Febbraio 6th, 2017 Riccardo Fucile
FRONGIA: “MA LORO HANNO DIFFUSO UN DOSSIER CONTRO VIRGINIA”… L’ASILO GRILLINO
Altre discussioni, accuse, veleni. 
Il sito Affariitaliani.it pubblica oggi nuove screenshot delle chat segrete dei consiglieri romani del Movimento 5 stelle in cui.
Come riporta il sito:
“Protagonisti sono Daniele Frongia, allora consigliere comunale e oggi assessore allo Sport dopo essere stato vicesindaco; Paolo Ferrara, ex consigliere del Decimo Municipio e ora capogruppo in consiglio comunale; Monica Lozzi, presidente e all’epoca consigliera del Settimo Municipio; Danilo Barbuto, ex consigliere del Quarto Municipio”.
Nella chat che sarebbe stata creata da Frongia erano presenti vari consiglieri “tranne Marcello De Vito e Tiziano Azzara, ex consigliere del Primo Municipio”.
Secondo Affaritaliani:
“Daniele Frongia pubblica nella chat un messaggio di De Vito (forse proveniente da uno scambio privato con lui o da un’altra chat di gruppo), in cui “il condannato in contumacia” lamenta — in toni piuttosto tragici — lui “che non ha mai rubato niente in vita sua”, di essere stato “accusato di abuso d’ufficio con tanto di parere legale” davanti a cinque parlamentari, due membri del direttorio e uno di un imprecisato “coso”, che ipotizziamo si tratti del comitato d’appello”
Il riferimento è a una riunione “pretesa da Frongia, in cui quest’ultimo, Virginia Raggi e l’altro consigliere Enrico Stefà no accusarono De Vito di abuso d’ufficio davanti a tutti i parlamentari romani tranne uno, ovvero Roberta Lombardi, Alessandro Di Battista, Carla Ruocco (questi ultimi due ex membri del Direttorio), Paola Taverna, Stefano Vignaroli e Massimo Enrico Baroni, e in presenza di Rocco Casalino (responsabile comunicazione Senato), Ilaria Loquenzi (responsabile comunicazione Camera) e Augusto Rubei, blogger del Fatto Quotidiano e consulente alla comunicazione pentastellata alla Camera”
Nella chat vengono poi sottolineati alcuni passaggi in cui Frongia continua ad accusare l’assente De Vito colpevole, secondo Frongia, di diffondere dossier sulla Raggi. Tutte accuse smentite da De Vito.
(da “Huffingtonpost”)
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Febbraio 6th, 2017 Riccardo Fucile
LA CLAUSOLA PER IL FRATELLO: CURRICULUM NON VINCOLANTI
C’è un documento firmato da Raffaele Marra che mostra come ogni decisione sulla nuova organizzazione del Campidoglio fosse presa in pieno accordo con Virginia Raggi. Compresi gli stipendi dei funzionari promossi.
È la circolare datata 19 ottobre 2016 che fissa i criteri per le nomine dei dirigenti e spiana la strada alla designazione di Renato Marra come responsabile per il Turismo. Perchè esclude che si debba fare una selezione sui curriculum di chi aspirava a quel posto.
È uno dei punti su cui si gioca il duello tra Marra e la sindaca nell’inchiesta coordinata dal procuratore aggiunto Paolo Ielo che li vede entrambi indagati per abuso d’ufficio per aver scelto il fratello di lui nonostante il conflitto di interesse e nonostante il regolamento di Roma Capitale imponesse proprio di valutare il profilo di tutti i candidati.
Raggi deve rispondere anche di falso per aver dichiarato all’anticorruzione di aver agito da sola mentre i messaggi via chat e i documenti acquisiti – questo in particolare – dimostrano come abbia condiviso ogni passaggio della procedura.
L’interpello
Raffaele Marra ha sempre avuto un ruolo chiave nella gestione delle pratiche del Comune di Roma, tanto che quando i leader del Movimento hanno chiesto a Raggi di revocargli l’incarico di vicecapo di gabinetto, lei lo ha nominato capo del Personale.
È proprio in quella veste che a metà ottobre pianifica «il conferimento degli incarichi dirigenziali e subapicali nell’ambito della macrostruttura capitolina».
Nel documento cita esplicitamente l’articolo 38 del regolamento comunale «circa la necessità della previa attivazione di procedure di interpello da svolgersi in maniera trasparente motivata ai fini del conferimento dei nuovi incarichi» e chiede che tutti i candidati spediscano domande e curriculum entro una settimana al suo ufficio
Sono due i passaggi chiave che riguardano il fratello Renato, all’epoca vicecapo della polizia municipale.
Incarico e soldi
Il primo riguarda i requisiti. Scrive infatti Marra nella circolare: «Il conferimento degli incarichi dirigenziali può essere attribuito senza esclusività anche ai dirigenti dell’Avvocatura capitolina e del corpo di polizia locale di Roma capitale» e così lo include nella lista degli aspiranti.
E poi sottolinea: «Le fasce retributive di posizione sono indicate nell’allegato alla presente nota». Con il passaggio al Turismo Renato Marra aveva ottenuto un aumento di 20 mila euro. In una conversazione via chat Raggi si lamenta con Marra «perchè così mi metti in imbarazzo».
Adesso si scopre invece che era stata informata e aveva ricevuto il documento dove venivano specificati i nuovi stipendi.
Il profilo
Scrive infatti Marra nella circolare: «La scrivente direzione trasmetterà la documentazione ricevuta alla sindaca, la quale ad esito dell’esame della stessa e delle informazioni in possesso degli uffici, procederà ai sensi dell’articolo 38 del regolamento al conferimento degli incarichi, tenendo presenti, ove possibile, le candidature ai fini dell’individuazione dei profili di competenze ed esperienze che evidenzino la concreta idoneità a esercitare le funzioni connesse all’incarico da ricoprire»
Subito dopo inserisce però la clausola che rende suo fratello unico candidato perchè chiarisce che l’esame dei curriculum non sarà vincolante: «Il presente interpello ha natura esplorativa e non comparativa». Tutte le pratiche vengono inviate a Raggi. Venti giorni dopo Renato Marra ottiene la nomina.
Fiorenza Sarzanini
(da “il Corriere della Sera”)
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Febbraio 6th, 2017 Riccardo Fucile
“CHIEDI AL MILITARE DI INDAGARE SULLA MURARO”… “HO COMPLETATO IL LAVORO CHIESTO DA VIRGINIA”
«Ho buttato giù le possibili assunzioni negli uffici di diretta collaborazione indicando gli importi».
Questo messaggio lo ha indirizzato lo scorso giugno a notte fonda Raffaele Marra, di lì a poco vicecapo di gabinetto di Virginia Raggi, a Salvatore Romeo, che con i buoni uffici del suo amico sarà presto nominato capo della segreteria della sindaca.
Già allora i due sono in piena sintonia. Perseguono obiettivi loro, non necessariamente condivisi con la Raggi: «Sto lavorando alla Macrostruttura ho trovato come superare l’Assessorato alle risorse umane», annuncia Marra all’amico Romeo.
Un’operazione su cui successivamente aggiunge: «Virginia mi ha dato un’idea diversa sulla Macrostruttura e io sto provando ad andarle incontro, ma è difficile».
I messaggi che Marra e Romeo si scambiano perfino alle due di notte, segno di un’assoluta confidenza, rivelano un dato sconcertante: dei «quattro amici al bar», per chiamarlo come si erano nominati essi stessi sulla famosa chat di WhatsApp, almeno due (Marra e Romeo) giocavano un’altra partita, la loro.
E quando Raffaele Marra, detenuto dal 16 dicembre per un’altra inchiesta che lo chiama a rispondere del reato di corruzione, sarà interrogato dal procuratore aggiunto Paolo Ielo e dal sostituto Francesco Dall’Olio, molte domande prenderanno probabilmente spunto proprio dall’esistenza evidente di due diversi livelli nel «raggio magico».
Con i due funzionari in qualche modo al comando del gruppo e sindaco e vice sindaco (Daniele Frongia che ha poi rinunciato all’incarico) in un ruolo gregario.
E pensare che a febbraio, quando Salvatore Romeo spinge a più non posso perchè la Raggi prevalga nelle comunarie, entrambi trasudano ammirazione, una forma d’amore, proprio per la futura sindaca. Romeo, che da poco ha intestato all’avvocatessa la polizza assicurativa (che sostiene non sia un finanziamento politico e per la quale sarà forse sentito dai magistrati), scrive gongolante a Marra: «Il candidato sindaco per il Movimento è Virginia Raggi. E adesso inizia il bello».
E l’altro gli risponde con lo stesso tono: «Fai un grosso in bocca al lupo a Virginia. L’ho appreso al telegiornale».
Ma dopo il ballottaggio che incoronerà la loro beniamina cominciano presto a emergere diversità di opinioni con la sindaca, che ai loro occhi è un po’ troppo indecisa e garantista verso i quadri ereditati dall’amministrazione Marino.
Scrive Marra a Romeo: «Il Dipartimento servizi scolastici e educativi è compromesso. Tu penserai che la Turchi è stata fatta fuori? Invece no. Complimenti».
I due non sembrano nemmeno apprezzare la strenua difesa dell’assessore Paola Muraro messa in campo dalla sindaca. Romeo, infatti, si rivolge a Raffaele Marra che è un ex ufficiale Gdf con una richiesta precisa:«Chiedi al tuo amico della Finanza di indagare sulla Muraro».
L’intento dei due è chiaro: conservare la loro influenza sulla sindaca e dunque sulla gestione del Campidoglio.
Le cose però andranno diversamente e entrambi lasceranno prima di Natale i prestigiosi incarichi, mentre la Raggi riuscirà a resistere. Finora.
Perchè incombe il caso della promozione del fratello maggiore di Marra, l’ex ufficiale dei vigili urbani Renato: la difesa della Raggi ritiene che fosse da seguire il comma 2 e non l’8 del regolamento comunale, e cioè che non fosse necessaria la comparazione dei curricula, ma i giudici non sembrano convinti.
E soprattutto resta agli atti, pesante come un macigno, quella dichiarazione all’anticorruzione capitolina in cui la Raggi rivendica piena autonomia nella decisione e che le è costata l’iscrizione tra gli indagati per falso in atto pubblico.
Edoardo Izzo
(da “La Stampa”)
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Febbraio 6th, 2017 Riccardo Fucile
GRAZIE AL DECRETO DEL DEMENTE A UNA NOSTRA CONNAZIONALE SONO STATE PURE ADDEBITATI 2.800 DOLLARI DI “SPESE SOSTENUTE DALLA POLIZIA AEROPORTUALE”
È stato il decreto sugli immigrati islamici imposto da Trump a far terminare in modo inaspettato la vacanza di un’italiana trentaquattrenne.
Un periodo di ferie in Centro America è finito con le manette ai polsi mentre le autorità aeroportuali americane scavavano per sette ore nel suo passato.
E quando la ragazza ha ricevuto il permesso di imbarcarsi per tornare in Italia le hanno presentato la parcella: 2850 dollari per il tempo impiegato dagli agenti dell’immigration per stabilire se dietro a quei viaggi in Libia e in altri paesi arabi ci fossero collegamenti col terrorismo fondamentalista islamico.
È accaduto ad Alessandra, che preferisce che il suo cognome non venga usato.
Teme le conseguenza di quando avrà bisogno nuovamente di passare per gli Stati Uniti. La sua vacanza è agli sgoccioli.
Di primo mattino arriva all’aeroporto di Guanacaste-Liberia per il check-in. Alla compagnia aerea americana la informano che c’è un problema e pertanto le possono dare la carta d’imbarco solamente fino ad Atlanta.
Lì dovrà fare dogana e presentarsi nuovamente per il check-in per Londra.
Alle 8 del mattino l’aereo decolla e poco prima delle 13 atterra negli Usa all’aeroporto internazionale Hartsfield-Jackson.
Al controllo passaporti c’è una lunga coda perchè pochi giorni prima, il 27 gennaio, Trump aveva dato ordine che scattasse il divieto d’ingresso a persone provenienti da sette paesi a maggioranza islamica.
La direttiva è chiara ma il modo in cui renderla operativa no. Quando è il turno della giovane professionista veneta l’agente della polizia di frontiera sfoglia il passaporto italiano e nota vari visti di paesi arabi.
Si sofferma su uno in particolare. “Questo è un visto della Libia”, e scompare per alcuni minuti col passaporto. Si ripresenta con due poliziotti che mettono le manette ai polsi di Alessandra senza alcuna spiegazione.
Le sequestrano gli effetti personali, cellulare compreso, e la portano in una piccola stanza con una dozzina di persone.
Divieto di parlare con gli altri. Una mezz’ora d’attesa poi l’italiana viene trasferita in uno stanzino individuale di circa due metri per due: senza finestre e con la porta serrata, solo una telecamera che tiene sotto controllo ogni gesto benchè sia ancora ammanettata.
Inizia una serie di interrogatori da parte di persone differenti. Vogliono sapere tutto, compresi gli indirizzi dove ha abitato negli ultimi dieci anni.
Sono molto rigidi sulle date e definiscono “doubtful” – dubbiosi – alcuni dei viaggi di lavoro che ha compiuto nel corso della sua vita professionale.
La sua attività più recente è presso una società veneta che opera molto all’estero. Viaggia moltissimo anche in paesi come l’Iran e il Sudan.
E in passato per lavoro aveva vissuto per un anno e mezzo in Libia. “Strange”, commentano: strano.
Per ulteriori accertamenti chiedono alla ragazza il codice d’accesso del suo cellulare. Mettono a nudo la sua vita digitale – Facebook, whatsapp, sms, Skype – ma anche chiamate fatte e ricevute e elenco dei contatti telefonici.
Non è una violazione della privacy perchè in qualità di straniera non ammessa negli Stati Uniti non ha diritti, neppure quello di usare la toilette che le permettono di visitare solamente dopo quattro ore.
La sua identità incomincia a essere messa a fuoco solo dopo l’intervento di un avvocato in Veneto e dopo una serie di telefonato a un familiare, all’attuale datore di lavoro e al datore di lavoro precedente.
Ci vorranno ancora alcune ore prima che alla ragazza venga dato il via libera, ma nel frattempo hanno annullato il suo permesso ESTA che esclude gli europei dal bisogno di un visto Usa.
Le danno un visto temporaneo che le dà giusto il tempo di comprare un nuovo biglietto direttamente per l’Italia avendo perduto la coincidenza.
Paga un migliaio di dollari per una sola andata ma non prima di avere ricevuto una sorprendente richiesta: le autorità americane chiedono 2850 dollari per avere fatto perdere tempo alla polizia di frontiera.
(da “La Repubblica”)
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Febbraio 6th, 2017 Riccardo Fucile
UN CRESCENDO DI MESSAGGI CONTRARI ALLA DIVISIONE NEGLI STATI UNITI
Il primo strappo arriva ancor prima del fischio d’inizio, quando sul palco dell’evento sportivo più
atteso d’America, il 51esimo SuperBowl che si è appena concluso allo Nrg Stadium di Houston, Texas, con la vittoria dei New England Patriots, salgono le “Schuyler sisters”: che per la cronaca non sono una band di tre sorelle ma i personaggi che Phillipa Soo, Renèe Elise Goldsberry and Jasmine Cephas Jones interpretano nel musical hit di Broadway “Hamilton”.
Sono lì per intonare il brano patriottico per eccellenza, quell'”America The Beautiful” che è quasi un secondo inno nazionale.
Interpretazione impeccabile: almeno fino a quando, al verso che dice “and crown thy good with brotherhood” (Dio coroni il tuo bene con la fratellanza) aggiungono una parolina: “sisterhood”, sorellanza.
E lo stadio esplode in un applauso, mentre all’allenatore dei Falcons inquadrato proprio in quell’istante scappa un contagioso sorriso.
Una leggera, graziosissima affermazione femminista che nel primo Super Bowl dell’era Trump, dove tutto assume un significato politico, è già una piccola rivoluzione.
Che cancella su Twitter ogni traccia del cantante country Luke Bryan, che si cimenta con una piuttosto piatta versione dell’inno subito dopo.
Eccola, l’America divisa in due che non riesce a ritrovare unità nemmeno davanti allo schermo. Divisa non solo fra chi tifa Patrioti o Falconi ma fra chi si schiera col super campione pro Trump, Tom Brady, che strappa la mega coppa ai falconi rivali in finale di partita.
E chi si esalta quando le luci – e che luci, quelle di centinaia di droni che illuminano il cielo di Houston – si accendono su Lady Gaga. La regina del pop l’aveva promesso: riunirò il Paese. E a modo suo, ci prova davvero: appollaiata come Spiderman sul tetto dello stadio, Gaga intona due canzoni simbolo della storia d’America.
Inizia intonando “God bless America”, altro inno patriottico scritto da Irving Berlin nel 1918. Ma nel verso successivo passa a “This Land is your land” di Woody Guthrie, un classico dei movimenti di protesta, rispolverato anche nelle ultime manifestazioni contro il Bando di Trump, con quel suo ritornello che dice “This land war made for you and me”, questa terra è stata fatta per me e per te.
Poi si tuffa – letteralmente, sostenuta da cavi d’acciaio – nel suo hit più famoso, quel Born this way diventato l’inno del movimento omosessuale, per poi ripercorrere i suoi brani più famosi.
Una performance che manda letteralmente in tilt Twitter che trasforma immediatamente #LadyGaga in trendy topics con 5,1 milioni di tweet, compreso quello di un esaltatissimo ex vicepresidente Joe Biden: “fiero di aver lavorato insieme contro la violenza domestica”.
“Twitta anche Hillary Clinton: Sono una dei 100 milioni di fan del Super Bowl che è appena impazzita per Gaga il messaggio della Lady a tutti noi”.
Intanto, messaggi che fino a poche settimane fa ci sarebbero sembrate solo di buon senso civile e che nell’America che vuol chiudere le sue frontiere suonano invece come affermazioni politiche arrivano anche dai tanti spot che frammentano la partita, notoriamente i più visti e dunque i più costosi (quest’anno si è arrivati a 5 milioni di dollari per 30 secondi di pubblicità ).
Coca Cola, ad esempio, ha deciso di riproporre quello con persone di ogni razza che cantano America The Beautiful in lingue diverse: datato 2014, assume un senso totalmente diverso nel nuovo contesto.
Una scelta voluta, secondo il pubblicitario Lynn Power, che al New York Times dice: “Hanno fatto bene a trasmettere quel vecchio spot. Oggi è più rilevante di quando fu trasmesso nel 2014”.
E che dire di Airbnb, che nello spazio pubblicitario comprato all’ultimo minuto utile, mostra gente di culture diverse con una scritta in sovrimpressione: “non importa chi sei, da dove vieni, chi ami, in cosa credi. Ci apparteniamo tutti. Più ci accettiamo, più è bello il mondo”.
Notevole anche lo spot dell’Audi: dove un padre guarda la figlia che gareggia in una competizione di go-cart. E si chiede: “Cosa dovrei dire a mia figlia: che sarà valutata meno di un uomo? Che sarà pagata meno di un uomo? Che suo padre è considerato più di sua mamma? Che penseranno sempre che è inferiore a qualunque uomo che incontrerà ?” Per poi concludere che no, forse non finirà così: “il progresso è per tutti”.
Spot, touchdown e canzoni: ma intanto i “patrioti” si aggiudicano la partita. E confermano la previsione del loro tifoso più accanito, Donald Trump. “Wow” commenta caustico su Twitter il regista Michal Moore: “Proprio come alle elezioni dello scorso novembre. Compresa la scena dei fan dei Falcon in festa, mezz’ora prima di perdere”.
(da “La Repubblica”)
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Febbraio 6th, 2017 Riccardo Fucile
AVREBBERO ACCETTATO DENARO E REGALI PER AGEVOLARE PRATICHE DI PERMESSO DI SOGGIORNO E RIDURRE SANZIONI
Un poliziotto e due funzionari del ministero dell’Interno sono stati arrestati questa mattina a Savona con l’accusa di corruzione.
Avrebbero accettato denaro e regali in cambio di agevolazioni per alcune pratiche, dal rilascio di permessi di soggiorno, al cambio di cognome, fino alla riduzione dei giorni di sospensione della patente.
Oltre al poliziotto e ai funzionari, arrestate altre tre persone: un cittadino marocchino, uno albanese e una donna italiana.
Il poliziotto, accusato anche di concorso in favoreggiamento della prostituzione, e il marocchino sono stati sottoposti a custodia cautelare in carcere, mentre i due funzionari del Ministero dell’Interno sono agli arresti domiciliari, come l’italiana, accusata di sfruttamento della prostituzione, e l’albanese.
L’indagine è iniziata nel dicembre 2015, quando nell’ambito di un’altra inchiesta sono emersi contatti sospetti tra alcuni indagati ed il poliziotto.
Secondo gli investigatori, “il poliziotto e i due funzionari del ministero avrebbero sistematicamente abusato delle loro funzioni agevolando pratiche in cambio di denaro, ma anche di regalie come vestiti, schede telefoniche, cene, assunzioni di amici, visite mediche, spese gratis nei negozi”.
(da agenzie)
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