Marzo 5th, 2018 Riccardo Fucile
MARTINA VERSO LA GUIDA DEL PD, MA NULLA E’ ANCORA CERTO
Matteo Renzi è pronto a dimettersi dalla carica di segretario e lo annuncerà nella conferenza stampa che terrà nel pomeriggio al Nazareno.
La notizia delle dimissioni riportata dall’Ansa, e smentita subito dopo dal portavoce di Renzi Marco Agnoletti, è un segno della confusione in cui si trova al momento il partito.
Dalla sede del Pd, dove il leader è stato riunito con i suoi fino a stamattina, spunta ora l’ipotesi di una convocazione dell’assemblea nazionale per eleggere nuovo segretario l’attuale vice di Renzi, Maurizio Martina.
Allo stato si tratta solo di voci, ma potrebbe essere questa la soluzione per la sostituzione in questa fase di Renzi alla guida del partito. Mentre non trovano riscontro le ipotesi di una segreteria affidata a Gentiloni o all’ex leader Veltroni.
La nomina di Martina non contemplerebbe la riconvocazione delle primarie, ma una eventuale elezione da parte del parlamentino Pd. «Sarebbe come quando Franceschini fu nominato segretario dall’assemblea dopo le dimissioni di Veltroni», spiega un dirigente dem vicino a Renzi.
(da “La Stampa”)
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Marzo 5th, 2018 Riccardo Fucile
LA LEGA SALE AL 17%
Al Senato a Torino il Pd è il primo partito della città con il 26,44. Il M5S si ferma al 23,5. Due dati in controtendenza rispetto alla media nazionale.
In città anche Liberi e Uguali ottiene esiti di quasi due punti superiori alla media italiana con il segretario di Sinistra Italiana, Marco Grimaldi che supera il 6 per cento. A Torino la Lega ottiene un risultato storico sfiorando il 17% al Senato e quasi 17 mila voti in più di Forza Italia.
Fuori dal capoluogo il risultato si ribalta e il M5S è il primo partito del Piemonte anche se l’onda verde-azzurra supera il 41% e la Lega con oltre 23 punti percentuali è al secondo posto perchè il Pd si ferma intorno al 21%.
«Ciò che è stato fatto non basta, ma almeno a Torino siamo sulla strada giusta» commenta il responsabile organizzativo del Pd torinese, Saverio Mazza, che in un post su Facebook analizza il risultato del partito a livello locale, un dato migliore rispetto a quello nazionale e in crescita rispetto le amministrative del 2016.
«La sconfitta del Pd è netta» scrive Mazza che riconosce: «ci sarà molto da approfondire. Facendo una breve analisi che non allevia il dato negativo generale ma che dà una speranza specie ai militanti ed elettori torinesi, è altresì giusto analizzare il voto di Torino città ». E a questo proposito osserva che «rispetto al 2016 il Pd torna primo partito con il 26,31%, circa il 7/8 % in più della media nazionale. In termini di voti assoluti – prosegue – nel 2016 prendemmo al primo turno 106 mila 800 voti, oggi ci attestiamo su 114 mila 615» e «in termini percentuali il M5S nel 2016 prese il 30,01%, oggi il 24,25%».
(da “La Stampa”)
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Marzo 5th, 2018 Riccardo Fucile
CONFERMATI ANCHE MOLTI DEI PARLAMENTARI USCENTI COINVOLTI IN RIMBORSOPOLI
Poco meno di una settimana fa il Capo Politico del M5S Luigi Di Maio rassicurava gli elettori del MoVimento spiegando che gli impresentabili che erano finiti nelle liste uninominali erano in collegi perdenti e che quindi non saranno eletti.
Allo stesso tempo Di Maio confermava che «Tutti coloro che erano in posizioni eleggibili nei candidati delle liste plurinominali mi hanno già firmato un modulo per rinunciare alla proclamazione altrimenti gli facevo danno d’immagine».
Oggi, il giorno dopo il voto scopriamo che le cose sono andate diversamente. L’ondata di consensi che ha portato il partito di Grillo e Casaleggio al 32% ha infatti consentito l’elezione anche di molti incandidabili dei quali Di Maio si diceva sicuro non sarebbero potuti entrare in Parlamento.
L’ex massone Catello Vitiello candidato alla Camera nel Collegio uninominale Campania 1-12 a Castellamare di Stabia si è aggiudicato un posto in Parlamento con il 46,58% dei consensi (60.324 voti).
Vitiello aveva fatto sapere di non aver alcuna intenzione di rinunciare all’elezione e così entrerà alla Camera ma da “espulso” dal MoVimento.
Stessa sorte anche per il presidente del Potenza Calcio Salvatore Caiata, candidato alla Camera all’uninominale a Potenza.
Quando mancano appena cinque sezioni alla fine dello spoglio Caiata è saldamente in testa al 42% e quindi sarà tra gli eletti. Anche Caiata era però stato espulso dal M5S perchè si era scoperto dopo la sua candidatura che è attualmente indagato a Siena con l’accusa di riciclaggio. Come per Vitiello Caiata aveva fatto sapere di non volersi ritirare.
Festeggia anche un altro candidato all’uninominale “perdente”. Si tratta di Antonio Tasso candidato per il MoVimento in Puglia alla Camera Cerignola.
Tasso ha ottenuto oltre cinquantamila voti (pari al 43,8%) ed è quindi ufficialmente eletto alla Camera dei deputati.
Anche lui però era stato espulso perchè non aveva rivelato di essere stato condannato (e prescritto) per violazione della legge sul diritto d’autore, perchè “con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso abusivamente duplicava o riproduceva a fine di lucro, 308 cd per videogiochi e 57 cd musicali”
Anche Emanuele Dessì, secondo in lista nel listino bloccato del collegio plurinominale Lazio 3 (dove la capolista è la senatrice Elena Fattori) dovrebbe essere eletto dal momento che il MoVimento ha conquistato il 36,28% delle preferenze. Dessì ha firmato il famoso, e inutile, contratto e nei giorni scorsi, dopo aver detto che un giro al Senato se lo sarebbe fatto volentieri ha detto che «non esiste nessuna legge che prevede la rinuncia all’elezione, il voto dell’elettorato è costituzionalmente “indisponibile”».
Tutto come previsto invece per i parlamentari coinvolti nel caso “rimborsopoli” e per questo espulsi dal MoVimento 5 Stelle.
Andrea Cecconi ha addirittura sconfitto all’uninominale a Pesaro il ministro dell’Interno Marco Minniti.
Il senatore Carlo Martelli, capolista al proporzionale nel collegio Piemonte 2 dovrebbe essere eletto così come la riminese Giulia Sarti che pur avendo perso di misura (per poco meno di cinquemila preferenze) il confronto all’uninominale con Elena Raffaelli (candidata per il centrodestra) potrà beneficiare del paracadute del proporzionale essendo la prima del listino bloccato Emilia Romagna 1 dove il M5S ha preso il 29,7%.
Anche il senatore Maurizio Buccarella, tra i volti più noti tra quelli coinvolti, sarà eletto. Buccarella era stato candidato al secondo posto del listino bloccato nella circoscrizione Puglia 2 (la prima è la senatrice uscente Barbara Lezzi).
I 5 Stelle hanno vinto tutte le sfide all’uninominale in Puglia e quindi il senatore coinvolto nel caso delle rendicontazioni allegre potrà tornare in Senato e smettere di preoccuparsi per la sua situazione finanziaria.
Dovrebbe farcela anche Silvia Benedetti, capolista in Veneto al proporzionale alla Camera che sarà quindi riconfermata.
(da “NextQuotidiano”)
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Marzo 5th, 2018 Riccardo Fucile
“CI ASPETTANO SETTIMANE DI CONTORCIMENTI”
Tutte le attenzioni dei media stranieri sono rivolte alle elezioni italiane, molti collegati con dirette sui propri siti web e tutti che commentano in base alla propria percezione, alcuni dando più spazio al centrodestra, altri ai 5 Stelle e altri ancora alla coalizione di centrosinistra.
Categorico il “Wall Street Journal”, che ha commentato così l’attuale risultato degli exit poll: “Probabile inizio di un prolungato periodo di instabilità politica e tensione nella terza economia dell’Eurozona” considerato “che dal voto non emerge un vincitore assoluto”.
Per il Wsj, la crescita dei populisti lascia l’Italia senza un chiaro vincitore; e le elezioni probabilmente inaugurano un periodo prolungato di instabilità politica e tensione nella terza economia della zona euro. I partiti populisti hanno dato una dimostrazione di forza conquistando circa la metà dei voti espressi, il che dimostra la profondità della rabbia degli italiani per la direzione del Paese e la perdurante influenza dei partiti populisti e di destra nella politica europea.
Per il Washington Post il risultato frammentato delle elezioni italiane mostra il potere del populismo: i risultati fanno precipitare la quarta più grande economia europea in un’incertezza unica anche per una nazione che è nota per aver avuto maggioranze di governo che si succedevano in una rapida sequenza.
Per il Ny Times le elezioni in Italia consegnano una grande spinta all’estrema destra e ai populisti. Senza un vincitore evidente, potrebbero essere necessarie settimane di contorcimenti per formare un governo dopo un voto che ha mostrato la rabbia degli elettori europei.
Le elezioni, le prime in cinque anni, erano considerate da molti come la cartina di tornasole della forza dei populisti sul continente e di quanto lontano possano avanzare nel ‘mainstream’. La risposta è lontano, molto lontano.
Dopo che la cancelliera tedesca Angela Merkel e il presidente francese, Emmanuel Macron, erano riusciti a respingere la forza populiste e di estrema destra, l’Europa sembrava godere di una tregua con le forze che minacciano la sua unità e i suoi valori. Ma ciò si è rivelato di breve durata.
Per la Bbc “o primi exit poll indicano un Parlamento bloccato”, mentre il Guardian rileva che “i primi exit poll non indicano una maggioranza, ma i 5 Stelle sono il maggiore partito”, per poi aggiungere: “Gli italiani, stufi e arrabbiati si allontanano dai partiti principali”, cercando di dare il voto a chi reputano “il meno peggio”.
Il “Telegraph” apre il pezzo centrando il risultato delle elezioni sulla coalizione tra Silvio Berlusconi e “i suoi alleati di estrema destra”. Le Monde preferisce invece sottolineare che “la coalizione di centrodestra è davanti al PD”.
In Spagna, “El Pais” ha titolato: “I sondaggi indicano un blocco politico in Italia”, aggiungendo poi che “l’unica forza in grado di conquistare la maggioranza è il centrodestra. In caso contrario, si apre uno scenario di patti imprevedibili”. Frankfurter Algemeine Zeitung punta i riflettori sui pentastellati: “Secondo le previsioni è il Movimento 5 Stelle il partito più forte”.
Il sito russo RT, con Sputnik, considerati attori fondamentali nella gestione della propaganda del Cremlino, ha scritto che in base al quadro fornito dagli exit poll delle elezioni si registra “l’expoil dei partiti anti-estabilishment, mentre il centro-sinistra è sconfitto”. RT cita i M5S “primo partito” e sottolinea che “gli anti immigrati della Lega Nord hanno anche loro superato le aspettative”.
(da “Huffingtonpost”)
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Marzo 5th, 2018 Riccardo Fucile
DELLA VEDOVA RIESCE INVECE A PERDERE A PRATO
Senza eletti nel proporzionale per il mancato raggiungimento del 3 per cento, la lista +Europa riesce comunque a portare alla Camera e al Senato una piccola pattuglia di parlamentari.
Passa Emma Bonino, che nel collegio senatoriale di Roma 1 ottiene il 38,91 per cento (109.640 voti), battendo il candidato del centrodestra Federico Iadicicco, fermo al 32 . Sempre nella capitale, nel collegio Camera di Roma 10, passa Riccardo Magi, che arriva al 32,18 (42.539 voti) contro il 29,94 di Olimpia Tarzia del centrodestra e Dino Giarrusso per il M5S.
Per entrambi gli esponenti radicali una vittoria su due competitor con una forte caratterizzazione cattolica.
Sconfitta invece per il sottosegretario agli Esteri Benedetto Della Vedova, che nel collegio Camera di Prato si ferma al 33 per cento, battuto da Giorgio Silli, esponente di Forza Italia, particolarmente schierato sui temi dell’immigrazione, che arriva al 34,59.
Infine vittoria per Bruno Tabacci nel collegio di Milano centro con il 41,23, battendo Cristina Rossello del centrodestra, al 37, legale di Silvio Berlusconi nella causa matrimoniale con Veronica Lario; Alberto Bonisoli, di M5S, con il 13,78; e Laura Boldrini, di Liberi e uguali, al 4,61.
(da agenzie)
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Marzo 5th, 2018 Riccardo Fucile
ANCHE FRATELLI D’ITALIA FA FLOP E SI FERMA AL 4,3%… MA L’1,4% RACCOLTO DA CASAPOUND E FORZA NUOVA E’ STATA FORSE DETERMINANTE PER NON FAR AVERE LA MAGGIORANZA AL CENTRODESTRA
L’ondata nera dell’ultradestra italiana si è infranta alle porte dei seggi. Non è bastato ai militanti di CasaPound, guidati da Simone Di Stefano, “votare più forte che potevano”. I
l partito dei fascisti del terzo millennio, quelli che ad Ostia al rinnovo del consiglio del X Municipio avevano fatto paura con il loro 9% hanno scoperto il loro valore a livello nazionale.
È andata addirittura peggio ad Italia agli italiani, la coalizione guidata da Roberto Fiore, leader dei neofascisti di Forza Nuova. Entrambe le formazioni si sono fermate sotto la soglia dell’1%, ben distanti da quel 3% che avrebbe garantito loro l’ingresso in Parlamento.
Alla Camera dei deputati il partito fondato da Gianluca Iannone e guidato da Simone Di Stefano ha conquistato lo 0,92% per un totale di 223.235 voti.
E pensare che all’alba dei risultati delle elezioni di Ostia Casapound pensava addirittura di poter entrare in Parlamento. Ancora peggio sono andate le cose per la coalizione di Forza Nuova con la Fiamma Tricolore fermi allo 0,37%.
Non vanno meglio le cose al Senato, dove come è noto per votare bisogna aver compiuto 25 anni.
Casapound non arriva nemmeno vicino all’1%, fermandosi allo 0,83%. Forza Nuova invece migliora leggermente, senza però riuscire ad arrivare allo 0,5% e rimanendo sotto anche al Senato alla lista guidata da Mario Adinolfi (il Popolo della Famiglia).
Nel complesso quindi non si può che parlare di una bruciante sconfitta, nemmeno se si fossero presentati uniti Forza Nuova e Casapound avrebbero avuto i voti necessari per superare la soglia di sbarramento ed entrare in Parlamento.
Durante la lunga maratona di Enrico Metana su La 7 Di Stefano ha avuto modo di dare la colpa ai giornalisti e ai media per il risultato del suo partito.
Secondo Di Stefano «Il M5s, decisamente sovraesposto soprattutto su La7, oggi ha più del 30%».
Per il leader di Casapound però «Non siamo apparsi in nessuna televisione» e la cosa li ha penalizzati, se solo avessero avuto «una prima serata», si lamenta Di Stefano, magari le cose sarebbero andate diversamente.
Mentana chiude la polemica dicendo a Di Stefano «Non vedo ordini di grandezza così dissimili con quello del vostro risultato. E dare la colpa alla tv non è molto da forza rivoluzionaria».
Ma la sconfitta tocca anche Giorgia Meloni che i sondaggi davano oltre il 5,5% e che invece si è fermata al 4,3%, vittima evidentemente di una linea politica appiattita su quella di Salvini e la scelta, soprattutto al Sud, non ha pagato.
Ultima curiosità : CasPound e Forza hanno raccolto insieme circa l’1,4%: se questa percentuale fosse stata appanaggio del Centrodestra, avrebbe potuto sfiorare quota 39% , al limite della soglia della maggioranza.
(da agenzie)
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Marzo 5th, 2018 Riccardo Fucile
M5S VOLA AL 32,2%, IL CENTRODESTRA SI FERMA AL 37%, LA LEGA AL 17,7%, FORZA ITALIA AL 13,9%, FDI AL 4,3%, NOI CON ITALIA 1,3%… PD SCENDE AL 18,9%, +EUROPA SI FERMA AL 2,59%, LIBERI E UGUALI AL 3,4%
È il Movimento 5 stelle il vincitore indiscusso delle elezioni politiche 2018 con il 32% dei voti, mentre il centrodestra conquista la posizione di prima coalizione con il 35%. Ma la maggioranza non va a nessuno.
Quando sono 57.412 su 61.401 le sezioni scrutinate per elezioni della Camera dei deputati questi i dati secondo il sito del Viminale: Lega 17,71%, Forza Italia 13,94%, Fratelli d’Italia con Giorgia Meloni 4,35%, Noi con l’Italia 1,30%, Movimento 5 stelle 32,21%, Partito democratico 18,90%, +Europa 2,59%, Italia Europa insieme 0,58%, Lorenzin 0,52%, Svp – Patt 0,43%, Liberi e uguali 3,38%, Potere al popolo 1,13%, Casapound Italia 0,93%.
Al Senato, con 57.708 su 61.401 sezioni scrutinate questi i dati secondo il sito del Viminale: Lega 17,95%, Forza Italia 14,41%, Fratelli d’Italia 4,27%, Noi con l’Italia-Udc 1,19% Movimento 5 Stelle 31,74%, Partito democratico 19,30%, +Europa 2,38%, Italia Europa Insieme 0,53%, Civica Popolare Lorenzin 0,50%, Svp – Patt 0,45%, Liberi e Uguali 3,25%, Potere al Popolo 1,05%, Casapound Italia 0,84%.
A votare, al contrario di quanto sitemeva alla vigilia, sono stati in tanti: l’affluenza definitiva è stata del 73% contro il 75,27% del 2013, quando però si è votato in due giornate.
(da agenzie)
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Marzo 5th, 2018 Riccardo Fucile
IL PATRIMONIO DISPERSO DELLA SINISTRA
Ha conquistato la sinistra italiana, in tre mesi l’ha portata al massimo storico, in tre anni al minimo: solo al Bomba poteva riuscire.
Di leader la sinistra ne ha bruciati tanti; ma nessuno come lui ha fatto tutto da sè, prima infiammandosi poi ustionandosi.
Matteo Renzi ha rivelato qualità e difetti straordinari. All’inizio è stato vissuto come un alieno, un estraneo, un usurpatore; ma è stato amato o almeno tollerato perchè vinceva.
Lui si è fidato troppo di se stesso, si è fatto troppi nemici, e ha potuto consentirselo fino a quando ha avuto il Paese dietro. Ma il renzismo non è finito stanotte; era finito il 4 dicembre 2016, con la sconfitta per 60 a 40 nel referendum.
«Matteo farebbe meglio a sparire. Andare in America. Farsi dimenticare. Lasciare che la sinistra vada a sbattere. Dopo lo richiameranno».
Se avesse seguito il consiglio di un mentore della prima ora, Oscar Farinetti, non sarebbe finita così. Invece Renzi si è incaponito.
L’energia mostrata nella conquista del partito e di Palazzo Chigi, nell’operazione 80 euro e nella riforma del lavoro, l’ha impiegata nell’autodistruzione. Il suo agonismo si è ritorto contro se stesso.
Renzi, come Berlusconi, è capace di grande empatia; ma a differenza di Berlusconi, che vorrebbe essere amico di tutti, Renzi si nutre del nemico, ne ha bisogno per trarne linfa e motivazione. L’ultima prova è stata la stesura delle liste.
Qual è il compagno di gioventù di Gentiloni? Realacci? Bene, Realacci è fuori. Qual è l’uomo più vicino a Minniti? La Torre? Fuori pure La Torre. Come a dire: qui comando io, sino alla fine.
Non è la scissione di Liberi e uguali a sancire stasera la sconfitta di Renzi. Che ci fosse spazio alla sua sinistra era nelle cose, e un po’ anche nei suoi schemi.
Renzi però ha visto crollare i due veri cardini della sua strategia: ereditare una parte dei voti di Berlusconi; ed erodere il bacino antipolitico di Grillo.
Ha perso consensi nei ceti popolari e tra categorie scontente delle sue riforme, come gli insegnanti, senza conquistare il centro.
E vede stanotte i grillini, che ha sempre considerato il vero avversario, al massimo storico. Le spiegazioni potrebbero essere infinite.
Anche i partiti storici della sinistra europea, dall’Spd tedesca al Psoe spagnolo, sono precipitati al 20%; i socialisti francesi e quelli greci anche più giù. Ma lo stress emotivo che nel bene e nel male Renzi ha imposto all’opinione pubblica italiana è tale, che la sconfitta di stasera diventa inevitabilmente sua.
La stessa popolarità di Gentiloni, di cui in un anno di governo non si ricorderà un gesto o una parola, si spiega solo con il fatto di non essere Renzi.
È un verdetto forse ingiusto, certo spietato; ma in democrazia è l’unico che conta.
(da “Il Corriere della Sera“)
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Marzo 5th, 2018 Riccardo Fucile
LE RADICI DELLA PROTESTA: UN’ONDATA DI RANCORE ATTESA E TEMUTA
«Avimmo ‘a sfucà tutt’ ‘o tuosseco ca tenimmo ncuorpo»: ecco l’aria che annusavi al Sud. Una collera tossica per l’impoverimento, la disoccupazione, i bambini (uno su sei) afflitti dalla miseria assoluta, il degrado delle periferie, stava lì lì per sfogarsi. Unico dubbio: chi avrebbe premiato?
La risposta, salvo sorprese, si è profilata nella notte. Successo dei grillini. Trascinati dal Masaniello in giacchetta e cravattina.
E più cresceva l’impressione di uno sfondamento della destra al Nord, più aumentava la probabilità parallela, se non proprio la certezza, di un analogo sfondamento del M5S nel Sud.
Segno appunto di quello «sfogo» atteso nella scia di un malessere economico, sociale, sanitario sempre più diffuso. Lo aveva spiegato a novembre il rapporto Svimez: «L’occupazione è ripartita, con ritmi anche superiori al resto del Paese, ma mentre il Centro-Nord ha già superato i livelli pre crisi, il Mezzogiorno che pure torna sopra la soglia “simbolica” dei 6 milioni di occupati, resta di circa 380 mila sotto il livello del 2008, con un tasso di occupazione che è il peggiore d’Europa (di quasi 35 punti percentuali inferiore alla media UE a 28)».
Lo aveva ribadito poco dopo il Censis ricordando che sì, l’Italia va meglio ma dopo il «vero tracollo» delle aree metropolitane meridionali «non si è distribuito il dividendo sociale della ripresa economica e il blocco della mobilità sociale crea rancore».
Un’ondata di rancore attesa e temuta. E destinata ad abbattersi sulla nave ammiraglia e sul timoniere della flotta che a novembre governava ancora non solo a Roma ma in tutte le Regioni del Sud: dalla Puglia alla Sardegna, dalla Calabria al Molise, dalla Basilicata alla Sicilia. Perduta male, ma proprio male, da un Matteo Renzi che alle Europee aveva preso il 35% e in tutta la campagna per le regionali si è fato vedere solo di sfuggita, «’na’ffacciata, currennu currennu»…
Dice tutto un sondaggio del dossier Eurispes 2018. Alla domanda «quali di questi elementi rappresentano un vero pericolo per la vita quotidiana sua personale e della sua famiglia?» le risposte degli italiani erano centrate (più che sull’immigrazione!) su tre temi legati (soprattutto) al Mezzogiorno: la mafia, la corruzione e «i politici incompetenti».
Colpevoli di aver buttato via per decenni decine e decine di miliardi di fondi europei. Pochi dati: usando meglio quei soldi sprecati in regalie clientelari a pioggia (alla macelleria Ileana di Tortorici, alla trattoria «Don Ciccio» a Bagheria…) tutte le regioni della Repubblica Ceca hanno oggi un Pil pro capite superiore a tutto il nostro Sud e così l’intera Slovenia e l’intera Slovacchia.
La regione bulgara Yugozapaden, poi, ci umilia: nel 2000 aveva un Pil al 37% della media europea e in tre lustri di rincorsa ha sorpassato tutto il Mezzogiorno, arretrato fino a un disperato 60% della Calabria, mangiando 50 punti alla Campania, 56 alla Sicilia, 64 alla Sardegna.
Insomma, han fatto di tutto le classi dirigenti del Sud, per guadagnarsi (salvo eccezioni, ovvio) la disistima se non il disprezzo dei cittadini. Aggravando la crisi.
Destra e sinistra, sia chiaro: dal 2008 al 2014 il Mezzogiorno, accusa un’inchiesta del Mattino, ha perso 47,7 miliardi di Pil, 32 mila imprese e 600 mila posti lavoro. E tra il 2010 e il 2013 la classifica del European Regional Competitiveness Index ha visto ruzzolare di 26 posti la Campania, 29 la Puglia, 30 la Sicilia.
Al punto che il divario Nord-Sud si è ancor più allargato. Sinceramente: cosa ha fatto la politica per scrollarsi di dosso la mala-reputazione?
Manco il tempo d’insediarsi all’Ars e Gianfranco Miccichè si tira addosso le ire dei vescovi siciliani dicendosi «assolutamente contrario al taglio degli stipendi alti» che quando passano i 350.000 euro valgono 24 volte quello di un agrigentino.
Manco il tempo di aprire la campagna elettorale e nelle liste, da Marsala al Volturno, spuntano impresentabili, figli di papà e (sintesi) figli di papà impresentabili. Per non dire della scelta di candidare qua e là notabili dal passato fallimentare legato alla clientela.
C’era poi da stupirsi se nella pancia del Mezzogiorno, quella da cui erano già uscita tra le altre la sommossa dei forconi, covava un sentimento di rivolta? Quanti errori hanno fatto, i partiti tradizionali dell’una e dell’altra parte, per accendere un simile falò?
(da “il Corriere della Sera”)
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