Giugno 29th, 2016 Riccardo Fucile
E AL BILANCIO UN EX ASSESSORE DI MARINO… MENTRE BERDINI E’ IN CONFUSIONE
A pochi giorni dal primo consiglio comunale del 7 luglio in Campidoglio, Virginia Raggi deve fare i conti con le polemiche per la nomina del fedelissimo Daniele Frongia come capo di gabinetto.
A contestare la scelta è il Partito democratico che lo ha accusato di non poter firmare atti di spesa o di nomina perchè la legge Severino glielo impedisce in quanto eletto un anno fa.
I dem però vanno oltre e sostengono che i poteri di firma saranno in mano al vice Raffaele Marra, entrato in Campidoglio con l’ex sindaco An Gianni Alemanno e un curriculum di incarichi in Regione con Renata Polverini e prima ancora al ministero dell’Ambiente (sempre con Alemanno):
“Cose da, anzi no, neanche da Prima Repubblica”, ha attaccato il senatore dem Stefano Esposito, “E questa sarebbe la banda degli onesti in Campidoglio: un ex fedelissimo di Alemanno e Polverini, ex assessori di Marino, i soliti fedelissimi del cerchio magico di Di Maio”.
Marra è dirigente in Campidoglio dall’epoca di Alemanno e per il momento ricopre l’incarico a interim finchè non sarà valutata la sua posizione.
“Lascia stupefatti”, ha detto la vicepresidente del gruppo Pd Alessia Morani, “vedere la nomina con lauto stipendio, di un consigliere comunale a capo di gabinetto. Come lascia interdetti l’escamotage di ricorrere a un ex fedelissimo di Alemanno per firmare quegli atti che Frongia non potrebbe sottoscrivere. Dunque Frongia, alla faccia della legalità , aggira la legge Severino. Se si aggiunge che la giunta si completa con assessori che hanno dato prova di certa omofobia e xenofobia o con figure scelte direttamente da Di Maio, certamente non siamo di fronte al tanto sbandierato nuovismo”.
A prendere tempo è stata solo la deputata M5s Roberta Lombardi, membro del mini direttorio incaricato di dare una mano sulla gestione del Campidoglio, che non ha nascosto le sue perplessità su Marra: “Ho conosciuto il dottor Marra ieri”, ha commentato a “Un Giorno da Pecora”, “ho letto anche io di questi suoi incarichi precedenti. Ora capiremo se è stata una nomina ponderata, ci sarà un approfondimento. Abbiamo anche l’umiltà di dire che, se facciamo dei piccoli errori, li rimediamo subito”.
L’aspirante assessore all’Urbanistica Paolo Berdini al Sole 24 Ore ha dichiarato che i documenti per lo Stadio della Roma sono già stati trasmessi alla Regione.
Solo qualche giorno fa aveva definito il progetto “uno scempio”. Ma dalla Regione però fanno sapere che non sono ancora arrivati i documenti.
Al di là delle polemiche, il vero problema della Raggi ora riguarda gli assessori: la giunta a pochi giorni dal via non è ancora completa e mancano alcune delle pedine fondamentali.
Tra queste quella del Bilancio che potrebbe vedere il ritorno di Daniela Morgante, ex assessore con Ignazio Marino poi dimissionaria.
Intanto la sindaca di Roma Raggi ha confermato le deleghe, conferite in precedenza dall’ex sindaco Marino e dall’ex commissario straordinario Tronca, a dirigenti e dipendenti capitolini per assicurare la continuità amministrativa.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Giugno 29th, 2016 Riccardo Fucile
USCENDO DALLA UE GLI ATENEI PERDERANNO I FONDI EUROPEI… CAMBRIDGE PERDERA’ 66 MILIONI, IL 15% DEL TOTALE… PREVISTO CALO DI ISCRIZIONI E DI ATTRATTIVITA’
Le università inglesi vivono con il fiato sospeso la stagione post Brexit.
A rischio ci sono 1,2 miliardi di sterline che ogni anno, fino ad oggi, sono stati erogati da Bruxelles agli atenei britannici. Che equivalgono al 2,6% degli introiti complessivi delle università britanniche (dati 2013-14 dell’Agenzia statistica per la Higher education).
Con l’uscita dal club europeo, i fondi rischiano di ridursi, anche se difficilmente arriveranno a zero.
Diretta conseguenza: il balzo verso l’alto, fino al raddoppio, del costo delle iscrizioni e la “brain exit”, la fuga dei giovani studiosi europei.
E il problema riguarda anche la ricerca, dove il contributo europeo pesa moltissimo: Bruxelles tra il 2007 e il 2013 ha erogato ad atenei e centri di ricerca 7 miliardi di euro, la corona inglese 4,7 miliardi di sterline.
Senza Bruxelles, rischia di sgonfiarsi anche l’impatto degli studi scientifici e con esso, in un circolo vizioso, anche la possibilità di ottenere i fondi britannici.
Con il pericolo che a perderci siano gli istituti più piccoli, meno blasonati e meno “ortodossi” nelle materie di ricerca. Il dibattito su ciò che attende la “British high education” dopo la Brexit ormai impazza anche nelle aule parlamentari, dove il Labour chiede garanzie per il futuro.
Ma nessuno si azzarda a ipotizzare risposte. E il governo prende tempo fino al 2020.
Partito il countdown per la ricerca: quattro anni alla fine di Horizon2020
Tra quattro anni si chiuderà Horizon2020, il programma dell’Unione per finanziare ricerca e innovazione, sia in ateneo, sia in consorzi con l’industria privata e agenzie governative.
È uno dei principali programmi per il sostegno della ricerca in Europa. Il parlamentare inglese Micheal Gove, conservatore, tra i più accesi sostenitori del Leave (tra i 13 firmatari tories della Letter to Leave), ha sostenuto in campagna referendaria che fino a quella data per le università non cambierà nulla. Non ha però potuto garantire che la situazione, in futuro, resti la stessa.
I 24 migliori atenei britannici hanno ricevuto 579 milioni di euro nell’ultimo anno
I più preoccupati sono i principali gruppi di interesse che rappresentano le università in Gran Bretagna.
Come The Russell Group, un network che conta 24 atenei (tra cui alcuni dei più famosi: London School of Economics, Cambridge, Edimburgo e il King’s College) che solo nell’ultimo anno accademico ha ottenuto da Bruxelles 579 milioni di fondi per la ricerca. “Per tutta la campagna entrambe le parti hanno riconosciuto l’importanza dei finanziamenti europei alle nostre università e chiederemo garanzie dal governo che ciò sia assicurato anche a lungo termine”, ha dichiarato il 24 giugno la direttrice del gruppo, Wendy Piatt. Quali siano i tempi per ottenere queste “assicurazioni” ancora è difficile saperlo.
“Non possiamo andare oltre questo comunicato stampa”, fanno sapere dall’ufficio stampa del Russell Group.
Identica risposta da Universities Uk (Uuk), il più grande tra i network di atenei britannici. “Il voto di giovedì non significa alcun cambiamento immediato per quanto riguarda programmi come Erasmus+ e Horizon2020, nè per staff e studenti provenienti dall’Unione — spiegano dall’ufficio stampa -. La nostra principale preoccupazione è fare in modo che il governo britannico prenda le decisioni necessarie per garantire che si possa continuare a lavorare in questo modo”.
In che termini e in che tempi, non si sa.
Le conseguenze per gli atenei britannici, in caso di negoziati al ribasso, sarebbero devastanti. Il settore universitario è tra più importanti del comparto pubblico inglese: il suo valore è 73 miliardi di sterline (3,7 dei quali prodotti dagli studenti che arrivano da Paesi comunitari) e conta 380 mila addetti.
Il prof di Cambridge: “Perderemo 100 milioni di sterline all’anno”
All’Università di Cambrige, il professor Ross Anderson ha provato a fare una stima di quanto possa perdere il suo ateneo. Solo per la ricerca, sarebbero il 15% dei fondi, ossia oltre 66 milioni. A questo si aggiungono le perdite di iscrizioni e la perdita di attrazione. Il conto, alla fine è 100 milioni di sterline all’anno, ossia il 10% del fatturato dell’università . E siamo a Cambridge, una multinazionale del sapere, per la quale le ripercussioni sono comunque sopportabili.
Il docente di Oxford: “Senza fondi europei avremo meno ricercatori”
Federico Varese è tra i criminologi italiani più stimati all’estero. Esperto di mafie internazionali, è professore all’Università di Oxford: “Senza dubbio le università inglesi ricevono moltissimi fondi di ricerca dall’Europa, sempre più importanti visto il taglio subito da quelli interni”, spiega. Per quanto riguarda le scienze sociali, ad esempio, “i fondi erogati dall’European Research Council (Erc) sono usati per creare posti post dottorati e borse di studio per i dottorati. Quindi se questi fondi vengono meno in un futuro prossimo, avremo anche meno studenti con borse di studio, e meno giovani ricercatori”.
“Le piccole università saranno le più penalizzate”
Questo discorso è tanto più vero per le università piccole. “Le università in Gran Bretagna sono delle aziende. Le grandi non perderanno granchè, per le piccole ci sarà un grosso problema a continuare a richiamare studenti”, commenta Daniele Tori, ricercatore esperto di finanziarizzazione dell’economia che dalla Greenwich University passerà alla Milton Kaynes University.
L’uscita dal circuito europeo potrebbe avere un doppio effetto negativo: il primo è sulla reputazione. Restare fuori dal contesto globale abbatte i punteggi che si ottengono con il Ref (Reaserch excellence framework). Cambridge e Oxford possono anche farne a meno, Greenwich no.
La conseguenza, poi, sarà il sostegno sempre delle stesse ricerche che nel “mercato interno” ottengono più punteggio, a discapito di altre di respiro maggiore e più appetibili in un ambito europeo, dove si premia molto l’originalità .
Pericolo “brain exit”, la fuga dei talenti – Il secondo pericolo è invece l’altra Brexit, la “brain exit”, ossia l’uscita dei talenti.
“Soprattutto per uno studente dell’Unione europea — racconta Tori — il prezzo d’iscrizione ad un ateneo inglese potrebbe diventare il doppio di com’era con la Gran Bretagna nell’Ue”.
Tutti rischi di cui avevano scritto in una lettera 103 rappresentanti delle università inglesi — rettori, vice rettori e direttori di network di atenei — rimasta però inascoltata.
Lorenzo Bagnoli
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Giugno 29th, 2016 Riccardo Fucile
NELLE CITTA’ GUIDATE DAGLI INDIGNADOS LE MAGGIORI FUGHE DI ELETTORI… NEI SEI COMUNI DOVE AVEVANO TRIONFATO UN ANNO FA I RISULTATI PEGGIORI
Governare non paga. Anzi, costa parecchi voti.
È una vecchia regola della politica, che evidentemente colpisce anche chi è sceso in campo proprio con l’intenzione di infrangere le vecchie regole.
Prendiamo i sei sindaci portati in trionfo da Podemos nel maggio del 2015 nei cosiddetti «Comuni del cambiamento».
A un anno dal loro insediamento, il bilancio elettorale piange. È nelle città governate dai sindaci-Indignados che Podemos registra le maggiori fughe di elettori.
Un fenomeno che andrà tenuto sotto controllo anche in Italia, dove città come Torino e Roma hanno appena voltato pagina affidandosi alle sindache del Movimento Cinque Stelle.
Sia chiaro: Podemos e M5S sono due cose molto, ma molto diverse. Però lo spirito, l’approccio e il profilo dei candidati – soprattutto a livello locale – presentano diversi aspetti in comune.
Torniamo in Spagna. Da Valencia a La Coruà±a, passando per Saragozza, Madrid e Cadiz, il calo di votanti balla tra il 4,5% (Valencia) e il 5,9% (Saragozza).
Più contenute le perdite a Barcellona: nella città di Ada Colau i numeri segnano solo una flessione dello 0,87%, ma questa è l’ulteriore dimostrazione che i fenomeni socio-politici catalani seguono strade totalmente diverse da quelle del resto della Spagna.
Fatti due conti, nelle sei città in cui governa, Podemos registra il 20% delle sue perdite totali. Un’enormità .
Il caso più clamoroso è quello di Madrid: tra dicembre e oggi se ne sono andati 107 mila elettori. Manuela Carmena, che guida la Capitale, respinge però ogni coinvolgimento.
“Io sono un sindaco indipendente e il Comune non ha partecipato alle elezioni” dice con un pizzico di sarcasmo. “E poi io non ho fatto campagna elettorale”.
Quest’ultimo discorso è vero per Carmena, ma non per gli altri sindaci: Ada Colau, così come Juan Ribà³ (Valencia), Pedro Santisteve (Saragoza), Josè Maràa Gonzalez (Cadiz) e Xulio Ferreiro (La Coruà±a) sono stati in prima linea sul palco dei comizi di Unidos Podemos. E tranne Ferreiro, gli altri erano candidati.
“Un anno di sindaci del cambiamento, più aneddoti che fatti”, titolava il mese scorso il quotidiano economico Expansià³n, che ha tracciato un bilancio di governo in queste sei città .
“I grandi progetti urbanistici avanzano lentamente o addirittura indietreggiano – notava il giornale – mentre Carmena istituiva corsi di cucina per bambini e inaugurava orti urbani”. Perchè i sindaci del cambiamento hanno subito fatto sentire la loro presenza con iniziative simboliche, come i Re Magi donna nella Capitale o i senzatetto sul palco d’onore nel Teatro di Cadiz.
Ma anche a Barcellona i dipendenti della società di trasporto pubblico sono scesi in piazza per scioperare contro Ada Colau. Che forse un anno fa avevano votato.
Marco Bresolin
(da “La Stampa”)
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Giugno 29th, 2016 Riccardo Fucile
DI MAIO SI FA SCAPPARE: “E’ UNA LEGGE CHE CI FAVORISCE”… I RETROSCENA DELL’ACCORDO
Luigi Di Maio ha detto un pezzo di verità , ieri sera, quando gli hanno posto a bruciapelo la questione, diventata improvvisamente attualissima: e se Renzi cambiasse l’Italicum?
Il candidato premier del Movimento ha detto: «Vogliono cambiare l’Italicum? Sarà il più grande boomerang politico della storia del nostro Paese. Cambiare una legge per danneggiare il Movimento cinque stelle? Fate pure. Noi abbiamo sempre combattuto l’Italicum, nonostante questa sia una legge che ci favorisca, devo pensare che lo pensino anche loro».
Forse mai aveva ammesso, come nell’inciso che sottolineiamo, che l’Italicum è una legge che favorisce il Movimento.
La conseguenza che si può trarre è inesorabile, logicamente: il Movimento, nonostante le dichiarazioni roboanti anti legge elettorale, non ha mai lottato per cambiarla; anzi. E tre scene che siamo in grado di ricostruire lo confermano oltre ogni ragionevole dubbio.
Scena prima.
Giugno del 2014, il momento cruciale del «dialogo», appena nato, tra Matteo Renzi e Luigi Di Maio sulla legge elettorale. Alla Casaleggio associati a Milano si tiene un vertice che è venuto il momento di raccontare per un dettaglio cruciale.
Il tema era, appunto: la legge elettorale, e le ipotesi di doppio turno, di preferenze, di premio (alla lista o alla coalizione?).
Accanto a Gianroberto Casaleggio e pochi altri (cinque persone, compreso il figlio Davide) c’era Aldo Giannuli, il professore che aveva seguito per il Movimento il cervellotico voto on line per elaborare la proposta di legge elettorale dei cinque stelle. Casaleggio era contrarissimo all’idea che Di Maio si sedesse a un tavolo con Renzi. Grillo, che poco ci capiva, lo era nondimeno, per istinto. E i parlamentari scalpitanti?
Raccontò Giannuli, alla fine di quel vertice: «Luigi (Di Maio) è un democristiano vero, farebbe di tutto per sedersi a quel tavolo. Non vede letteralmente l’ora».
Il capolavoro del giovane di Pomigliano fu poi battere le resistenze di Casaleggio e Grillo, e riuscire a sedersi a quel tavolo con Renzi.
Andandosi a trattare lui la legge elettorale diventava in quel momento, di fatto, il leader in pectore dei cinque stelle.
La scalata a Gianroberto Casaleggio nacque lì, e Renzi glielo consentì, pensando che il giovane fosse l’avversario battibile e malleabile. Poi venne l’Italicum. Una legge nella quale – per una serie di contingenze di quel momento – il Movimento cinque stelle viene incredibilmente premiato dal suo stesso acerrimo nemico.
Una legge che manda a nozze la propaganda cinque stelle, consentendo loro di strepitare contro qualcosa che in realtà gli va benissimo.
E qui veniamo alla scena seconda.
Un anno e un mese fa, la comunicazione dei cinque stelle aveva cominciato a diffondere – anche attraverso la coach tv Silvia Virgulti, ma non solo – le istruzioni su come comportarsi in tv in caso di discussioni sulla legge elettorale.
Ai parlamentari che venivano mandati davanti alle telecamere (via via sempre più centralizzata la scelta) fu spiegato, con queste testuali parole: «L’Italicum è una legge che ci conviene».
Bisognava contestarla a parole, ma senza spingere più di tanto nei fatti. Da qui partì nel gruppo parlamentare l’espressione di «Italicum a cinque stelle», per definire quella legge nata tra Renzi e Di Maio.
La scena terza è una carta che giace negli archivi anche se fu presto accantonata. Dicembre 2015. Alessandro Di Battista presentò alla Camera un ordine del giorno, di cui è primo firmatario, per chiedere al governo di «astenersi dall’adottare iniziative legislative recanti proposte di modifica della disciplina elettorale per l’elezione delle Camere una volta giunti all’approvazione della riforma costituzionale».
In pratica è come se Di Battista, l’amico-rivale di Di Maio, gli avesse svelato il gioco, e dicesse in pubblico a Renzi: fate come volete sulla Costituzione, ma non toccate la legge elettorale.
Era quella la ceralacca su un patto già siglato, e che doveva rimanere tale.
Jacopo Iacoboni
(da “La Stampa”)
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Giugno 29th, 2016 Riccardo Fucile
CALENDARIZZATA L’INIZIATIVA ALLA RIUNIONE DEI CAPIGRUPPI
La conferenza dei capigruppo di Montecitorio ha deciso di calendarizzare per settembre una mozione presentata da Sinistra Italiana che – si legge nel testo – «impegna la Camera a deliberare in merito» all’Italicum «al fine di eliminare dalla nuova disciplina elettorale tutti gli evidenti profili di incostituzionalità che, con ogni probabilità , ad avviso dei firmatari» della mozione, «porteranno ad una nuova pronuncia di illegittimità costituzionale da parte della Consulta».
Nella premessa della mozione, firmata dai deputati membri del gruppo SI e a prima firma del capogruppo Arturo Scotto, si sottolinea come sia «di tutta evidenza che il Parlamento, ben prima del pronunciamento della Corte Costituzionale, può intervenire sulla riforma approvata, eliminando quei palesi vizi di incostituzionalità che rendono la legge n.52 del 2015 una vera e propria controriforma elettorale destinata,, a giudizio dei firmatari del presente atto di indirizzo, a provocare una nuova pronuncia di illegittimità da parte della Consulta».
La mozione, che la conferenza dei Capigruppo della Camera ha deciso di calendarizzare a settembre, permetterà quindi all’Italicum di `tornare’ nel dibattito parlamentare e in Aula a quasi un anno e mezzo dalla sua approvazione definitiva e in un contesto nel quale cresce il `pressing’, anche nel Pd, per una sua modifica.
Tra i «vizi» sollevati la mozione fa riferimento alla sentenza della Consulta sul Porcellum sottolineando come l’Italicum, sostanzialmente, li ripresenti. I due aspetti sottolineati nel testo sono la «lesione dell’uguaglianza del voto e nella violazione del voto diretto date dall’enorme premio di maggioranza assegnato» e «la mancata previsione dei meccanismi idonei a consentire ai cittadini di incidere sull’elezione dei rappresentanti».
Quanto al primo aspetto, si legge nella mozione, esso «è macroscopicamente presente nell’Italicum soprattutto in relazione al caso in cui nessuna lista ottenga almeno il 40% al primo turno».
Quanto al secondo aspetto la mozione osserva come nell’Italicum, seppur siano ammesse le preferenze «si prevedono tuttavia capolista bloccati» con il voto di preferenza «relegato ad un ruolo subordinato rispetto ai capolista, riguardando esclusivamente la lista che vincerà conseguirà il premio».
(da agenzie)
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Giugno 29th, 2016 Riccardo Fucile
C’E’ CHI LO DEFINISCE LA “FINE DEL CALIPPATO”, TORNANO IN SCENA CON MARINA I VESSILLI DI SEMPRE: CONFALONIERI, LETTA, GHEDINI E VALENTINI
La cosa più strabiliante, fanno notare alcuni, è che giusto adesso — fuori tempo e con un altro bersaglio – viene soddisfatta in qualche modo la richiesta che fece invano Veronica Lario.
Nel 2009, l’allora moglie di Silvio Berlusconi spiegava infatti, annunciando il divorzio, di aver “implorato coloro che gli stanno accanto” di “aiutare mio marito”, “come si farebbe con una persona che non sta bene”.
Cioè toglierlo dai giri delle Noemi Letizia e dalle trappole delle cene eleganti prima, dalle Ruby poi. Difenderlo da se stesso, forse.
Accade adesso, anche se non esattamente nel senso che avrebbe auspicato Lario: comunque è un ciclo che pure si chiude, con la fine del cerchio magico.
Tanto si porta dietro la “caduta del calippato”, come lo chiamano prosaicamente taluni a Palazzo, intendendo con ciò il dominio da califfa di Francesca Pascale (e relativa cerchia), fidanzata trentenne cui è stato concesso tutto ma non la grazia di cancellare l’eco del video Telecafone sulla spiaggia con in mano quella “specie di ghiacciolo che in un tubo chiuso sta”.
Via la più recente accolita intorno al Cavaliere, via le “tre badanti”, o quattro, come le chiamò persino lui una volta, per scherzare.
Quel gineceo che nel momento stesso in cui ha strappato Berlusconi dalle grinfie esose delle olgettine e dei fagiolini ottanta euro al chilo lo ha chiuso però dietro a un muro invalicabile di filtri, continuando a sostenere la sua permanenza nella politica. Un sistema troppo ingombrante, tale da attirarsi sia le antipatie di Forza Italia, sia quelle dell’azienda-famiglia dell’ex Cav.
E’ stato dunque il cuore, come altre volte per lui, a dare la svolta. Stavolta però in senso clinico: al San Raffaele, con la rottamazione della valvola aortica, è stato rottamato anche ciò che quell’equilibrio garantiva.
Dunque anzitutto Maria Rosaria Rossi, la tesoriera, detentrice per volontà del caro Silvio del potere più forte di tutti: quello della firma.
Era lei, in fondo, che teneva fattivamente ancorato il Cavaliere alle beghe del suo partito: si vedrà se senza di lei anche lui si sposterà via via ai margini della scena, dalle parti del padre nobile.
Via anche Deborah Bergamini, responsabile della comunicazione. Via la giornalista Alessia Ardesi, che forse andrà al Tg5. Via le Pascale-girls, insomma. Disarcionate, in qualche modo, da coloro che disarcionarono.
E’ in effetti stupefacente assistere alla contro-rivolta, guidata dalla primogenita Marina, cuore di papà e luce dei suoi occhi, di tutto l’apparato di amici e sodali e professionisti che per anni nella penombra e nel silenzio ha guardato succedersi i tonfi e i trionfi, i bunga bunga e gli scandali, le condanne e le decadenze della decadenza.
Sembrava di no e invece erano tutti ancora lì, evidentemente, i vessilli di stagioni migliori o magari di sempre.
Pronti a intervenire, l’uno a chiamare gli altri, ciascuno a tornare al suo posto: Fedele Confalonieri, Gianni Letta, Niccolò Ghedini, ma anche Valentino Valentini, Sestino Giacomoni, Niccolò Querci, persino la segretaria Marinella Brambilla — alla quale ora si fa la ola perchè ritorni, dopo l’accantonamento voluto dal cerchio magico.
E chissà se pure il maggiordomo Alfredo Pezzotti, che fu congedato tre anni fa e aprì un ristorante, sarebbe disponibile ora a rientrare.
In fondo, dopo tante rabdomanti e vane ricerche dello spirito del ’94, ci si accontenterebbe ormai di recuperare lo spirito del Duemila.
Cancellare, cioè, tutto ciò che è venuto dall’addio di Veronica in poi.
Anche sul fronte politico, sia pur escludendo il ritorno in campo di Berlusconi: non è un caso che si parli di rimettere insieme tutti i vari pezzi dell’ex Pdl, da Alfano a Fitto passando per Verdini, e che vada per la maggiore l’ipotesi di affidare la guida del partito (se non la leadership) a Giovanni Toti. Un uomo, finalmente, dopo tanto femmineo dominio.
Sul fronte personale, si salva giusto Pascale. Purchè appunto resti là , fuori dalla politica come deve starci Silvio: senza sconfinare nelle polemiche, nelle dichiarazioni gay friendly, ma neppure su Instagram (pare sia stato Ghedini a insistere perchè chiudesse il profilo).
Che si contenti al massimo di coccolare Dudù e tenere da conto i selfie con Marina. Che poi non è affatto poco, a pensarci.
Susanna Turco
(da “L’Espresso”)
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Giugno 29th, 2016 Riccardo Fucile
“NECESSITA’ DI RIMANERE NELLA UE PER GARANTIRE AI CLIENTI SERVIZI E TARIFFE”
Vodafone sta valutando la possibilità di spostare la propria sede legale dal Regno Unito verso un Paese delll’Unione Europea.
Lo scrive la BBC citando un comunicato della stessa azienda.
La scelta sarebbe motivata dalla necessità di rimanere nella Ue per garantire ai clienti gli stessi servizi e le stesse tariffe applicate fino a oggi.
“Stiamo valutando giorno per giorno la situazione – specifica una nota – e qualsiasi decisione prenderemo sarà volta a tutelare gli interessi di clienti, azionisti e impiegati”.
Il gigante delle telefonia ha spiegato che per l’azienda è importante mantenere l’accesso “alla libera circolazione di persone, capitali e merci” in Europa, anche se “è presto per trarre conclusioni sulla collocazione a lungo termine dei quartier generali”.
“Restiamo impegnati nel supportare i nostri clienti britannici e continueremo a investire nella nostra compagnia locale del Regno Unito in futuro”: ha fatto sapere all’AGI Vodafone dopo le voci circolate.
Chiaramente, ha aggiunto Vodafone, “è ancora poco chiaro a questo punto quanti degli elementi positivi (dell’appartenenza del Regno Unito all’Ue, ndr) rimarranno in essere quando il processo dell’uscita del paese dall’Unione europea sarà completato. Pertanto non è ancora possibile arrivare a una chiara conclusione per il lungo termine circa la localizzazione del quartier generale del gruppo. Continueremo a valutare la situazione – aggiunge l’azienda nella sua nota – e prenderemo tutte le decisioni appropriate negli interessi dei nostri clienti, dei nostri azionisti e dei nostri impiegati”. In questa fase di attesa, inoltre, il gruppo ha sottolineato come “la larga maggioranza dei nostri 462 milioni di clienti” sia fuori dal Regno Unito, così come “108mila impiegati”.
Nel mentre, in attesa appunto di una decisione su Londra, il gruppo ha fatto sapere che rafforzerà le sue attività a Bruxelles “per preservare l’abilità di Vodafone di avere a che fare in modo effettivo con le istituzioni europee”.
La Bbc, dopo aver intervistato l’amministratore delegato di Vodafone, Vittorio Colao, la settimana scorsa, nella giornata di ieri aveva appunto sostenuto che “Vodafone ha avvertito che potrebbe spostare il suo quartier generale dal Regno Unito a seconda del risultato delle negoziazioni della Gran Bretagna per lasciare l’Unione europea”.
Nel Regno Unito Vodafone dà lavoro a circa 13 mila persone, con una divisione operativa a Newbury, nel Berkshire, e la sede centrale a Londra.
(da “Huffingtonpost“)
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Giugno 29th, 2016 Riccardo Fucile
RISARCIMENTI RICHIESTI ANCHE A BASSOLINO E CALDORO, COINVOLTI CENTO AMMINISTRATORI LOCALI
La Guardia di finanza ha notificato le prime 15 richieste di risarcimento per la mancata bonifica delle discariche – mettendo gravemente a rischio la salute dei cittadini e arrecando gravi danni all’ambiente – che costò all’Italia una multa della Corte di giustizia europea in tema di rifiuti.
Nel mirino sindaci e funzionari della Regione. Un danno da 27 milioni. Tra i destinatari degli inviti a dedurre per danno erariale emessi dalla Corte dei Conti della Campania ci sono anche Antonio Bassolino e Stefano Caldoro, due ex presidenti della Regione Campania e l’ex assessore all’Ambiente Giovanni Romano.
L’inchiesta del sostituto procuratore della Corte dei conti, Donato Luciano, ritiene di aver individuato coloro i quali erano responsabili del riassetto delle discariche ma, a causa della loro inerzia, hanno costretto l’Unione europea a sanzionare l’Italia nel dicembre 2014.
Sono circa 200 i siti di sversamento finiti nel mirino della commissione europea, dislocati in 18 regioni italiane: ben 48 si trovano in Campania. I finanzieri del Nucleo polizia Tributaria comandato da Giovanni Salerno hanno calcolato, discarica per discarica, l’impatto della Campania sul totale della multa pagata dal governo: il danno, come detto, è di 27 milioni di euro. Sono quattro i primi provvedimenti notificati, ma saranno oltre un centinaio i soggetti coinvolti dall’indagine.
Secondo la Guardia di Finanza e la Corte dei Conti i vertici degli enti competenti non avrebbero adottato tutte le misure necessarie malgrado la legge fosse esplicita sull’attribuzione delle competenze e benchè i progetti di bonifica fossero stati ampiamente finanziati dalla Regione Campania nel giugno del 2013, attingendo dalle risorse del POR Campania 2007/2013.
L’Unione Europea ha condannato l’Italia a pagare una somma forfettaria di 40 milioni e penalità semestrali pari a 42,8 milioni di euro, fino alla completa esecuzione delle relative sentenze di condanna della Corte di Giustizia.
L’elenco dei destinatari.
Oltre gli ex presidenti della Giunta regionale Antonio Bassolino (a cui il provvedimento è stato notificato anche in qualità di commissario all’emergenza alle bonifiche e tutela delle acque); l’ex governatore Stefano Caldoro e l’ex assessore regionale all’Ambiente Giovanni Romano, g i altri inviti a dedurre riguardano tre amministratori pubblici attualmente in incarica, tutti in provincia di Avellino: Francesco Ricciardi, sindaco di Monteverde ed ex responsabile unico per le bonifiche; Antonio Russo, neo sindaco di Rotondi, a cui le contestazioni sono state notificate in qualità dell’incarico ricoperto in passato di responsabile unico delle bonifiche; e Stefania Di Cicilia, neo sindaco di Villamaina.
Anche per lei l’invito a dedurre riguarda l’incarico ricoperto in passato di responsabile unico delle bonifiche.
Tra i destinatari anche Massimo Menegozzo, ex commissario delegato per le criticità in materia dei suoli, delle falde e dei sedimenti inquinati e di tutela delle acque superficiali della Regione Campania; Angelantonio Caruso, ex sindaco di Andretta (Avellino); Ines Giannini, ex commissario prefettizio di Andretta (Avellino); Luigi Antonio Scanzano, ex responsabile unico di procedimento ad Andretta (Avellino); Maurizio Rosa, ex responsabile unico delle bonifiche di Monteverde (Avellino); Bartolomeo Esposito, ex vice sindaco reggente di Rotondi (Avellino); Gabriele Lanzotti, ex responsabile unico bonifiche di Rotondi (Avellino); Michele Marruzzo, ex sindaco di Villamaina (Avellino); e Giovanni Vuolo, ex responsabile unico di procedimento di Villamaina (Avellino).
(da “La Repubblica“)
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Giugno 29th, 2016 Riccardo Fucile
PER FORTUNA CI SONO ANCHE TANTE PERSONE PER BENE CHE LE ESPRIMONO SOLIDARIETA’
“Hai inguaiato quei ragazzi”. Dopo essere stata violentata dal branco in un garage a San Valentino Torio, in provincia di Salerno, adesso la vittima dello stupro, una ragazzina 16enne, è costretta a subire un’altra aggressione, non fisica, ma che fa altrettanto male: insulti sul suo profilo Facebook.
Un nuovo branco all’attacco, ma questa volta sui social, frasi spesso anonime o di persone estranee alla vicenda. Un popolo virtuale pronto a giudcare.
Ma lei anche nella realtà virtuale si difende con forza: “Ho fatto la cosa giusta”.
A insultare su Facebook la giovane vittima sono soprattutto maschi: amici, parenti e conoscenti dei 5 minorenni arrestati per lo stupro.
Non tutti i commenti fortunatamente sono di questo tenore. Anzi sono in minoranza. C’è anche tanta solidarietà e ci sono comment idi incoraggiamento.
A difendere la ragazzina ci pensano le amiche, che in molte ribadiscono: “la vittima è lei, non loro”.
E ancora “Spero ke tu possa dimenticare in fretta la squallidissima avventura ke ti è capitata – è l’augurio di una delle amiche sul profilo di D. – e ti faccio i miei complimenti X il coraggio e la forza ke hai avuto”.
Ieri era il compleanno della ragazza e la sua bacheca si riempie di auguri, cuori e fiori virtuali. E il sindaco di Sarno, Giuseppe Canfora, che è anche presidente della Provincia di Salerno, è andato a esprimere la sua solidarietà alla sedicenne vittima di violenza insieme con la presidente del consiglio comunale di Sarno, Maria Rosaria Aliberti.
Anche se San Valentino propende per i suoi concittadini che ieri sono sfilati davanti al giudice dell’udienza di convalida Maria Rosaria Minutolo.
Il giudice si è riservato: oggi dovrà ascoltare l’ultimo indagato, il cui avvocato aveva avuto un impedimento.
Per lo stupro di gruppo del piccolo centro dell’agro nocerino-sarnese ieri al Tribunale dei Minorenni di Salerno sono stati convocati i fermati e i loro familiari.
La madre di uno di loro ha avuto un malore e al suo posto all’udienza ha dovuto presenziare il marito.
Per altri, i figli «sono dei babbei». La zia di uno dei cinque, S. M., ha dichiarato: «Mio nipote non voleva fare del male a quella ragazza».
Uno figlio di commerciante, uno di un camionista, un altro di genitori separati, e il padre fuori dall’aula per questo recriminava, attribuendo alla situazione familiare l’accaduto.
Gli interrogatori continueranno oggi. Il racconto dei minori più o meno coincide: due di loro, V. S. e S. M. conoscevano D. D., la sedicenne di Sarno con la quale V. S. aveva avuto una storia mesi addietro. Non avevano appuntamento, D. frequentava San Valentino dove vedeva degli amici. V. S. e R. R. (a settembre maggiorenne) l’hanno avvistata nella piazza del paese, un punto di aggregazione per tutti e cinque e per gli altri ragazzi della zona.
Lei era seduta sul muretto del supermercato che confina con il parcheggio sottoposto di qualche metro . «Perchè non scendiamo?», chiedono i due, lei – secondo il racconto dei ragazzi – si sarebbe opposta, ma alla fine è finita nel parcheggio con loro.
L’hanno costretta a fare sesso tenendola ferma mentre lei voleva sottrarsi e fuggire. Alla fine hanno detto al giudice che sono arrivati gli altri tre, i sedicenni S.M., F.M. e A.D. Forse chiamati da un sms o un whatsapp inviato dai primi due, i quali però sarebbero andati via e dicono di non sapere che cosa sia accaduto nel sotterraneo perchè non hanno assistito alla scena.
Nessuno è andato in soccorso della sedicenne, che ha anche gridato, nel lasso di tempo di un’ora, durante il quale è rimasta sola con i cinque.
(da “La Repubblica”)
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