Giugno 9th, 2016 Riccardo Fucile
L’UNICA STRADA E’ RINEGOZIARE I TASSI DI INTERESSE
Promettere la ristrutturazione del debito pubblico è un argomento di sicuro successo elettorale. Figurarsi se in ballo c’è quello della Capitale: oltre ai 35mila euro dovuti per il solo fatto di essere italiani, se ne aggiungono cinquemila per la cittadinanza romana.
«Vogliamo ristrutturare il debito», dice la favorita a diventare il prossimo sindaco, Virginia Raggi.
Facile a dirsi, difficile solo a descriverlo nei dettagli: circa tredici miliardi di euro dovuti a dodicimila creditori, 1.686 mutui, due contratti derivati, un costo di 500 milioni l’anno per gestire quel debito, 300 dei quali erogati dal bilancio dello Stato, ovvero dai contribuenti di Aosta e Canicattì insieme.
Il Comune di Roma non ha la certezza su chi siano il 77 per cento dei debitori, nè il 43 per cento dei creditori.
O meglio, fra le montagne di scartoffie da qualche parte c’è scritto, ma ancora non è stato possibile rintracciarli.
La relazione depositata in Parlamento due mesi fa dal commissario Silvia Scozzese è molto più dettagliata di quel che la propaganda Cinque Stelle vorrebbe farci credere.
I mutui ad esempio: sono quasi tutti contratti con la Cassa depositi e prestiti (1.491), ma si tratta di soldi che sono stati concessi secondo regole di mercato, e non possono essere cancellati da un giorno all’altro.
È una leggenda quella secondo la quale il debito della Capitale sia in gran parte da attribuire ai romani stessi: lo stock di crediti non riscossi dal Comune di Roma per gli affitti vale 350 milioni, una frazione di quei 13 miliardi.
Certo è che se gli inquilini pagassero regolarmente e non i sette euro al mese che ancora sono concessi ad alcuni fortunati, i numeri sarebbero meno impietosi.
Ma questa è un’altra storia.
Su un punto invece la Raggi ha ragione, ed è quando dice che quel debito è «principalmente finanziario e nei confronti delle banche».
Lo è più della metà , per l’esattezza il 55,7 per cento, al cambio 7 miliardi e 128 milioni.
Altri due miliardi sono debiti verso altri soggetti della pubblica amministrazione, 3 miliardi e 600 milioni sono i veri e propri debiti commerciali verso privati.
Per onorare i suoi 1.686 mutui il Comune paga lauti interessi, mediamente pari al cinque per cento.
Una cifra fuori mercato, se si considerano i prezzi medi ai quali oggi si può accendere un mutuo. Con un po’ di buona volontà , e l’input politico di un sindaco che avesse voglia di farlo, si potrebbero risparmiare fino a 150 milioni di euro all’anno.
Poichè i romani pagano un’addizionale Irpef dello 0,4 per cento per gestire il debito, quei 150 milioni sarebbero sufficienti a ridurre di tre quarti quell’odioso balzello. Francesco Boccia del Pd ricorda che l’anno scorso, per aiutare le Regioni a rinegoziare i mutui con la Cassa depositi e presiti, si fece una legge ad hoc. «Non si capisce perchè non lo si possa fare anche per il Comune di Roma».
La cosa più sorprendente della relazione della Scozzese è sui numeri della gestione commissariale degli ultimi cinque anni, più o meno da quando i contribuenti romani e non hanno iniziato a versare i 500 milioni che ogni anno (e per l’eternità ) servono a onorare il debito romano.
Da allora sono stati pagati cinque miliardi e 600 milioni: una cifra ragguardevole, che uno immagina siano serviti anzitutto a pagare fatture rimaste inevase.
Chi non ricorda la campagna dell’allora premier Monti e del suo ministro Passera per abbattere i debiti dello Stato verso i suoi creditori privati?
E invece no: quasi la metà di quei 5,6 miliardi – più o meno 2,6 – sono stati necessari a pagare il costo dei mutui e dei contratti derivati.
Altri 2,6 miliardi hanno onorato fatture verso altre amministrazioni pubbliche, dall’Atac all’Ama.
La cifra destinata ad estinguere i debiti veri e propri è stata di appena 300 milioni di euro, il cinque per cento dell’ammontare.
Che sia Giachetti o Raggi, prima di chiedere conto di eventuali numeri ignoti, il prossimo sindaco farebbe bene a far chiarezza sui numeri noti.
Alessandro Barbera
(da “il Corriere della Sera”)
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Giugno 9th, 2016 Riccardo Fucile
“SE AI GIOCHI ESISTESSE UNA MEDAGLIA PER L’IMPROVVISAZIONE I CINQUESTELLE VINCEREBBERO L’ORO”
Olimpiadi o non olimpiadi?
Per uscire dall’impasse di questi giorni la deputata Pd Paola Taverna lancia un terzo scenario: rinviarle.
“Il M5S ha ben chiare quali sono le priorità per Roma, che sta soffrendo e non è pronta ad ospitare le Olimpiadi”, ha detto a Radio Cusano Campus.
“Noi abbiamo detto che si può fare un referendum e ascoltare la popolazione. Io personalmente posticiperei le Olimpiadi e le farei solo dopo aver risollevato Roma, risolvendo i problemi quotidiani”.
Un’idea che ha scatenato in poco tempo le reazioni ironiche degli esponenti del Partito democratico.
A partire dal candidato sindaco Roberto Giachetti: “Paola Taverna: ‘Posticiperei le Olimpiadi’. Adesso chiamo il Cio e chiedo se si possono fare nel 2047. P.S. Però le elezioni no, eh!”, ha commentato scherzando su Twitter.
“Immagino le facce dei funzionari del Cio quando i Cinque Stelle formalizzeranno la richiesta di posticipare le Olimpiadi a Roma”, commenta invece Ernesto Carbone. “Ma in che mondo vive la senatrice Taverna? Ma lo sa che i Giochi del 2024 non sono stati ancora assegnati? Ha una minima idea di quante energie e competenze servono per presentare una candidatura olimpica? Pensa davvero che sia possibile saltare un turno e ripresentarsi per il 2028 o il 2032?”.
“L’ho già detto e lo confermo – prosegue Carbone – : questi non sono in grado di amministrare neanche un condominio. Altro che Campidoglio”, aggiunge.
Dello stesso avviso Emiliano Minnucci. “Grazie alla senatrice Taverna, abbiamo finalmente capito quale sia la posizione del Movimento 5 Stelle rispetto alle Olimpiadi del 2024: non avere alcuna posizione e prendere tempo in attesa di risolvere gli altri problemi della Capitale. Se ai Giochi esistesse una medaglia per l’improvvisazione, i 5 Stelle vincerebbero l’oro”
(da “Huffingtonpost”)
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Giugno 9th, 2016 Riccardo Fucile
IL 56% DEI ROMANI VUOLE LE OLIMPIADI, UN ALTRO 21% E’ ABBASTANZA FAVOREVOLE, SOLO IL 23% E ‘ CONTRARIO
Nel caso in cui a Roma, per la corsa al Campidoglio, vincesse la candidata sindaco del M5S, Virginia Raggi, “saremmo costretti a ritirare la candidatura mentre siamo vicini alla meta”.
Così, in un’intervista al Corriere della Sera, Luca Cordero di Montezemolo, presidente del Comitato promotore dei Giochi olimpici di Roma 2024.
In campagna elettorale Raggi era stata categorica rispetto all’ipotesi Olimpiadi nella Capitale (“È criminale pensarci”), ma poi, di fronte alla controffensiva di Giachetti, sembra aver ammorbidito i toni: il referendum? “Valuteremo”, ha risposto, in merito alla possibilità di far scegliere i cittadini con un referendum.
Per Montezemolo, è necessario “avere in mente i giovani e giovanissimi. Quelli di 13-15 anni, che saranno gli atleti delle Olimpiadi del 2024. E quelli che avranno un’occasione di lavoro. Si tratta, da qui al 2024, di 180 mila posti, secondo lo studio della commissione di esperti presieduta da Beniamino Quintieri.
E il Pil, nello stesso periodo, aumenterà del 2,4%”.
Secondo un sondaggio SWG per il Messaggero, la maggior parte dei giovani la pensa così:
oltre la metà dei romani, per l’esattezza il 56%, vuole le Olimpiadi. Il 21% è tiepidamente favorevole e solo il 23% è contrario.
È la fotografia scattata da un sondaggio SWG effettuato una quindicina di giorni fa su un campione di 1.500 cittadini, dunque con un numero di risposte del 50% superiore ai carotaggi classici.
Lo studio fa emergere una notevole attenzione al tema un po’ in tutti gli strati sociali della Capitale. Ma, a sorpresa, rivela che le categorie più favorevoli allo svolgimento dei giochi olimpici a Roma sono gli studenti (76%), i giovani (66%), gli operai (65%) e i commercianti (59%).
“I romani, ma in particolare i più giovani, vivono il progetto dell’Olimpiade un po’ come i milanesi hanno fatto con l’Expo – spiega al Messaggero Enzo Risso, direttore dell’SWG – Ovvero non solo come un’occasione di sviluppo economico e sociale ma come un volano per il rilancio della Capitale e, con essa, dell’intero Paese”.
Un tema su cui insiste anche Montezemolo nella sua intervista al Corriere. Si potrebbero fare ugualmente le Olimpiadi, se il sindaco fosse contrario? “No”, ha risposto Montezemolo. “Saremmo costretti a ritirare la candidatura mentre siamo vicini alla meta. La decisione sarà presa a settembre 2017, siamo ottimamente piazzati nella competizione con Los Angeles e Parigi. Perciò mi auguro che, chiunque sarà sindaco, ci si unisca e si faccia squadra per vincere: Roma non può arrendersi, perchè significherebbe ammettere che siamo inferiori alle altre città . E tutte le forze, dalle scuole agli ecologisti, sono con noi”.
“Se mi dicessero vuoi le Olimpiadi oggi, risponderei di no”, ha proseguito Montezemolo. “Ma qui parliamo dei giochi del 2024. Significa che ci sono 5 anni della prossima amministrazione e poi altri 3. Io mi aspetto che in 8 anni i problemi della capitale siano risolti. Non solo quello delle buche, ma che ci siano servizi efficienti e che migliori la qualità della vita nelle periferie. E che quindi Roma sia in grado di affrontare la sfida. Noi oggi dobbiamo avere in mente i giovani e giovanissimi. Quelli di 13-15 anni, che saranno gli atleti delle Olimpiadi del 2024. E quelli che avranno un’occasione di lavoro.
(da “Huffingtonpost”)
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Giugno 9th, 2016 Riccardo Fucile
BUTTAFUOCO: “SI SONO INVENTATI BATTAGLIE PER ASSECONDARE I PEGGIORI ISTINTI E RITAGLIARSI UNA CARRIERA”… VENEZIANI: “I PRESUNTI LEADER DELLA DESTRA PENSANO SOLO A FOTTERSI A VICENDA”
Un conto era aver trasferito la ridotta di Valtellina a Cortina d’Ampezzo.
«Hanno biografie da passeggio», disse pochi anni fa Marcello Veneziani, scrittore di destra senza sciocchi imbarazzi, sugli eterni colonnelli del postfascismo.
Sembrava impietoso e invece no: il finale non è da passeggio, col maglione di cachemire adagiato sulle spalle, ma una spassosa questione di ringhiera.
Alessandra Mussolini, capolista di Forza Italia a Roma, non entrerà in Consiglio comunale perchè ha preso meno di millecinquecento voti, ma è felice come una pasqua: «La mia missione, per volere di Silvio Berlusconi, era di impedire l’accesso di Giorgia Meloni al ballottaggio». Meloni la risposta l’ha studiata bene: «Fa una certa impressione vedere una Mussolini vantarsi di una badogliata».
Difficile escogitare insulto più sanguinoso, visto che Pietro Badoglio è stato consegnato alla storia come il traditore opportunista del Duce.
E infatti Ignazio La Russa, attendente di Meloni, si è figurato l’«incorruttibile» buonanima rigirarsi nella tomba, non fosse per Rachele, sorella di Alessandra, unica Mussolini eletta in Campidoglio in una lista civica «Per Giorgia».
Chissà se è un buon argomento di discussione dopo che l’altro giorno, sul Tempo, proprio Meloni ne aveva proposto un altro, a proposito di Francesco Storace che a Roma, con La Destra, ha preso poco più di settemila voti, e cioè lo 0.6 per cento grazie anche all’appoggio di Gianfranco Fini e Gianni Alemanno.
L’ex sindaco le ha risposto ieri: «Ci chiede il pudore di farci da parte. Mi dispiace, siamo spudorati»; ha poi concluso con mano di juta augurandosi che una volta provata la gioia più grande (la maternità ) possa «liberarsi dall’odio e dal risentimento».
Il dibattito lo si direbbe all’altezza delle percentuali: già segnalate quelle di Storace, uno ancora capace di dignità e autocritica, degne di nota quelle di Meloni che nel resto d’Italia non esiste: 2.4 a Milano, 1.4 a Torino, 1.2 a Napoli.
Per la completezza del quadro tocca registrare l’esultanza di Casapound per il 4 per cento a Sulmona, per il «10 per cento nel seggio di Via Fasan a Nuova Ostia», per il passaggio dallo 0.5 all’1.1 a Roma, e per lo 0.58 a Torino.
È tutto quello che resta – e infilarci Casapound è un arbitrio – di Alleanza nazionale che prendeva milioni di voti ed era arrivata fino al 15 per cento.
E sono trascorsi solamente otto anni dal giorno in cui Alemanno era arrivato al ballottaggio romano, per poi vincerlo contro Francesco Rutelli, col 40 per cento. Storace era prossimo al quattro
Pietrangelo Buttafuoco – altro scrittore che aveva cercato di nobilitare la destra – non è così contento di pronunciare l’elogio funebre. Un po’ perchè elogio non è, un po’ perchè è complicato riassumere in poche parole una così spaventosa e buffa tragedia.
Comunque: «C’è stato chi si era fatto carico di un’eredita della sconfitta, di custodire un deposito di memoria che evocava la tragedia, ma che poi l’ha trasformata in una faccenda di botteguccia per ritagliarsi una carriera».
Ancora: «Si sono inventati battaglie e hanno assecondato campagne per assecondare i peggiori istinti. Un partito, il Movimento sociale, fondato da Ardengo Soffici e da Biagio Pace, ha scansato le personalità per far posto ai personaggi».
Cioè, ha fatto la fine che meritava.
Anche Marcello Veneziani, oltre le sue «biografie da passeggio», è in difficoltà ad analizzare «uno sfarinamento a scaglioni».
Si direbbe che alla destra italiana abbia fatto molto peggio il ventennio berlusconiano che il ventennio del Fascio.
«L’idea di An di diventare fotocopia di Forza Italia e il deludente risultato di Alemanno hanno favorito una progressione che culmina oggi».
Culmina, intende Veneziani, nelle imbarazzanti leadership attuali che, spiega uno dei loro, in queste settimane rimasto ai margini, «hanno usato la campagna elettorale per fottersi a vicenda», incapaci di intercettare quel poco che la dialettica destra-sinistra ancora concede, di dire qualche cosa di poco più che banale su temi ancora divisivi «come la bioetica e la famiglia», conclude Veneziani.
Eravamo rimasti alle infiltrazioni badogliane nella famiglia Mussolini. Ma c’è poco da dire, secondo Buttafuoco.
Basta citare Totò: «Sti ppagliacciate ‘e ffanno sulo ‘e vive: nuje simmo serie… appartenimmo à morte».
Mattia Feltri
(da “La Stampa”)
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Giugno 9th, 2016 Riccardo Fucile
ALTA TENSIONE TRA MARINA E IL CERCHIO MAGICO: “MA LO AVETE PORTATO A VOTARE?”
Al San Raffaele la storia cambia in modo brusco e anche angosciante. Brusco e angosciante come le parole del medico personale di Silvio Berlusconi, Alberto Zangrillo, che squarcia ogni velo di ambiguità sul caso, spiegando che l’ex premier “ha rischiato di morire” e che sarà sottoposto a un intervento chirurgico al cuore, delicato e lungo, la prossima settimana
E se le mani del cardiochirurgo, il professor Alfieri, sono mani rassicuranti anche per un intervento, come si dice in gergo, a cuore aperto, è chiaro che nulla sarà come prima: “Sconsiglio — dice Zangrillo — di tornare a fare il leader politico”.
Il che non significa che il Cavaliere non potrà tornare vispo e pieno di vita, come prima più di prima, ma certo i tempi di recupero tanto brevi non saranno e, di certo, non potrà chiedere al suo corpo di reggere i ritmi, frenetici e faticosi, e anche un po’ imprudenti sostenuti fin qui.
E a cui lo hanno spinto e incoraggiato anche quelli che gli stanno attorno.
“Ma lo avete portato a votare?”, “Ma lo avete portato a fare un comizio a Ostia mentre aveva già uno scompenso”, “ma ha fatto campagna elettorale come se nulla fosse?”. Nelle domande della figlia Marina ma, più in generale di tutta la famiglia, c’è una tensione neanche tanto velata col famoso “cerchio magico”.
Per come si è preso cura, o meglio non si è preso cura del padre. E per come ha condotto la vicenda negli ultimi giorni, di fatto negando il problema.
Ci vorrebbe lo sguardo di Monicelli per descrivere l’atmosfera da romanzo noir, in cui l’epilogo politico di una grande storia è avvolto da piccole o grandi meschinità umane: “Sta bene”, “solo stress”, “tornerà in campo per i ballottaggi”.
Per giorni la strategia di comunicazione del “cerchio” è stata opposta a quella dei medici che, da subito, avrebbero detto la verità .
E pare che sia rimasto molto contrariato anche Fedele Confalonieri, nel toccare con mano, dopo la visita, la gravità della situazione. E infatti parlando con Renzi non ha detto “solo stress” ma “non c’è pericolo di vita”.
Una differenza che racconta non punti di vista diversi nella comunicazione ma una tensione, tra le persone più vicine a Berlusconi, sul controllo del vecchio leader.
Un controllo, della sua vita e della sua salute, che finora è stato esercitato più dal cerchio che dalla famiglia Marina.
Nello sguardo teso della primogenita, nella sua trattenuta tensione, nelle poche spigolose parole sussurrate ai familiari c’è la rabbia nei confronti di chi, finora, ha minimizzato il problema, negandolo, per paura che la malattia significasse perdita di controllo.
Ecco Berlusconi esponendo come una Madonna pellegrina alle cene di finanziamento, ecco Berlusconi che fa i comizi: “Scendi in campo”, “sei sempre tu”, “fagli vedere chi sei”, “c’è una folla che ti aspetta”.
Le cene di Arcore sono sedute di training autogeno per un leader che, in fondo, ama sentire frasi che esorcizzano il passare del tempo e gli acciacchi.
Dentro Forza Italia parecchi parlamentari sono medici: “Ma è possibile — si domanda uno di loro — che non gli hanno fatto fare nessun controllo arrivando a una stenosi così severa? Ha un malore, è gonfio, e non gli fanno fare un’ecografia al cuore?”.
Prima ancora di quel che accadrà dentro Forza Italia, dei direttori, delle cabine di regia che verranno durante la convalescenza di Berlusconi, prima ancora dell’ipotesi, che già circola, delle due miss preferenze Gelmini e Carfagna come reggenti, con annessi veti, veleni e invidie delle donne del cerchio magico, di tutto questo c’è il “chi si prenderà cura del Cavaliere”: affiancandolo nella convalescenza, intrepretandone la volontà , con consigli e premurosi divieti.
Insomma, se Marina passerà dalla rabbia trattenuta all’azione. E chissà , alla politica. In un contesto delicato, anche psicologicamente, per un uomo che è sempre stato, come dicono gli americani, stronger than life e che ora è semplicemente impaurito, per quel che è stato e per l’intervento che sarà .
(da “Huffingtonpost“)
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Giugno 9th, 2016 Riccardo Fucile
L’INTERVENTO LA PROSSIMA SETTIMANA, L’INTERVENTO DURERA’ 4 ORE: “VA SOSTITUITA LA VALVOLA”
Silvio Berlusconi sarà operato al cuore. La diagnosi per l’ex premier è infatti di insufficienza aortica “di grado severo”.
La valvola aortica dovrà essere sostituita: sarà operato da Ottavio Alfieri, primario di cardiochirurgia al San Raffaele, entro la prossima settimana, l’intervento durerà 4 ore.
E’ stato il giorno della verità e delle visite eccellenti per Silvio Berlusconi, che domenica sera ha avuto uno scompenso cardiaco, e da martedì è ricoverato al San Raffaele di Milano.
Visto il pressing mediatico che da giorni pesa sulla famiglia e sulla cerchia più ristretta dei collaboratori di Forza Italia, alle 17 è stata convocata una conferenza stampa nell’ospedale di via Olgettina per sciogliere il ‘giallo’ sulle sue condizioni di salute dell’ex premier.
Nonostante Forza Italia continuasse a negare l’ipotesi dell’intervento chirurgico, lo staff medico che segue Berlusconi ha comunicato la decisione di sottoporre Berlusconi a una operazione al cuore.
Alberto Zangrillo e gli altri medici della clinica stamattina hanno avuto al San Raffaele un consulto molto importante con diversi luminari di cardiologia e cardiochirurgia, per stabilire la strada da intraprendere.
In ospedale, intanto, sono continuate le visite di familiari e dei più stretti collaboratori come l’avvocato Niccolò Ghedini, che è arrivato in via Olgettina per incontrare l’ex premier.
Ci ha provato anche Denis Verdini, ex compagno di partito di Berlusconi (ora leader di Ala), che però è stato fermato perchè “il leader di Forza Italia può ricevere solo la visita dei familiari e dei più stretti collaboratori”.
Ghedini già mercoledì era rimasto nella stanza di Berlusconi – una suite privata che occupa buona parte del sesto piano del padiglione D del San Raffaele – per tutta la mattina, insieme con la compagna del leader di Forza Italia, Francesca Pascale, e la primogenita Marina, che è tornata dal padre verso le 12.30.
Prima di raggiungere la suite al sesto piano dove è ricoverato, aveva solo detto: “Sta bene, proseguono gli accertamenti”.
Tra coloro che hanno fatto visita a Berlusconi anche il presidente di Mediaset Fedele Confalonieri, insieme con l’amministratore delegato del Milan Adriano Galliani.
“E’ lì, sta bene”, ha detto il numero uno di Mediaset prima di lasciare l’ospedale, riferendosi allo stato di salute del leader di Forza Italia, che ha ricevuto la vista anche di Gianni Letta, suo storico braccio destro e sottosegretario alla presidenza del Consiglio dei ministri fino al 2011 durante i mandati da premier di Berlusconi.
L’ex premier era parso “molto affaticato” a chi gli ha fatto visita. Gli accertamenti condotti in questi giorni dai medici sono stati mirati a capire le cause dello scompenso cardiaco che si è verificato a Roma a sera di domenica 5 giugno, giorno delle elezioni.
Inizialmente i controlli erano stati programmati al rientro a Milano per il pomeriggio del lunedì: dopo i primi accertamenti, però, i medici del San Raffaele hanno deciso di ricoverare Berlusconi a partire dal giorno dopo, martedì. I tempi del ricovero, all’inizio stimati in un paio di giorni al massimo, si sono poi allungati più del previsto.
Ora la decisione di procedere con l’operazione.
(da “La Repubblica”)
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Giugno 9th, 2016 Riccardo Fucile
SALVINI HA PERSO ANCHE IN ALCUNE SUE STORICHE ROCCAFORTI
La Lega Nord doppiata da Forza Italia nella Milano di Salvini (battuto nettamente da Mariastella Gelmini nelle preferenze, un’«umiliazione» che brucia parecchio al diretto interessato). Addirittura superata dal Pd nella Varese di Maroni.
Cosa è successo? Il prezzo da pagare per il progetto nazional-lepenista intrapreso dal «Capitano»? Tutt’altro.
Quello che il Carroccio perde nelle sue roccaforti storiche, a causa frutto della svolta sudista, non viene raccolto al Centro-Sud.
Anzi, come già si era intravisto alle regionali dello scorso anno (2,29% in Puglia), il brand Salvini da Roma in giù raccoglie solo briciole.
«Noi con Salvini» il partito creato per presentarsi alle elezioni nelle regioni in cui la Lega non esiste, balla tra l’uno e il due percento.
Il tema sarà affrontato domani alla riunione del consiglio federale convocata in via Bellerio e galvanizza quei leghisti che, sin dall’insediamento di Salvini, ripetono: «Che ci andiamo a fare in Campania? Concentriamoci sul nostro territorio». L’argomento doveva essere oggetto di discussione del congresso, inizialmente convocato per gennaio-febbraio.
Poi spostato a marzo-aprile, quindi rinviato all’autunno.
«Finirà che lo faremo a dicembre, con un anno di ritardo» ammette un deputato lombardo, facendo notare che «certamente non lo potremo fare prima del referendum sulle riforme costituzionali».
L’obiettivo di quel congresso era di mettere mano allo statuto del Carroccio e di trasformare il partito.
Non tanto in una «Lega Italia» (alcuni dirigenti dicono di «rabbrividire» davanti a quel nome), piuttosto in una «Lega delle Nazioni».
Creare un partito che riprenda le tesi di Miglio delle tre Repubbliche Federali: del Nord, dell’Etruria, e del Sud, a cui si aggiungerebbero le Regioni autonome.
Visti gli ultimi risultati, però, sono in molti a tirare il freno e a chiedere se la strada del partito nazional-lepenista sia quella da seguire.
Matteo Salvini, che punta alla leadership dell’intero centrodestra, ovviamente non arretra. Il 25 giugno organizzerà una kermesse per gettare le basi di un programma comune da offrire alla coalizione.
Ma gli alleati di Forza Italia hanno più di un motivo per chiedergli di abbassare la cresta.
Prendiamo per esempio Roma, dove il segretario si è speso più volte in prima persona, con iniziative elettorali e con la grande manifestazione del febbraio dello scorso anno. Ci puntava parecchio. E invece, nella corsa al Campidoglio, la lista Lega-Noi Con Salvini si è fermata al 2,71% e non avrà nemmeno un consigliere.
È andata un po’ meglio a Latina (4,07%) e Terracina (3,66%), ma in altre parti del Lazio i numeri sono drammatici: 2,7% a Cassino, addirittura 0,95% a Sora.
Ma nelle zone del Sud in cui il progetto Noi Con Salvini è attivo da quasi un anno e mezzo i risultati sono persino peggiori: 1,39% a Gallipoli, 1,93% a Caserta, solo 0,20% a Crotone.
E così succede che nell’intera Sicilia l’unico successo da sbandierare sia quel 9,18% di Grammichele, 13 mila anime, paese che ha dato i natali a Raffaele Lombardo. Altrove i candidati salviniani non hanno corso nemmeno sotto il simbolo ufficiale, ma si sono candidati in altre liste.
Segno che la storia della Lega continua a essere l’ostacolo più grande ai sogni garibaldini di Salvini.
Marco Bresolin
(da “La Stampa”)
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Giugno 9th, 2016 Riccardo Fucile
“STRUTTURA DA SMANTELLARE”… MA MANCANO FONDI E IL COMUNE E’ SCIOLTO PER MAFIA… LO STATO DOV’E?
L’ inverno scorso, nella stagione degli agrumi, erano arrivati a mille, stipati nella tendopoli; adesso circa la metà è andata a raccogliere pomodori altrove, e sono rimasti in poco più di 400.
Quasi tutti con lo status di rifugiati, o in attesa di ottenerlo: cittadini ormai stanziali, a dispetto di sistemazioni che dovrebbe essere temporanee per definizione; e senza diritti, nonostante non siano nè clandestini nè abusivi.
«La percentuale di popolazione straniera dotata di regolare permesso di soggiorno è andata aumentando, ma tale tendenza si scontra con un’organizzazione del lavoro caratterizzata in modo strutturale da lavoro nero, sottosalario e caporalato», denuncia l’ultimo rapporto di Medu, l’associazione Medici per i diritti umani che da anni monitora la situazione nei campi di Rosarno e San Ferdinando.
La raccolta delle arance viene pagata in media 25 euro al giorno (circa 3 euro all’ora), al lordo delle trattenute per il trasporto nei campi: prima imperavano il caporalato e il cottimo, adesso prevalgono assunzioni in nero o fasulle (a volte intestate a italiani che accumulano i contributi senza fare nulla, mentre a lavorare vanno molti neri africani e pochi bianchi dell’Est europeo).
Un lavoro che comincia all’alba e finisce al tramonto, quando si torna nell’accampamento, dove forse finisce lo sfruttamento ma prosegue un’esistenza degradata.
A sostenerlo non è soltanto un’organizzazione autonoma come Medu, ma il rappresentante del governo: il prefetto di Reggio Calabria Carlo Sammartino, che a febbraio ha approvato un «protocollo di accoglienza e integrazione degli immigrati nella Piana di Gioia Tauro» con l’obiettivo di smantellare la tendopoli.
Proprio in virtù di una presenza tanto massiccia quanto stabile dei rifugiati che lavorano e producono reddito.
L’importanza di quel documento – firmato anche da rappresentati degli Enti locali, della Croce Rossa, della Chiesa, insieme a Caritas, Emergency e Medu – sta nelle premesse, prima ancora che nelle soluzioni.
Perchè è lì che, nonostante il linguaggio apparentemente asettico, è descritta l’intollerabilità del contesto
Occorrono «linee di intervento per il superamento della condizione di precarietà abitativa e igienico-sanitaria in cui versa un consistente numero di lavoratori extracomunitari», si legge.
E più avanti: «Una tendopoli è stata dismessa, ma nell’altra, ancora operante, si registrano condizioni di degrado, anche sotto il profilo igienico-sanitario, nonchè altre carenze».
Infine: «La particolare situazione in cui versano gli immigrati presenti in quel territorio impone interventi non più procrastinabili al fine di garantire la fruizione di servizi essenziali agli immigrati e favorire una piena integrazione degli stessi»
Di qui la decisione di «assicurare, nell’immediato, la riconduzione di San Ferdinando a condizioni di maggiore vivibilità e sicurezza, mediante interventi di bonifica, sostituzione delle tende e degli apparati deteriorati»; e successivamente, «smantellare l’attendamento, mediante l’individuazione e celere realizzazione di politiche attive di accoglienza e integrazione nel tessuto sociale e locale».
Tradotto dal burocratese, significa che i rifugiati non possono più vivere negli accampamenti, che devono scomparire, perchè hanno diritto all’accoglienza in case normali. Ma siamo ancora alla prima fase dell’intervento: per trovare le abitazioni servono soldi (che non bastano mai) e scelte politiche non facili da parte di Regione e Comuni.
Nella Piana la presenza dei «neri» è una miscela che di tanto in tanto esplode, e per gli amministratori locali risulta complicato e scomodo, occuparsene.
Nel 2010 ci fu la rivolta dei migranti, seguita a ripetuti episodi di aggressioni e violenze nei loro confronti, che a sua volta scatenò la contro-rivolta dei locali (esasperati anch’essi da una condizione sociale non certo invidiabile), con venature razziste e sospette infiltrazione mafiose.
Il risultato fu lo sgombero delle ex fabbriche in cui i rifugiati erano costretti a vivere in condizioni non troppo differenti da quelle degli animali nelle stalle.
Si passò alle tendopoli, ma a San Ferdinando, nel 2013, il sindaco ne ordinò la rimozione.
Dopo pochi mesi il governo nazionale rimosse lui, arrestato per concorso con la ‘ndrangheta: il Comune fu sciolto per mafia ed è tuttora commissariato.
Gli extracomunitari sottopagati per raccogliere arance hanno cambiato accampamenti, ma senza che la situazione migliorasse di molto.
Al punto da far scrivere, nel rapporto Medu, che «di stagione in stagione sembra consolidarsi una vera e propria sospensione della dignità e dei diritti per i lavoratori immigrati, radicata in un contesto dove tutta la popolazione deve ancora troppo spesso subire la pervasiva e capillare presenza della criminalità organizzata, a cui si associano gli effetti perversi della malapolitica e del sottosviluppo economico».
Giovanni Bianconi
(da “il Corriere della Sera“)
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Giugno 9th, 2016 Riccardo Fucile
ESSENDO COINVOLTI RIXI, BRUZZONE (LEGA) E ROSSO (FDI), TOTI FA LA MARCHETTA PER MANTENERE LA POLTRONA DI PRESIDENTE
I termini sono scaduti. La giunta Toti ha deciso di non costituirsi parte civile nel processo più importante, da un punto di vista politico, sulle spese pazze, al contrario di quanto, a fine mandato e quindi alla vigilia della campagna elettorale, aveva fatto la giunta Burlando nei confronti dei consiglieri Idv, sotto processo per le stesse accuse, seppure in un altro dibattimento.
Ora deve essere chiaro a tutti che se gli ex consiglieri saranno condannati, di fatto la Regione non potrà più chiedere i danni e neppure pretendere la restituzione dei nostri soldi, spesi da chi ci governava per cene e viaggi, ostriche e champagne.
Si tratta di una scelta politica e come tale sempre legittima. Saranno gli elettori a giudicare.
Ma è altrettanto giusto ricordare che la richiesta del M5S alla giunta di costituirsi parte civile è caduta nel vuoto (i grillini non erano in consiglio all’epoca dei presunti illeciti).
E che poi nessun partito ha speso una parola.
Ieri, solo perchè interpellato, Toti ha spiegato: «Noi ci comportiamo sempre così. Infatti non ci costituiremo neppure per il processo contro Raffaella Paita».
Quelli del Pd, invece, non ci hanno messo neppure la faccia, limitandosi e rendere nota la posizione (teorica) del partito: «Noi ci costituiamo sempre». Sarà . Ma atti istituzionali non ne abbiamo visti.
E per una volta tutti i politici sono rimasti zitti.
Sarà per la vergogna?
(da “il Secolo XIX”)
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