Maggio 15th, 2017 Riccardo Fucile
IL CANDIDATO SINDACO NON INVITA IL COORDINATORE DI FDI ALLA PRESENTAZIONE DELLE LISTE DEI MUNICIPI E SCOPPIA LA POLEMICA… IL “GRANDE PROBLEMA POLITICO” SI RISOLVE CON LE SCUSE DI TOTI E BUCCI: IL TAVOLO FORSE ERA TROPPO STRETTO PER I COMMENSALI
Altro che caso Etruria, il grosso problema politico della giornata politica non è a Roma, ma a Genova
dove è accaduto un atto intollerabile di discriminazione, vittime i fratellini d’Italia rappresentati dal coordinatore Matteo Rosso, noto per essere sotto processo per peculato (insieme a a un assessore leghista e al presidente leghista del Consiglio regionale) nell’ambito delle spese pazze.
Rosso in una nota si dice “fortemente amareggiato” per il fatto che alla conferenza stampa convocata da Bucci per presentare i candidati in Municipio sono stati invitati soltanto il governatore Giovanni Toti e l’assessore Rixi, rispettivamente esponenti di FI e Lega Nord “dando inevitabilmente un segnale di divisione ai nostri elettori” .
“Avevo inteso che il candidato sindaco Marco Bucci — dice ancora il consigliere regionale — fosse l’espressione di un’ ampia coalizione o almeno la fotografia della maggioranza regionale e spero ancora di non sbagliarmi perchè sarebbe assurdo sprecare questa grande occasione che abbiamo di vincere per cambiare Genova”.
L’uomo dei poteri forti Bucci, imposto dalla Lega come candidato sindaco della coalizione a Genova, a quel punto si precipita a scusarsi con Rosso, vista la dimestichezza di entrambi con i prodotti farmaceutici (il primo per essere legato a una multinazionale del farmaco, il secondo per averli indicati in nota spesa alla Regione).
Bucci si parla di “stupore” per la nota di Rosso anche perchè solo due giorni fa il capolista di FdI aveva presentato il suo programma proprio dal point di Marco Bucci.
Forse era solo un problema di “aggiungere un posto a tavola”, forse il destino che incombe sui gregari.
Rosso accetta il chiarimento e la polemica per oggi si chiude: mercoledi arriva a Genova la Meloni, speriamo gli trovino uno strapuntino.
Ps Se la portate in giro, cercate di non farle apporre corone di fiori nel posto sbagliato, come avete fatto per Goffredo Mameli, spacciando la sua casa natale come inagibile perchè “occupata dai centri sociali”.
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Maggio 15th, 2017 Riccardo Fucile
IN REALTA’ LE DUE POVERETTE STAVANO FACENDO LA RACCOLTA DIFFERENZIATA
Le magliette gialle del Partito Democratico ieri hanno fatto a gara con l’AMA per ripulire Roma. Nel frattempo Beppe Grillo scopriva l’acqua calda e spiegava ai romani che per risolvere il problema dei rifiuti avrebbero dovuto utilizzare “i separatori dell’immondizia” che a Roma ci sono già .
Come per ogni evento sportivo che si rispetti anche la battaglia dell’immondizia è stata passata alla moviola per scoprire gli errori degli avversari.
L’onorevole del M5S Carla Ruocco — già membro del Direttorio — pubblicava ieri pomeriggio un video del Fatto Quotidiano dove si vedono alcune volontarie delle magliette gialle togliere l’immondizia da un cestino per metterla in uno dei loro sacconi.
La Ruocco commenta con ironia facendo notare che i rifiuti nei cestini non sono un’emergenza. L’emergenza sarebbe eventualmente se i rifiuti fossero per terra o per le strade.
Proprio come è accaduto nei giorni scorsi quando il MoVimento — sindaca Raggi e asssessora Montanari in testa — negavano che a Roma ci fosse un’emergenza rifiuti.
Il video pubblicato dalla Ruocco è preso da un pezzo del Fatto Quotidiano a sua volta estratto da un filmato girato da un attivista del M5S che ha “monitorato” l’attività delle magliette gialle.
Nei commenti compare anche il senatore Maurizio Buccarella che per primo fa notare come una delle volontarie stia tirando fuori (o dovremmo dire rubando?) la monnezza per metterla nel suo sacco.
Anche la senatrice pentastellata Paola Taverna utilizza il video per spiegare che quella delle magliette gialle è un’operazione di propaganda e che i volontari sono stati costretti a raccogliere l’immondizia da dentro i cassonetti. In realtà però quello è un cestino.
Per i portavoce e gli attivisti del MoVimento questa è la prova provata dell’esistenza di un complotto per far sembrare Roma sporca.
Perchè quelli del PD vanno a rovistare nei secchi dell’immondizia? Secondo alcuni commentatori sulla pagina della Ruocco “stanno facendo quello che fanno gli zingari”. Ovvero raccogliere e buttare tutto fuori.
Mentre è abbastanza evidente che le due signore stanno semplicemente differenziando l’immondizia separando i materiali riciclabili dal resto.
Vale a dire stanno facendo quello che Grillo vorrebbe facessero gli impianti AMA.
Ma per i 5 Stelle non è così: le due volontarie sono state reclutate dal PD per togliere i rifiuti dai cesti e buttarli a terra. Il complotto paventato la sera prima della manifestazione del Partito Democratico ha trovato conferma.
C’è addirittura chi ricorda che “è un reato rovistare tra i rifiuti” e chi chiede l’intervento della magistratura.
A proposito, vi ricordate quando Beppe Grillo chiedeva ai romani di diventare “sindaci dei propri dieci metri quadri” per tenere pulita la città ?
È proprio quello che hanno fatto le magliette gialle.
(da “NextQuotidiano“)
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Maggio 15th, 2017 Riccardo Fucile
IL RISCHIO DISCUSSO TRA RENZI ED OBAMA… SUCCEDERA’ ANCHE A NOI, ORMAI E’ UNA PRASSI, HANNO PROVATO A DANNEGGIARE ANCHE MACRON
Durante il colloquio durato un’ora al Park Hyatt Hotel, all’inizio della visita di Barack Obama a Milano,
l’ex presidente degli Stati Uniti e l’ex presidente del Consiglio italiano, Matteo Renzi, hanno discusso anche di un tema sensibile, la Russia.
Una settimana fa era trapelata solo la coda di quest’incontro – l’idea di Renzi di telefonare, tutti e due insieme, al neoeletto presidente francese Emmanuel Macron – ma i temi toccati prima erano stati forse più interessanti.
I due hanno parlato della crescita del Movimento cinque stelle in Italia, e delle preoccupazioni di diversi ambienti per un’interferenza di Mosca nel voto italiano. Non siamo in grado di dire se vi sia stato un riferimento anche al fatto che già la campagna elettorale per lo scorso referendum istituzionale è stata segnata da momenti di tensione diplomatica con Mosca (relativi a diversi dossier di disinformazione, e a rapporti russi con le opposizioni in Italia).
Il dettaglio del colloquio non è passato inosservato al New York Times.
Non è argomento neutro, ed è significativo che i due ne siano tornati a parlare. Soprattutto quando uno dei due – l’americano – ha chiuso la sua presidenza con atti molto duri contro Mosca, come l’espulsione di 35 diplomatici russi come conseguenza del ruolo che l’amministrazione è sicura abbia giocato Mosca negli hackeraggi (e nei leaks) ai danni dei democratici Usa.
Nell’amministrazione italiana, in tutti gli ultimi mesi, è stato possibile cogliere una doppia sensibilità su Mosca: da una parte il fastidio per tentativi di interferenza sempre più individuabili da parte di uomini o organizzazioni vicine a Putin; dall’altra una gestione assai realistica della partnership, anche economica, con Mosca.
A metà ottobre, quando Renzi volò alla Casa Bianca per l’incontro con l’allora presidente Usa – l’ultimo della sua amministrazione – il tema non fu approfondito. L’atteggiamento dei Paesi europei, tra i quali l’Italia, verso Mosca era giudicato troppo morbido da Washington, ma Obama riservò tutta la critica solo a Putin: «Nel mio mandato ho cercato di instaurare una relazione costruttiva anche con il presidente russo. Ma poi Putin ha occupato l’Ucraina, ha appoggiato Bashar Assad in Siria. La Russia è un grande Paese con una forza militare seconda solo alla nostra. Dovrebbe essere parte delle soluzioni, non dei problemi».
Poco tempo dopo, a fine novembre, l’andamento del vertice di Berlino – ultimo tour europeo di Obama – aveva confermato la sensazione di un qualche «doppio» binario italiano sul dossier Russia.
I cinque al tavolo (Merkel, Renzi, Rajoy, Hollande e May) avevano concordato sulla richiesta di cessate immediato degli attacchi di Assad e i suoi alleati (Mosca e Teheran) sui civili in Siria; ma nel precedente Consiglio europeo la volontà di Merkel di inserire un riferimento alle sanzioni a Mosca nel comunicato finale era rimasta frustrata anche per la cautela italiana.
L’hackeraggio russo a Macron è venuto dopo. Nel frattempo, alla Casa Bianca, non c’era più Obama.
Jacopo Iacoboni
(da “La Stampa”)
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Maggio 15th, 2017 Riccardo Fucile
ALL’ASSESSORE DEL MUNICIPIO NON LA SI FA E DENUNCIA IL COMPLOTTO
Con colpevole ritardo visto che la foto è stata pubblicata sabato, registriamo l’ultima indagine che coinvolge il MoVimento 5 Stelle sulla monnezza a Roma.
A muoversi su Facebook è l’ispettore-assessore al V Municipio Dario Pulcini, a cui, sia chiaro, non la si fa così facilmente:
Via Del Pigneto 185: tipico esempio del boicottaggio che sta avvenendo. Una postazione pulita ieri, oggi piena di sacchi neri da 110 litri, certo non dalle case limitrofa, in un tratto con pochissimi locali. Le postazioni vicine tutte prive di rifiuti a terra. Non riapriremo mai la discarica, non faremo mai inceneritori. Non ci arrenderemo mai.
C’è quindi chiaramente complotto in via del Pigneto: quella spazzatura è stata messa lì alla vigilia della manifestazione delle magliette gialle PD con il chiaro intento di inventarsi un’emergenza che non c’è, anche se sono stati spesi milioni di euro in straordinari dell’AMA per pulire la città .
Ma la risposta del M5S è trasparente: mai la discarica a Roma (ad Aprilia se ne può parlare, anzi è proprio una bell’idea secondo Raggi) e in ogni caso è un problema della Regione (come spiegava qualche giorno fa Manlio Di Stefano).
(da “NextQuotidiano”)
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Maggio 15th, 2017 Riccardo Fucile
IL MANAGER EX UNICREDIT TIRATO IN BALLO SUL CASO BOSCHI RIFIUTA IL RUOLO DI ARBITRO: “SE IL GOVERNO REGGE NON PUO’ DIPENDERE DA ME”
“Se mi convocheranno parlerò alla commissione d’inchiesta: in Parlamento, non sui giornali,
risponderò ovviamente a tutte le domande che mi faranno”.
Il muro del no comment regge, ma un forellino per guardarci attraverso si nota. Federico Ghizzoni, il banchiere più inseguito d’Italia, dribbla i tanti giornalisti venuti ad aspettarlo sotto la casa di campagna.
Ma a chi insiste di più fa capire meglio il suo stato d’animo, la sua voglia di togliersi quello che è diventato un peso. Quando il campo sarà sgombro dalle strumentalizzazioni mediatiche, che a ore alterne lo vogliono ariete dell’opposizione o parafulmine del governo, darà il suo contributo di cittadino perchè si chiariscano i rapporti tra la maggioranza, la sua icona Maria Elena Boschi e la Banca dell’Etruria, saltata nel 2015 mentre il padre e il fratello dell’allora ministra operavano ai piani alti. “Adesso non parlo, perchè non si può mettere in mano a un privato cittadino la responsabilità della tenuta di un governo – si è sfogato Ghizzoni dopo il pranzo domenicale, consumato prudenzialmente in casa -. E’ un caso della politica, sarebbe dovere e responsabilità della politica risolverlo “.
Il manager ha cercato di santificare le feste. È andato a messa come ogni domenica nella frazione dove abitavano i genitori sui colli del fiume Trebbia.
Poi ha avuto l’idea “normale” di andare far la spesa per il pranzo: e s’è accorto, dalla schiera di cronisti che l’aspettava in paese per interrogarlo, di dover reggere suo malgrado le sorti del renzismo redivivo, ruolo cui l’ha chiamato Ferruccio de Bortoli nel libro Poteri forti ( o quasi).
Sono bastate 13 righe, dove si legge che a inizio 2015, quand’era amministratore delegato di Unicredit, avrebbe valutato su diretta richiesta di Maria Elena Boschi l’acquisizione di Banca Etruria, in dissesto e prossima al commissariamento.
La linea di Ghizzoni non è cambiata: volare basso, lontano da riflettori e polemiche. “Qualsiasi cosa dicessi ora, sarebbe strumentalizzata da una parte politica contro l’altra, e contro di me – si limita a dire ai giornalisti che saliti in collina -. Oltre poi al fatto che quando studiavo da banchiere mi hanno insegnato che la riservatezza è una virtù”.
L’orientamento di fondo emerso da giorni non va tuttavia scambiato per reticenza, o disinteresse verso i temi di primo piano: Ghizzoni lo ha chiaro in testa, e non lo nasconde agli intimi. “Anche se sono una persona emotiva, e in questi giorni la pressione mediatica su me e la mia famiglia è notevole, mi sento assolutamente sereno – ha confidato il banchiere che guidò Unicredit dal 2010 al 2016 -. Se mi convocheranno sono disposto a rispondere a tutte le domande della commissione d’inchiesta parlamentare: ho letto che partirà presto, mi auguro sia vero”.
Non ha nessuna voglia, il figlio del grande latinista emiliano Flaminio, di strumentalizzazioni usate per secondi fini.
Vorrebbe tanto, Ghizzoni, che il pallino tornasse nelle mani delle istituzioni, mentre lui aspetta defilato che la polvere si posi, studia agende e carte passate con il legale di fiducia (anche se finora delle querele annunciate da Boschi ci sono solo gli annunci), e soprattutto si tuffa con entusiasmo nei nuovi incarichi, molto operativi e pieni di viaggi e rapporti con i clienti, nel fondo Clessidra e nella banca d’affari Rothschild.
Tuttavia nella prima settimana del caso “la politica” è sembrata curarsi più degli effetti mediatici che di ricostruire ruoli e responsabilità degli attori nel crac di Banca Etruria. Finora non sembra che i politici abbiano imitato i giornalisti, nel chiamare Ghizzoni per chiedergli se abbia ricevuto richieste dirette da Maria Elena Boschi in quei giorni, quando la ministra stava in pena per il padre vicepresidente della “banca dell’oro”; o per sapere se è vero che affidò il dossier Etruria alla dirigente di Unicredit Marina Natale, e come l’ipotesi di rilevarla venne rapidamente accantonata a inizio 2015.
Ai giornali Ghizzoni ribatte con una fila di “no comment”, senz’altri dettagli: anche se le mezze parole e le mancate smentite di questi giorni fanno supporre che qualche scambio di idee con la ministra Boschi sul dossier ci sia stato davvero. “E’ normale che politici e banchieri si parlino, specie nelle situazioni di crisi”, è un’altra frase che Ghizzoni ripete questi giorni.
La Commissione d’inchiesta sul credito può rivelarsi dunque una macchina della verità preziosa. Anche se la cornice – tra Renzi che invoca chiarezza, Boschi che smentisce e annuncia querele, de Bortoli che conferma la versione e non le teme, Ghizzoni prudente in attesa di testimoniare in Parlamento – fa somigliare sempre più il caso Etruria a un poker dove qualcuno sta bluffando.
(da “La Repubblica“)
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Maggio 15th, 2017 Riccardo Fucile
MILANO, COMMISSARIATE 4 SEDI DI LIDL … “DIRIGENTI DELLA CATENA DISCOUNT ASSERVITI AL CLAN DEI LAUDANI”
Le mani del clan catanese Laudani sulla società di vigilantes che lavora in tribunale a Milano, ma anche sulla catena dei supermercati Lidl. E’ il bilancio dell’ultima operazione del procuratore aggiunto Ilda Boccassini e del pm Paolo Storari.
Le ordinanze di custodia cautelare sono 15 – sono firmate dal gip Giulio Fanales- e parlano di associazione a delinquere, favoreggiamento e corruzione.
I supermercati.
In particolare sono state poste in amministrazione giudiziaria quattro direzioni generali della società di grande distribuzione Lidl – una in Lombardia, due in Piemonte e una in Sicilia, a Misterbianco – cui afferiscono circa 200 punti vendita.
La società non risulta indagata e il meccanismo dell’amministrazione giudiziaria punta a ripulire la Lidl da infiltrazioni mafiose.
Nell’ordinanza il gip Fanales parla di “stabile asservimento di dirigenti Lidl Italia srl, preposti all’assegnazione degli appalti, onde ottenere l’assegnazione delle commesse, a favore delle imprese controllate dagli associati, in spregio alle regole della concorrenza con grave nocumento per il patrimonio delle società appaltante”.
La società dei vigilantes del tribunale.
Nel mirino degli investigatori della Dda ci sarebbero anche alcune società del consorzio che ha in appalto la vigilanza privata del Tribunale di Milano, si tratterebbe di società che forniscono i vigilantes del Palazzo di giustizia.
La società è indagata per la legge 231. Sarebbero emersi stretti rapporti tra alcuni dirigenti delle società coivolte (e messe, anche in questo caso come per le 4 sedi Lidl, in amministrazione giudiziaria) e alcuni personaggi ritenuti appartenenti alla famiglia dei Laudani.
I rapporti con la politica.
Figure di spicco per facilitare gli appalti della Sigi logistica, controllata attraverso prestanome dal boss Orazio Salvatore Di Mauro, sarebbero stati Orazio Elia e Domenico Palmieri, “associati” all’organizzazione e “soggetti già facenti capo della pubblica amministrazione sanitaria e provinciale”.
I due, secondo l’accusa della Dda e del pm Storari, “sfruttano a pagamento , le proprie relazioni con esponenti del Comune di Milano, di sindaci e assessori, al fine di ottenere commesse e appalti da proporre ai propri clienti”.
Tra i nomi elencati nell’ordinanza dal gip vengono elencati i presunti contatti dei due, in Alba Piccolo, settore Servizi generali del Comune di Milano, Giovanna Afrone, “responsabile gestione contratti”, “Graziano Musella, sindaco di Assago” (Forza Italia), “Angelo Di Lauro, consigliere comunale a Cinisello Balsamo”(lista civica) e infine “Franco D’Alfonso, consigliere comunale in Comune a Milano”, ex assessore della giunta Pisapia, che non sarebbe comunque nell’elenco degli indagati.
(da “La Repubblica”)
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Maggio 15th, 2017 Riccardo Fucile
PROFUGHI VITTIME DUE VOLTE: DELLA MALAVITA E DEI DELINQUENTI RAZZISTI, ENTRAMBI SPECULANO SU DI LORO, MA I SECONDI IN GALERA NON CI VANNO
Il Cara più grande d’Europa era in mano alla ‘Ndrangheta. Da dieci anni. 
Su 103 milioni di euro di fondi Ue, che lo Stato ha girato dal 2006 al 2015 per la gestione del centro dei richiedenti asilo di Crotone, 36 sono finiti alla cosca degli Arena.
Questo racconta l’ultima inchiesta della direzione distrettuale antimafia di Catanzaro, in base alla quale questa mattina sono state fermate 68 persone, molte appartenenti appunto al clan Arena.
BUFERA SULL’UOMO DELLE MISERICORDIE
Agli arresti sono finiti anche Leonardo Sacco, presidente della sezione calabrese e lucana della Confraternita delle Misericordie, organizzazione che da dieci anni gestisce il Cara di Isola Capo Rizzuto, ed il parroco del paese, don Edoardo Scordio, entrambi accusati a vario titolo di associazione mafiosa, oltre a vari reati finanziari e di diversi casi di malversazione, reati aggravati dalle finalità mafiose.
Secondo quanto emerso dalle indagini condotte dai carabinieri del Ros, guidati dal generale Giuseppe Governale, in collaborazione con i finanzieri della Tributaria di Crotone, Sacco avrebbe stretto accordi con don Scordio, parroco di Isola di Capo Rizzuto e tra i fondatori delle Misericordie, per accaparrarsi tutti i subappalti del catering e di altri servizi. Grazie a Sacco la ‘ndrangheta sarebbe riuscita a mettere le mani sui fondi girati dal governo non solo per la gestione del Cara calabrese e di due Spraar aperti nella medesima zona, ma anche per quella dei centri di Lampedusa.
Un affare da 30 milioni di euro: i cibi da preparare, gli operatori chiamati a lavorare nel centro, le lavanderie industriali per pulire lenzuola e tovaglie. Tutto in mano ai clan.
“IL SISTEMA DI SFRUTTAMENTO DEL PARROCO”.
In tale quadro, una somma consistente veniva distribuita indebitamente al parroco della Chiesa di Maria Assunta, a titolo di prestito e pagamento di false note di debito: solo nel corso dell’anno 2007, per servizi di assistenza spirituale che avrebbe reso ai profughi, ha ricevuto 132 mila euro.
Don Scordio, ritenuto il gestore occulto della Confraternita della Misericordia, è emerso quale organizzatore di un sistema di sfruttamento delle risorse pubbliche destinate all’emergenza profughi, riuscendo ad aggregare le capacità criminali della cosca Arena e quelle manageriali di Leonardo Sacco al vertice della citata associazione benefica, da lui fondata.
Sotto la lente degli investigatori la Quadrifoglio srl di Pasquale Poerio, cugino del presidente della ditta ‘la Vecchia Locanda’ che fino al 2011 si occupava del catering per i migranti ospiti del Cara. Un contratto rescisso in fretta e furia quando i contatti del presidente Fernando Poerio con uomini della ‘ndrangheta locale hanno indotto la prefettura a sospendere il certificato antimafia alla società .
A sostituirla – e forse non a caso – con quella del cugino. Ma questi non sarebbero gli unici rapporti “imbarazzanti” del presidente Sacco. Per gli investigatori, non è per nulla casuale che il capannone della protezione civile della Misericordia sia quello un tempo appartenuto a Pasquale Tipaldi, uomo di spicco del clan Arena ucciso nel 2005, e oggi ancora in mano ai suoi parenti.
LE “AMICIZIE” CON ALFANO E BIANCHI.
Rapporti che per lungo tempo Sacco sarebbe riuscito a tenere sotto traccia, mentre non esitava a mostrarsi in compagnia di politici e uomini delle istituzioni. Considerato vicino alla parlamentare Dorina Bianchi, come alla famiglia dell’attuale ministro degli Esteri, Angelino Alfano, qualche anno fa Sacco è finito nell’occhio del ciclone per aver indicato Lorenzo Montana, cognato del fratello di Alfano, per dirigere la struttura di Lampedusa. Un incarico che l’uomo, funzionario dell’Agenzia delle Entrate, dunque senza esperienza per quel ruolo, non ha ricoperto per molto. Si è dimesso poco dopo a causa delle polemiche.
Anche in Calabria però Sacco ha sempre goduto di stima, protezione e potere, tanto da entrare – in quota politica – all’interno del Cda della società che per lungo tempo ha gestito l’aeroporto di Crotone.
(da “La Repubblica”)
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