Giugno 12th, 2016 Riccardo Fucile
EMERGONO ANCHE PARISI E MARCHINI… E MARINA CERCA UN TUTOR PER SPAZZARE VIA IL CERCHIO MAGICO, POTREBBE TORNARE BONAIUTI
Un tutor per Silvio Berlusconi. Questo è il piano di Marina.
In tutta la ridda di ipotesi che si sono fatte in queste ore sul futuro dell’ex Cavaliere — che martedì 16 giugno subirà un delicato intervento al cuore — e quello di Forza Italia, per ora l’unica certezza è che la figlia di Berlusconi non ne vuole più sapere di cerchi magici.
E’ a Maria Rosaria Rossi, Francesca Pascale e Alessia Ardesi che la presidente della Fininvest imputa il rischio di morte corso dal padre.
Loro che, nel lungo week end elettorale, l’hanno portato ad Aversa e poi a Ostia e poi ancora a votare, al seggio di Roma, quando era già in condizioni critiche.
“Non le vuole più vedere nè sentire. Marina riprende in mano la vita di suo padre”, racconta un’autorevole fonte di Forza Italia.
E così, dopo l’operazione, la figlia dell’ex Cavaliere ha deciso che la convalescenza avverrà necessariamente ad Arcore, dove lei potrà fargli visita anche tutti i giorni, tenendolo sotto controllo.
Ma anche quando Berlusconi starà meglio e tornerà a Roma, Marina non lo vuole più lasciare nelle mani di quelle che finora gli controllavano perfino le telefonate e gestivano la sua agenda.
Così si sta pensando a un tutor che risponda direttamente a lei: le ipotesi vedono un ritorno in campo della storica segretaria Marinella oppure, a sorpresa, di Paolo Bonaiuti, che però sta in Ncd e sembra non abbia intenzione di tornare in Forza Italia.
Di individuare la persona giusta si stanno occupando anche quelli che Marina considera le uniche persone fidate intorno a suo padre: Fedele Confalonieri, Gianni Letta e Niccolò Ghedini.
Francesca Pascale potrà restare, ma solo sotto il diretto controllo della presidente Fininvest.
Questo per quanto riguarda Berlusconi. Che, se tutto andrà bene, d’ora in poi sarà comunque un leader a mezzo servizio (“non voglio vederlo mai più sopra un palco a fare comizi”, ha sentenziato Marina).
Per il partito, invece, la situazione è diversa. E molto complicata.
Innanzitutto per mancanza di soldi. Se ne sono accorti i candidati alle amministrative, che hanno dovuto tirar fuori i soldi di tasca propria per pagare non solo i manifesti, ma anche una persona che rispondesse al telefono al comitato elettorale.
Da mesi, prima del malore del Cav, c’è un piano per rilanciare il partito attraverso un direttorio di cui dovrebbero far parte Giovanni Toti, Mariastella Gelmini, Paolo Romani, Renato Brunetta, Maurizio Gasparri e Altero Matteoli.
L’idea era quella di rilanciare Fi costringendo tutti i parlamentari a versare un pesante obolo nelle casse per ridare vita a un minimo di struttura organizzativa, con sedi, telefoni, personale.
Ora è probabile che questo piano, partito mesi fa, subisca un’accelerazione.
La logica, visto il risultato delle urne, spingerebbe verso un asse Gelmini-Carfagna, reduci da un grande successo di preferenze alle comunali. Se le due troveranno un accordo, sarà così.
Ma al momento a dividerle c’è il rapporto con la Lega: per Gelmini un rilancio di Forza Italia passa necessariamente per un’alleanza strategica con Matteo Salvini; per la Carfagna, invece, bisogna riallacciare con Angelino Alfano e gli altri pezzi di centrodestra.
Il direttorio probabilmente si farà , ma al momento non ci sarà un primus inter pares. Chiaro, però, che anche se non sarà messo nero su bianco, Gelmini sarà il punto di riferimento dell’asse del Nord, mentre Carfagna guiderà l’agguerrito fronte del Sud.
L’idea di fondo è dare vita a qualcosa di nuovo, con un nome diverso e una convention prevista per l’autunno, dopo il referendum costituzionale.
Un nuovo partito berlusconiano che possa attrarre tutti i centristi scontenti della linea Alfano e contrari all’appiattimento sul Pd renziano (anche se oggi, a sorpresa, davanti ai giovani di Confindustria il ministro dell’Interno ha ipotizzato un appoggio esterno al governo di Ncd in autunno. Vuole rientrare anche lui in partita?): Maurizio Lupi, Renato Schifani, Mario Mauro, Raffaele Fitto, Gaetano Quagliariello e addirittura Flavio Tosi guardano interessati.
Con un grande punto interrogativo su Denis Verdini, che tornerebbe tra gli azzurri solo con un ruolo di guida che nessuno si sogna di concedergli.
“Vedremo se tra tanti colonnelli verrà fuori un generale”, dice Confalonieri al Corriere della Sera, evidentemente scettico sulle capacità di leadership dei big azzurri.
E infatti gli unici due nomi che circolano come possibili numeri uno — nessuno naturalmente vuole chiamarli successori — sono personaggi fuori dal partito: Stefano Parisi e Alfio Marchini.
Il primo ha acquisito prestigio per la grande rimonta su Sala a Milano e, se diventerà sindaco, sarà sicuramente un nuovo punto di riferimento.
Con Marchini, invece, Berlusconi ha consolidato il rapporto (“di grande stima e affetto personale”, raccontano) proprio in queste settimane di campagna elettorale romana.
Parisi e Marchini, dunque, potrebbero essere i nomi dei generali cui pensa Confalonieri.
Tutto questo, dunque, si agita nel futuro di Forza Italia e intorno a Berlusconi, che davvero ora, per raggiunti limiti di età , sarà chiamato a quel ruolo di padre nobile che aveva sempre rifiutato.
Il problema, però, sono i soldi. Perchè al momento le casse sono vuote. “Ma lo sa che se un giovane vuole avvicinarsi a noi, e Dio sa quanti ce ne vorrebbero per ridare linfa a un partito morente, non sa nemmeno che numero di telefono chiamare…?”, conclude sconsolata la nostra fonte.
Gianluca Roselli
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Giugno 12th, 2016 Riccardo Fucile
RISPONDONO A FASSINA E IGNORANO MARCHINI… MENTRE CONTINUA IL RACCONTO “FANTASTICO” DELLA RAGGI SULL’ASSENZA DI COMPETENZA
Siccome è diventato un santino, Enrico Berlinguer è ormai applicabile a ogni ambizione.
Virginia Raggi lo ha citato a proposito dei partiti che «sono soprattutto macchine di potere e di clientela».
Roberto Giachetti, in occasione dei trentadue anni dalla morte, è andato sulla tomba al cimitero di Prima Porta e ha postato la foto su Twitter.
I conti sono tornati per entrambi: Raggi è riuscita a dire che alla profezia del segretario del Pci non è sfuggito nessuno, nemmeno il Pd, e Giachetti ha provato una volta di più a restituire un senso di comunità alla disillusa sinistra romana.
I concorrenti al ballottaggio sembrerebbero persuasi che ora servono i voti di sinistra, e infatti si sono precipitati a rispondere su Huffington Post alle cinque domande di Stefano Fassina «per decidere il ballottaggio»; impegnati a blandire il cinque per cento di Sinistra Italiana, i due non hanno fatto caso al povero Alfio Marchini, pronto a mettere in palio il suo undici: «Se vogliono un incontro, io ci sono». Niente, non lo vogliono.
Forse hanno anche un po’ schifo – politicamente parlando – dei voti di destra, un tempo ambiti da Matteo Renzi: nelle delicate righe a Fassina, Giachetti ha scritto di sentirsi molto più affine a lui che a Marchini; Raggi ha respinto sprezzante le carinerie di Matteo Salvini («mi pare voti a Milano, quindi…»).
E così ieri mattina faceva tenerezza, in collegamento con SkyTg24, il capogruppo di Forza Italia, Renato Brunetta, incitare i suoi fan a convergere su Raggi – e su Chiara Appendino. Raggi l’ha ignorato.
Il Pd ha subito addebitato ai Cinque Stelle amici imbarazzanti: dopo Gianni Alemanno e Salvini ecco Brunetta, ha detto il senatore Andrea Marcucci. Miracolo del Movimento: «Riesce a mettere assieme tutta la destra».
È una tattica comprensibile. Giachetti si industria alla riconquista degli alleati a sinistra (e ha incassato volentieri l’appoggio di un paio di parlamentari ex vendoliani) e dunque degli elettori del Pd assenteisti al primo turno.
Quando Renzi ha progettato l’uso del lanciafiamme dentro al partito, Giachetti si è dichiarato «antimilitarista», quando gli organizzatori del gay pride lo hanno invitato in piazza, lui ha soltanto rinviato, «verrò da sindaco», e ha avuto una parola buona anche per gli occupanti del Teatro Valle.
Raggi invece prosegue nell’infinta e fantastica soluzione a Cinque Stelle di considerarsi ed essere considerati migliori per assenza di competenze e di curriculum. Il povero Giachetti, che fra tutti i politici dell’emisfero è il meno iscrivibile alla Casta, viene trattato come l’ultimo bacillo della peste.
La senatrice Paola Taverna ha pensato di ufficializzare l’appartenenza del candidato del Pd alla planetaria associazione a delinquere delle èlite per il possesso «di due casaletti a Subiaco», mentre Raggi l’altra sera, in un incontro a Unindustria, ha stretto la mano al rivale rivolgendogli il solito sguardo di ripugnanza; poi, mentre lui parlava, lei ha preso e se n’è andata.
Sarà così per l’intera prossima settimana e a cominciare da oggi, quando la coppia si confronterà a In ½ ora da Lucia Annunziata.
Siamo in grado, senza particolari doti di preveggenza, di anticipare che Raggi attribuirà i disastri romani, dalle buche alla spazzatura ai trasporti, al ventennio di paritaria alternanza destra-sinistra, e Giachetti risponderà che, veramente, gli ultimi due sindaci, Gianni Alemanno e Ignazio Marino, hanno dichiarato di votare per i Cinque Stelle.
Il resto sarà la conseguenza per quel che resta della campagna elettorale: dopo Berlinguer, sarà il regno della fantasia.
Mattia Feltri
(da “La Stampa”)
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Giugno 12th, 2016 Riccardo Fucile
DA CARDINI A ISNENGHI, CRITICHE TRA GLI INTELLETTUALI DI DESTRA E DI SINISTRA
Il Mein Kampf venduto in edicola? Un errore. Un passo falso. Un’operazione spregiudicata e ambigua.
La comunità degli studiosi resta per larga parte perplessa dinnanzi all’iniziativa editoriale del “Giornale”.
E non c’entrano il colore politico, la storia personale o la geografia ideale, che avvicinano o allontanano dal quotidiano della destra.
C’entra invece una ragione culturale profonda, che si chiama filologia. E ha a che fare con la natura del testo, e con il suo carattere esplosivo.
Si vuole fare un’operazione pedagogica – come dichiara il direttore Sallusti nel suo editoriale – ossia inoculare nei lettori l’antidoto al virus antisemita che soffia in Europa e in Medioriente?
E allora sul testo occorre lavorare. «Fare come hanno fatto in Germania, un’edizione critica con più di 3.500 note e migliaia di pagine, perchè più pericoloso è un testo più ha bisogno di filtri critici», dice Alessandro Campi, professore di storia del pensiero politico e recente curatore del diario di guerra di Mussolini.
«E se è un’operazione impraticabile perchè impegnativa e costosa, meglio rinunciarvi. Ma è sbagliato diffondere un testo che è quello pubblicato da Bompiani nel 1938, seppure accompagnato da una introduzione di condanna».
A firmare l’introduzione è Francesco Perfetti, autore di saggi sul nazionalismo ma ancora più famoso nella sua veste di attivo militante neorevisionista, impegnato negli anni Novanta nella riscrittura della storia novecentesca in funzione del centro-destra arrivato al governo.
È Perfetti a ribadire il valore di antidoto del Mein Kampf, la cui «lettura dovrebbe vaccinare dalle tossine ideologiche» del nazionalsocialismo.
«Ma anche questa concezione omeopatica dei testi pericolosi rischia di diventare una vuota formulazione retorica », obietta Campi.
«Il rischio vero è che invece possa solleticare quelle frange lunatiche che sono attratte dalle perversioni del Novecento, dal lato oscuro del secolo e dai suoi simboli maledetti».
Mario Isnenghi, studioso dei luoghi simbolici della storia, è ancora più severo. «Questa operazione massmediologica segna uno spartiacque tra un prima e un dopo. Anche nella storia ci sono delle “zone di rispetto”, come nella religione o nella geografia militare. Di fronte a certi territori molto insidiosi, si mandano avanti gli specialisti proprio perchè c’è il pericolo di inabissarsi nella palude.
Il “Giornale” ha preferito saltare qualsiasi mediazione e lanciare il Mein Kampf a un pubblico molto ampio nella traduzione che ne fece il fascismo. Con quale rischio? Risvegliare il can che dorme, che non è più il vecchio nazista in camicia bruna, ma uno nuovo che indossa camicie di colore diverso ma che contraddice le “zone di rispetto”».
Se oggi solleva perplessità l’iniziativa del “Giornale”, peraltro all’indomani della legge che trasforma il negazionismo in reato, non accadde lo stesso quando uscì l’edizione del Mein Kampf curata da Giorgio Galli per una piccola casa editrice di sinistra, Kaos.
«No, non ci furono reazioni ostili, tranne quelle del governo bavarese che ci interpellò per una questione di diritti», racconta ora l’insigne politologo, studioso del rapporto tra nazismo ed esoterismo.
«Francamente non capisco il clamore di oggi. Penso che si tratti di un lancio promozionale per aumentare le tirature del “Giornale”: il nazionalsocialismo è un fenomeno tragico che continua a suscitare grande interesse».
Nessuna strizzata di occhi alla galassia nera della destra, come lamenta oggi il Pd? «Ma no, la collana del “Giornale” prevede anche un saggio serio e assai critico come Hitler e il Terzo Reich di William Shirer. Quanto ai ballottaggi elettorali, escludo che a Milano Stefano Parisi possa vincere grazie al Mein Kampf. Mi sembra una sciocchezza».
Pur critici verso Hitler in edicola, nessuno invoca censure, al contrario.
«I libri vanno sempre letti, soprattutto quando hanno segnato il corso della storia», dice Franco Cardini, apprezzato medievista con simpatie per la destra.
«Sono convinto che la lettura del Mein Kampf possa essere utile. Ma il problema è nell’operazione editoriale. Mi sembra inopportuna, probabilmente dettata da una strategia di marketing con lo scopo di aumentare le vendite. Ne è valsa la pena? Io credo di no».
Simonetta Fioria
(da “La Repubblica”)
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Giugno 12th, 2016 Riccardo Fucile
IL GOVERNATORE: “UN ERRORE SOSTENERE CHE VA SEMPRE TUTTO BENE”
Negli anni d’oro di Silvio Berlusconi e dell’onda azzurro-verde che conquistava il Nord Italia, Torino per il centrosinistra è stata il villaggio di Asterix assediato dai Romani o, se preferite, la Leningrado che non fu mai espugnata dai nazisti.
Adesso, però, potrebbe cadere e diventare la prima grande città del Settentrione a guida grillina.
Sergio Chiamparino, per dieci anni sindaco e ora presidente del Piemonte, si dice convinto che Piero Fassino resterà in carica («Se diamo retta a Chiara Appendino Torino rischia di perdere 250 milioni per realizzare il Parco della Salute»), ma avverte Matteo Renzi e il Pd: «Sottovalutare i segnali che sono arrivati dal primo turno sarebbe sbagliato».
È preoccupato per quello che è successo a Torino dove il Pd va sotto nei quartieri popolari ma è il primo partito nei quartieri borghesi?
«Quello che è successo a Torino è accaduto anche nelle grandi aree metropolitane. Da questo punto di vista si tratta di un voto politico. Non drammatizzerei, perchè possiamo vincere tutti i ballottaggi, ma anche in vista del referendum costituzionale non si può ignorare quel che è successo».
Quale segnale è arrivato?
«Come in tutte le elezioni di medio termine, gli elettori hanno voluto inviare al governo un segnale chiaro: il disagio che si è accumulato in questi anni di crisi non è stato ancora completamente superato e ci vorrà ancora tempo per tornare ai livelli pre-crisi. C’è disperazione non solo negli strati sociali più poveri ma anche in tante famiglie che forse hanno meno problemi di reddito ma si sentono, comunque, marginali. Sono questi nostri cittadini che vivono sulla loro pelle una situazione di disuguaglianza. È qui che trovano spazio i populismi. E il Pd ha risposto con un segnale opposto: tutto va bene madama la marchesa».
Matteo Renzi, però, è impegnato a giocare la partita del referendum costituzionale…
«A Torino rischia di formarsi una grande alleanza trasversale che va dai centri sociali a Borghezio fino a Rosso: tutti contro Fassino e a favore di Appendino. In prospettiva, tutti contro Renzi. Dunque, per conquistare la maggioranza degli italiani è necessario che il premier, e il Pd, recuperino la tradizione riformista sul lavoro e il sociale, il “prenderci cura dei più deboli”. È stato fatto il Jobs Act bene, ma è solo un pezzo. Dobbiamo intervenire sulle diseguaglianze e accelerare il percorso sul reddito di accompagnamento per chi cerca lavoro o lo ha perso».
Ma il suo partito sembra preoccuparsi di altro, c’è chi chiede le dimissioni del premier…
«Non è il mio tema. Io dico che è arrivato un segnale dagli elettori, dal nostro mondo, e dobbiamo coglierlo. Tutti devono farlo e io vorrei che il riformismo del lavoro fosse al centro delle feste dell’Unità e degli appuntamenti delle varie correnti. Dobbiamo tutti tirare nella stessa direzione. Ma il partito non deve più essere il luogo dove si discute solo se è bianco o è nero. E questo non solo perchè io sono granata».
Presidente, non ha risposto sulla questione del referendum…
«Guardi, io voterò sì. C’è una campagna elettorale da fare ma, sommessamente, inviterei a mettere mano ai temi che io ho evocato a partire dalla lotta alla diseguaglianza. Dobbiamo iniziare a ragionare su un progetto riformista che tenga insieme politiche fiscali e interventi di carattere sociale. Dobbiamo farlo adesso, dobbiamo farlo nelle sezioni, anche se non si chiamano più così. Dobbiamo farlo, punto. Le componenti trovino i modi e i tempi ma senza settarismi».
Presidente non è che i cittadini si sono stufati del sistema di potere del Pd? Lei non è stato uno degli artefici di quello che viene chiamato «sistema Torino»?
«Il cosiddetto sistema Torino non è la sfilata delle vecchie glorie, a cui posso appartenere anche io, ma un modello di cooperazione istituzionale, e fra pubblico e privato, che molte realtà ci invidiano e che ha permesso alla città di realizzare, ad esempio, i primi sgomberi dei campi dei rom con fondi annunciati nel 2009 dall’allora ministro leghista Maroni e poi arrivati nel 2012/2013. È il modello che ci ha permesso di realizzare le Olimpiadi in modo trasparente, nella piena legalità e con un avanzo finale di gestione di 10 milioni. Senza dimenticare la metropolitana».
Che cosa pensa di Chiara Appendino?
«Per principio, e per cultura, non parlo mai male di nessuno, tanto più nel mio ruolo istituzionale. Vedo però uno scarto fra la dimensione dei problemi che Torino ha davanti e la chiarezza dei programmi che la candidata M5S presenta al netto persino dell’esperienza per forza di cose limitata. La vicenda del Parco della Salute è emblematica: propongono di tornare al masterplan del 2011. Se vincono la città rischia di perdere 250 milioni di fondi statali».
Maurizio Tropeano
(da “La Stampa”)
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Giugno 12th, 2016 Riccardo Fucile
RISCHIO SVALUTAZIONE DELLA STERLINA E FUGA DI CAPITALI ALL’ESTERO
Allacciatevi le cinture. L’eventuale uscita della Gran Bretagna dall’Ue porta con sè incognite enormi.
Il problema non sono le conseguenze misurabili, ma quelle di lungo periodo, che mettono in discussione l’intera costruzione europea.
Eccone alcune.
PORTATE PAZIENZA
Quel referendum non ha alcun valore legale: è una consultazione che il parlamento inglese sarà chiamato a ratificare. Westiminster dovrà votare sì all’uscita, ma il tempo necessario a completare il processo previsto dall’articolo 50 del Trattato di Lisbona potrebbe durare anni.
Lo scenario è presto fatto: in caso di sì alla Brexit David Cameron sarà costretto alle dimissioni, obbligando la Regina a indire nuove elezioni non prima dell’autunno. Discutere i dettagli della Brexit nel 2017 sarà a dir poco impervio, visto che le decisioni le dovrà prendere il Consiglio europeo – in cui siedono i capi di Stato – nei mesi in cui andranno alle urne tedeschi, francesi e olandesi.
Un’agonia che alimenterà le tentazioni secessioniste della Scozia (dalla Gran Bretagna) e dei Paesi Ue più inclini a imitare Londra, come la Svezia e la Danimarca.
UN DISASTROSO BATTITO D’ALI
In tutte le istituzioni finanziarie, dalle banche centrali al più piccolo dei gestori, ci si prepara ad un terremoto epocale sui mercati. Secondo Axioma il comparto azionario perderebbe il 24 per cento.
C’è poi da calcolare le conseguenze sui cambi: alla Banca centrale europea temono un crollo della domanda di sterline a favore di dollari e di euro. Difficile pronosticare gli effetti di medio periodo sul valore dell’euro, ma se dovesse rafforzarsi deprimerebbe l’export italiano.
Il pericolo più insidioso sono le conseguenze della Brexit sui tassi inglesi.
La svalutazione della sterlina aumenterebbe l’inflazione, spingendo la Bank of England ad aumentare i tassi; a sua volta la Federal Reserve sarebbe costretta ad accelerare l’aumento dei tassi americani. A quel punto la Bce si troverebbe in difficoltà a tenere il punto: oggi tiene i tassi bassi per combattere deflazione e bassa crescita.
BOND PER TUTTI
Una delle conseguenze già visibili della Brexit è l’aumento della domanda di beni rifugio, dall’oro ai titoli di Stato. Nonostante i rendimenti bassissimi oggi i bond più richiesti sono americani, giapponesi e tedeschi a danno di quelli dei Paesi con conti pubblici più fragili come l’Italia.
Se il «Leave» prevarrà , e la domanda di titoli tedeschi crescesse ancora, potrebbe risalire lo spread con i Btp. In questo senso il piano di acquisti della Banca centrale europea sarà essenziale per evitare scenari come quelli del 2011.
FUGA DA LONDRA
La Brexit provocherà una fuga di capitali e di persone dalla Gran Bretagna verso l’Europa continentale: l’hanno annunciato quasi tutte le banche d’affari. Morgan Stanley ad esempio ha pronto il trasloco di mille persone, un sesto della sua forza lavoro nel Regno Unito.
Una buona notizia, solo se isolata dal contesto e tenuto comunque conto che l’Italia non è fra le destinazioni preferite: in cima alle preferenze di banche e investitori ci sono Francoforte, Dublino Amsterdam e Parigi.
CHI E’? DOVE VA? UN FIORINO!
L’Italia oggi ha un saldo commerciale con la Gran Bretagna pari a dodici miliardi di euro, lo 0,8 per cento della ricchezza nazionale: niente se confrontato con i numeri che ci legano alla Germania. La Gran Bretagna esporta verso l’Italia il 2,8% della ricchezza ed importa il 3,7.
Numeri che però sarebbero intaccati dall’introduzione di barriere tariffarie e non tariffarie.
CONTO SALATO A BRUXELLES
Londra oggi contribuisce al bilancio comunitario con 9 miliardi di euro all’anno. Se verranno meno, quei fondi dovranno essere compensati dagli altri Paesi membri sulla base delle attuali quote. All’Italia spetta alimentare quel bilancio per il 15%: ciò significa che per compensare l’uscita di Londra l’Italia dovrà versare 1,5 miliardi in più di oggi.
ADDIO, SWINGING LONDON
L’ambasciatore italiano a Londra Pasquale Terracciano ha tranquillizzato i seicentomila italiani che risiedono in Gran Bretagna: «Per loro nell’immediato non cambia nulla».
Ma cosa accadrà a chi aspirasse a vivere in Gran Bretagna dopo la Brexit? E cosa accadrà ai cinquemila che ogni anno si iscrivono nelle università inglesi?
Le regole diventeranno più severe, con buona pace di chi oggi varca la Manica con lo zaino pieno di ambizioni.
Alessandro Barbera
(da “La Stampa“)
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Giugno 12th, 2016 Riccardo Fucile
INTERVISTA AL DEMOGRAFO DALLA ZUANNA: “HANNO TIMORE CHE DIVENTINO INDIGENTI, LA POVERTA’ DEI BAMBINI E’ UN DATO DRAMMATICO”
Gianpiero Dalla Zuanna, sono anni che censiamo un calo delle nascite. Da demografo, cosa vede di nuovo?
«La paura».
Cosa intende?
«Alle cause di scarsa natalità se ne è aggiunta un’altra. Le coppie hanno il timore di fare figli perchè hanno paura che diventino indigenti. La povertà dei bambini è un dato drammatico».
Per la prima volta dalla fine della Grande Guerra ci sono stati più morti che nati. È solo per la scarsa natalità ?
«No. Dipende anche dall’aumento della mortalità ».
Dovuto a cosa?
«Noi studiosi lo chiamiamo “Harvesting” (“Effetto falciatura”). C’è stata un’epidemia di influenza a gennaio, refrattaria ai vaccini, e un’ondata di calore a luglio che hanno causato molte morti tra gli ultraottantenni. E non è solo questo»
Cos’altro?
«Il saldo migratorio con l’estero. Sono più quelli che vanno che i nuovi iscritti all’anagrafe. E parliamo di residenti, non rifugiati».
A cosa lo attribuisce?
«L’Italia non è più attrattiva come prima. Molte persone sono andate via. Anche gli stranieri residenti che si muovono agevolmente in Europa, come polacchi o rumeni, scelgono sempre più di frequente di andare in Germania o a Londra a cercare lavoro».
Se a questi dati aggiungiamo i richiedenti asilo?
«Il quadro cambia di poco. Nel 2015 sono stati circa 100 mila in più».
Cosa c’è di allarmante in questi numeri?
«Non tanto, o non solo, il calo delle nascite. Quanto l’invecchiamento della popolazione. Questo è un gran pasticcio: fa aumentare la spesa pensionistica e della sanità e calare il risparmio».
Cosa si dovrebbe fare?
«Integrare gli stranieri, che portano qui i bambini. E aiutare le coppie ad averne. Quando si decidono stanziamenti le famiglie arrivano sempre in coda. Ma credo che la timidezza nella lotta alla povertà abbia pesato nel voto. Servono misure chiare e universali. Subito».
(da “La Stampa”)
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Giugno 12th, 2016 Riccardo Fucile
POCHE NASCITE E PICCO DI DECESSI, UN CALO CHE NON ACCADEVA DAL 1917… GLI STRANIERI SONO L’8,3% MA PER LA PRIMA VOLTA I MIGRANTI NON HANNO ARGINATO IL CROLLO
Un’Italia sempre meno italiana e sempre meno popolata emerge dagli ultimi dati pubblicati dall’Istat nel «Bilancio demografico nazionale».
Durante il 2015 i residenti sono diminuiti come non capitava dal 1917, l’anno della disfatta di Caporetto, simbolo eterno di un’Italia in profonda crisi. In totale al 31 dicembre 2015 risiedono in Italia 60 milioni 665.551 persone.
Fra di loro più di 5 milioni sono stranieri, cioè l’8,3%dei residenti in Italia e il 10,6% vivono al Centro-nord
Ma tra questi 60 milioni e oltre di italiani ci sono 130.061 persone in meno rispetto al 2014.
Il calo riguarda esclusivamente i cittadini italiani – 141.777 residenti in meno – mentre ci sono 11.716 stranieri residenti in più che, però, per la prima volta non riescono a compensare il calo costante degli italiani.
La diminuzione è più rilevante per le donne (-84.792) rispetto agli uomini (-45.269).
L’Istituto nazionale di statistica pone in particolare l’accento sulla continua riduzione della popolazione con meno di 15 anni: al 31 dicembre 2015 era pari al 13,7%, un punto decimale in meno rispetto all’anno precedente.
Vuol dire che quelli che dovrebbero essere i futuri italiani sono sempre meno numerosi, segno inequivocabile di una crisi che sembra senza futuro
Il saldo naturale, determinato dalla differenza tra le nascite e i decessi, nel 2015 ha fatto registrare valori fortemente negativi, anche più negativi dell’anno precedente. Al costante calo delle nascite, nel 2015 si è affiancato un notevole aumento dei decess
Calano anche gli italiani attivi, quelli che hanno dai 15 ai 64 anni che nel 2015 rappresentavano il 64,3% della popolazione.
Aumentano soltanto gli italiani che hanno 65 anni e oltre, vale a dire il 22% degli italiani
Nel 2015 i nati sono stati meno di mezzo milione (-17 mila sul 2014) di cui circa 72 mila stranieri (14,8% del totale). I decessi invece oltre 647 mila, quasi 50 mila in più rispetto al 2014.
Si tratta di un incremento sostenuto che – secondo l’Istituto di statistica – è da attribuire a fattori sia strutturali sia congiunturali.
L’eccesso di mortalità ha riguardato i primi mesi dell’anno e soprattutto il mese di luglio, quando si sono registrate temperature particolarmente elevate
Ci sono circa 133mila persone che hanno scelto di andare a vivere all’estero. Il movimento migratorio, un dato in flessione rispetto agli anni precedenti e che ha il suo peso nel saldo negativo finale
Prosegue la crescita delle acquisizioni di cittadinanza come unico, profondo segnale positivo nella crisi demografica italiana: ammontano a 178 mila i nuovi cittadini italiani nel 2015.
Sono circa 200 le nazionalità presenti nel nostro Paese: per oltre il 50% (vale a dire oltre 2,6 milioni di persone) si tratta di cittadini che arrivano da un Paese europeo.
La cittadinanza maggiormente rappresentata è quella romena (22,9%) seguita da quella albanese (9,3%).
Flavia Amabile
(da “La Stampa”)
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Giugno 12th, 2016 Riccardo Fucile
REGALA SCARPE E APERITIVI MA PRENDE SOLO 100 VOTI E LASCIA 300.000 EURO DI DEBITI
Achille Lauro, nei mitici Anni 50, regalava una scarpa sola agli elettori (e anche la pasta) per essere sicuro di essere eletto sindaco di Napoli.
E ci riuscì, forte anche del suo carisma. La seconda, infatti, veniva consegnata ma solo dopo.
L’ingegnere torinese Luigi Momo, classe ’42, ex alto dirigente della Regione Piemonte e attuale presidente del Consorzio Riso Vercellese, di scarpe e non solo – anche cravatte, giacche, jeans, le regalava tutte o singole o tutte e due, e di marche assai prestigiose e costosissime. Hogan su tutte.
Con il triste risultato di essere uno dei tanti candidati bocciati al primo turno delle amministrative.
Era nella lista Moderati che sostiene la giunta uscente, convinto che potesse entrare trionfalmente a palazzo civico. Chissà , magari con il sogno di un assessorato. Invece il disastro è stato totale, solo poco meno di cento preferenze.
Sarebbero svaporati inutilmente (i conti sono ancora incompleti) qualcosa come 300 mila euro ma gli assegni con cui l’ingegnere aveva pagato cene elettorali nei più lussuosi e modaioli locali del centro e l’intera campagna sono stati bloccati dalle banche; «impagato» anche quello usato per saldare una sterminata fattura di un negozio di abiti superfirmati, circa 15 mila euro; nei guai anche società editoriali che hanno pubblicato foto e slogan.
Adesso la storia degli assegni (presunti) scoperti è già nelle mani degli avvocati. Momo, che non risponde da giorni al telefono ai suoi creditori ogni ora che passa sempre più nervosi, s’è rivolto a un avvocato di fiducia, Stefano Caniglia, noto per essere il legale che difende la famiglia di Gloria Rosboch, che fu vittima però di una truffa e dopo uccisa.
Caniglia va scrivendo e già inviando una serie di mail appunto ai creditori, con l’idea di aprire una trattativa «bonaria», com’è nel suo stile.
Il titolare dell’outlet svuotato da Momo, con tanto di selfie finali, e dai suoi sostenitori, compreso un giornalista del suo staff, dai capi più costosi, s’è rivolto all’avvocato Pierfranco Bertolino.
Momo ha però scritto, via whatsapp, al commerciante: «Virgilio nella Divina Commedia, al giro dei senza bandiera, ha detto a Dante: “Non ti curar di loro, ma guarda e passa”. Così io faccio e farò nei confronti di coloro a cui non frega niente delle persone che si mettono a disposizione! Cosa fatta capo ha! Termino così la mia esperienza non troppo edificante».
Va bene, ma l’assegno impagato?
«Pagherò. Mi comporto così perchè sono molto inc… Penso però che fra pochi dovrò rinsavire. Ciao!».
I debiti più rilevanti, una volta rinsavito, l’ingegnere dovrà saldarlo tra l’altro con il ristorante Gerla di Torino e con Il Bastimento di via Della Rocca.
Poi ci sono oltre 70 mila euro per pagare la pubblicità sui media. Lui aveva promesso una rateazione in due tranche da 35 mila ma il primo assegno giace inesigibile in banca.
Chi fu presente all’apericena del Gerla era rimasto abbagliato dalla folla plaudente, dalla sfilata di vip abbraccianti e bacianti, dai numeri uno delle liberi professioni, con mogli e amiche al seguito, intenti ad assaltare i buffet e le cantine.
Domani, di questa vicenda, se ne occuperà la Procura, non appena inizieranno a piovere le querele.
A meno che l’ingegnere, con qualche manovra all’ultimo minuto, non riesca a tacitare in qualche modo i creditori. Tuttora in fiduciosa attesa.
Luigi Numa
(da “La Stampa”)
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Giugno 12th, 2016 Riccardo Fucile
RIFLESSIONI DI UN LIBERALE APPASSIONATO SUL MONDO POLITICO PARTENOPEO
Manca meno di una settimana al ballottaggio che decreterà il nuovo sindaco della terza Città d’Italia. Il clima del confronto politico complessivo non è bello, comunque…
Il PD è in totale balia di sè stesso e della propria incapacità , sia d’analisi che d’azione. Qualche locale esponente “piddino”, per esempio, ha sostenuto che il PD, in vista del ballottaggio del 19 giugno, dovrebbe schierasi a favore di de Magistris perchè non potrebbe lasciare Napoli in balia di una “destra reazionaria, antidemocratica, fascista, xenofoba ed omofoba”!
Qualcos’altro (?), mi verrebbe da chiedere. Ove mai gli fosse sfuggito, domenica prossima, il ballottaggio non sarà contro l’asse FdI-Lega ma tra due diverse visioni di città : quella disegnata da Lettieri, da una parte, e quella imbrattata dal sedicente “zapatismo arancione”, dall’altro.
Se analisi deve essere, che almeno sia seria! Non si possono creare “mostri” (che proprio non esistono) pur di concedersi “a Giggino” (e ad ogni costo). Farlo è cosa legittima. Che lo si faccia (almeno) per le ragioni serie (se ci sono), perchè certi slogan non fanno bene, nè a Napoli, nè ai Napoletani nè, tanto meno, alla storia di un partito come il PD.
Le cose non migliorano nemmeno sul versante dei “Fratellini d’Italia”. La guerra intestina tra quel che resta delle varie anime della “defunta” Alleanza Nazionale, sta mietendo “vittime importanti”, soprattutto dal punto di vista della decenza e del decoro, sia nelle analisi che nelle azioni.
Una pantomima sempre più assurda ed inqualificabile se è vero, com’è vero, che a Napoli, Fratelli d’Italia, in vista del ballottaggio del 19 giugno, ha scelto di non appoggiare Lettieri.
Mi rendo conto che, al netto del “voto romano”, i “fratellini”, in “giro per l’Italia” hanno raccolto consensi da “uno virgola qualcosa” e che l’affannosa “rincorsa al tesoretto di AN”, non soltanto mette ansia, ma procura anche una devastante asfissia “di concetto”, ma a tutto c’è una decenza, però.
Comunque sia, il dado è tristemente tratto… Inconsistenze su inconsistenze. “Giochi a perdere” su “giochi a perdere”.
C’è soltanto da augurarsi che al rincorsa al “lepenismo populista” finisca presto. Una nuova destra è possibile, a patto che sappia cavalcare le raggianti ragioni della della storia e della modernità : vivere di ricordi, per perdersi il presente, non è mai buona cosa…
Il “clima”, purtroppo, non migliora nemmeno tra i sostenitori di “Giggino”. Anzi, confesso che sono seriamente preoccupato: mi chiedo se l’ufficio di “igiene mentale” dell’ASL sia al corrente che è in circolazione un devastante “virus da delirio zapatisa”. Eppure i sintomi sono evidentissimi. Battuta a parte ed entrando nel merito del ragionamento, è di tutta evidenza come i sostenitori del sindaco “uscente” affermino di tutto e di più.
Una cosa mi ha colpito più di tutte: secondo loro, dal 2011, Napoli sarebbe stata restituita ai Napoletani. In tutta onestà , non so se devo ridere o se devo piangere. Napoli restituita ai Napoletani? Ma quando? Dove? In cosa?
Napoli è in ginocchio e da tutti i punti di vista. Sarebbe improponibile ricordare tutte le mancanze. Mi limiterò a quelle più evidenti. Il problema dei rifiuti non è stato risolto, nè in modo “serio”, nè in modo strutturale.
I “nostri rifiuti”, peraltro con l’aggravio di spropositati costi di gestione, sia per la cittadinanza “comune” che per le stesse imprese, vengono portati all’estero.
Per quale ragione non si sono praticate soluzioni diverse? Per quale motivo i cittadini devono pagare l’incapacità della politica di praticare soluzioni alternative?
Il patrimonio immobiliare del Comune è ancora tutto là , improduttivo e latore di assurde spese di gestione, ivi comprese quelle relative alle strutture concesse (o, comunque, fruite) gratuitamente ai centri sociali.
Le “partecipate” non sono state ridotte. L’indegna pratica estorsiva consumata dai parcheggiatori abusivi ai danni dei cittadini non è stata nemmeno minimamente intaccata dall’azione di una “governo cittadino” che, a stretto rigore di diritto, in siffatta materia, pur sarebbe titolare di specifici gravami decisionali ed operativi.
E’ vero che Napoli è una città molto grande, ma il fenomeno si è (quasi sempre) prevalentemente concentrato nel centro storico: un intervento capillare non sarebbe stata una cosa così trascendentale.
Qualcosa è stata fatta. Non si può negare. Non si puà nemmeno negare che il problema persista, però… E poi, buche, dissesti stradali. Perfino l’Università di Veterinaria è “crollata”. Sicurezza e lavoro latitano, e in ogni dove.
Napoli è una città bellissima. Il suo patrimonio storico ed artistico, nelle mani di un “Sindaco Manager”, creerebbe ricchezza sostanziale, e invece…
De Magistris è sicuramente una persona onesta ma la sua azione di governo locale è stata oggettivamente inadeguata.
Napoli non è stata restituita ai Napoletani. Napoli è ancora imbrigliata ed irretita dal “sistema”, ivi compreso quello malavitoso. Lo patisce. Cerca di resistergli! Tutti i napoletani onesti cercano di farlo e tutti i “santi giorni”.
Mi rendo conto che certe battaglie sono dure, durissime, ma da studioso appassionato, da cittadino attento, da scugnizzo che sognava di diventare un Magistrato, da attento lettore delle tristi vicende raccontate dai mezzi di informazione, da uomo che rifugge dai fanatismi e dalle ricostruzioni fantasione (e pur concedendomi tutte le cautele concettuali del caso) immagino che se, “Giggino”, con la sua azione di governo locale, certi “sistemi” li avesse realmente intaccati (anche soltanto in parte) non sarebbe stato libero di camminare serenamente per le vie della Città : come ha insegnato la storia del nostro Paese, e come accadeva per Falcone e Borsellino (quelli si che sono stati degli autentici eroi della “rivoluzione democratica”!), il ricorso ad (almeno) due auto di scorta, debitamente armata, sarebbe stato oltremodo necessario. Insomma, nella valutazione di certe questioni, evitare le esaltazioni da “curva sud”, non soltanto sarebbe necessario, ma addirittura doveroso…
Sia chiaro: un Sindaco non deve essere uno sceriffo. Non ha nemmeno il compito di sostuirsi allo Stato.
Ma nelle valutazioni, l’equilibrio è fondamentale. Sicuramente, sul punto, qualcosa di buono l’avrà fatta, ma da qui a farla passare per dirompente e risolutiva, per quel “qualcosa” che avrebbe restituito Napoli ai Napoletani, “ne passa di acqua sotto i ponti…”
I fans vogliono inneggiare ad un redivivo Masaniello? Ok. Va bene. In fondo la politica si è anche ridotta a mero show
L’effetto spettacolo non manca mai. Che sia uno show di qualità , almeno. Che sia privo (almeno) delle astruse esaltazioni, perchè i fatti raccontano una storia molto più modesta di quella che, alcuni, si ostinano a raccontare in giro…
Sarò sincero! Sul piano strettamente personale, De Magistris mi è simpatico. E’ uomo dall’oratoria calda ed avvolgente. Ha lo sguardo dell’irriverente indisponente. Non proviene dal popolo, eppure il piglio dello scugnizzo gli appartiene.
Un po, nel suo modo di fare, “mi specchio”!
Ciò non di meno, al di là degli orpelli formali, non mi ha assolutamente conquistato, nè per le idee (che sono totalmente agli antipodi delle mie), nè per quello che fatto durante questi ultimi cinque anni.
Forse sbaglierò, ma ho la sensazione che abbia più a cuore la propria ascesa nell’agone politico come “l’anti-Renzi di sinistra” che le sorti di Napoli e dei Napoletani.
E’ quasi affascinante inneggiare alla “rivoluzione” in una terra che ha vissuto le “avventure di Masaniello”, l’entusiasmate ribellione delle “Quattro Giornate” e, finanche, le magie di Maradona.
E’ suggestivo alludere all’autonomia e all’indipendenza. Peccato che siano soltanto chiacchiere, però…
Napoli, purtroppo, non è soltanto la terrà di Benedetto Croce, di Vico, di Eduardo e di Totò.
Napoli è anche terra di Camorra, sia dei “colletti bianchi” che della “manovalanza armata”. Lo raccontano le cronache giudiziarie. Lo “dicono” le ricerche e gli studi di settore. Lo racconta la storia di una città e di un popolo, martoriati ed afflitti… “L’aria”, in certi casi, è addiritura irrespirabile.
“Il sole” sembra non sorgere mai, soprattutto nelle periferie dove l’azione del Comune è stata oggettivamente inefficace. Per la verità , sono almeno vent’anni che le periferie sono abbandonate a loro stesse.
Ogni Giunta ha sempre (e soltanto) pensato al centro storico: il resto è stato lasciato a quel che avrebbe deciso il fato.
Eppure è proprio là che le Istituzioni dovrebbero far sentire la loro voce e la loro presenza. La malavita non si combatte con le chiacchiere o con le sedicenti “rivoluzioni zapatiste”, ma con le idee che diventano proposizione culturale, visione incendiaria ed azioni ardite.
Per fare una Napoli grande, non basta l’onestà procedimentale esplicitata in un protocollo sullo svolgimento delle gare d’appalto (che, comunque, è cosa oggettivamente meritoria): ci vuole un coraggio autentico ed in tutte le direzioni, nessuna esclusa. I cittadini devono fare la loro parte, ma non gli si potrà mai chiedere di diventare degli eroi: certi problemi vanno risolti dalle Istituzioni!
Da sincero liberale, vorrei un mercato libero. Vorrei meno Stato apparato, meno burocrazia e più libertà .
Da Napoletano concreto, però, so che, anche soltanto nell’immaginarla la rivoluzione liberale, delle Istituzioni totalmente ed effettivamente sovrane, uno Stato e degli Enti Locali quali unico potere d’imperio territoriale, rappresentano una necessità non oltremodo rinviabile, ed a Napoli, lo Stato, non è così presente, purtroppo…
Un’ultima “chiosa”. Un’ultima, tristissima, riflessione. Una breve sintesi, insomma… Dal “garantismo” Costituzionalmente dato al “giustizialismo popolano”.
A questo hanno condotto 20 anni di anti-berlusconismo di sinistra: una “indegnità di concetto” che non si è fermata (soltanto) a Berlusconi, ovviamente.
La spettacolarizzazione della giustizia e l’enfatizzazione dello “show del sospetto” sono ovunque, purtroppo, e non hanno risparmiato nemmeno il buon Lettieri.
Personalmente trovo assurdo — ed oltremodo indegno — che si additi un candidato a Sindaco come persona non perbene per effetto soltanto di illazioni e congetture.
Ove mai fosse sfuggito, sono soltanto le sentenze passate in giudicato che statuiscono, sia le responsabilità che le condanne, e Lettieri, di condanne, non ne ha avuta nemmeno una!
Il ragionamento è semplice. Dovrebbe esser addirittura scontato, e invece…
E, invece, parlo con amici. Ragiono. Molti di loro sarebbero giuristi (addirittura degli avvocati) e, nella “sedicente contesa” (peraltro meramente astratta e priva di qualsivoglia riscontro empiricamente probante e rilevante), anzichè ricordarsi dei principi che avrebbero studiato (e che dovrebbero conoscere) formulano soltanto congetture.
Io la adoro “la legge”. Non la calpesterò mai per assecondare i ragionamenti di chi, evidentemente, si è perso il senso delle cose autentiche.
Napoli diventerà libera soltanto quando lo diventeranno “le menti” della maggioranza. Quando la faciloneria populista (anche quella ammantata dalle mere cornici accademiche) lascerà il posto ai postulati autentici della nostra civiltà . Fino a quel giorno, “l’opera dei pupi” continuerà , purtroppo.
Il 19 giugno sarà ballottaggio, comunque.
Che ognuno voti secondo coscienza. Che ognuno, nell’apporre quella “ics”, su un nominativo o sull’altro, sogni pure, se proprio vorrà e se davvero ci crederà .
Per quanto mi riguarda, Lettieri ha formulato delle proposte credibili e seriamente sostenibili.
Personalmente, in vista del ballottaggio, faccio (e farò) “il tifo” per lui…
Salvatore Castello
Right BLU – La Destra Liberale
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