Giugno 3rd, 2016 Riccardo Fucile
“LA REPUBBLICA” E’ ENTRATA IN POSSESSO DI UN DOCUMENTO CHE RIVELA CHE SALVINI AVEVA CHIESTO UN AIUTO PER INCONTRARE TRUMP A AMATO BERARDI, EX PDL, VICEPRESIDENTE DELLA LOBBY… A SALVINI SERVIVA UNA FOTO PER ACCREDITARSI COME LEADER INTERNAZIONALE
Il mistero buffo dell’incontro Trump-Salvini – sbandierato dal segretario della Lega come l’avvio di una ambiziosa alleanza transatlantica, ma smentito dal candidato repubblicano (a dispetto delle foto) – si arricchisce ora del primo documento che attesta l’avvenuta stretta di mano tra i due leader, il 26 aprile a Wikes Barre in Pennsylvania.
Il problema? Che il “certificato ufficiale” è affidato a Nicholas Mattiacci, direttore generale dell’associazione italo-americana Niapac.
La lettera della Niapac (National Italian American Political Acion Committee), una lobby politica italo-americana con sede a Washington, e di cui Repubblica è entrata in possesso, ricostruisce la vicenda, senza mai far riferimento alle polemiche in Italia.
Era stato Matteo Salvini, ricorda Mattiacci, a chiedere un aiuto per incontrare Donald Trump ad Amato Berardi, imprenditore di origini molisane, ex-deputato del Pdl per la circoscrizione estero e presidente emerito della Niapac.
Grazie a Berardi, allo stesso Mattiacci e al gioco di sponda di due parlamentari italo-americani della Pennsylvania, entrambi repubblicani ed entrambi tra i sostenitori della prima ora di Trump, è stato poi possibile organizzare “l’incontro e la photo opportunity” – nulla di più – in coincidenza con una manifestazione del tycoon a Wikes Barre e delle primarie dello Stato.
Subito dopo la Niapac ha organizzato un ricevimento in onore della delegazione italiana con un centinaio di invitati alla Union League di Filadelfia.
Scattate con i cellulari e gli iPad dei presenti, le foto della stretta di mano con Trump erano servite a Salvini a proiettare l’immagine della Lega a livello internazionale, ad accreditarsi come un interlocutore di personaggi di primo piano, come Vladimir Putin e Trump, e a ipotizzare uno scenario di convergenza del populismo mondiale.
Ma dopo più di un mese è arrivata mercoledì scorso, a sorpresa, la bizzarra smentita del candidato repubblicano: “Non lo volevo incontrare”, ha detto Trump in una intervista a Michael Wolff, pubblicata su The Hollywood Reporter e rilanciata in anteprima da Repubblica.
Perchè Trump ha negato quella stretta di mano in Pennsylvania? Non si era reso conto chi avesse davanti, confondendo Salvini con uno dei tanti ammiratori? Ha voluto fare marcia indietro considerando scomodo il rapporto con la Lega?
Di sicuro la vicenda ha creato molto imbarazzato nella Lega.
I collaboratori di Salvini hanno subito detto, per placare le polemiche, di avere una dozzina di mail per la preparazione dell’incontro, ma queste mail non sono mai state rese pubbliche.
Ora la spiegazione potrebbe semplicemente essere che il contatto non fu con Trump ma con la lobby Niapac.
(da “La Repubblica“)
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Giugno 3rd, 2016 Riccardo Fucile
A MILANO SFIDA ALL’ULTIMA PARROCCHIA TRA L’AMMINISTRATORE DELL’ESPOSIZIONE DIOCESANA E L’ECONOMO DI RITO PARIGINO
Frate Bobo in rimonta sulla Sorella Vergine, ma perdente — sia pure di poco — al ballottaggio per diventare il cardinale vicario di Roma.
A Milano, invece, l’arcivescovo si deciderà tra l’amministratore dell’Esposizione Diocesana e l’economo prestato alla Chiesa che sono divisi da 4 sole parrocchie. Come al solito, chi vuol capire, capisca, e non è nemmeno così difficile: i sondaggi prima delle elezioni non si possono pubblicare, ma continuano a girare.
Ed è così che Youtrend, vestendo le amministrative della maschera della corsa alla guida delle diocesi, riferisce delle rilevazioni del “centro di studi religiosi giuliano”, istituto molto ascoltato dal “potente primate d’Italia” e dal “gruppone ecclesiale democratico”.
Nel dettaglio, spiega Youtrend, la Sorella Vergine — che fa parte del “movimento ecclesiale che si ispira allo spassosissimo camerlengo di Genova” — raccoglierebbe il consenso di 29 parrocchie. A seguire Frate Bobo, che con l’appoggio del primate fiorentino, punterebbe a 26 parrocchie.
A seguire Sora Giorgia, a capo della Fratellanza degli italiani devoti, che raggiungerebbe le 22 parrocchie e don Marchino con 17 parrocchie.
Infine Padre Stefano metterebbe insieme non più di 3 parrocchie.
Ma, appunto, quel che conta in questo caso sarebbe la sfida finale dove l’istituto religioso di Trieste vede una sorta di testa a testa, 52 parrocchie a 48 a favore della Sorella Vergine: due parrocchie significano che la corsa è aperta.
Per due motivi: decisive diventano le due settimane tra il primo e il secondo voto, in più queste consultazioni telefoniche hanno un margine d’errore di circa 3 parrocchie.
Lo stesso centro studi religioso giuliano ha raccolto i dati anche sull’arcidiocesi di Milano.
Le parrocchie che conquisterebbe l’amministratore dell’Esposizione Diocesana sarebbero 42, mentre “l’economo di rito parigino (a dispetto della parlata romana)” arriverebbe a 38.
Anche in questo caso si rinnoverebbe la sfida al ballottaggio di cui non c’è però previsione (e comunque si profila anche qui una sfida all’ultima parrocchia).
Fuori dalla gara sia Don Corrado (che fa sempre parte del movimento ispirato dal camerlengo di Genova, 13 parrocchie) sia Frate Basilio (che fa parte di un’area più combattiva di quella del gruppone ecclesiale democratico, 3 parrocchie).
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Giugno 3rd, 2016 Riccardo Fucile
FICO E DI MAIO SI PUNZECCHIANO DA GIORNI A DISTANZA… IN BALLO LA LEADERSHIP DEL MOVIMENTO
Anche il M5S ha le sue correnti, i «fichiani» e i «luigini».
I primi fanno riferimento a Roberto Fico, presidente della Vigilanza Rai e braccio destro di Beppe Grillo.
Gli altri, invece, sono al seguito di «Luigino» Di Maio, giovanissimo vice presidente della Camera, già promesso leader da Gianroberto Casaleggio.
La prima resa dei conti si consumerà dopo le amministrative quando Grillo e i suoi faranno un bilancio su questa tornata elettorale che vede al voto capoluoghi, come Roma, Torino, Milano Bologna e Napoli.
Da giorni, però, Fico e Di Maio si punzecchiano a colpi di interviste lasciando intendere che presto, molto presto, i due si contenderanno la leadership del movimento.
Il primo, Fico, con l’Huffington Post striglia il secondo, Di Maio.
Il presidente della commissione vigilanza Rai ha estratto il cartellino giallo nei confronti del vice presidente della Camera: «L’intervista sul sesso, rilasciata a Vanity Fair, non l’avrei fatta».
E ancora: «L’unico candidato del M5s è il movimento stesso».
Botte da orbi, si direbbe. Con un riferimento chiaro se non si fosse compreso: un no secco alla leadership di Di Maio, reo di essersi espresso in questi termini: «Il sesso è fondamentale. Se non c’è sesso non c’è relazione. Il massimo è avere il sesso con l’amore».
Ma ieri su Repubblica Fico è tornato sulla questione leadership: «Se il movimento diventa una faccia, qualsiasi essa sia, ha fallito la sua rivoluzione culturale».
Di Maio, invece, da par sua, risponde da equilibrista dalle colonne di Micromega: «Saranno gli iscritti a decidere chi sarà il candidato premier per il M5s».
Salvo poi aggiungere: «Se la scelta dovesse cadere su di me non mi sottrarrò a questo impegno e questa dimostrazione di fiducia».
In questo contesto si muovono le rispettive truppe.
Truppe distinte e distanti, spiega chi conosce la galassia parlamentare del movimento. Dietro le quali si nasconde anche l’idea sul futuro dei 5stelle.
Ma chi sta con chi?
Con Fico, espressione dell’ortodossia del movimento, è schierata la vecchia guardia di senatori, come Paola Taverna e Nicola Morra, più una serie di seconde linee venete e piemontesi che rappresentano i cosiddetti «integralisti» a cinque stelle. A questi si aggiunge anche il deputato Angelo Tofalo, membro del Copasir, una voce che Roberto ascolta in ogni suo passo.
Fra i «fichiani» la convinzione è che si debba tornare alle origini, a essere «più movimento» e meno partito, provando a tornare nelle piazze come ai tempi del «Vaffaday».
Di parere avverso l’innercircle di Di Maio: «Non esiste: se vogliamo puntare a Palazzo Chigi dobbiamo seguire i consiglio di Luigi».
Il mediatore di Pomigliano d’Arco, figlio di una professoressa di latino e greco, si muove in punta di piedi ma con il passo del leader. Le sue truppe sono affollate.
«Sono rimasti soltanto posti in piedi», ironizza un deputato che chiede l’anonimato. Danilo Toninelli, esperto di riforme costituzionali, e Alfonso Bonafede rappresentano la cerchia stretta di «Luigino».
Per non parlare dell’altro membro del direttorio Carla Ruocco, del siciliano Giancarlo Cancelleri, già candidato con i cinquestelle come governatore dell’isola nel 2012, e dell’ex capogruppo a Palazzo Madama Vito Crimi.
Nell’ultimo periodo anche Alessandro Di Battista, altro super big dei 5stelle, si è avvicinato al vice presidente della Camera. Raccontano che i due avrebbero raggiunto un accordo che consisterebbe in un ruolo di governo per Di Battista qualora i pentastellati scalassero Palazzo Chigi.
Nel mezzo ci sono i «dialoganti», come la senatrice Elisa Bulgarelli o la deputata Giulia Sarti, che in Transatlantico osano ripetere: «Il movimento ha perso lo spirito iniziale».
Anche se sono già pronte a qualsiasi scenario. Con Roberto o con Luigino, si intende.
Sullo sfondo invece c’è chi come la piemontese Laura Castelli non adora Di Maio ma presto potrebbe salire di grado e diventare capogruppo a Montecitorio.
Una nomina che se confermata dovrà essere, però, vidimata da Di Maio.
Giuseppe Alberto Falci
(da “La Stampa“)
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Giugno 3rd, 2016 Riccardo Fucile
IL CAVALIERE CHIUDE LA CAMPAGNA ELETTORALE A ROMA… L’IRA DEI LEGHISTI: “PORTI IL CERTIFICATO MEDICO”
La campagna elettorale del centrodestra finisce esattamente come era iniziata: con gli stracci che volano tra presunti alleati.
Il forfait last minute di Berlusconi alla chiusura milanese di Stefano Parisi, e la scelta di andare ad Ostia a dare una mano ad Alfio Marchini, hanno fatto infuriare Lega e Fratelli d’Italia.
E del resto, Milano e Roma sono l’Alfa e l’Omega di questa campagna: sotto la Madonnina il centrodestra è miracolosamente unito intorno a Stefano Parisi, con una coalizione che comprende anche Ncd; nella Capitale invece la competition è durissima: Meloni (sostenuta da Salvini) si gioca il ballottaggio con Marchini, partito come civico e finito con Forza Italia.
Se andrà bene, solo uno dei due si giocherà anche il secondo turno, e i rapporti tra “alleati” sono tali da non poter prevedere un gemellaggio al ballottaggio.
Del resto, a Roma si gioca la leadership futura del centrodestra: prevarrà il vecchio leone Silvio che si è scoperto moderato o i giovani ribelli Matteo e Giorgia che vogliono fargli le scarpe?
O entrambi resteranno fuori dal secondo tempo?
A Milano Parisi ha annullato il comizio finale (ufficialmente per il maltempo) ripiegando su un megastore della Replay tra i grattacieli di piazza Gae Aulenti, zona cool a due passi da Corso Como.
Nello staff del candidato del centrodestra minimizzano: “Silvio è andato a Roma perchè lì il ballottaggio è incerto, noi invece ci andiamo di sicuro. Hanno più bisogno di lui nella Capitale…”.
Chissà , c’è persino chi, a microfoni spenti, confida che nella città di Berlusconi si senta poco la sua mancanza, quasi a voler sottolineare che Parisi inaugura una nuova stagione de-berlusconizzata.
Leghisti e Fratelli d’Italia invece sono infuriati. Già , perchè dovendo scegliere tra Roma e Milano, l’ex Cavaliere ha deciso di mettere la faccia proprio dove la competizione a destra è aperta e non dove c’è un embrione di unità .
“Mi spiace che sia lontano da Milano, ma noi qui vinciamo lo stesso”, fa sapere Salvini a margine della festa di Parisi. “Io sono qua perchè tengo all’unità della coalizione. Lui ha scelto di andare a perdere a Roma, visto che al ballottaggio ci mandiamo la Meloni. Amen…”.
Ancora più duro Ignazio La Russa “Non ho capito l’assenza di Berlusconi. L’avrei voluto con noi, sarebbe stato un aiuto a Milano e non sarebbe stato un aiuto alla sinistra. A me spiace che Forza Italia presupponga la possibilità di una grossa coalizione, votando noi non ci saranno inciuci”.
Il capogruppo leghista Centinaio ironizza: ”Se si vuol parlare di centrodestra unito, se si vuol parlare di futuro, questo forfait non lo vedo bene. Berlusconi ci mandi il certificato medico e spieghi le ragioni della sua assenza…”.
Dura la replica del forzista Paolo Romani: Hai perso un’occasione per tacere, Silvio non ha il dono dell’ubiquità , se dovevi parlare potevi farlo contro gli avversari…”.
L’ex Cavaliere, come gesto di cortesia, si collega telefonicamente da Ostia con Milano subito prima di prendere la parola a fianco di Alfio Marchini. “Quella di Milano è una battaglia che possiamo vincere e vinceremo”. “A Milano siamo sicuri di andare al ballottaggio, per questo con Parisi abbiamo convenuto che io restassi a sostenere Marchini”, si giustifica.
“Oggi dipende da ogni milanese se ripartiranno i grandi progetti come quelli della giunte Moratti e Albertini, quali tasse ci saranno, se continueranno le multe selvagge”.
E anche se ci sarà sicurezza e “se i campi rom saranno sgomberati”. “Solo se Stefano diventerà sindaco comincerà una stagione di sviluppo per Milano”.
L’intervento si chiude con un “saluto affettuoso agli amici della Lega e a quelli di Fratelli d’Italia”.
Il bel gesto non sana le ferite a destra. L’ex Cavaliere da Roma si lancia a capofitto contro la “bulimia di potere di Renzi” ed elogia Marchini come “esponente della società civile e non della vecchia politica”.
“Questo voto sarà uno sfratto definitivo per il governo che non ha una maggioranza democratica e ha votato di notte per cambiare la Costituzione portandoci ad un regime”.
Pochissimi riferimenti a Roma, per Silvio la sfida del 5 giugno è una sfida politica nazionale.
Al netto di Roma e Milano, il centrodestra praticamente non è pervenuto.
A Torino Forza Italia sostiene Osvaldo Napoli e la Lega il notaio Alberto Morano; a Napoli Fi sta con Gianni Lettieri e Fratelli d’Italia e Lega con Marcello Taglialatela, ma i leghisti senza lista e senza simbolo.
Unica grande città dove il centrodestra è unito è Bologna, dove corre la discussa leghista Lucia Borgonzoni. Ma, nonostante il comizio dello scorso novembre con Berlusconi-Salvini-Meloni, e le ripetute incursioni di Salvini, a Bologna il centrodestra pare realmente fuori partita.
Nonostante le liti, nel suo complesso tra il 5 e il 19 giugno il centrodestra si gioca molte carte per il futuro: se a Milano dovesse vincere Sala, e se a Roma nessuno dei due tra Marchini e Meloni dovesse arrivare al ballottaggio, ripartire sarebbe molto difficile, uniti o divisi.
(da “Huffingtonpost“)
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Giugno 3rd, 2016 Riccardo Fucile
TERCOVICH AVEVA FATTO UNA SERIE DI DICHIARAZIONI CONTRO I PROFUGHI… IL CANDIDATO SINDACO MENIS: “NON POSSO ESPELLERE NESSUNO MA NON VOTATE PER LUI, E’ RAZZISTA”
“Tercovich non fa più parte del gruppo che mi sostiene. Chiedo di non esprimere preferenze per lui. Non ho il potere di espellere nessuno dal M5s ma posso dire che, per quanto mi riguarda, Fabio Tercovich non fa più parte del gruppo di persone, candidati e attivisti, che in questi mesi hanno sostenuto la mia candidatura a sindaco. Chiedo quindi esplicitamente di non esprimere alcuna preferenza nei suoi confronti al momento del voto”.
Inizia così il durissimo comunicato del candidato sindaco pentastellato al Comune di Trieste, Paolo Menis.
Poche righe che arrivano dopo l’articolo di Repubblica.it sul collega del M5s Fabio Tercovich, dipendente della Regione e candidato anti-immigrati che propone di “sospendere ogni forma di aiuto umanitario a quei Paesi dai quali arriva questa marea di persone”.
Auspicando che l’Italia “dichiari lo stato di guerra a difesa dei confini marittimi”.
“Fabio Tercovich, con le sue reiterate esternazioni pubbliche, ha dimostrato di non rispettare l’impegno sottoscritto al momento della presentazione della richiesta di certificazione da parte del gruppo di attivisti che a Trieste sostiene la mia candidatura a sindaco della città : ovvero quello di sostenere e rispettare il programma elettorale – aggiunge Paolo Menis – Come ho già fatto, mi dissocio totalmente dalle sue dichiarazioni razziste. Si possono avere idee diverse sulla gestione dell’immigrazione del nostro paese ma mai deve mancare il rispetto di tutti gli essere umani e sempre ne deve essere difesa la dignità “, sottolinea il candidato sindaco grillino.
Va detto che le esternazioni di Tercovich non sono recenti: “Nel caso dei clandestini – scriveva il 30 maggio – più tolleriamo che entrino nel nostro Paese orde di semplici migranti economici africani che si spacciano per profughi di guerra, senza un permesso preventivo, anzi, mantenendoli, e più ne arriveranno in futuro, fino a raggiungere numeri incontrollabili e destabilizzanti per la nostra società “.
Ed eccone un altro, del 29 maggio: “Il principio deve essere quello secondo cui chi vuole entrare a casa di qualcun’altro (testuale, con apostrofo, ndr), deve, prima, chiedere il permesso, e solo dopo viene, eventualmente, accolto. A quanti cercano di entrare senza permesso preventivo andrebbe negato, a prescindere, ogni diritto all’accoglienza”.
Affermazioni che Tercovich non smentisce ma, anzi, rilancia sempre sulla sua pagina Facebook:
“Il programma elettorale del M5s Trieste, sul tema – specifica ora Menis – prevede l’imposizione di un limite massimo al numero di richiedenti protezione internazionale accoglibili sul territorio, progetti per coinvolgerli in attività di volontariato a vantaggio della collettività e maggior trasparenza nella gestione delle risorse pubbliche. Tra l’altro Tercovich – conclude il candidato sindaco – pur avendone la possibilità nel corso di tutta la campagna elettorale e con diversi mezzi, non ha mai presentato osservazioni o richieste di modifiche al programma approvato da tutti i candidati del MoVimento 5 Stelle”.
Giovanni Gagliardi
(da “La Repubblica”)
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Giugno 3rd, 2016 Riccardo Fucile
DA ALEMANNO SOPRA MARINO AI CINQUESTELLE DIETRO BERSANI
C’è stato un tempo in cui tutti ridevano dei sondaggi e i sondaggi ci pigliavano, e oggi tutti si aggrappano ai sondaggi e i sondaggi non ci pigliano più.
La fiducia così poco illuministica nella demoscopia non è stata annacquata dalle recenti e tragiche prese d’atto: due anni fa, in occasione delle elezioni europee, gli istituti davano il Pd di Matteo Renzi (arrivato al governo da qualche mese) intorno al 30 per cento; qualcuno saliva fino al 32, qualcuno scendeva al 28, e il Pd chiuse quasi al 41, e cioè 11 milioni e 200 mila voti quando ne erano stati previsti meno di 8 milioni e mezzo.
Nei giorni precedenti giravano nelle redazioni, che non potevano pubblicarli, sondaggi che preannunciavano il sorpasso del M5s, accreditato del 28 contro il 27 dei democratici.
E comunque i grillini se ne stavano sull’onda del loro tsunami fra il 26 e il 27, e poi il conteggio lì inchiodò al 21, a quasi venti punti percentuali dal Pd.
Forza Italia doveva prendere il 20 (anche il 21, male che andasse il 18 alto) e stette sotto il 17.
Inutile star lì a dettagliare sui colpevoli: Datamedia, Istituto Piepoli, Ixè, Ipr, Demos, Swg, Technè, nessun innocente, a dimostrazione che forse un po’ l’uno ispira l’altro, un po’ gli indecisi ingannano, un po’ (non poco) chi risponde si burla di chi domanda, un po’ gli andamenti storici hanno smesso di aiutare.
Ma lo strumento non funziona più.
Sembra seguire un impalpabile orecchiare collettivo, e infatti i cinque stelle erano stati sopravvalutati nel 2014 quasi quanto sottovalutati l’anno prima, alle Politiche.
Per i più ottimisti, il Movimento avvicinava il 19 per cento, mentre i pessimisti lo tenevano più verso il 14 che il 15. Prese invece il 25.5, addirittura meglio del 25.4 del Pd di Pierluigi Bersani, che al contrario avrebbe dovuto incassare il 30, zerovirgola sotto o zerovirgola sopra (e fino a un entusiastico 32).
Per farla breve, il Pd doveva stare al doppio dei cinque stelle, e invece erano pari. Antonino Ingroia, con la sua Rivoluzione civica, doveva rientrare fra il 4 e il 5 e mezzo, e prese il 2.2; Futuro e libertà di Gianfranco Fini era considerato in bilico sulla soglia del 2, e prese lo 0.4.
Ormai la casistica è ricca e antica.
Si ricorda un nerboruto Gianni Alemanno, candidato a sindaco di Roma, che nel 2013 proclamò di essere di cinque punti avanti a Ignazio Marino, e concluse quindici punti indietro.
Alle regionali siciliane del 2012, l’ultimo sondaggio dava Pd e Pdl affiancati al 18, e non raccattarono che il 13.4 uno e il 12.9 l’altro, coi gli emergenti grillini al primo posto, quasi al 15 per cento, mentre erano dati all’8.4.
È da almeno dieci anni che i rilevamenti sono una Caporetto, da quando Romano Prodi doveva asfaltare Silvio Berlusconi alle Politiche del 2006, e poi la spuntò per 24 mila voti, condannato all’ingovernabilità .
E dunque la grande domanda è perchè i candidati continuino a compulsare i sondaggi e a sventolarli in campagna elettorale, con grande suggestione del resto del mondo (sebbene in quest’ultima settimana nessuno ne abbia più commissionati: un piccolo sintomo di guarigione).
Mattia Feltri
(da “La Stampa”)
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Giugno 3rd, 2016 Riccardo Fucile
L’OPERA DI SANT’ANTONIO E L’AZIENDA DI JEANS REPLY HANNO VENDUTO I TITOLI IN TEMPO
Due giorni prima di quel 13 febbraio la procura della Repubblica di Roma aveva compiuto una serie di perquisizioni, con l’iscrizione nel registro degli indagati del Dg Vincenzo Consoli e dell’ex presidente Flavio Trinca per ostacolo alla vigilanza.
Tra le accuse c’è anche quella di aver diffuso «un valore dell’azione Veneto Banca non rispondente al vero», riporta il decreto di perquisizione.
Il caso della popolare di Montebelluna esplode in tutto il suo clamore.
Un caso che però covava da tempo. Gli allarmi si rincorrevano, Bankitalia aveva spinto un ricambio al vertice subendo un vero e proprio schiaffo, con Consoli «retrocesso» da amministratore delegato a direttore generale mantenendo tutte le sue deleghe.
E un’aggregazione (con la Popolare di Vicenza, respinta da Montebelluna e con il senno di poi a ragione).
Così, fin dall’inizio del 2014 il numero dei soci che chiede di vendere è sempre più ampio. Il 3 giugno riesce a piazzare un pacchetto di 11.006 titoli (435 mila euro di controvalore) l’Opera della Provvidenza di Sant’Antonio, l’Opsa, benemerita istituzione di assistenza ad anziani e ammalati della Diocesi di Padova.
A giugno vende anche Giampaolo Buziol, l’imprenditore del marchio della moda Replay, che si libera di 33 mila azioni pari a 1,3 milioni di euro.
Il 3 dicembre la banca compie una sola operazione: compra 50.633 azioni, pari a due milioni di euro tondi, dalla Sg Ambient srl, una società attiva nel settore delle rinnovabili.
Le sue azioni sono tutte in pegno a Unicredit. Fa parte del gruppo Grafica Veneta, un vero colosso nel settore della stampa. Il suo presidente Fabio Franceschi è noto per le posizioni controcorrente, dagli attacchi agli evasori fino alle stoccate alla politica. Qualche giorno fa dalle colonne del Corriere del Veneto se l’è presa con quei grandi soci delle popolari che avevano riavuto indietro i loro soldi mentre i pensionati erano rimasti incastrati.
Lui stesso dice di averci rimesso 5 milioni ma evidentemente poteva andargli peggio. L’operazione di Sg Ambient finisce anche nel mirino della Consob, che segnala questa operazione legata ad una operazione tipo «pronti contro termine» con sottostante azioni di Veneto Banca.
Per sei mesi d’investimento hanno ricevuto un rendimento del 3%.
Nel mirino della Consob finisce anche Arrigo Buffon, imprenditore ed ex amministratore di Veneto Banca Romania.
Ad ottobre 2014 vende 100 mila azioni, circa 4 milioni di euro. Ma il colpo grosso lo fa Cattolica Assicurazioni: il 4 agosto 2014 vende un pacchetto di oltre un milione di titoli, pari a poco meno di 40 milioni di euro.
Solo che ne incassa 67, di milioni. Merito di una opzione «put», un diritto a vendere che Cattolica, i cui intrecci con la Popolare di Vicenza sono finiti nel mirino della Consob, aveva dal 2010.
Poi ci sono le altre banche, e qui si rischia di finire nell’ambito dello strano ma vero. Deutsche Bank vende un’azione nel giugno 2014.
Fineco ne vende 5. Investitori Associati, gruppo del private equity di Antonio Tazartes e Dario Cossutta, ne vende 500 il 30 dicembre.
Più attiva Bim Fiduciaria, del gruppo di Banca Intermobiliare. Con tre operazioni, l’ultima il 30 dicembre, si libera di poco meno di 10 mila azioni.
Gianluca Paolucci
(da “La Stampa”)
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Giugno 3rd, 2016 Riccardo Fucile
“TIVOTOSE”, L’ESPERIMENTO DE “LA STAMPA” TRA POLITICA A SOCIAL
Non è vero che ai più giovani non interessa la politica.
Non sopportano gli strilli da salotto televisivo, ne parlano sempre meno a casa, quasi per nulla a scuola e non conoscono la storia dei partiti.
Nessun fremito per retroscena, correnti e coalizioni volanti. Sanno bene però che con una crocetta e una matita si può disegnare il futuro: ecco perchè non si fidano di slogan e grandi promesse, ma sono a caccia di idee innovative e soluzioni concrete ai problemi di tutti i giorni.
#Tivotose è un esperimento tra la politica e i social network, iniziato lo scorso aprile con un bando rivolto a chi si troverà a votare per la prima volta il sindaco, senza avere le idee troppo chiare.
Tra Milano, Torino e Roma abbiamo selezionato trenta giovani appassionati della propria città , per poi accompagnarli passo passo alla scoperta dei candidati.
Si inizia con la lettura dei programmi elettorali, quando ci sono.
Prima lezione, non così scontata: cosa può fare e cosa no un sindaco?
Stabilite le competenze, abbiamo raccolto le loro domande, rigorosamente video: nate e condivise via smartphone su Facebook, Twitter e Instagram.
Che sia la meglio organizzata Torino o la più caotica Roma, tra i temi più dibattuti ci sono i trasporti.
In Piemonte l’idea è aumentare il bike sharing, a Milano i ragazzi sognano una prateria di piste ciclabili, mentre nella Capitale sono i bus che proprio non vanno. Altro tema assai sentito, il wi-fi: non c’è, da nessuna parte. E quando c’è non funziona.
I romani vorrebbero le strade pulite, i torinesi la raccolta differenziata in tutti i quartieri.
Pochi spunti sulla sicurezza, nessuno sull’immigrazione: si ha più paura di scivolare con lo scooter sul pavè o cadere dalla bici per colpa di una buca che essere aggrediti per strada.
E la statistica è dalla loro parte. C’è voglia di recuperare, valorizzare.
Che si tratti dei torinesi Murazzi, delle caserme abbandonate, degli immobili confiscati alla mafia oppure dei centri sociali, tutti vogliono sapere in che modo potranno essere riportati in vita, meglio se trasformati in incubatori per start up, sale prove, cinema e laboratori.
Con qualche eccezione bipartisan, tutti i candidati hanno risposto di buon grado: molti in video, dimostrando una predisposizione assolutamente social.
L’età conta nella familiarità con i social network? Basta una sbirciata all’account Instagram di Piero Fassino per capire che no, basta la buona volontà .
Secondo passo: andare con i ragazzi sul campo per testare la disponibilità dei candidati.
Virginia Raggi si siede a terra – «Che mi date del lei?» -, Alfio Marchini si presta a domande e selfie, mentre a giudizio dei ragazzi Beppe Sala nella sua passeggiata elettorale tra i negozianti stringe molte mani, ma non si ferma a parlare con nessuno. Ultimo — o penultimo, in caso di ballottaggio — step è il giudizio finale.
I ragazzi di #Tivotose #Milano per esempio hanno scelto le pagelle. A
prendere il voto più alto è Basilio Rizzo, «premio brevitas e premio simpatia per il video selfie», ultimo in classifica Gianluca Corrado, perchè «Milano tutta elettrica entro il 2020 è un tantino utopistica».
Non sappiamo chi sceglieranno i ragazzi domenica, ma una cosa è certa: sarà un voto meditato.
Non di cuore, ma di testa.
Nadia Ferrigo
(da “La Stampa”)
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Giugno 3rd, 2016 Riccardo Fucile
DALL’AUSTRALIA A DORMELLETTO: L’IDRAULICO E’ TORNATO IN PAESE E LANCIA UN APPELLO CONTRO L’ASTENSIONISMO
Un volo di trenta ore dall’Australia per poter votare a Dormelletto.
Otello Sandon abita all’estero da trentuno anni ma ha sempre mantenuto la residenza in paese e anche questa volta non mancherà all’appuntamento con la cabina elettorale: «Sono tornato apposta, affrontando un lungo viaggio. I miei concittadini non devono rinunciare al voto: no all’astensionismo».
Il rischio di non raggiungere il quorum è alto. Il paese è commissariato da febbraio e c’è solo un candidato, Lorena Vedovato.
L’altra mattina Otello è andato al gazebo dell’unica candidata, già sindaco dal 2009 al 2014, per presentarsi e sostenerla in questa battaglia contro l’astensionismo.
Otello si è trasferito in Australia nel 1981 per amore: «Sono partito in vacanza — racconta — ma ho conosciuto una ragazza e mi sono trasferito definitivamente. Ho due figli, abito ad Adelaide dove continuo a fare l’idraulico».
Nonostante la sua nuova vita dall’altra parte del mondo, non ha perso i contatti con le sue origini: «Dormelletto è nel mio cuore — ripete – . Ricordo a tutti di essere nato in un paese sul Lago Maggiore in cui sono state scoperte palafitte preistoriche. Qui abitano ancora mia mamma, i miei fratelli e tanti amici. Anche i miei figli sono affezionati a questi luoghi. Non è un caso che non abbia mai voluto cambiare la mia residenza e non manco mai quando si vota: sono venuto due anni fa e anche ora. I miei concittadini non dovrebbero rinunciare al diritto al voto».
Candidata e quorum
«C’è chi invita i dormellettesi ad andare al lago domenica 5 giugno, mentendo sul fatto che la lista unica passerebbe automaticamente: è tutto falso».
Lorena Vedovato avverte gli elettori contro i «detrattori» e spiega: «Dormelletto eviterà il commissariamento solamente se voterà il 50% più uno degli aventi diritto e se di questi 1.058 elettori almeno 530 voteranno saranno a mio favore».
Da quattro mesi a Dormelletto c’è il commissario straordinario, Marco Baldino. Il sindaco Clemente Mora, eletto per la quarta volta nel maggio 2014, si è dimesso (è candidato consigliere a Comignago) a gennaio, dopo che tre membri della maggioranza erano passate all’opposizione.
Vedovato si è presentata con la «Lista civica Dormelletto il paese che vogliamo».
Cinzia Bovio
(da “La Stampa”)
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