Giugno 22nd, 2016 Riccardo Fucile
SONO PIU’ I NO CHE I SI’ QUELLI RACCOLTI DAL SINDACO: FIDUCIA NEL M5S E MULTE CAUSANO LA FRENATA… ALLA FINE ACCETTERANNO SOLO LE TERZE FILE
La Giunta che non c’è.
Sembra quasi il titolo di una canzone e invece è la prima (mezza) sorpresa nella Capitale al tempo di Virginia Raggi, proclamata oggi ufficialmente sindaco.
Premesso che il primo cittadino ha a disposizione 20 giorni di tempo, da quando viene proclamata, per nominare i suoi assessori, il dato è che sono stati gli stessi 5 Stelle in nome della trasparenza a cavalcare il leitmotiv della squadra di governo da rendere nota prima del voto.
Non si tratta di retroscena giornalistici, ma di dichiarazioni ufficiali a cui però non hanno fatto seguito i fatti a causa dei tanti “no” incassati dalle personalità contattate in questi mesi.
Complice il dubbio che l’amministrazione targata M5S non abbia lunga vita, stipendi bassi in nome dei tagli e soprattutto la multa di 150mila euro che anche gli assessori sarebbero chiamati a pagare se dovessero venire meno al codice di comportamento.
A parlare della squadra Raggi si inizia il 2 marzo a Porta a Porta: “Ci piacerebbe presentare tutta o parte della Giunta prima delle elezioni. Così i cittadini — dice Raggi – potranno scegliere in maniera consapevole. Non ci piace votare a scatola chiusa”. Passano i giorni, i mesi e la campagna elettorale entra nel vivo.
A fine maggio, la candidata sindaco 5Stelle ribadisce in più circostanze, come in un’intervista all’Ansa o a TeleRoma56, che la squadra sarebbe stata comunicata “a breve”: “Siamo a buon punto. Prima del 5 giugno comunicheremo la parte che siamo riusciti…”.
E poi ancora: “Alcuni nomi della giunta sì, saranno annunciati prima del voto”.
Anche Luigi Di Maio a In mezzo’ora il 29 maggio ribadisce che i membri della Giunta sarebbero stati annunciati “in settimana, sarà un dream team”.
In realtà prima del turno del 5 giugno nessun nome viene dato, complice il fatto che i primi contatti avviati con personalità di spicco si sono conclusi in un nulla di fatto. Dall’entourage spiegano inoltre che trattandosi di professionisti preferiscono “non bruciarsi” a campagna elettorale ancora in corso.
Ci sarebbe cioè un problema di opportunità politica: il dubbio, negli ambienti che contano, è che M5S alla fine non la spunti o che il suo governo non abbia lunga vita. Circola qualche nome.
Tra questi c’è quello del prefetto Marilisa Magno, a capo della commissione d’accesso che chiese il commissariamento per mafia di Roma dopo l’inchiesta ‘Mondo di Mezzo’.
Oppure l’ex calciatore Damiano Tommasi, da poco rieletto presidente dell’Associazione italiana calciatori (Aic), il sindacato dei giocatori.
O ancora l’ex consigliere comunale M5S Daniele Frongia, ricandidato e indicato come possibile capo gabinetto del sindaco. Ma si tratta solo di indiscrezioni.
Intanto Virginia Raggi supera il primo turno delle amministrative e nelle due settimane che separano il risultato dal ballottaggio si dedica a tempo pieno alla composizione della squadra: “La presenteremo in blocco la prossima settimana”, dice l’8 giugno.
Tanto che riduce al minimo gli appuntamenti pubblici perchè, viene spiegato dal suo entourage, “vuole mettere l’ultima parola su ogni nome e partecipare a tutte le riunioni”.
Riunioni durante le quali vengono presi contatti con i possibili assessori. Spunta per la Cultura il nome di Rossana Rummo, direttore generale delle Biblioteche e Istituti Culturali del Mibact, già sub-Commissario straordinario del Comune di Roma alla Cultura, ma lei rifiuta: “Mi è stato proposto di diventare assessore alla Cultura in una ipotetica giunta di Virginia Raggi, ho ringraziato per la considerazione dimostratami, ma ho declinato la proposta”.
Poi c’è quello del campione di rugby Andrea Lijoi e dell’ex centrocampista della Roma Daiano Tommasi, ma nulla di fatto anche qui.
Anche Tomaso Montanari e Christian Raimo, i cui nomi erano circolati per la casella della Cultura, e Pasqualino Castaldi (il sub commissario di Tronca che in Campidoglio si occupa di bilancio) declinano l’invito.
Tramonta anche l’ipotesi di Raphael Rossi, esperto di raccolta differenziata e che ha già lavorato tra Napoli e Parma.
Secondo alcuni a freddare gli entusiasmi c’è anche una questione meramente economica: “Chi guadagna svariate migliaia di euro al mese – ragiona un parlamentare – non rinuncia facilmente a una vita di agi per una spesa tra Aule e corridoi del Campidoglio”.
Per non parlare delle multa di 150mila se vengono meno al codice di comportamento e se dovessero causare un danno di immagine al Movimento 5 Stelle.
Raggi evoca anche il nodo delle quote rosa, ovvero la mancata disponibilità da parte delle donne a ricoprire l’incarico di assessore.
Nel confronto tv a SkyTg24, il mercoledì prima del ballottaggio, Raggi fa sapere: “Tra domani e venerdì sarà annunciata, la stiamo completando. Sta venendo molto bella, sono tutti pronti a collaborare”.
Ma il proposito di annunciare tutta la Giunta prima del voto va a naufragare.
La Raggi dà i quattro nomi che circolavano da giorni: Paolo Berdini all’Urbanistica, Paola Muraro alla Sostenibilità , Andrea Lo Cicero allo Sport e Luca Bergamo alla Crescita culturale. Mancano le caselle chiave, come il Bilancio.
Pare che alcuni si siano sfilati e che altri non si sono voluti esporre prima: “Quando chiamerà da sindaco sarà tutta un’altra storia”.
Sta di fatto che gli incontri per comporre la squadra sono ancora in corso.
Secondo quanto si apprende dovrebbe mancare una sola casella, quella del Turismo su cui sono in ballo due nomi.
Al Bilancio, ma si tratta di indiscrezioni, dovrebbe andare Marcello Minenna, ex dirigente della Consob, anche se pochi giorni prima del voto aveva detto che con i 5Stelle non aveva alcun accordo.
La persona designata per l’incarico a tempo per occuparsi delle Partecipate dovrebbe essere Antonio Blandini. Poi Cristina Pronello ai Trasporti e Francesca Denese alle Politiche sociali.
Non sembra invece ancora coperta la delicata casella della delega al commercio. Dopo una serie di annunci dell’annuncio, adesso la comunicazione ufficiale della Giunta al completo dovrebbe arrivare durante la prima riunione del Consiglio comunale.
Anche se qualcuno teme un nuovo caso Livorno, quando ad agosto di due anni fa il sindaco Filippo Nogarin era in vacanza a San Vito Lo Capo ma non aveva ancora completato la Giunta.
(da “Huffingtonpost“)
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Giugno 22nd, 2016 Riccardo Fucile
“SE UNO PRENDE DECISIONI LONTANE DALLA LINEA DEL GRUPPO”: DECIDE LO STAFF … MA A TORINO LA APPENDINO NON APPLICA LA NORMA FARSA
Non solo la sindaca Virginia Raggi e i consiglieri in Campidoglio, anche gli assessori della futura giunta rischiano una multa da 150mila euro se violano il codice di comportamente M5s.
Il documento firmato dai candidati grillini, come anticipato a febbraio scorso, sarà sottoposto anche alla squadra di esterni che sarà annunciata ufficialmente nei prossimi giorni.
I 5 stelle sono alla ricerca di facce che siano completamente svincolate dai partiti tradizionali, ma il timore è che i selezionati poi non seguano la linea del gruppo. Raggi e il mini direttorio romano sono al lavoro per esaminare i curriculum e non mancano le difficoltà tra rinunce e perplessità .
La prima precauzione è cercare persone che siano vicine allo spirito del Movimento, ma potrebbe non bastare.
Da qui la decisione di far firmare il codice etico anche ai futuri assessori.
“Sindaco, assessori e consiglieri eletti dovranno rispettare il presente Codice”, si legge nel documento che include i membri della giunta tra i soggetti tenuti ad operare in sintonia “con le indicazioni date dallo staff”.
E tra i sottoposti, in caso di violazione, al rischio di multa per danno di immagine di almeno 150mila euro.
Si tratta di una clausola simile a quella degli europarlamentari M5s che invece rischiano una penale di 250mila euro.
Diversa invece la situazione a Torino: la sindaca Chiara Appendino ha fatto firmare un codice etico “soft” dove non è prevista alcuna sanzione in denaro.
Il documento che tutti i candidati grillini a Roma hanno firmato prevede che “le proposte di atti di alta amministrazione e le questioni giuridicamente complesse verranno preventivamente sottoposte a parere tecnico-legale a cura dello staff coordinato dai garanti del M5s, al fine di garantire che l’azione amministrativa degli eletti M5S avvenga nel rispetto di prassi amministrative omogenee ed efficienti, ispirate al principio di legalità , imparzialità e buon andamento dell’azione amministrativa di cui all’art. 97 della Costituzione”.
Anche gli assessori dovranno rispettare il “non statuto”, dovranno “coordinarsi con i responsabili della comunicazione del M5s nel Parlamento (gruppo comunicazione)”, dovranno informarsi ai principi di “trasparenza”.
Gli assessori rientrano anche nel capitolo “sanzioni” assumendosi “l’impegno etico” a dimettersi in caso di condanna penale anche solo di primo grado o se iscritti nel registro degli indagati e se una consultazione in rete o i garanti “decidano per tale soluzione nel superiore interesse del preservazione dell’integrità del M5s”.
“Il sindaco, ciascun assessore e ciascun consigliere sarà ritenuto gravemente inadempiente laddove, secondo il principio della democrazia diretta, detto “recall”, già applicato negli Stati Uniti” lo decidano almeno 500 iscritti al M5s o lo decida una votazione in rete.
Infine, continua il documento, “ciascun candidato del M5s alla carica di Sindaco di Roma Capitale, di Assessore della Giunta di Roma Capitale e di consigliere dell’Assemblea di Roma Capitale, prima delle votazioni per le liste elettorali, dovrà sottoscrivere formalmente il presente codice di comportamento” e quindi “si dichiara consapevole” che “a seguito di una eventuale violazione di quanto contenuto nel presente Codice, il M5s subirà un grave danno alla propria immagine, che in relazione all’importanza della competizione elettorale, si quantifica in almeno Euro 150.000“.
Il candidato, conclude, “accetta espressamente la predetta quantificazione del danno all’immagine che subirà il M5S in caso di violazioni dallo stesso poste in essere alle regole contenute nel presente codice e si impegna pertanto al versamento del predetto importo, non appena gli sia notificata formale contestazione a cura dello staff”.
Intanto per il team Raggi è corsa contro il tempo per trovare i nomi che completino la squadra.
Nelle scorse ore su Facebook è scoppiato il caso di Rolando Ramieri, membro dei gruppi di discussione M5s in Municipio IX, a Roma, che ha lanciato l’annuncio, dalla sua pagina social che recitava: “Se a qualcuno dei miei amici di Facebook interessasse svolgere il compito di assessore municipale al IX Municipio e ritenesse di possedere le competenze giuste mi contatti in privato così da fornirgli le informazioni per inviare il suo cv allo staff del nuovo presidente del Municipio. Astenersi commenti inutili e perditempo di governo”.
Lo stesso Ramieri, seppellito dalle richieste e dai cv, poi ha ammesso “di aver commesso una leggerezza nel pubblicare sul mio profilo la richiesta di ricerca di assessori. Io non ricopro nessun ruolo nè nel gruppo IX Municipio nè tantomeno all’interno del M5S romano”.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Giugno 22nd, 2016 Riccardo Fucile
FASSINO DIFENDE IL PRESIDENTE PROFUMO: LA COMPAGNIA E’ UNA POTENZA FINANZIARIA CHE FA PIOVERE SUL TERRITORIO 140 MILIONI L’ANNO
Non è un caso se il primo, vero scontro tra la nuova sindaca di Torino, la grillina Chiara Appendino e Piero Fassino, il grande sconfitto, avvenga sulla Compagnia di San Paolo, istituzione su piazza dal 1563 e, oggi, primo azionista con oltre il 9% di Intesa Sanpaolo, la banca più grande d’Italia.
A poche settimane dal voto, Fassino aveva indicato l’ex-ministro Francesco Profumo alla presidenza. Già l’ex-sindacalista Fiom Giorgio Airaudo, candidato a sindaco che non ha superato il primo turno, e poi Chiara Appendino hanno contestato quella mossa e ora la grillina, diventata sindaca, chiede un passo indietro all’ex-ministro. Fassino, giusto ieri mattina, superato lo choc della sconfitta, ha sparato ad alzo zero contro la rivale difendendo Profumo e la scelta di nominarlo presidente.
«Parla sempre di meritocrazia – ha detto Fassino – ma forse che Profumo non ha i titoli per presiedere la Compagnia? È stato rettore del Politecnico, ministro della Ricerca scientifica, ha ricevuto riconoscimenti nazionali e internazionali. E rispetto a tutto ciò bisogna cambiarlo? Se non avessi fatto la nomina il Comune avrebbe perso la titolarità »
Insomma, un duello sanguinoso giustificato dal fatto che la Compagnia è una potenza finanziaria che fa piovere ogni anno sul territorio oltre 140 milioni di euro, più della quantità di denaro che Palazzo Civico può liberamente disporre nel suo bilancio.
In un momento di crisi ormai pluriennale, ma anche senza la crisi, capite bene che poter metter becco nelle decisioni del Comitato di Gestione della Fondazione ex-bancaria è come avere un jolly nella difficile partita per far quadrare i conti di una metropoli. Il sindaco di Torino questo jolly ce l’ha.
Spetta infatti all’inquilino più importante di Palazzo Civico indicare, per «consuetudine», perchè non c’è Statuto o regolamento che certifichi questa sorta di golden share, chi siederà sulla poltrona di presidente fra i due componenti che sempre il sindaco di Torino può indicare fra i 17 componenti il Consiglio Generale.
Gli altri 12, più tre cooptati, sono nominati da più enti, dalle Camere di Commercio alle Accademie di Torino, Genova e Milano, i territori dove la Compagnia ha le sue radici.
Formalmente, quindi, la nomina di Profumo, dal Consiglio Generale, sorta di parlamentino della Compagnia, alla presidenza del Comitato di Gestione, cioè il governo, non è del sindaco di Torino «ma di una pluralità di enti – ha spiegato, ieri, Fassino -. La Compagnia di San Paolo ha già provveduto a ricordare che è un ente di diritto privato che non dipende dalla città ».
Tutto ineccepibile sul piano formale, molto meno sul piano sostanziale chè da secoli si rispetta l’indicazione sul presidente da parte del sindaco di Torino, qualunque esso sia.
«Una nomina così a ridosso del voto – aveva efficacemente sintetizzato il problema Giorgio Airaudo – obbligherà il nuovo sindaco che non sia Fassino a presentarsi con il cappello in mano».
Per questo motivo, Appendino ha già annunciato la volontà di introdurre il semestre bianco prima del voto – il prossimo, va da sè – per bloccare ogni nomina come quella di Profumo.
Escluso che Profumo lasci il campo libero, l’attenzione si sposta sulle erogazioni della Compagnia che – dati 2015 – vanno a portare preziosa linfa nei settori più diversi.
Tra i principali spiccano i cinquanta milioni destinati alle Politiche sociali; Ricerca, Istruzione e Sanità ricevono altri 44 milioni; l’Arte, attività e beni culturali assorbono quasi 30 milioni.
«Una cifra che, per il 70% – spiega il segretario generale, Piero Gastaldo – finisce nell’area metropolitana di Torino».
Un fiume di denaro che viene alimentato da una più che saggia gestione delle attività finanziarie detenute dalla Compagnia di San Paolo che a fine 2015 ammontavano a 7,7 miliardi.
Oltre il 50% del portafoglio è costituito dalle azioni di Intesa Sanpaolo che la Compagnia s’è impegnata a portare al 33,3% entro il 2018. La qual cosa comporterà un incasso miliardario per la Compagnia:
«Che non significa che ci saranno miliardi in più da spendere» puntualizza Gastaldo. Ma Profumo, appena diventato presidente, non ha esitato a spiegare che una quota importante dei nuovi investimenti della Compagnia «sarà indirizzata verso la crescita e lo sviluppo del territorio».
Miele per le orecchie di Fassino, all’epoca ancora sindaco. E per Chiara Appendino.
Beppe Minello
(da “La Stampa”)
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Giugno 22nd, 2016 Riccardo Fucile
L’INSEGUIMENTO DEL SUCCESSO PRODUCE FORME OSSESSIVE DI RIPIEGAMENTO SU DI SE’
Un fantasma s’aggira per l’Italia: il risentimento.
Livore, astio, ostilità , acredine, malevolenza, vendetta, sono i differenti nomi di questo fantasma.
Non abita solo le periferie sconquassate delle città , ma anche i palazzi del centro, i luoghi di lavoro come le scuole, gli autobus, i taxi e le panchine dei parchi.
Sembra l’unica risposta possibile ai torti, alle offese, agli smacchi che molti sentono di aver subìto.
Un profondo senso di frustrazione unisce le madri ai figli e alle figlie disoccupate, i sessantenni ai trentenni, gli operai ai piccoli imprenditori, i professori ai loro allievi. Nessuno si salva, nessuno ne sembra esente.
C’è anche il rancore, che s’accompagna al risentimento, suo fratello gemello; parola d’origine latina, rancor, ha la medesima radice di rancidus, “astioso” e anche “stantio”.
La convinzione che i più coltivano, a torto o a ragione non importa, è quella di aver subito un sopruso, un’ingiustizia.
Ne consegue dolore, afflizione, ma anche ansia e depressione, che sono due stati d’animo assai diffusi, opposti e simmetrici alla rabbia che il risentimento produce.
I luoghi dove manifestarlo sono molti e diversi, tra questi anche la lotta politica, trasformata da competizione tra partiti e programmi diversi in resa dei conti, luogo in cui ribaltare i torti o compiere agognate vendette.
Luis Kancyper, uno psicoanalista sudamericano, che si occupa da anni del rancore, sottolinea come si tratti di una attività ripetitiva: rancore come “ruminare”. In origine il termine indicava l’atto di dondolarsi, il pensare e ripensare al medesimo evento in modo costrittivo.
Allo stesso modo, scrive Kancyper, il risentimento è un “sentire ancora, di nuovo”, un ritornare incessantemente sul proprio stato emotivo, senza possibilità alcuna di allontanarsi definitivamente dall’offesa o dal torto subito, sovente immaginario.
Il risentimento deve avere senza dubbio una qualche parentela con la paranoia, l’unica malattia mentale contagiosa, come ha ricordato Luigi Zoja nel suo studio Paranoia. Gli psicoanalisti sono convinti che la radice profonda del risentimento risieda nell’invidia, sentimento negativo, ma che ha un’enorme importanza nelle relazioni tra i singoli e tra i gruppi sociali.
Il filosofo sloveno Slavoj Zizek ha raccontato in vari libri un’emblematica storiella al riguardo.
Una strega dice a un contadino: «Ti farò quello che vorrai, ma ricorda, farò due volte la stessa cosa al tuo vicino». E il contadino con un sorriso furbo: «Prendimi un occhio!»
Quale è la radice sociale del risentimento che colpisce da almeno un paio di decenni l’Italia e che ha avuto il suo culmine nei fenomeni xenofobi, nelle manifestazioni leghiste e che fluttuando si manifesta a intervalli più o meno regolari qui e là , determinando anche i flussi elettorali e le manifestazioni collettive?
La frustrazione, si potrebbe rispondere. Ma per cosa?
La condizione contemporanea sarebbe secondo gli psicologi un impasto inedito d’invidia e risentimento.
L’inseguimento del successo, proposto sempre più come una meta individuale e collettiva, produce forme ossessive di ripiegamento su di sè, da cui nasce il risentimento.
Molte persone soffrono la vergogna di non aver raggiunto quei riconoscimenti economici e sociali promessi a tutti da una società solo in apparenza democratica ed egualitaria.
La competizione, che pare diventata uno straordinario carburante di miglioramento, reca tuttavia con sè, quali frutti avvelenati, frustrazione e risentimento.
Andy Warhol, geniale artista della contemporaneità , l’ha condensato nella frase che gli si attribuisce: nel futuro ciascuno sarà famoso per 15 minuti.
E se i quindici minuti non arrivano mai? A tutto questo va aggiunta la forbice che si è aperta in Occidente, e quindi anche in Italia, tra ricchi e poveri, coinvolgendo le classi medie che si ritenevano al riparo da indigenza e povertà .
Nessuno è più sicuro di non diventare un “sommerso”.
La parola “risentimento” è entrata nel vocabolario moderno attraverso un libello del 1593, Dialogue du Franà§ais et Savoisien, opera di Renè de Lucinge, in cui l’aristocrazia manifesta la sua acredine nei confronti della borghesia, dei nuovi arricchiti, che si comprano i titoli nobiliari.
Il risentimento è in definitiva il sentimento che prova chi per lungo tempo ha desiderato qualcosa, scrive un sociologo, senza raggiungerlo, e che ora capisce che non l’avrà mai. Kancyper lo definisce “un pensare calamitoso”, un tormento da cui la collera resta la via d’uscita più semplice.
Il risentimento c’è sempre stato, ma, come ha scritto il filosofo Peter Sloterdijk, un tempo esistevano le “banche del risentimento”, quelle istituzioni e organismi che ne detenevano il controllo, e ne amministravano il flusso.
La Chiesa, ad esempio, ma anche e soprattutto i partiti socialisti e comunisti, che raccoglievano il rancore e la rabbia della gente come le banche il denaro, dilazionando nel tempo le reazioni individuali e collettive. I progetti della società futura – regno della giustizia e paradiso in terra – tenevano sotto controllo le frustrazioni, davano loro un senso in attesa dei futuri “giorni dell’ira”: la rivoluzione, le rese dei conti, la vittoria degli oppressi e degli umiliati
Oggi non ci sono più, o almeno non funzionano più così.
Ora ogni richiesta è immediata, niente può più essere posposto. Nessuno attende più, neppure Godot.
Abbiamo imparato grazie alle nuove tecnologie, all’informatica e al computer che tutto avviene “in tempo reale”: tutto è rapido e istantaneo.
Nessun fallimento, nessun dolore, nessuna frustrazione o patimento subito, può attendere quel giorno futuro. La politica tradizionale probabilmente non ha ancora imparato a tener conto di questo cambio di paradigma temporale.
Ma ci dovrà fare i conti. Intanto c’è già chi ha trovato il modo di rispondere alla domanda di risentimento e rancore che sale dal Paese.
Non sarà facile per nessuno. Il livore e l’astio non fanno mai sconti.
Marco Belpoliti
(da “La Repubblica”)
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Giugno 22nd, 2016 Riccardo Fucile
E GIU’ PERNACCHIE A SALVINI: “IO HO VINTO A BENEVENTO, LUI HA PERSO A VARESE, HA VINTO SOLO A CASCINA”
“Ho preso a Benevento il 63% e c’è chi mi voleva morto. A proposito, fatemi toccare”. Comincia così la lunga intervista che il neo-sindaco di Benevento, Clemente Mastella, rilascia a La Zanzara, su Radio24.
“Il mago Otelma” — rivela — ” mi aveva detto che avrei avuto un’avventura buona quest’anno. Mia moglie? Più che contenta, poveretta, ha vissuto questa vittoria, dopo tutto quello che abbiamo passato, come liberazione da un magone. Lei assessore nella mia giunta? No, Sandra fa la nonna”.
E attacca duramente il sindaco di Napoli: “De Magistris ha detto che non vuole avere nulla a che fare con me? Lui è un cafone istituzionale e non se ne rende conto. Neanche io ho la minima voglia di incontrarlo, mica è Brigitte Bardot. De Magistris tifoso del Napoli? Che io sappia tifa Inter, ma lui imbroglia su tante cose“.
E’ poi il turno di Salvini, a cui dedica più pernacchie: “E’ un mezzo leader, mica come Bossi, che intelligentemente capiva di essere parte della coalizione. Salvini invece vuole essere il leader del centrodestra. Ma ve lo immaginate? Lui non è neppure del centrodestra, è un lepenista senza una grande intelligenza politica“.
Poi rincara: “Io sono una persona mite. Ho però replicato alle insulsaggini che Salvini diceva in qualsiasi trasmissione tv. Intanto, io vinco a Benevento, lui perde a Varese e si mette a fare lezioni a me? Quella perdita è l’inizio della sua fine, ha vinto solo a Cascina. Anzi, chieda un miracolo a Santa Rita da Cascina. E Salvini al Sud non mette becco, perchè la gente lo tiene sulle palle. Farò un cartello: Comune desalvinizzato“.
Mastella poi risponde alle domande incalzanti di Cruciani sul suo vitalizio: “Intanto, ho rinunciato alla mia indennità da sindaco, a differenza di De Magistris. Come vitalizio non prendo 10mila euro, ma circa 6.600 euro al mese. E comunque mi servono quei soldi: ho 6 nipoti e tre figli, di cui una ragazza adottiva. Che volete fare, mi volete togliere pure quello? Non mi piglio lo stipendio da sindaco, uso la mia macchina che ho comprato usata, non utilizzo un cacchio. Volete che chieda l’elemosina alla Caritas?“.
Infine, ribadisce di sentirsi il “Bill Clinton di Benevento” e su un eventuale Gay Pride nella sua città insorge: “Ma perchè farlo proprio da me, lo facciano in altre città . Rispetto i gay, ma queste cose pacchiane non mi piacciono“
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Giugno 22nd, 2016 Riccardo Fucile
“SE DOVESSI TESTIMONIARE DURERO’ DUE SETTIMANE”
Teme di essere ucciso per le accuse che ha rivolto a Massimo Carminati perchè nessuno lo protegge. E per questo vuole fare marcia indietro. Ritrattare tutto davanti ai giudici del tribunale che sta processando i componenti del clan del Cecato nell’aula bunker di Rebibbia.
Lui è Roberto Grilli, un super testimone, lo skipper romano che ha contribuito a scoperchiare i retroscena di «mafia Capitale», arrestato sulla sua barca con 500 chili di cocaina a bordo, parla delle azioni criminali del Cecato che insieme al suo braccio destro, Riccardo Brugia, anche lui sotto processo, hanno sempre avuto «a portata di mano» pistole, mitragliatori e fucili.
I carabinieri del Ros chiedono a Grilli se ha ricevuto minacce direttamente o indirettamente da Carminati e lui risponde: «No. Ma non serve. Io so di chi stiamo parlando. Il mio profilo basso fino adesso mi ha garantito di stare in vita a Roma. Adesso, dopo questa cosa (la scelta di farlo testimoniare in aula ndr), non so’ più garantito con nulla. Se dovessi testimoniare durerò due settimane…».
Grilli, lei sente che c’è questo rischio per la sua vita?
«Stiamo a parlà de Carminati, e questo rischio lo sento da un anno e mezzo. Non prendetemi in giro».
Roberto Grilli ha detto agli investigatori durante le indagini di essere stato contattato da un personaggio di estrema destra, che gli avrebbe chiesto una somma di denaro per andare a Napoli a procurarsi «una mitraglietta e due automatiche», come richiesto da Brugia.
Perchè il clan del Cecato ha tante armi ancora a disposizione. Grilli ha raccontato tanti risvolti dal chiaro sapore mafioso attribuito a Carminati.
Ma il super testimone denuncia di non essere mai stato protetto, di non essere stato mai sottoposto al programma di protezione, quello che le procure richiedono e assegnano ai pentiti di mafia, ai testimoni di giustizia a chiunque collabori con gli investigatori e sono ritenuti attendibili e in pericolo di vita.
La svolta è arrivata oggi. Con la scoperta di quanto è avvenuto. E di come il clan di Carminati, Cecato compreso, fa ancora paura a Roma.
Grilli è stato chiamato a deporre in aula. L’ex skipper è arrivato, è salito sul pretorio e ha preso posto a viso aperto sulla sedia riservata ai testi. E qui ha iniziato a fare retromarcia.
Ha sostenuto di aver amplificato le accuse nei confronti di Carminati perchè indotto dal precedente difensore che gli sarebbe stato imposto da altri.
Ha dunque inizialmente ritrattato i contenuti di un importante verbale di interrogatorio del 17 dicembre 2014 in cui accusa espressamente il Cecato di aver avuto un ruolo anche in traffici di droga.
Alla fine della prima parte dell’esame arriva il colpo di scena della procura.
I pm Luca Tescaroli e Giuseppe Cascini hanno chiesto e ottenuto, dopo un vivace scontro con la difesa Carminati, l’acquisizione di una annotazione di polizia giudiziaria che spiega l’atteggiamento di Grilli.
I carabinieri del Ros di Roma hanno registrato una conversazione avuta nelle scorse settimane con il testimone, nel momento in cui gli hanno notificato la citazione a comparire davanti al tribunale, e qui hanno ricevuto le confidenze del trafficante, in cui spiega la paura a deporre e il timore di ritorsioni.
«Sono stato trattato in maniera vergognosa» dice Grilli ai carabinieri del Ros, «dopo mafia capitale ho perso il lavoro, la salute. Avevo chiesto protezione per non correre rischi».
E invece Grilli dice di essere stato lasciato solo. «Adesso devo confermare le mie dichiarazioni pe’ famme sparà , se non confermo le mie dichiarazioni posso avere falsa testimonianza, mi faccio quattro anni…».
Spiega agli investigatori il timore di essere ucciso dopo aver confermato in aula le accuse a Carminati: «Dopo questa botta data da me che magari è l’ultimo chiodo pe’ attaccà Carminati perchè fino adesso… robetta, io che faccio, poi torno sulle strade di Roma e gironzolo, in questo modo “duro ‘na settimana…”».
Il verbale prodotto dai pm ha acceso la discussione fra alcuni difensori, in particolare dell’avvocato Bruno Naso, legale di Massimo Carminati.
Il penalista ha contestato l’annotazione dei carabinieri, che è stata invece difesa dall’avvocato di parte civile Giulio Vasaturo.
Per questo motivo Naso, davanti ai giudici, ha sbottato urlando contro il collega: «Stai zitto perchè ti prendo a schiaffi».
Lirio Abbate
(da “L’Espresso”)
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Giugno 22nd, 2016 Riccardo Fucile
“POTREBBE IPOTIZZARSI IL REATO DI FALSO IDEOLOGICO”
È stato aperto il fascicolo in procura sul neo sindaco Virginia Raggi in merito agli incarichi ricevuti dell’Asl di Civitavecchia. Si tratta di un modello 45, quindi senza ipotesi di reato.
Il procuratore aggiunto Paolo Ielo ha assegnato a un pm di piazzale Clodio l’inchiesta. Spetterà ora agli inquirenti fare luce sulla vicenda.
Tutto è nato da un esposto presentato dall’associazione Anlep (Libertà e Progresso). “Potrebbe ipotizzarsi il reato di falso ideologico in atto pubblico o altra violazione alla normativa sulla trasparenza per coloro che ricoprono incarichi politici” è il senso dell’esposto presentato da Anlep sul caso della consulenza di Virginia Raggi alla Asl di Civitavecchia.
Anche le dichiarazioni dell’ex assessore Alfonso Sabella – che qualche giorno fa aveva detto che un avviso di garanzia a Virginia Raggi sarebbe un “atto dovuto” – diventano ora oggetto di un fascicolo che pende presso la Prima Commissione del Csm, e che era stato già aperto ad aprile, per le considerazioni espresse da Sabella all’Arena di Giletti sul possibile esito di un procedimento penale su Affittopoli.
Proprio ieri il presidente dell’Anac Raffaele Cantone aveva dichiarato che in merito non c’era nessuna istruttoria della la commissione nazionale anticorruzione sugli incarichi legali affidati Raggi, nel 2012 e nel 2014, il secondo dei quali mentre la pentastellata era già consigliera comunale al Campidoglio.
Le critiche, durante gli ultimi giorni di campagna elettorale, riguardavano soprattutto la mancata segnalazione – nonostante le sue smentite – sia degli incarichi che dei compensi che ancora deve ricevere, pari in totale a 13 mila euro.
“Ad oggi non è stato fatto nulla, sono rientrato stamattina e ho visto gli articoli di giornale” ha detto Cantone a margine di un’audizione a Montecitorio, in cui presentata il nuovo codice degli appalti.
Che però ha aggiunto: “Faremo una valutazione per capire se c’è un nostro spazio di intervento”.
(da “La Repubblica“)
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Giugno 22nd, 2016 Riccardo Fucile
L’ASSENZA DI UNA LEGGE AD HOC COLMATA DALLA DECISIONE DEI GIUDICI… RISTABILITO IL BUON SENSO: QUELLO CHE CONTA E’ IL BENESSERE DEL MINORE
Una sentenza che farà giurisprudenza e che d’ora in poi nessun Tribunale per i minorenni potrà ignorare.
Una sentenza scritta dalla giudice Melita Cavallo, che oggi la dedica “a tutti quei bambini nati nelle coppie omosessuali a cui finora era stato negato il diritto ad avere due genitori”.
Con il sì pronunciato oggi dalla Corte di Cassazione, che ha confermato il diritto della mamma non biologica ad adottare la figlia della sua compagna, la stepchild adoption (adozione del figlio del partner), stralciata dalla legge sulle unioni civili, diventa di fatto legale anche in Italia.
È successo cioè quanto era stato annunciato dai giudici minorili durante la durissima battaglia parlamentare sulla “Cirinnà “: i bambini lasciati privi di diritti dalle nuove norme sulle unioni omosessuali sarebbero stati “protetti” utilizzando l’attuale legge sulle adozioni.
In particolare, così come ha fatto la giudice Melita Cavallo, ex presidente del tribunale per i Minori di Roma, utilizzando l’articolo 44 della legge 184, là dove si prevede “l’adozione in casi particolari”.
Ossia quando l’interesse del minore è prevalente, non si ritengono più vincolanti i criteri utilizzati solitamente per le adozioni “normali”, ma i bambini possono essere affidati a chi davvero, in quel caso specifico, ne tutela davvero la crescita e la serenità . Che si tratti si single, di coppie di fatto, o come in questo caso, di una coppia omosessuale.
Il tutto naturalmente dopo una lunga e accurata indagine (così come sempre accade nei percorsi adottivi) che accerti se quella coppia, etero o omo che sia, sia davvero adatta a crescere quella bambina o quel bambino.
Del resto proprio nei giorni più difficili della battaglia in Senato, quando diventava ogni giorno più chiaro che pur di far approvare le unioni civili la stepchild adoption sarebbe stata sacrificata, oltre 700 giuristi avevano firmato un appello “in nome dei bambini”.
Annunciando che seppure bocciata dal Parlamento l’adozione del figlio del partner nelle coppie omosessuali, sarebbe stata garantita dai tribunali.
E così sta avvenendo: soltanto a Roma ci sono stati già 15 casi di sentenze favorevoli a famiglie omogenitoriali, alcune già passate in giudicato, altre impugnate, altre ancora già davanti alla Corte di Cassazione.
Nei fatti, comunque, una rivoluzione.
In questo caso l’assenza di una legge ad hoc viene colmata utilizzando quanto già previsto nei casi particolari di adozione.
Aggiunge Melita Cavallo: “Questi bambini ci sono, esistono, già vivono con due mamme o due papà . Se quella famiglia è salda e sana, se in quella famiglia il minore cresce sereno, perchè dovremmo spezzare questi legami? Quello che conta è il benessere dei bambini, e tutelarlo è il compito primario di noi giudici”.
(da “la Repubblica“)
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Giugno 22nd, 2016 Riccardo Fucile
IL CASO FERRANTE E ALTRE STORIE DI SUCCESSO
Forse bastava solo provarci, corteggiarli un po’. Da qualche tempo sembra che gli stranieri stiano riscoprendo i libri italiani.
Non che ci abbiano mai snobbato, ma a volte sono stati tiepidi.
Amano Umberto Eco, Andrea Camilleri e Alessandro Baricco. Hanno adorato Italo Calvino e ora sono tutti impazziti per Elena Ferrante.
Non è però solo un fatto di nomi, di titoli forti che si fanno strada in terra straniera. Sono i numeri a dirci che il mercato editoriale del Bel Paese va acquistando credibilità .
L’Associazione italiana editori ha da poco realizzato per conto dell’Ice un ebook, “Mercanti di storie. Rapporto sull’import/export di diritti 2016”, che mette in fila una serie di dati incoraggianti.
Ma andiamo per ordine. Lo scorso anno le case editrici italiane hanno venduto all’estero complessivamente 5.914 diritti di edizione ai loro colleghi stranieri.
Sono naturalmente sempre meno dei libri comprati (10.685 titoli).
Ma in termini percentuali le vendite sono cresciute dell’11,7%, gli acquisti del 2%.
Perchè? Cosa è intervenuto?
Giovanni Peresson, responsabile dell’ufficio studi statistici dell’Aie, che insieme all’Ice-Agenzia per la promozione all’estero ha seguito rilevazioni e indagini, ha idee chiare in proposito.
È sicuramente cambiata la strategia editoriale: “Le case editrici italiane mostrano più competenze nell’affrontare i mercati stranieri. Ormai hanno tutte un proprio ufficio diritti e curano in modo professionale i rapporti con i possibili acquirenti”.
“La crisi ci ha fatto scoprire i nostri talenti, per questo esportiamo più libri”
Se guardiamo al lungo periodo e consideriamo l’andamento del mercato negli ultimi quindici anni la curva è ancora più favorevole: le vendite dei diritti nel 2001 riguardavano 1.800 titoli.
Per arrivare agli oltre 5.900 di oggi si calcola un incremento del 228,6% (un +16,3% di crescita media annua).
All’inizio del millennio era solo il 3,2% dei titoli pubblicati ad aver incontrato il favore delle case editrici straniere, mentre lo scorso anno quel valore è salito al 9,5%. Forse però non sono solo le strategie di marketing ad essere cambiate.
“Molti scrittori italiani hanno iniziato a lavorare meglio sui generi. Alcuni hanno imparato a modellare la scrittura sui gusti del mercato anglosassone”, dice Peresson.
È evidente che Michael Connelly, Ken Follett, Joe R. Lansdale o maestri del thriller come Stephen King fanno scuola, creano proseliti: “Si prendano i gialli di Donato Carrisi, sono congegnati con un ritmo, una struttura e una scrittura consapevolmente molto ‘americani'”..
Èd’accordo con Peresson uno dei più importanti agenti letterari italiani, Marco Vigevani: “Il noir italiano è molto ricercato, soprattutto in Francia e in Germania. Fatica di più la letteratura non di genere e che non è di intrattenimento. Il romanzo letterario puro è più difficile che venga tradotto”.
Quali sono dunque i libri che vendiamo di più?
Soprattutto i romanzi, la narrativa fa ancora la parte del leone: rappresenta oltre un terzo della vendita di diritti alle case editrici straniere (il 36,2%), con un incremento del 251,9% (nel 2007 era il 17,2%).
Un altro terzo è in mano alla letteratura per l’infanzia (36,1%), mentre la saggistica negli ultimi anni ha perso terreno: da quasi il 28% del 2007 a poco più del 16% attuale.
Trend negativo anche per gli illustrati (-32,6%).
Ma chi vendiamo i nostri libri? La maggior parte agli europei.
Gli spagnoli ad esempio hanno comprato l’anno scorso 879 titoli italiani. E i francesi si mostrano caldi verso la nostra narrativa, come spiega Marina Valensise, alla guida dell’Istituto italiano di cultura di Parigi: “Qui sono molto apprezzati i romanzi che raccontano l’Italia profonda, nella sue essenza: classicità , bellezza, spontaneità della vita, sono gli aspetti che colpiscono di più della nostra produzione. E’ questa una delle ragioni per cui Andrea Camilleri è un autore molto amato”.
A Parigi sarà ospitato Marco Missiroli, il cui romanzo Atti osceni in luogo privato è fresco di traduzione per le edizioni Rivages: “Missiroli è stato scelto da Emmanuel Carrere come ospite delle nostre ‘residenze d’artista’, un progetto lanciato dall’Istituto per far conoscere le Promesse dell’arte italiana”, dice Valensise.
In Inghilterra si parla addirittura di boom della letteratura italiana.
All’ultima London Book Fair si sono aperte trattative per La scuola cattolica di Edoardo Albinati, tra i favoriti a conquistare quest’anno il podio del Premio Strega, e per Marcello Fois, autore molto amato.
Ed è appena stato tradotto My italians di Roberto Saviano: sottotitolo “True stories of crime and courage, edizioni Penguin. Marco Delogu, fotografo e direttore dell’Istituto italiano di cultura di Londra, però non crede si tratti di predilezioni legate all’argomento o al genere: “A pagare — spiega Delogu — è sempre la qualità . Con l’Istituto cerchiamo di promuovere le traduzioni dando cinque contributi ogni anno, dai 1500 ai 5mila euro. Quest’anno abbiamo scelto, tra gli altri, La strada che va in città di Natalia Ginzburg, che uscirà con Twins Editions”.
La vecchia Europa ha acquistato più della metà (il 50,8%) dei nostri diritti di edizione. Meno di qualche anno fa, ma comunque tantissimi.
La novità non è questa ma è semmai il fatto che si stanno aprendo nuovi mercati: l’area asiatica fino a qualche anno fa era off limits per noi, oggi finalmente esiste, assorbendo il 14,3% del mercato: dal 2007 al 2015 l’export verso est è cresciuto di oltre il 111%, soprattutto grazie alla Cina. Quello verso il Medio Oriente addirittura del 321,2% (oggi è un mercato valutato intorno al 3,7%) e gli editori turchi sono sempre più attratti dai nostri scrittori.
“Camilleri, Carofiglio e Carlotto: ai tedeschi piacciono i gialli italiani”
Che siano le fiere internazionali ad aver reso permeabili i confini? L’ultima parte del rapporto Aie è dedicata proprio a questo: le fiere all’estero, dalla Beijng Book Fair a quelle di Budapest e Bucarest, da quella di Istanbul alla Book Expo America, fanno vendere il 192% in più di diritti d’autore sui libri.
L’altra notizia positiva è che stiamo erodendo la diffidenza del mercato nord americano verso gli scrittori italiani. Per anni il nostro amore per la letteratura americana non sembrava ricambiato con altrettanto trasporto.
La verità è che gli statunitensi in genere leggono poca letteratura tradotta. Le vendite nel Nord America sono cresciute del 145,5% tra il 2007 e il 2015 e nell’ultimo anno del 14,3%, attestandosi al 6,4%
Giorgio Van Straten, direttore dell’Istituto italiano di cultura di New York, racconta della grande attenzione ricevuta dalla recente edizione integrale dell’opera di Primo Levi e dell’impegno dell’Istituto a pubblicare un volume con le conferenze e le interviste di Giorgio Bassani.
L’ultimo fenomeno si chiama Elena Ferrante, la scrittrice misteriosa che sta conquistando gente comune e addetti ai lavori, pubblicata da Europa Editions, versione americana della casa editrice E/O.
Sandro Ferri, che ne è alla guida insieme alla moglie Sandra Ozzola, ha voluto rischiare ed è stato ripagato. Dice Van Straten: “L’ambientazione napoletana ha certamente pesato molto sul successo della Ferrante. Alte volte si preferisce lo stereotipo dell’Italia, più che la sua modernità e contemporaneità ”.
Forse oltre al ruolo delle fiere bisognerebbe calcolare anche il peso dei bestseller sul mercato straniero.
Qualche anno fa era Il nome della rosa, ora è l’Amica geniale.
(da “La Repubblica”)
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