Giugno 7th, 2016 Riccardo Fucile
PARTE LA CACCIA AI VOTI DI CHI NON HA PIU’ UN RAPPRESENTANTE
Se il paragone non suonasse cinico nei confronti di chi soffre e chiede asilo, verrebbe da dire che il voto di domenica ha prodotto in Italia almeno un milione di rifugiati politici. Cioè di elettori che il 19 giugno non sanno bene dove accasarsi perchè il loro candidato-sindaco è stato escluso al primo turno.
Con una differenza rispetto ai rifugiati veri: quelli (purtroppo) nessuno li vuole, mentre questi elettori senza più padrone saranno corteggiatissimi.
Vincerà i ballottaggi chi ne adotterà il maggior numero perchè sulla carta i voti senza bandiera potranno fare la differenza. Due conti bastano a capire perchè.
I senza bandiera
A Roma, tra la Raggi e Giachetti, ci sono 133 mila voti di differenza.
Tanti, senza dubbio. Ma la massa degli «sfollati» (elettori di Marchini, di Fassina e della Meloni) è tre volte più grande.
I soli votanti del centrodestra a Roma sono 406 mila. Volendo, farebbero la differenza. Stessa cosa a Torino dove gli elettori in libera uscita sono circa 85 mila, il doppio dello scarto tra Fassino e Appendino.
Anche qui, la destra potrebbe risultare decisiva.
Invece a Milano, dove si sfidano Sala e Parisi, e meno di 5 mila voti li dividono, a fare da ago della bilancia saranno soprattutto 52 mila seguaci di Grillo.
Il candidato berlusconiano Parisi già sta provando a sedurli con promesse di trasparenza e legalità .
Qualcuno vede le condizioni ideali per qualche scambio sottobanco, tipo il sostegno del centrodestra a Raggi e Appendino in cambio di quello M5S a Parisi.
Che può prendere la forma seguente: Salvini e la Meloni invitano a non votare il renziano Giachetti (già stanno cominciando), e qualche grillino si diverte a bersagliare Sala.
Più facile dirlo che farlo, tuttavia. E non solo perchè Berlusconi rifiuta di scegliere tra sinistra e grillini esortando a votare scheda bianca.
La verità è che, come conferma Ipr Marketing in una ricerca sui flussi elettorali svolta per Vespa, gli elettori si regolano come gli pare, infischiandosene dei «padrini».
Migrazioni tra partiti
Un esempio: alle Europee del 2014, il Pd prese a Roma 506 mila voti. Stavolta sono stati solo 270 mila.
Secondo Ipr, addirittura il 28,4 per cento è andato ai Cinquestelle, l’8 per cento alla Meloni.
Altro esempio illuminante: degli elettori forzisti alle scorse Europee, solo il 28,4 per cento ha dato ancora retta a Berlusconi votando Marchini. Gli altri hanno puntato su Meloni e sulla Raggi.
A parti invertite, gli elettori grillini del 2014 hanno premiato per il 20 per cento Parisi e per il 15 Sala.
A Torino, almeno un quinto di quanti votarono Fassino sono passati con la sua rivale. Eppure, secondo uno studio molto quotato a Palazzo Chigi, i Cinque stelle non hanno fatto molti progressi.
Nei 18 Comuni capoluogo dove si è presentato, il movimento supera quota 20 per cento solo in 3 casi, tra cui appunto Torino e Roma.
In media, il 15,5 dei voti contro il 34,3 del Pd più alleati.
E guai a sottovalutare Berlusconi, ammonisce Renzi personalmente. Qui soccorre un’analisi molto puntuale dell’Istituto Cattaneo.
Da cui si apprende che il centrodestra nel suo complesso perde 7 punti rispetto al 2011, è vero, ma ne guadagna 4 rispetto a tre anni fa.
Insomma, contrariamente alle apparenze è in ripresa.
Mentre M5S fa boom in confronto al 2011 (anche perchè in alcuni Comuni non si era presentato), però perde 4 punti dalle ultime Politiche.
Le Cinque stelle splendono ma non sono ancora il sol dell’avvenire.
Ugo Magri
(da “La Stampa”)
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Giugno 7th, 2016 Riccardo Fucile
GIACHETTI AVEVA INIZIATO LA CORSA QUARTO, DIETRO MELONI E MARCHINI… DOPO MAFIA CAPITALE E IL CASO MARINO, IL PD A ROMA ERA DATO AL 16%, LUI E’ RIUSCITO AD ARRIVARE AL 24%…E ORA PUNTA A VINCERE
«Due mesi fa non ci credeva nessuno, giravo la città e il clima intorno a me lo sentivo, è chiaro che il passato pesava. Ma ora davvero ce la posso fare, perchè dopo la rabbia arriva il turno della ragione e i romani sceglieranno il sindaco che loro ritengono possa far meglio».
Roberto Giachetti, Bobo per gli amici, è carico «a palla» come dicono a Roma, pure se esausto: il candidato di un Pd sfibrato al 17%, che malgrado tutto ha superato l’asticella remando da solo, non dorme da 48 ore dopo aver compiuto il primo exploit contro ogni pronostico: arrivare al ballottaggio partendo quarto dietro alla Meloni e Marchini.
Un «miracolo» che gli ha fatto guadagnare sms di complimenti, tra i più vari, dalla sorella della Pivetti, l’attrice Veronica, fino a Fabrizio Barca che condusse la campagna di ascolto tra i circoli Pd.
Per tutta la notte dello spoglio si è messaggiato con Matteo Renzi, con il quale condivide la stessa convinzione, a dispetto di quello che vanno dicendo i sostenitori della tirannia dei numeri che albergano tra le fila dei renziani: quelli ormai rassegnati al fatto che matematicamente è quasi impossibile battere la Raggi con questo scarto.
Il leader e il suo candidato sono sicuri invece che a Roma si può vincere.
Anche se il leader condisce questa convinzione con una battuta, «se Giachetti fa Giachetti, se parla di Roma e racconta cosa vuole fare, sarà divertente».
Una battuta che a sentire i depositari di quanto avviene nelle segrete stanze svela in realtà una perplessità per una campagna fin qui poco espansiva, con guizzi non incisivi a sufficienza, come la scelta dei nomi per la squadra di assessori.
Ma Giachetti ha un’impressione del tutto diversa. «Ma no, la questione è semplice: io ho fatto una campagna tutta sul concreto, cercando di mantenere una linea di rispetto verso gli avversari, evitando le provocazioni e le polemiche, anche perchè eravamo in quattro. Solo una volta quando hanno tirato in ballo la svolta di cui ha bisogno Roma sull’onestà , ho reagito dicendo che io sono onesto e l’ho dimostrato per anni. Dunque ora che siamo in due, uno di fronte all’altro, Renzi si aspetta che Giachetti entri in campo con la sua verve, chiamiamola così».
Insomma, lui questo termine non lo usa, ma è chiaro che il premier si aspetti che ora Bobo «meni» di più metaforicamente parlando.
Ed è quello che già sta facendo, provando a trascinare Raggi in un match tv, dice che lei già ieri si sia sottratta.
Alla sinistra Pd lancia una «supplica» accorata: «Basta polemiche, finiamola qui, ora uniti, poi scateniamoci al congresso».
Chiarendo che «non farò accordi di palazzo con nessuno. Dicono che faccio un accordo con Marchini. Non è vero, gli elettori non sono pacchi postali. Posso dire con quali carte vincerò?».
E qui Giachetti sgancia la sua gragnola di colpi. «La Raggi parla di baratto e io di come rinegoziare il debito e abbassare le tasse. Io voglio portare la metro fino allo stadio olimpico, lei dice fermiamoci dove siamo arrivati. Io dico sì alle Olimpiadi con 170 mila posti di lavoro e lei dice no. Io dico sì allo stadio della Roma che porta 400 milioni di urbanizzazione e lei dice no. Quando i romani capiranno questo, io avrò vinto».
Nel frattempo, «incontro chiunque, ma parlo al popolo romano. Se facessi accordi con Marchini sarebbe inutile, i suoi elettori votano come vogliono, non come dice lui».
Carlo Bertini
(da “La Stampa”)
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Giugno 7th, 2016 Riccardo Fucile
IL PRIMO E’ “NEMICO” DEI COSTRUTTORI, IL SECONDO UN SUPER-TECNICO AMBIENTALE
Due settimane durante le quali la candidata del Movimento dovrebbe presentare la sua giunta. Che, in queste ore, si arricchisce di altri due nomi: urbanistica e lavori pubblici dovrebbero andare a Paolo Berdini, sostenibilità ambientale e rifiuti (forse) a Raphael Rossi.
La Raggi non ha ancora deciso quando sarà il momento (presto, forse già in settimana, pare) ma la squadra, dunque, inizia a prendere forma
E, almeno con questi primi nomi in caselle chiave, sembra una squadra che guarda a sinistra.
Berdini, 68 anni, urbanista molto noto e molto apprezzato, inviso a gran parte dei costruttori della città , è autore, nella sua lunga carriera, di libri come “La città in vendita”, (Donzelli, 2008) e “Breve storia dell’abuso edilizio in Italia” (Donzelli,2010).
Rossi, invece, 42 anni, è un tecnico, esperto di ambiente, consulente di numerosi comuni, progettista di sistemi per la raccolta porta a porta, attuale amministratore delegato della “Formia rifiuti zero”, con la quale è riuscito a portare la differenziata al 65% nel centro del basso Lazio.
Da vicepresidente della municipalizzata dei rifiuti di Torino anni fa denunciò un tentativo di corruzione che aveva subito.
Già lodato da Beppe Grillo sul suo blog, potrebbe essere lui a occuparsi del delicato dossier sulla pulizia di una città dove si paga la Tari più alta d’Italia
Due nomi di valore che si vanno ad aggiungere a quello di Andrea Lijoi, ex rugbista, che si dovrebbe occupare di sport e qualità della vita.
Anche ieri la Raggi, prima di un’intervista serale con Porta a Porta, ha fatto incontri per stringere sulla sua squadra. Poi è andata a prendere il figlio di 6 anni da scuola, accolta dal coro «Virginia, Virginia» con il quale l’hanno salutata maestre e genitori
In queste due settimane la candidata dei 5 Stelle calcherà la mano sulla “normalità ” della sua figura, come già aveva insistito dal palco di piazza del Popolo il 3 giugno, alla chiusura della sua campagna elettorale.
Normalità da affiancare a “competenza” e “credibilità ”, gli altri due sostantivi che si ripeteranno durante i prossimi 15 giorni
«Abbiamo un piano d’azione per il dopo – aveva detto commentando le proiezioni Roberta Lombardi, l’altra donna forte del MoVimento a Roma – se dovessimo vincere stiamo già preparando quelle che saranno le prime delibere di giunta operative immediatamente»
In caso di vittoria, però, per la Raggi potrebbe aprirsi subito un caso con Silvia Scozzese, commissaria al debito, citata da Roberto Giachetti come assessore nella sua eventuale squadra: «Ci chiediamo – ha detto la Lombardi – nel caso in cui vinca l’M5S, quale rapporto di fair play e di leale collaborazione tra istituzioni ci possa essere con un commissario al debito già politicizzato».
Mauro Favale
(da “La Repubblica“)
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Giugno 7th, 2016 Riccardo Fucile
SALVINI L’AVEVA ILLUSA, ALLA FINE SONO PIU’ I VOTI CHE LE HA FATTO PERDERE A ROMA CHE QUELLI CHE LE HA PORTATO
Se io avessi previsto tutto questo… La destra romana è avvelenata, e a ragione. Ha visto la vittoria al primo turno da vicino, troppo da vicino per uscire con aplomb dalla mazzata dei risultati finali.
E l’aplomb, tra l’altro, non è il suo stile.
Avvelenata con Berlusconi, che a Milano dove c’era il candidato “suo” si è tenuto stretto Salvini, e a Roma ha fatto il contrario usando la Capitale per regolare i conti interni.
Avvelenata coi quartieri che non le hanno risposto come dovevano, prima tra tutti la Garbatella.
Avvelenata, anche se non si può dire, pure con il suo grande sponsor, l’aspirante Trump di casa nostra, Matteo Salvini insomma, che prima ha convinto Giorgia Meloni a giocarsela in proprio scommettendo sullo schema lepenista e poi alla prova dei fatti le ha portato in dote un miserrimo 2,7 per cento, briciole, e forse le ha pure abbassato la media perchè il Carroccio, a Roma, non è che sia simpaticissimo.
«Eravamo come Davide contro Golia», soli contro il governo «e contro un centrodestra che giocava a perdere», dice la Meloni nella prima conferenza stampa dopo i risultati.
Ma l’idea di fare il passo decisivo verso l’area del voto anti-sistema l’ha già scansata: per il ballottaggio «mai indicazioni di voto per un candidato di Renzi», ma anche il M5S è «approssimativo», inconsistente, poco serio, «e non ci metterò certo la faccia». Insomma la vecchia battuta «al secondo turno voterei Raggi» è sepolta definitivamente.
Fdi resta nel perimetro dei partiti di governo: il partito di lotta può attendere tempi migliori, o peggiori, chi lo sa.
Ma neanche l’Avvelenata si può cantare fino in fondo, perchè c’è ancora la speranza di Latina dove il candidato della Meloni, Nicola Calandrini, si è conquistato a sorpresa la sfida finale con il civico Damiano Coletta.
Latina è un caso da matti. Undici candidati, otto di destra: potrebbe essere l’unico capoluogo di provincia espugnato da Fdi ma toccherà ricucire, mediare, rimettere insieme, dopo una campagna al vetriolo, e insomma non è il caso di spingersi molto oltre nella critica ai parenti-serpenti che nella Capitale ha affondato la speranza di un ballottaggio tutto al femminile, un Meloni-Raggi che secondo i sondaggisti avrebbe visto strabordare la grillina, ma sarebbe stata comunque una medaglia da portare in parata sotto Arcore e sotto via Bellerio.
E comunque, alla fine dei giochi, seppure con la mancata vittoria di Roma e quelle percentuali al lumicino al Nord e in troppe parti del Sud, la posta in gioco era cancellare le troppe incertezze nel pre-candidatura, quando si era incartata su proposte fantasia (la Dalla Chiesa, la Pivetti), dire “ci sono” e non lasciare il campo a un forzismo in assoluto declino e a una Lega tanto rumorosa quanto inefficace nelle urne.
Ora è il momento dell’Avvelenata, certo. Ora si è soli alle quattro del mattino, l’angoscia e un po’ di vino, voglia di bestemmiare.
Ma domani si potrà ritrovare il sorriso del pericolo scampato.
Gli altri hanno fatto peggio, e a lei poteva andare assai peggio.
Flavia Perina
(da “Huffingtonpost”)
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Giugno 7th, 2016 Riccardo Fucile
A TORINO, ROMA, MILANO LA SINISTRA CONVINCE SOLO LA BORGHESIA DEI CENTRI STORICI
Primavera del 2011: Piero Fassino diventa sindaco di Torino al primo turno. La sua è una vittoria travolgente, mai in discussione.
A Mirafiori l’ultimo segretario dei Ds sfonda il muro del 60%, nei quartieri operai della periferia Nord oscilla tra il 56 e il 58%.
Solo nel centro storico ha il fiato più corto: 50,5%.
Primavera del 2016: al sindaco è rimasto solo il centro, l’unica zona in cui supera il 50%, l’unica in cui non perde consensi, l’unica che l’avrebbe premiato già al primo turno.
Le altre precipitano pericolosamente verso il 40%
Il centro storico è il fortino dove, a Roma, si è asserragliato anche Roberto Giachetti, circondato dalle orde Cinque Stelle.
Due municipalità a Pd e alleati: centro, Parioli, Nomentano; le altre tredici – da Ostia a Tor Bella Monaca, dalla Cassia all’Eur – a Virginia Raggi. Geograficamente, e non solo, è un assedio.
«Il Pd ha dei problemi», dice Matteo Renzi. Uno – sicuramente tra i più importanti – sono le periferie.
«Ci hanno abbandonato, scelgono», incalza la minoranza interna. Difficile dargli torto. La solidità dei democratici tiene dove abita la buona borghesia e si ferma là dove smettono di passeggiare i turisti; altrove si combatte seggio per seggio, spesso si perde.
A Torino Chiara Appendino e il Movimento 5 Stelle si sono presi un luogo simbolico, la circoscrizione 5: Vallette e Lucento, i rioni degli operai, dai grandi palazzoni costruiti negli Anni Sessanta per dare casa alla manodopera emigrata dal Sud, roccaforti un tempo rosse, e anche Borgo Vittoria, che ospitava la storica sede del Pci.
Fassino aveva il 58%, ora ha il 35. E, sempre a Nord, là dove da anni si fatica a tenere a bada la polveriera delle baraccopoli abitate dai rom, passa dal 56 a 35%, superando i 5 Stelle di una incollatura.
Anche Beppe Sala, a Milano, arranca: Pisapia controllava tutti i municipi, lui ha perso la zona 2, Turro, Grego e Crescenzago; la 5, da Porta Ticinese a Gratosoglio, e la 7, tra Baggio De Angeli e San Siro.
Si fa sfilare da Parisi anche la zona 9, tra Affori e Comasina, dove negli ultimi dieci anni la sinistra aveva sempre governato, anche quando a Palazzo Marino c’era Letizia Moratti.
Tre anni fa, nella Capitale, Ignazio Marino aveva lasciato le briciole ad Alemanno: 14 municipi su 15, eccetto Cassia-Flaminia.
Oggi Roberto Giachetti ha avuto vita facile solo ai Parioli. Altrove è stato travolto.
Sì, con le periferie il Pd oggi ha davvero un problema.
Andrea Rossi
(da “la Stampa”)
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Giugno 7th, 2016 Riccardo Fucile
PER SALA SOLO DUE TERZI DI CHI AVEVA SCELTO IL PD NEL 2013, ANCORA MENO PER GIACHETTI… A ROMA SOLO IL 40% DELL’ELETTORATO DI CENTRODESTRA HA VOTATO MELONI E IL 20% MARCHINI: IL 40% NON VOTA PIU’ PER NESSUNO
Per aiutare a leggere i risultati del primo turno delle Amministrative è utile cercare di capire quali sono stati i flussi di voto nelle due città principali del Paese, Milano e Roma. In attesa di avere i dati delle sezioni, ci siamo basati sui nostri sondaggi pre-voto.
Si tratta quindi di approssimazioni che verranno raffinate e chiarite dai successivi flussi su dati veri
Cominciamo da Milano.
Sala non ha convinto tutti gli elettori pd del 2013, che lo scelgono solo per due terzi. Un quarto ha invece ritenuto di astenersi, mentre il restante 10% circa si distribuisce sugli altri.
Gli elettori di sinistra (Sel e Rc) scelgono in misura rilevante di astenersi.
Tra gli elettori del Movimento 5 Stelle solo una parte minoritaria converge sul candidato di riferimento, mentre la maggioranza assoluta sceglie l’astensione.
Gli elettori di centrodestra invece confermano massicciamente la propria preferenza per Parisi, che raccoglie quasi i tre quarti dei voti ottenuti da quest’area alle scorse politiche. In sintesi: Sala non ce la fa a convincere del tutto il proprio elettorato e per questo non riesce a produrre una distanza significativa da Parisi.
Al contrario Parisi compatta i propri elettori di riferimento, ma non riesce ad ottenere risultati significativi nelle altre aree elettorali.
Vittoriosa è l’astensione: la crescita rispetto al 2011 è di circa 13 punti. Gli elettori milanesi che hanno deciso di recarsi alle urne polarizzano i propri voti sui due candidati principali dedicando scarsa attenzione agli altri.
È quindi probabile che la capacità espansiva dei due al ballottaggio sarà scarsa: vincerà chi saprà meglio mobilitare i propri elettori, eventualmente, come nel caso di Sala, rimotivando coloro che al primo turno hanno scelto l’astensione.
A Roma la situazione è decisamente diversa. Intanto, Roma è l’unica, tra le cinque grandi città , in cui cresce la partecipazione al voto.
Inoltre il successo di Virginia Raggi deriva da una evidente trasversalità .
Da un lato la candidata pentastellata riesce a tenere gran parte degli elettori 5stelle alle politiche del 2013, dall’altro lato è in grado di attirare elettori dal centro, dal Pd e dalla sinistra.
Giachetti non riesce a convincere davvero il proprio elettorato di riferimento che lo sceglie solo per poco più della metà . Pur ridotti, questi consensi e altri scarsi flussi derivanti da altre aree, gli sono sufficienti ad arrivare al ballottaggio.
Anche grazie, naturalmente, alla divisione nell’area di centrodestra.
Giorgia Meloni infatti, convince solo poco meno del 40% degli elettori di centrodestra.
Il competitor, Alfio Marchini, ottiene un risultato deludente poichè non riesce a mobilitare gli elettori di area, ottenendo dal centrodestra solo il 20% e mobilitando poco le forze centriste.
Infine la sinistra.
I risultati non sono assolutamente confortanti. La proposta di sinistra non convince l’area di riferimento (che gli consegna il sostegno di poco più del 20%, non molto più di quanti scelgono la Raggi): deluso dalle proposte in campo l’elettorato di sinistra sceglie massicciamente l’astensione.
La battaglia del ballottaggio sarà nella Capitale più complessa di quella milanese.
Posto che anche in questo caso il primo obiettivo è la mobilitazione dei propri, a Roma entrambi i candidati hanno bisogno di allargare la propria area di riferimento.
La Raggi gode già di un endorsement esplicito da parte di Salvini. Ed è probabile che gli elettori di Meloni, se decideranno di votare al ballottaggio, si esprimeranno in misura massiccia per la candidata pentastellata.
Più difficile la partita di Giachetti: per vincere deve riportare al voto i propri (anche parte di quelli che al primo turno hanno preferito astenersi), ma nello stesso tempo convincere al voto la porzione dell’elettorato moderato che vede come un rischio consegnare la città nelle mani di una persona nuova e con qualche sospetto di eterodirezione.
Battaglia complessa, di esito incerto. Ancora più complessa la partita sul fronte della sinistra. Qui le resistenze verso il Pd, Renzi e il sospetto partito della nazione sono davvero difficili da recuperare, tanto più che l’avversario non è un candidato di destra che potrebbe provocare una reazione unitaria di quest’area.
Luca Comodo -Ipsos
(da “il Corriere della Sera“)
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Giugno 7th, 2016 Riccardo Fucile
MIGLIORA RISPETTO ALLE COMUNALI MA PERDE 4 PUNTI SULLE POLITICHE 2013… MENTRE IL CENTRODESTRA E’ AVANZATO DI 4 PUNTI E IL PD DI 1
Due giorni dopo il voto delle comunali, dall’analisi del voto si passa a soppesare quanto sia reale l’exploit che il Movimento 5 Stelle rivendica, sventolando in particolare il grande impatto di Virginia Raggi, premiata dal voto dei romani e attesa tra due settimane dal ballottaggio con il candidato dem Roberto Giachetti.
Ma estendendo a ritroso la riflessione sul M5s oltre l’angusto orizzonte dell’urna di domenica scorsa, non è tutto oro quel che luccica.
E’ la fondazione di ricerca Istituto Carlo Cattaneo a mettere a confronto il voto delle comunali con quello delle elezioni politiche del febbraio 2013.
Scoprendo così che il vero exploit appartiene al centrodestra, in recupero di ben quattro punti percentuali. A seguire, il centrosinistra che ne recupera circa uno.
E i pentastellati? Sono loro a fare le spese della rimonta del centrodestra, perchè è il M5s a perdere quasi quattro punti.
Anche considerando che in tre capoluoghi, quest’anno il M5s non si è presentato, per l’Istituto Cattaneo “una simulazione ci ha mostrato che questo fatto non altera significativamente il risultato finale”.
Si può dunque parlare di successo del M5s solo confrontando il risultato di domenica con quello delle precedenti comunali, ma se paragonato alle politiche del 2013 l’ultima consultazione “segna per i 5 stelle un momento di stasi se non di arretramento”, laddove per centrosinistra e soprattutto centrodestra segnalano una ripresa.
Con l’aggravante di un altro dato evidenziato dall’Istituto Cattaneo: il centrodestra è in recupero, eppure è proprio il suo elettorato di riferimento a rifugiarsi maggiormente nell’astensione alle elezioni amministrative, mentre quello del Movimento 5 Stelle è più fedele e radicato, con qualche eccezione come Bologna, dove risulta non pervenuto il 39% degli elettori del movimento delle politiche.
Ed è proprio alle percentuali dell’Istituto Cattaneo che si rifà il presidente del Pd Matteo Orfini per rintuzzare i toni di Grillo via Facebook: “I numeri – scrive Orfini – hanno una loro testardaggine. E allora se vogliamo analizzare davvero il voto è bene tenerne conto. Al voto andavano 24 comuni capoluogo. Il Pd ne ha vinti al primo turno 3 e arriva al ballottaggio in 17. Sono 4 quelli in cui siamo rimasti fuori. Il Movimento 5 Stelle in 6 non è nemmeno riuscito a presentarsi, in 15 rimane fuori dal ballottaggio. Su 24 comuni capoluogo va al ballottaggio solo in 3: a Roma, Torino e Carbonia”.
E ancora: “Fare il calcolo dei voti non è semplicissimo per la presenza di tante liste civiche, ma quello che è certo è che rispetto al 2013 il M5s perde mentre il centrosinistra cresce (fonte: Istituto Cattaneo). La Lega scompare, Sinistra Italiana ha un risultato deludente (parole di Fassina, non mie). Questo è il quadro oggettivo, il resto è (legittima) propaganda”.
“Siamo contenti? No. Perchè rimanere ancora una volta fuori dal ballottaggio a Napoli brucia. E perchè in alcuni casi ci aspettavamo di più (Latina ad esempio). Ma leggere questo risultato come un successo grillino è onestamente ridicolo”, scrive Orfini assicurando che anche a Roma, nella sfida coi 5 Stelle, “ce la giochiamo”.
(da “La Repubblica”)
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Giugno 7th, 2016 Riccardo Fucile
GIORGIA NON LA SOPPORTA, SALVINI LA FA VOTARE, COSI’ PER UNA VOLTA IN VITA SUA POTRA’ DIRE DI AVER VINTO… VIRGINIA PROFUMA DI OPPORTUNISMO: UN PASSATO DA PREVITI, QUASI ASSESSORA CON MARINO, DONNA DI FIDUCIA DI CASALEGGIO E AMBIGUA COME LUI, CAMBIA VERSIONE A SECONDA DI CON CHI PARLA
In fondo già lo slogan, un maiuscolo RomaAiRomani, depurato da ogni riferimento a braccia tese, non dovrebbe dispiacere agli elettori della Meloni – con tutto che Giorgia, raccontano, non ha affatto in simpatia Virginia, anzi (dato di cui tenere conto).
Ma che la Raggi adesso cercherà di parlare ancora di più agli elettori della destra romana è ovvio: la cosa interessante è il come.
«Non è finita», dice lei ora. «Il 19 giugno bisognerà completare ciò che abbiamo iniziato, per riscrivere insieme il futuro della nostra città ».
Virginia è un animale politico interessante da tempo: come sempre, da molto prima che si accendessero i riflettori su di lei, da prima che dicesse, come oggi, cose tipo «ci tacciavano come antipolitica, la nostra invece è un’altra politica».
O che annunciasse (a Porta a Porta) «ci saranno anche degli esterni in giunta».
È una difficile da etichettare. Mescola mondi.
Avvocato di 37 anni, un figlio di sette, fa la pratica da Previti e lavora nello studio dei fratelli Sammarco, mondo previtiano purissimo. Ma poi allaccia un dialogo con ambienti della sinistra romana, le occupazioni, la ex Lavanderia, i mercatini equo-solidali, le biciclettate.
È cresciuta nella classe media (San Giovanni), poi però da grande è andata in periferia nord (Ottavia). Tifa Roma o Lazio? «Non mi pronuncio»; in realtà è stata in tribuna all’OIimpico, quello di Cragnotti, non di Totti, con la scusa che il tifoso era il marito, Andrea Severini, regista radiofonico e braccio destro di Anna Pettinelli a Rds (cioè mondo Montefusco, Balduina, romanord. anche se lievemente spuria).
È piaciuta a Silvio Berlusconi, «gente a me amica me ne ha parlato molto bene»; ma non tutti ricordano che Virginia fu a un passo dal diventare assessore alla sicurezza della giunta di Ignazio Marino (che tanto ingenuo evidentemente non era, così l’avrebbe inglobata e depotenziata; solo dopo, litigarono).
Avvenne nel giugno 2013, il marziano a Roma doveva puntellarsi, conobbe i grillini romani, «per l’ottanta per cento avevano il mio stesso programma» e prese «la più brava e la più severa» proponendole di fare l’assessore.
Lei si dichiarò disponibile, se ci fosse stato il voto della rete. La rete votò. Disse sì. Intervenne poi Gianroberto Casaleggio (non Grillo, che di queste cose non sapeva un’acca): «Non esiste che uno dei nostri vada in giunta con uno del Pd».
Da quel giorno Virginia è cambiata. Era una severa e anche con durezze caratteriali, ma rispettosissima dell’assemblea dei cinque stelle: diventò invece in un amen una preferita della Casaleggio, molto molto ligia alle disposizioni di Milano.
Però Virginia è inetichettabile. Piccolo inedito: quando La Stampa rivelò il “contratto” (chiamiamolo così) firmato da Raggi che la obbligava a sottoporre le decisioni strategiche al vaglio dello staff (era lo staff della Casaleggio, in quel testo), molti la attaccarono ma lei – discreto avvocato – era la prima a sapere che quel contratto giuridicamente non vale niente.
Così – siccome Roberta Lombardi, la ex faraona, sua arcinemica, voleva commissariarla o condizionarla, preparandosi a dire che Virginia non aveva rispettato il contratto che le impone lo staff – è stata lei, la Raggi, a giocare d’anticipo: «Volete lo staff? Okay, lo scelgo io».
E ci ha messo dentro, oltre la Lombardi, gente a lei non ostile. Insomma, sa fare politica.
Certo, nascose la cosa di Previti; ma ne ha assorbito i contraccolpi minimizzandoli con sorriso impassibile, tipica dote politica.
Quando parla sembra un po’ in una telenovela: come nell’appello finale nel confronto in televisione a Sky. Ha flirtato a sinistra («azzeriamo il debito di Roma con le banche, e rinegoziamolo»), ma ha pronte in queste due settimane due armi per l’elettorato di destra.
Sugli immigrati, su cui – come Tariq Ramadan sull’Islam – modifica versione in base a chi ha davanti: da oggi, vedrete, dirà cose come «non devono diventare una minaccia». Sui campi rom (andò in radio e disse: «Semplificando si può dire ai rom “annate a lavorà ?” Sì»).
Forse parlerà meno di funivie, e più di discese ardite e risalite (alla Lucio Battisti).
Di sicuro cercherà di introdurre il baratto: ma quello politico, coi voti della Meloni che Salvini vorrebbe darle, ma Giorgia paradossalmente no.
Jacopo Iacoboni
(da “La Stampa”)
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Giugno 7th, 2016 Riccardo Fucile
NELLE ROCCAFORTI DEL PD, HA INTERCETTATO IL DISAGIO DEI QUARTIERI DEGRADATI… MA STRIZZA L’OCCHIO ANCHE ALLA BORGHESIA TORINESE
In questi sette mesi di campagna Appendino ha dato voce ai tanti «che si sono sentiti esclusi» puntando il dito «sulla frattura della città ».
E lei, la figlia della borghesia di Torino che ha studiato alla Bocconi e fa l’imprenditrice insieme al marito, ha guidato il M5S alla conquista delle periferie Nord della città tradizionalmente «roccaforti rosse».
Ci sono due dati che meglio di altri raccontano l’avanzata grillina e la dèbacle dei democratici.
Il Pd è il primo partito nella circoscrizione Centro-Crocetta, dove vive la maggior parte della classe media torinese con 13 punti di vantaggio sui grillini.
Il M5S è primo con 6 punti di vantaggio in Barriera di Milano e con 9 punti alle Vallette.
Che cosa è successo?
«Noi – racconta Appendino – andiamo ogni settimana nei mercati a parlare ed ascoltare le persone. Ascoltando i cittadini abbiamo capito che una parte di Torino non si è sentita rappresentata da una narrazione scorretta o quanto meno imprecisa della città . Chi va al mercato solo alla vigilia delle elezioni non può capire il disagio e il malessere».
Appendino ha dato voce alla rabbia degli esclusi parlando della necessità di «combattere povertà e disoccupazione giovanile».
Ed è stato un successo non solo nelle periferie Nord della città ma, anche se in modo meno marcato, a San Donato, Aurora e Mirafiori.
E adesso? «Torniamo nei mercati, in mezzo alla gente. Dopo 5 anni di opposizione adesso il M5S è una forza di governo e a Torino ha una sfida da vincere, ricucire la città ».
A dire il vero in questi mesi Appendino e la sua squadra hanno lavorato per intercettare altri mondi.
Quello delle professioni, ad esempio, con la scelta di Sergio Rolando come assessore in pectore al Bilancio, commercialista e uomo dei conti prima di Bresso e poi di Cota in Regione e che vanta una lunga e solida amicizia con Angelo Burzi, ex assessore al Bilancio di Forza Italia all’epoca della presidenza Ghigo.
E’ probabile che pezzi di centro-destra abbiano già votato Appendino al primo turno. La Lega Nord lo farà al ballottaggio.
Da sinistra al primo turno è arrivato il sostegno di uno dei due consiglieri uscenti di Sel e un ex consigliere regionale di Rifondazione si è schierato con lei per il secondo turno.
Appendino, però, esclude ogni forma di apparentamento al secondo turno – «non siamo quelli che danno poltrone in cambio di voti» – anche se chiunque «ci vorrà votare perchè condivide il nostro programma è ben accetto».
Maurizio Tropeano
(da “La Stampa”)
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