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RENZI 61%, EMILIANO 21%, ORLANDO 18%: NON C’E’ PARTITA

Febbraio 25th, 2017 Riccardo Fucile

SONDAGGIO SCENARI POLITICI, PRIMO RILEVAMENTO DOPO L’UFFICIALIZZAZIONE DELLE CANDIDATURE

Matteo Renzi è abbondantemente avanti nella sfida per la segreteria del Pd.
Secondo il sondaggio di ScenariPolitici per HuffPost il segretario uscente arriverebbe primo alle primarie col 61% delle preferenze.
Secondo Michele Emiliano al 21% e terzo il ministro della Giustizia, Andrea Orlando, al 18%.
Renzi sorride anche nella rivelazione sulla fiducia tra i protagonisti del centrosinistra. In questo caso è primo col 30,6%, tallonato dall’ex sindaco di Milano, Giuliano Pisapia, al 28,4%.
Al terzo posto Orlando col 26,2%.
E’ evidente che in questo caso Renzi, superando quota 50%, non dovrebbe quindi sottoporsi al voto dell’assemblea Pd, con il rischio di rimanere vittima di un’alleanza tra i suoi competitor, circostanza ventilata in questi giorni.
Emerge invece come novità , ma non certo per gli addetti ai lavori, la “credibilità ” dell’ex sindaco di Milano, Giuliano Pisapia, destinato ad assumere un ruolo non secondario nei futuri scenari politici.

(da agenzie)

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“DEMOCRATICI E PROGRESSISTI”: IL NOME C’E’, ORA MANCANO SOLO I VOTI

Febbraio 25th, 2017 Riccardo Fucile

NASCE IL NUOVO PARTITO DEGLI SCISSIONISTI, ALLEATI CON I TRANSFUGHI DI SINISTRA ITALIANA

È nato ufficialmente a Roma “Democratici e progressisti”, il nuovo soggetto politico formato dai fuoriusciti dal Pd e che si colloca a sinistra del partito guidato da Renzi.
A tenerlo a battesimo è stato Roberto Speranza, con Enrico Rossi, Arturo Scotto e Massimiliano Smeriglio.
Speranza ha ricordato l’art.1 della Costituzione (“L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro”) definendolo «il nostro simbolo, il nostro progetto per l’Italia».
E Rossi ha rimarcato: «Abbiamo un avversario, che è la destra e la deriva populista, e la battiamo solo costruendo una sinistra».
«Dobbiamo costruire un nuovo centrosinistra con una radicalità  della proposta politica, dobbiamo avere il coraggio di essere forza di Governo. In questi anni abbiamo vissuto una frattura tra il popolo e la sua rappresentanza sul lavoro, la scuola e l’ambiente» ha detto Speranza che ha poi indicato nel Jobs Act, nella Buona Scuola e nel referendum sulle trivelle i passaggi che «hanno creato una rottura tremenda». «Basta – ha esclamato – è il momento di ricucire quella frattura», dando vita a «un Movimento largo che vuole connettere e unire anzichè dividere».
«Oggi è il primo passo di un percorso che richiederà  un confronto largo. È il primo passo di una storia bella che ha come obiettivo quello di riconnettere il popolo del centrosinistra – ha aggiunto -. È un nuovo inizio, un primo passo ma siamo ottimisti. Faremo una cosa informale, senza effetti speciali e fuochi d’artificio che ne abbiamo avuto abbastanza».

(da agenzie)

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PD, CHI VA E CHI RESTA

Febbraio 25th, 2017 Riccardo Fucile

L’ANALISI REGIONE PER REGIONE

Situazione di fluidità  nel Pd in versione “local”, dove l’attendismo e il dubbio regnano sovrani, anche se la scissione nazionale non sembra determinare, almeno al momento, grandi scossoni nei governi delle Regioni e dei Comuni.
Se però la fuoriuscita di bersaniani e dalemiani dal partito non sembra avere grandi conseguenze, più frastagliata sembra la situazione nei democratici dopo gli annunci delle candidature anti-Renzi.
E questo appare più marcato nelle regioni meridionali, soprattutto in Puglia, lacerata tra gli aspiranti segretari, e in Abruzzo.
Analizzando le situazioni regionali da nord a sud, in Valle d’Aosta non sono previste fuoriuscite tra i dirigenti dem; il Pd resta quindi in maggioranza sia in Regione che nel Comune di Aosta.
Pochissime defezioni in Piemonte, dove la maggioranza di Sergio Chiamparino in Regione non corre pericoli: al momento lascerebbero il partito solo quattro esponenti, nessuno dei quali è consigliere regionale.
Abbastanza nutrito è il drappello di coloro che sostengono la candidatura a segretario di Andrea Orlando, tra cui parlamentari come Anna Rossomando, Umberto D’Ottavio, Antonio Boccuzzi e alcuni consiglieri regionali.
Tiene il Pd in Lombardia, dove esprime tutti gli 11 sindaci di capoluogo, nessuno dei quali sulla via della scissione; solo il consigliere regionale Massimo D’Avolio, bersaniano, dovrebbe uscire dal gruppo, nessun abbandono da parte di dirigenti o esponenti di rilievo in Liguria.
Qualche ripercussione ci sarà  invece in Veneto: tra i nomi di spicco viene dato per scontato l’addio dell’europarlamentare Flavio Zanonato – ex ministro, area bersaniana – così come è probabile lasci Davide Zoggia, stessa area, oggi in linea con la minoranza.
Di area renziana sono il segretario uscente Roger De Menech, la senatrice Laura Puppato, il sottosegretario all’economia Pier Paolo Baretta.
Clima di attesa in Friuli, dove il gruppo bersaniano dei parlamentari si mostra diviso sulle scelte da compiere. I vertici locali del partito rimarranno invece tutti al loro posto, così come il capogruppo alla Camera Ettore Rosato e la presidente della Regione, Debora Serracchiani.
Poche ma pesanti le uscite in Emilia Romagna.
Insieme all’ex segretario Bersani, quasi certamente uscirà  Vasco Errani: l’annuncio è atteso per domani.
Tra i parlamentari fuori Maria Cecilia Guerra e Maurizio Migliavacca. Tra gli incerti il più giovane deputato della storia repubblicana, Enzo Lattuca.
Già  fuori, invece, la consigliera regionale Silvia Prodi, nipote dell’ex premier.
Le defezioni non mettono comunque a rischio gli equilibri politici sui territori e in regione.
Nessun grande cambiamento in Toscana dopo l’uscita dal partito del governatore Enrico Rossi: in giunta anche gli assessori considerati più vicini al presidente hanno reso noto di voler restare nel Pd, e così anche in Consiglio regionale.
Nel Lazio, nessun annuncio di abbandono mentre all’interno del partito il governatore Zingaretti sostiene la candidatura di Orlando, seguito da un drappello di 8 consiglieri sui 22 dem.
La maggior parte dei parlamentari romani appoggia Renzi.
Nessuno scossone nel quadro politico-amministrativo delle Marche, mentre in Umbria ci sarebbe un solo consigliere regionale intenzionato a seguire Roberto Speranza.
In Abruzzo il partito è diviso tra renziani (come il governatore D’Alfonso o la senatrice Pezzopane), sostenitori di Orlando (come il sindaco dell’Aquila Cialente) e di Emiliano; qualche big va con D’Alema o con Orfini. Potrebbe uscire dal Pd il deputato del Molise Danilo Leva.
Situazione fluida in Puglia, dove comunque al momento nessun parlamentare sembra intenzionato a seguire la strada della scissione.
Nella maggioranza che sostiene Emiliano in consiglio regionale ci sarebbero due pronti a confluire nel nuovo gruppo bersaniano-dalemiano.
Molto confuso il quadro in Campania: gli unici che sembrano pronti a lasciare sono quelli di stretta osservanza dalemiana come l’europarlamentare Massimo Paolucci e la parlamentare Luisa Bossa.
In Basilicata, due big sono in uscita: Roberto Speranza e Filippo Bubbico, altri scioglieranno la riserva nei prossimi giorni.
Nessuno scossone in Calabria.
L’attendismo regna anche in Sicilia, dove se si esclude il parlamentare Pippo Zappulla, bersaniano, che lascerà  di sicuro gli altri devono decidere. Infine, la Sardegna, alle prese con una stagione congressuale già  avviata: nessuno si è ancora schierato con gli scissionisti, ma sono più di uno a interrogarsi.

(da “La Stampa”)

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I CONSIGLIERI GRILLINI RIBELLI: “VOTATEVELA VOI LA DELIBERA SULLO STADIO, NOI NON CI PRESENTIAMO”. ARRIVERA’ IL SOCCORSO ROSSO?

Febbraio 25th, 2017 Riccardo Fucile

SI SPACCA IL GRUPPO DEL M5S, DURO FACCIA A FACCIA TRA LA RAGGI E PENTASTELLATI CONTRARI AL PROGETTO…SU 27 SONO TRA 8 E 10 I CONTRARI, IN AULA SERVONO 25 SI’

Non sono bastate due ore di discussione accesa in Campidoglio e un taglio “monstre” sulle cubature per oltre il 50% del progetto.
Il Movimento 5 stelle si è spaccato sul nuovo stadio della Roma, con tanto di conta interna sommaria, accuse e recriminazioni.
La grande opera (ora un po’ meno grande) di Tor di Valle a questo punto si farà . Come volevano Virginia Raggi, Beppe Grillo e un po’ tutti i vertici nazionali.
Ma rischia di costare caro al Movimento, che per approvare la delibera necessaria a completare l’iter della Conferenza dei servizi potrebbe essere costretto addirittura a chiedere l’aiuto del Partito Democratico.
Un patto col diavolo, o quasi, nell’ottica M5s.
Doveva essere il giorno decisivo per lo stadio della Roma. E a suo modo lo è stato: alla fine Comune e società  giallorossa hanno trovato l’accordo che dovrebbe portare ad una conclusione positiva della Conferenza dei servizi, per cui però resta comunque probabile una proroga: c’è da superare l’ostacolo del vincolo della Soprintendenza sull’Ippodromo e produrre gli atti consiliari necessari.
La soluzione prescelta è una nuova delibera dell’Assemblea, che andrà  a sostituire quella precedente di Ignazio Marino, con i nuovi numeri e dimensioni del progetto. Non è stato facile però arrivarci. Ci sono volute ore e ore di confronto.
Interno, però, visto che i nodi da sciogliere erano quasi tutti dentro alla maggioranza pentastellata: Raggi e Grillo, una volta avuta la certezza dell’ulteriore sforbiciata alle cubature, si ritenevano più che soddisfatti.
Così la Roma in mattinata ha formalizzato la nuova proposta al Comune.
Dopo una giornata trascorsa in ospedale per accertamenti resi necessari per un malore avuto in mattinata, la sindaca ha riunito la sua squadra per spiegare il nuovo dossier insieme al suo staff, ai parlamentari-tutor Bonafede e Fraccaro e all’avvocato Lanzalone (nel mirino degli oppositori) e ottenere il sospirato via libera.
Con risultati alterni: alcuni, una decina almeno, si sono convinti, altri lo erano già . Non tutti, però, hanno ceduto.
A far precipitare la situazione è stato proprio uno dei tanti pareri che la Raggi aveva richiesto all’avvocatura capitolina negli scorsi giorni: in particolare quello anticipato da IlFattoQuotidiano.it sulla possibile illegittimità  della delibera 132 di pubblica utilità  approvata dall’amministrazione Marino. §
L’origine di tutto, su cui i giuristi capitolini avrebbero effettivamente avanzato delle obiezioni.
Alcuni consiglieri — i più contrari — hanno chiesto di poter visionare il parere, prima di esprimersi: “Perchè dobbiamo votare qualcosa che è irregolare? Abbiamo sempre detto che il Movimento fa le cose nella legalità ”.
Ma le carte restano secretate: ai consiglieri ne viene spiegato solo il contenuto generale.
Le ore passano, la Roma aspetta col fiato sospeso negli uffici dello studio legale Tonucci (e comincia a spazientirsi). Non se ne viene a capo: “È dura, va per le lunghe”, filtra da Palazzo Senatorio.
Allora si decide di votare: una conta interna, quasi una resa dei conti. In cui ciascuno resta sulle proprie posizioni: un paio di membri se ve vanno in polemica prima del voto, 3-4 si pronunciano contro o si astengono.
Il vertice si conclude: lo stadio si farà . Ma la maggioranza era entrata ed esce spaccata dalla riunione. “Questa se la votano loro, noi non ci presentiamo”.
Ed è quello che potrebbe accadere: il M5s ha 29 consiglieri, se qualcuno non cambierà  idea Virginia Raggi non potrà  contare sulla sua maggioranza nel voto decisivo in aula, dove servono 25 sì.
Certo, lo stadio non è a rischio: tutti i partiti d’opposizione si sono sempre detti a favore del progetto di Tor di Valle e ora difficilmente potrebbero tirarsi indietro per un mero calcolo politico.
Ma per fare lo stadio il Movimento potrebbe essere costretto a chiedere aiuto al Partito Democratico.
Raggi e Grillo proveranno di sicuro a ricucire lo strappo, ma nemmeno la presenza nella Capitale per una settimana del garante è servita a richiamare all’ordine i pentastellati più recalcitranti.
Anche perchè contro lo stadio potrebbe scendere in campo anche Ferdinando Imposimato: il presidente emerito della Cassazione ha già  fornito un parere negativo sul progetto ai consiglieri regionali M5s, nei prossimi giorni potrebbe tornare a parlare.
E il suo è un nome che continua a riscuotere grande credito fra base e vertici del Movimento. L’accordo è fatto, la partita — almeno quella politica — non è ancora chiusa. Tra pareri nascosti, imposizioni dall’alto e possibili accordi forzati all’orizzonte, alla fine vola persino qualche insulto.
“È diventato questo il Movimento 5 stelle a Roma?”, chiede un consigliere lasciando il Campidoglio, quando nella Capitale è ormai notte fonda e Virginia Raggi nel suo ufficio stringe la mano a Parnasi e Baldissoni.

(da “Il Fatto Quotidiano”)

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STADIO ROMA, LA PATACCA DELLA RAGGI SPACCIATA PER SUCCESSO

Febbraio 25th, 2017 Riccardo Fucile

PERCHE’ NON DICE CHE L’ACCORDO PREVEDE LA RINUNCIA AL PROLUNGAMENTO DELLA METRO B, AL PONTE AGGIUNTIVO SUL TEVERE E ALLA BRETELLA SULLA ROMA-FIUMICINO, INFRASTRUTTURE CHE SAREBBERO STATE A CARICO DEI COSTRUTTORI?… PERCHE’ NON DICE CHE LA PROPOSTA DELLA ROMA PREVEDEVA GIA’ UN TAGLIO DEL 35% DEI VOLUMI?… CHE FINE HA FATTO IL PERICOLO IDROGEOLOGICO?… LO STADIO E’ SOLO IL 25% DEI VOLUMI PREVISTI

Le parti esultano per l’accordo raggiunto. Ma basta entrare nei dettagli della trattativa per comprendere che su molti punti del capitolato bisognerà  ancora discutere.
E la partita politica appare tutt’altro che conclusa.
Ora si entra nella fase più difficile, quella della realizzazione, come scrive Sarzanini su Il Corriere della Sera.
Oltre al taglio della cubatura, sono state inserite una serie di clausole legate alla realizzazione delle opere pubbliche che cambiano in maniera pesante il progetto allegato alla delibera 132 firmata nel 2014 dall’allora sindaco Ignazio Marino.
E dunque bisognerà  preparare una nuova delibera, ottenerne l’approvazione e soprattutto riconvocare la Conferenza dei Servizi per le autorizzazioni.
Alcune cose sono chiare:
1) I volumi sono stati abbattuti del 50%, ma ci si dimentica di dire che l’ultima proposta dei costruttori già  prevedeva una riduzione del 35% rispetto al progetto inizaile. Quindi in realtà  si è ottenuto solo un 15% di tagli.
2) Se prima lo stadio rappresentava solo il 15% dei volumi delle opere previste, ora rappresenta pur sempre il 25-30% del nuovo progetto. Tutto il resto è un regalo ai costruttori.
3) Dal ridimensionamento del progetto deriva, come era prevedibile, un ridimensionamento anche delle opere pubbliche che il proponente si era impegnato a realizzare: quindi a perderci sono i cittadini romani.
A cadere sono il prolungamento della metro B, il ponte aggiuntivo sul Tevere e la bretella sulla Roma-Fiumicino: tutte infrastrutture di cui la città  aveva bisogno a prescindere dallo stadio e che però il Comune di Roma non può realizzare per la penuria di liquidità . Le infrastrutture sarebbero state ovviamente utilizzabili per tutta la settimana e non soltanto il giorno della partita.
Quindi il ritorno per la città  è pari a zero.
4) Il gruppo comunale del M5S si è spaccato e sono tra 8 e 10 i consiglieri che hanno votato contro il nuovo compromesso. Che faranno quando dovranno votarlo in consiglio? Ma di questo parliamo in altro articolo.
Qualcuno obietterà : ma il privato se costruisce uno stadio deve anche poterci guadagnare.
Non è in questi termini la questione: in altri casi la società  calcistica si limita a costruire lo stadio mantenendo i diritti solo per le attività  di marketing e dei servizi ristoro inglobati nello stadio, che c’entrano i centri commerciali, le abitazioni, gli alberghi e i negozi di una vasta area come quella di Tor di Valle?

E in ogni caso lo stadio rappresenta i due terzi dell’intera volumetria prevista, non certo il 25%.
Questa è semplicemente un affare commmerciale con cui si permette a privati di speculare su un’area comprata a prezzi stracciati da un fallimento.
E se il privato ha diritto a provarci a fare un affare, dove sta scritto che un ente pubblico deve fare beneficienza?

(da agenzie)

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