal tema “scottante” delle buche. Sono tutti d’accordo che quei crateri nell’asfalto sono uno scempio. Giachetti propone lo “060buche” per segnalare in tempo reale le strade dissestate, Fassina rincara proponendo una “fidejussione per riparare le buche” e Marchini: “Se si continuano a tappare le buche con la sabbia, noi togliamo i soldi alle imprese”.
Traffico.
Fassina punta ad un “piano strategico per traffico che dimezza il numero delle auto in 5 anni, chiude l’anello ferroviario, allunga metro, costruisce direttrici, più tram e ciclabili”, invece Marchini pensa a “semafori intelligenti e sensori sotto l’asfalto, più tram e stop all’evasione dei biglietti alzando tornelli, autobus nuovi e vagoni con aria condizionata
Per la Raggi bisogna tornare alla “mobilità pubblica, con più bus, tagliare gli sprechi in Atac, recuperare evasione, più car sharing, piste ciclabili ma anche la funivia che già è sperimentata in città europee”. “Recupero sprechi e abbattimento evasione col il bigliettaio” sono prioritari per Giorgia Meloni mentre Giachetti pensa a “investimenti per 150 bus nuovi e 70 bus ad idrogeno”.
Debito.
Sul debito storico della capitale di oltre 13 miliardi Fassina rivendica di averne proposto per primo la rinegoziazione, “vedo che ora sta diventando un tema comune”. La ricetta diversa da Marchini, che propone “Btp ad hoc emessi dallo Stato”.
“La prima cosa da fare” sul tema del debito di Roma per la Raggi “è l’audit sulla gestione straordinaria, stupisce che dal 2008 non si sia fatto. La Scozzese ha detto che il 44% dei debiti non sono noti. I partiti non si sono occupati di sapere a chi i romani pagano 200 mln di euro ogni anno”.
E Giachetti propone di “rinegoziare il debito, per cui i tassi che sono tra il 4 e il 6% vanno riportati ai tassi attuali. Bisogna razionalizzare il bilancio ordinario. Spero di abbassare l’Irpef e aumentare i servizi sociali”
Rifiuti.
I candidati si sono confrontati anche sul problema rifiuti. Per Marchini bisogna “produrre ricchezza dai “rifiuti , Raggi punta alla differenziata come Meloni e Fassina, Giachetti punta sui controlli e la prossimità .
Gli scontri.
Scontro Raggi-Meloni. “Onorevole Meloni, ora che si vergogna del suo passato fascista, prendendo 13 mila euro al mese come parlamentare, perchè non si è dimessa candidandosi? La doppia poltrona le serve come paracadute se va male?”, ha chiesto la candidata del M5s.
“Il taglio dello stipendio lo risolvo andando a fare il sindaco – replica Meloni – che come si sa guadagna molto meno di un parlamentare. Si dimetteranno invece i parlamentari M5s venuti a commissariarla con lo staff? Perchè di battista non si è dimesso?”.
La grillina si è poi scontrata anche con Marchini, che le ha chiesto “perchè non fate più riunioni in streaming da un paio d’anni e il 60% dei comuni da voi amministrati ha problemi di onestà ?”.
Mi viene da ridere, facciamo sempre riunioni in streaming – è stata la replica di raggi – lei non si è mai visto in Campidoglio in 3 anni. Vogliamo riportare onestà , coerenza e trasparenza nelle istituzioni e questo spaventa tutti”. Pronta la risposta dell’imprenditore: “Avete il 60% di amministratori indagati”.
E sulla legalità ecco gli attriti.
“Queste persone vogliono apparire più pulite dei loro partiti, ci mettono la faccia ma tolgono i simboli perchè si vergognano”, attacca Raggi.
Parole che scatenano la rivolta dei rivali: “Noi abbiamo cambiato tutto, pensate a voi”, dice Giachetti.
E Fassina: “Pretendo rispetto, non siamo tutti uguali”. Ma il tono di Raggi non si smorza e nell’appello finale, accorato, scandisce “si sono mangiati Roma, chi vuole cambiare deve avere coraggio o non ci saranno più scuse”.
“Scegliete i programmi”, suggerisce Meloni che cita Cicerone: “Bisogna scegliere chi amare”. Giachetti fa appello alla “squadra, al programma, alle idee e alla mia storia”. Fassina si rivolge “alla città fragile”, Marchini fa notare: “Ho promesso due anni fa che non vi avrei abbandonato”.
Domenica 5 giugno il voto.
Adesso la parola passa alle urne.
(da “La Repubblica“)
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Giugno 1st, 2016 Riccardo Fucile
“TRASFERIMENTO E TAGLIO DI 6 MESI DI ANZIANITA'”… PASSATE AL LEGALE DEL CARROCCIO INFORMAZIONI RISERVATE SULL’INCHIESTA RIMBORSOPOLI”
La Sezione disciplinare del Csm ha confermato il trasferimento d’ufficio da Milano dell’ex pm Alfredo
Robledo e lo ha condannato alla perdita di sei mesi di anzianità . Robledo resta a Torino, non più come giudice ma come procuratore aggiunto. Secondo l’accusa Robledo avrebbe passato all’avvocato della Lega Nord, Domenico Aiello, nell’ambito di uno scambio di favori, informazioni su atti coperti dal segreto dell’inchiesta su rimborsi indebiti percepiti da consiglieri della Regione Lombardia.ù
I sostituti pg di Cassazione Alfredo Viola e Pietro Gaeta alla sezione disciplinare del Csm, chiamata a giudicare la condotta dell’ex procuratore aggiunto di Milano, avevano chiesto la perdita di un anno di anzianità con la sanzione accessoria del trasferimento in altra sede e altre funzioni.
La questione riguarda il presunto ‘scambio di favori’ che Robledo, all’epoca dei fatti aggiunto a Milano, avrebbe avuto con l’avvocato della Lega Nord, Domenico Aiello: quest’ultimo, secondo le incolpazioni formulate dai pg di Cassazione, avrebbe appreso dal magistrato notizie riservate sull’inchiesta ‘Rimborsopoli’ e, in cambio, gli avrebbe girato informazioni su Gabriele Albertini, controparte di Robledo in un procedimento ai suoi danni per calunnia aggravata.
Per questi stessi fatti, dal febbraio 2015 Robledo è stato trasferito in via cautelare dal ‘tribunale delle toghe’ a Torino dove svolge funzioni di giudice, misura confermata anche dalle sezioni unite civili della Cassazione.
Nell’ultimo periodo passato alla Procura milanese, Robledo fu protagonista di una lunga ‘querelle’ che lo vide contrapposto all’allora procuratore capo Edmondo Bruti Liberati, il cui successore, Francesco Greco, è stato nominato ieri.
(da “La Repubblica”)
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