Giugno 20th, 2016 Riccardo Fucile
PD MAI COSI’ MALE DA 20 ANNI
Le immagini di Virginia Raggi trionfante rimbalza sui siti di tutto il mondo, “primo sindaco a 5 Stelle della Capitale”. Rimbalza anche il trionfo di Chiara Appendino, che ha espugnato una città governata dalla sinistra dal 1993. Vince col 67 per cento la prima, col 55 per cento la seconda. Roma, Torino, ma non solo.
A tarda notte, Luigi Di Maio compare in tv sorridente: “Su 20 comuni in cui i 5 Stelle sono al ballottaggio, siamo avanti ovunque. Altro che voto di protesta. Ora siamo pronti a governare”.
Effettivamente, oltre a Roma e Torino, i 5 Stelle vincono un po’ ovunque: a Carbonia — altro capoluogo di provincia – contro il Pd.
Sempre contro il Pd vincono a Cattolica, Gensano, Marino, Pinerolo, Noicattaro.
A Chioggia e Pisticci vincono contro una civica, a Nettuno, San Mauro Torinese, Ginosa contro il centrodestra, Castel Fidardo contro la sinistra-sinistra. Alla fine il risultato è quasi uno strike, 19 vittorie su 20 ballottaggi.
Numeri che indicano una dinamica, tutta politica.
Al secondo turno, i 5 Stelle intercettano un consenso ampio e trasversale: la Raggi passa da 461mila a 750mila voti; la Appendino da 118mila a oltre 200mila.
Mentre il Pd a stento riesce a mantenere l’elettorato fidelizzato al primo turno.
Detto in modo un po’ sbrigativo ma efficace, la destra, o meglio gli elettori di destra, al secondo turno votano i 5Stelle.
Non accade il contrario, come invece racconta il dato di Milano, nel senso che l’elettorato a 5Stelle non converge sul candidato del centrodestra Stefano Parisi. Il quale passa solo da 220mila voti del primo a 250 del secondo, segno di una minore capacità espansiva.
Dinamica fotografata con grande chiarezza da Piero Fassino, commentando a caldo il voto mentre il capogruppo del Pd a Porta a Porta prova a minimizzare parlando di voto locale: “Mi pare evidente — dice Fassino – che va data una lettura di tipo politico. L’elettorato di centrodestra ha votato la Appendino. Questo deve far fare delle riflessioni di quadro politico, perchè accade in tutte le città ove c’è un ballottaggio coi 5Stelle”.
Letta in chiave nazionale, la dinamica suggerisce che, se si votasse oggi con l’Italicum, al secondo turno si salderebbe, attorno ai 5Stelle, un fronte elettorale anti-renziano in grado di battere il Pd. I pentastellati con Grillo che sapientemente è stato un passo a lato in tutta la campagna elettorale, non solo non spaventano, ma attraggono come una “spugna” consensi ovunque.
Sono il vero “partito pigliatutto”. La Raggi asfalta Giachetti, soprattutto nei quartieri popolari dove la proporzione è di 4 elettori su 5 che la votano, mentre 1 su 5 vota Giachetti. La Appendino stravince nei quartieri popolari su Fassino, che già al primo turno aveva parlato di voto “frutto della crisi della disaffezione”.
A Borgo Vittoria-Vallette, Barriera di Milano, tradizionali zone popolari raggiunge il 65 per cento, a Mirafiori Nord e Sud il 56. Nei quartieri della buona borghesia del centro vince invece Fassino: “La verità — dice il senatore dem di Torino Federico Fornaro — è che si è rotta una diga, anche per ragioni di critica alle politica nazionali, e pezzi del nostro mondo sono andati verso astensionismo e 5 Stelle”.
Rispetto al 2011, per dare un’idea, il centrosinistra passa dal 56,7 al 41,8 l’erosione. Sono, grosso modo, 118mila voti dei 5Stelle.
Il Pd, dunque, conquista Milano e tiene a Bologna, al secondo turno e con un’erosione di consenso. Perde Roma, Torino e Napoli, dove il Pd è rimasto fuori dal ballottaggio. È in assoluto il peggior risultato del centrosinistra negli ultimi Vent’anni.
Negli anni Novanta, tranne Milano — storica roccaforte berlusconiana — il centrosinistra governava ovunque.
Era l’era di Rutelli, Bassolino, Castellani a Torino.
Nel 2001 la geografia era questa, sempre molto colorata di Ulivo: Chiamparino (Torino), Albertini (Milano), Veltroni (Roma), Iervolino (Napoli). Nel 2006: Chiamparino (Torino), Moratti (Milano), Veltroni (Roma), Iervolino (Napoli). Nel 2011: Fassino (Torino), Pisapia (Milano), a Roma c’è Alemanno che aveva vinto nel 2008 poi nel 2013 Marino, a Napoli De Magistris.
“Risultato articolato” si legge in una imbarazzata nota del Pd. “Ha perso l’Italia di Renzi” dice Di Maio senza imbarazzo alcuno.
Questi i commenti. I dati dicono che erano oltre 20 anni che la sinistra non andava così male.
(da “Huffingtonpost“)
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Giugno 20th, 2016 Riccardo Fucile
CLAMOROSA SCONFITTA NELLA ROCCAFORTE DI VARESE DOVE LA LEGA GOVERNAVA DA 23 ANNI
Il capolista del Carroccio era un pezzo da novanta: il presidente della Regione Roberto Maroni (il
quale aveva ottenuto 313 preferenze).
Da qui era nata l’epopea della Lega stessa, quella originaria di Umberto Bossi. Ora, dopo 23 anni di amministrazioni lumbard, Varese sarà amministrata da una giunta di centrosinistra.
L’avvocato Davide Galimberti, candidato sindaco di Pd e liste civiche, al secondo turno ha battuto l’imprenditore Paolo Orrigoni, sostenuto da Lega Nord, Forza Italia, Ncd e liste civiche.
Galimberti ha ottenuto il 51,7 per cento. Orrigoni, che al primo turno aveva ottenuto il maggior numero di preferenze tra i candidati in corsa, si è fermato al 48,3 per cento. Alla guida di una catena di supermercati, Orrigoni era un candidato “civico”, vicino alla Lega Nord ma senza tessere di partito.
“A Varese il risultato è di portata storica – dice il segretario provinciale del Pd, Samuele Astuti – dopo 23 anni di governo leghista, il Pd diventa il primo partito in città e sarà l’architrave della coalizione di governo. Solo qualche anno fa questo risultato sarebbe apparso irraggiungibile. Il lavoro di questi anni ha invece portato a costruire una rete di amministratori che ha messo a disposizione dell’intera organizzazione un patrimonio di competenze e conoscenze amministrative che ha reso il Pd credibile sull’intero territorio provinciale”.
Ad oggi tutti i capoluoghi di provincia in Lombardia sono in mano al centrosinistra.
Davide Galimberti nei giorni scorsi aveva ottenuto anche l’appoggio esterno del candidato centrista Stefano Malerba (Lega Civica), che al primo turno aveva ottenuto circa il 7 per cento delle preferenze.
“La sconfitta è mia, non credo che ci siano altri ragionamenti da fare”, il commento tranchant di Orrigoni.
(da “La Repubblica“)
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Giugno 20th, 2016 Riccardo Fucile
PESSIMO RISULTATO PER IL DISEGNO DI VOLER RIMODELLARE L’ITALIA SU UN PARTITO PERSONALE COSTRUITO SUL CARISMA DEL LEADER
Stamane la vittoria dei Cinque Stelle a Roma è su tutti i siti web e sulle prime pagine di tutti i giornali del mondo. È una vittoria prevista ma clamorosa, anche nelle proporzioni.
La capitale d’Italia verrà amministrata da una forza che pretende di essere un movimento e non un partito e che esiste da pochi anni. Beppe Grillo, assente durante la campagna, è piombato nella notte ad abbracciare Virginia Raggi e forse a sovrapporsi a lei.
Quello che accadrà è un enigma avvolto in un rebus, ma i Cinque Stelle hanno vinto con un colpo di scena anche a Torino, il che raddoppia la loro responsabilità .
Hanno gli occhi del mondo addosso e sono di fronte al passaggio cruciale della loro breve esistenza. Se intendono diventare qualcosa di diverso dal fenomeno protestatario e un po’ folkloristico che sono stati fin qui, salvo poche eccezioni, da oggi non dovranno sbagliare.
Sapendo che le scelte possono essere impopolari e richiedono la capacità di riunire una classe dirigente.
Di sicuro sono scelte che turbano il raccontino manicheo dei buoni contro i cattivi.
Per Matteo Renzi e il suo partito il risultato è molto negativo. È soprattutto un pessimo risultato per il “renzismo” inteso come ambizioso disegno volto a rimodellare l’Italia definendo i contorni di un partito personale costruito sul carisma del leader. Perdere Roma è grave, ma per mille ragioni inevitabile.
Perderla con uno scarto percentuale così significativo è spiacevole, dimostra che Giachetti è stato un candidato dignitoso ma debole e fuori contesto.
Tuttavia ciò che rende grave la sconfitta e apre un capitolo carico di incognite nel centrosinistra è la parallela caduta al Nord.
Fassino, uno dei fondatori del Pd, era in vantaggio di circa undici punti al primo turno e nonostante questo Torino ha da oggi un sindaco a Cinque Stelle.
Torino, non solo Roma. La Capitale sconta un dissesto amministrativo di anni, il capoluogo del Piemonte è un’altra storia.
Fassino ha adempiuto ai doveri del suo mandato con esperienza e serietà , come dimostra la realtà di una città ben gestita e sotto questo profilo non paragonabile a Roma.
Eppure l’esito del voto è il medesimo al Nord come al Centro: vince l’alternativa “grillina” con le sue ricette vaghe, i mille No e le prospettive di “decrescita felice”.
E se mettiamo nel canestro anche Napoli, dove De Magistris è stato confermato senza problemi, abbiamo una dorsale dell’anti-politica, della protesta e del malessere sociale che abbraccia mondi lontani e diversi da Nord a Sud, uniti da un senso di insofferenza e di rivolta contro il vecchio assetto.
E infatti De Magistris, che non è “grillino”, ha assorbito e riproposto molti dei temi populisti cari ai Cinque Stelle. I quali sotto il Vesuvio quasi non esistono, mentre il Pd – come è noto – è completamente scomparso dalla contesa.
Quanto a Milano, Sala ha prevalso di misura. Nonostante questo, nessuno può davvero pensare che dal laboratorio milanese sia uscita la ricetta vincente per dimenticare Roma, Torino e Napoli.
È un dato che rende meno drammatica la notte del Pd, ma non basta a costruire un’ipotesi rassicurante: troppo poco per riconciliare il centrosinistra con il suo elettorato, tanto meno per individuare le coordinate del famoso “partito di Renzi” su cui il premier ha puntato le sue carte a partire dalle elezioni europee del 2014.
Così come non è sufficiente il successo di Merola a Bologna, terreno tradizionalmente favorevole, a garantire sullo stato di salute del Pd.
Perchè queste elezioni, pur nella diversità dei luoghi e delle situazioni, dimostrano che il Partito Democratico ha bisogno di essere ripensato dalle radici.
Travolto dai Cinque Stelle a Roma e a Torino, inesistente a Napoli, perdente a Trieste, vittorioso alla fine a Milano (e vedremo poi le altre piazze, alcune – come Varese – positive per il Pd).
Un bilancio abbastanza misero per alimentare le prospettive renziane, il sogno del partito “di sistema” capace di tenersi l’ala sinistra e al tempo stesso di sfondare, novello Tony Blair, verso il centrodestra.
Questo scenario non si è verificato e se Renzi conserverà Milano lo deve alla lealtà di Pisapia, che ha permesso di incollare a Sala buona parte dei voti di sinistra.
Il Pd ha bisogno di una rifondazione ideale e di un modo meno aspro di intendere la leadership. Il che non significa una trattativa di basso livello con la minoranza bersaniana.
Ovvio che il premier-segretario deve attendersi qualche atto poco amichevole da parte di quel segmento del partito che è stato trattato con malcelato disprezzo negli ultimi due anni. Ma la rifondazione ideale presuppone un orizzonte assai più ampio.
Temi, prospettive, ricerca di un nuovo rapporto con la base sociale e gli elettori; un rinnovamento che non sia solo la resa dei conti con gli avversari interni per promuovere il proprio gruppo di potere… c’è solo da cominciare.
Il congresso del Pd potrà essere l’occasione propizia per segnare il cambio di passo, alla ricerca di un più equilibrato assetto interno.
Ma nulla sarà possibile senza idee e suggestioni calate nel solco del riformismo europeo, fondate su una visione non solo propagandistica dell’Italia di oggi e del suo disagio, sullo sfondo di una ripresa economica troppo fragile e di ingiustizie percepite come intollerabili.
Il governo non corre rischi. Ma sarebbe grave se l’analisi si limitasse a tale considerazione. Questa volta è indispensabile un bagno nel realismo.
A lungo, il premier si è protetto dietro uno scudo: l’assenza di alternative. Un centrodestra berlusconiano troppo debole e diviso fra moderati e “lepenisti” alla Salvini. E un movimento Cinque Stelle chiassoso ma immaturo e poco credibile come forza di governo.
In parte è ancora così, ma sempre meno. Le elezioni comunali dimostrano che una forma di alternativa prende forma nelle città .
Sarà incapace di esprimere, come si usa dire, una cultura di governo? Vedremo.
La storia insegna che le alternative politiche con il tempo si creano sempre, per cui è pericoloso cullarsi nelle illusioni.
Da stanotte anche il referendum costituzionale di ottobre diventa un’insidia da non sottovalutare. Non c’è un nesso diretto fra il voto amministrativo e la consultazione sulla riforma, salvo uno: la popolarità di Renzi è in calo insieme alle fortune del suo Pd.
Per cui una certa retorica del rinnovamento, con il vezzo di dividere gli italiani fra riformisti e conservatori, rischia di essere irritante e poco utile.
Anche rispetto alla strategia referendaria sarà opportuna una riflessione.
Stefano Folli
(da “La Repubblica”)
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Giugno 20th, 2016 Riccardo Fucile
PENSANO SOLO A REGOLARE CONTI INTERNI E FISSARE RAPPORTI DI FORZA, POI NON RIESCONO NEANCHE A MOBILITARE IL PROPRIO ELETTORALE PER FARLO ANDARE A VOTARE
Se ci penso, mi viene davvero una tristezza profonda… Su 76 amici napoletani (con diritto di voto in
loco) sono andati a votare soltanto in 3…
Decisamente “pochini” per provare a voltare pagina.
Tutto sommato, hanno fatto più bella figura coloro che non si sono “esposti”…
Al di là della chiosa “personale”, ciò che davvero ha caratterizzato il ballottaggio partenopeo di ieri, è stato l’astensionismo consumato a frotte, e la cosa fa (davvero) molta tristezza, perchè non si può lasciar decidere il destino di una città da nemmeno il 50% degli aventi diritto…
Da uomo di destra sono molto deluso. Da cittadino, lo sono ancora di più…
Il centrodestra, in generale, e quello partenopeo, in particolare, avrà molto su cui ragionare.
Queste elezioni, a Napoli, non le ha perse Lettieri (che si è battutto fino all’ultimo secondo “contro tutto e contro tutti” e con idee che meritivano miglior fortuna). Queste elezioni le hanno perse i resti di quel che resta di un passato partitico che non sa proprio più arrivare, nè al cuore, nè alla testa delle persone.
Il centrodestra, purtroppo, si è fatto logorare dalla voglia di “regolare i conti interni” e dall’assurda necessità di stablire gli eventuli rapporti di forza in seno alla “coalizione”: una vera e propria lotta per la città , non c’è stata.
Il dato politico finale – drammatico ed oltremodo desolante è questo
I partiti, non soltanto dovranno (ri)tornare a lavorare (realmente) tra le persone, nei territori, ma dovranno anche (seriamente) intervenire sulla questione morale.
Pur essendo un garantista, l’opportunità politica di certe scelte resta pur sempre fondamentale.
Da cittadino appassionato ho dato il mio piccolo contributo. Tanti altri pure lo hanno fatto: peccato che l’esito complessivo non sia stato dei migliori, purtroppo. Evidentemente, da un lato, ci volevano molti più cittadini “dediti alla causa”, dall’altro, era richiesta molta più presenza da parte di chi, pur essendosi candidato, c’ha messo la faccia senza farlo fino in fondo…
La sintesi conclusiva è che, alla fin, fine, non ha votato l’intera città , ma soltanto una sua parte (per la precisione il 35,99% degli aventi diritto) ed in “quella parte”, i “socialisti” ci hanno creduto molto di più.
Purtroppo, saranno altri cinque anni di nulla. I “Gigginiani”, da un lato, continueranno a crogiolarsi nell’astrazione della sedicente rivoluzione “zapatista”; dall’altro, tra un esecuzione e l’altra della camorra (anche quelle consumate ai danni degli innocenti), continueranno a raccontarci la “favoletta” della “Napoli che sarebbe stata restituita ai Napoletani”.
Intanto, nel delirio di “quello che proprio non c’è”, Napoli continuerà a cadere fisicamente a pezzi; l’economia cittadina continuerà ad essere in ginocchio; i fondi Europei (non spesi per incapacità di programmazione) continueranno ad essere rispediti al mittente e le periferie continueranno a patire disfunzioni, carenze variamente date ed assenza, reiterata e continuata, delle Istituzioni.
Loro saranno contenti lo stesso, però: “gli basterà ” cantare “oh bella ciao” (come hanno fatto questa sera subito dopo l’esito del voto) e tutto “andrà bene”…
Al centrodestra, purtroppo, non restano nemmeno le canzoni: manca “lo spartito”; mancano le idee; manca una visione; manca un “direttore” e mancano finanche “i suonatori”…
Non ho idea se il PD stia messo meglio. Chissà . Forse. E’ da capire…
E con questo, passo e chiudo…
Salvatore Castello
Right BLU – La Destra Liberale
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Giugno 20th, 2016 Riccardo Fucile
STRAORDINARIA RIMONTA: BATTE IL CANDIDATO DEL PD RISI, 50,25% CONTRO 49,75%
Dopo uno scrutinio al cardiopalma con sorpassi e controsorpassi, uno dei miracoli politici più straordinari si è avverato: Pippi Mellone è il nuovo sindaco di Nardò con 8.481 voti contro gli 8.398 del candidato del Pd, Risi, sindaco uscente.
Pippi era entrato da solo in consiglio comunale cinque anni fa con il 5% in nome della destra sociale con una lista civica, due settimane fa al primo turno era arrivato al 30%, a 11 lughezze dal centrosinistra e lasciando fuori dal ballottaggio fittiani e Fdi.
Ora un nuovo straodinario risultato e diventa sindaco di Nardò.
Siamo felici per un amico, per un militante politico vero, per il suo popolo che ha dato un importante segnale di cambiamento contro tutta la vecchia politica che si era unita per impedirne il travolgente successo, a cominciare da certi presunti destrorsi che hanno fatto votare il candidato del Pd.
Non è bastato: Pippi ha sfondato i muri della casta, degli interessi, degli affari.
A dimostrazione che la destra vincente non è quella dell’odio e dei favori, ma quella della legalità e della giustizia sociale.
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