Marzo 28th, 2018 Riccardo Fucile
L’IMPUNTATURA SULL’INCARICO NON REGGE E FINISCE SIA PER STRAPPARE CON I DEM CHE LITIGARE CON SALVINI
I forni, per dirla con la famosa quanto abusata metafora, sono chiusi, almeno per ora, in queste confuse pre-consultazioni che si consumano prima ancora di quelle ufficiali al Quirinale.
Si capisce quando a metà pomeriggio, in un clima di nervosismo sull’elezione di vicepresidenti, questori, segretari, Luigi Di Maio mette in rete un tweet di fuoco: “Salvini dice che gli bastano 50 voti. Vuole fare il governo con i 50 voti del Pd di Renzi in accordo con Berlusconi? Auguri!”.
La verità è che il giovane e ambizioso leader dei Cinque Stelle è in difficoltà .
Bastava vederlo sul tardo pomeriggio in buvette. Volto teso, ha salutato da lontano Ettore Rosato, per parlare qualche minuto fitto col suo Stefano Buffagni.
Qualche minuto, una consumazione, poi via.
Il pane del governo è ben diverso da quello infornato sull’elezione dei presidenti delle Camere. E il tono e le parole, certo di sfida e, di nuovo, tornate quasi da campagna elettorale, indicano la chiusura, almeno per ora, del forno leghista.
Poco prima Salvini, un altro abituato alla politica come comunicazione permanente, tutta proiettata sull’opinione pubblica più che nel Palazzo, aveva messo a verbale un altro bagno di realtà per il leader penstastellato: “Da solo Di Maio dove va… voglio vederlo trovare 90 voti in giro, che dalla sera alla mattina si convincono”.
Un bagno di realtà , perchè dietro l’approccio contabile (“a te ne mancano X, a me Y”), c’è un punto politico, per nulla irrilevante, che li pone in una posizione diversa.
Ed è la pretesa di avere l’incarico di governo.
Il leader della Lega ha già dichiarato la sua disponibilità a non pretenderlo, per favorire una dinamica che porti a un accordo.
L’altro, invece, è imprigionato nella logica dell’incarico. È questo il punto.
Perchè altrimenti, per dirla con i suoi, “non la regge”.
Solo la sua presenza a palazzo Chigi consente di far digerire l’accordo con la destra alla sua opinione pubblica inquieta.
Per la serie: fidatevi di me, sono io la garanzia che l’operazione non è uno snaturamento identitario e una omologazione agli altri partiti.
Ci vorrà tempo per capire se l’ambizione poggia su un calcolo consapevole e realistico o sul velleitarismo. Prima di un mese, ha spiegato ai suoi, non succederà nulla. Proseguiranno queste schermaglie tattiche, giochi di posizionamento, verifica delle possibili evoluzioni.
Al momento sembra complicato l’ottenimento dell’incarico senza una maggioranza, principio di realtà ben presente al Colle.
E sembra complicata, in questa fase, l’intera riproposizione dello schema seguito per l’elezione dei presidenti delle Camere, con Salvini unico interlocutore e Berlusconi che nasconde la sua ingombrante presenza.
Il Cavaliere ha fatto sapere che la prossima settimana salirà al Quirinale per le consultazioni, segno che, per dirla con i suoi, “semmai si farà un governo, sarà ‘con noi’, non ‘con noi sotto’ nei panni dei camerieri altrui”
Ecco. Nè ha prodotto esiti il timido tentativo di apertura del forno democratico. Perchè anche la trattativa su presidenze e vicepresidenze ha prodotto, più che l’inizio di un dialogo, un irrigidimento delle parti.
Parliamoci chiaro: l’idea che ci possa essere un pezzo di Pd che si smarca da Renzi per parlare con i Cinque Stelle, semplicemente, non esiste.
E non solo perchè, nella sua sostanza, al netto delle chiacchiere sulla collegialità il Pd è ancora ampiamente controllato da Renzi. Ma anche perchè è mancata qualunque iniziativa politica degna di questo nome per favorire un processo del genere.
Un processo del genere va costruito, con proposte, segnali di riconoscimento politico, disponibilità al confronto, atti concreti.
È complicato pretendere di formare un governo con i voti altrui, senza neanche chiederli e sperando che gli altri si facciano vivi per poi stupirsi che ciò non accada. Anzi, proprio questa pretesta ha rafforzato, di fatto, la linea dell’opposizione tout court dell’ex segretario.
Producendo il rifiuto di partecipare al giro di incontri proposti dal leader pentastellato per la giornata di domani, e neanche gestiti in prima persona. Dal centrodestra il rifiuto non c’è, segno che, semmai si riaprirà qualcosa, accadrà in quella direzione.
Sia come sia, in questa lunga attesa di ciò che potrà maturare, per la prima volta le parole e gli spin pentastellati rivelano una certa tensione e, per la prima volta meno fiducia verso Matteo Salvini che si sta mostrando legato a Berlusconi più di quanto parecchi di loro pensavano: “Si facciano il governo col Pd — sussurrano dalla war room — che tra un anno prendiamo il 50 per cento”.
Spifferi, comunque indicativi. A momento non c’è pane da cucinare nè da una parte nè dall’altra.
(da “Huffingtonpost”)
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Marzo 28th, 2018 Riccardo Fucile
IL M5S PARLA DI 17 MILIARDI MA SI BASA SUL CALCOLO ISTAT DI 3 ANNI FA DOVE MANCAVANO DATI FONDAMENTALI… TRAVAGLIO PARLA INFATTI DI REDDITO MINIMO, LUI HA CAPITO IL BLUFF
Oggi i capogruppo pentastellati Danilo Toninelli e Giulia Grillo hanno deciso di fare piazza pulita
delle bugie sul Reddito di Cittadinanza proposto dal MoVimento 5 Stelle. «Basta bugie sul reddito di cittadinanza — hanno dichiarato — L’Istat ha calcolato in 14,9 miliardi di euro la spesa annua, più 2 miliardi d’investimento il primo anno per riformare i Centri per l’Impiego». Totale: 17 miliardi.
Il M5S aveva appena incassato l’apertura di Matteo Salvini sul Reddito di Cittadinanza ma questa mattina però il Presidente dell’Inps Tito Boeri ha detto che il Reddito di Cittadinanza proposto dal M5S potrebbe costare tra i 35 e i 38 miliardi.
Come mai questa differenza?
Il MoVimento durante la campagna elettorale non solo ha sempre detto di avere le coperture ma anche sostenuto a più riprese che la cifra di 15 miliardi di euro era frutto della stima dell’Istat del giugno 2015 in base al fatto che le famiglie beneficiarie sarebbero state 2 milioni e 759 mila, per un totale di circa 8,3 milioni di persone. L’Inps però, sempre nel giugno del 2015 e sempre durante un’audizione al Senato, aveva fatto sapere che il costo del Reddito di cittadinanza a 5 Stelle sarebbe stato di 30 miliardi.
I 5 Stelle sanno quindi dal 2015 che il loro calcolo sui costi della misura di sostegno alla disoccupazione non tiene conto delle osservazioni dell’Inps.
Perchè?
A inizio gennaio LaVoce.info ha pubblicato un’analisi a cura di Massimo Baldini e Francesco Daveri dove la conclusione è che “applicando alla lettera il testo della proposta di legge” avanzata dal MoVimento 5 Stelle la spesa per le casse dello Stato sarebbe di 29 miliardi.
Una cifra appunto molto vicina a quella calcolata da Tito Boeri nel 2015 ed esposta durante l’audizione alla XI Commissione “Lavoro, Previdenza Sociale” del Senato del 9 giugno 2015.
La spiegazione è contenuta già nel testo dell’audizione di Boeri che segnalava innanzitutto che «l’introduzione di un reddito di cittadinanza che nell’articolato della norma è poi descritto come reddito minimo garantito in quanto non è concesso a tutti i cittadini, indipendentemente dal reddito, bensì solo a chi ha determinati requisiti».
Il fatto che a quasi tre anni di distanza il M5S non abbia rivalutato i costi del RdC la dice lunga sull’affidabilità delle coperture finanziarie a 5 Stelle.
L’errore di calcolo dell’Istat
Tra le criticità della proposta pentastellata — con particolare attenzione alla mancanza di correzioni del reddito rispetto al costo dei servizi abitativi — c’è il fatto che nel DDL del M5S non siano previste soglie patrimoniali o di ISEE che finirebbero per avvantaggiare coloro che hanno redditi bassi pur avendo proprietà mobiliari e immobiliari di notevoli entità .
Baldini e Daveri spiegano anche il perchè della differenza tra i calcoli fatti da Istat e quelli dell’Inps (e dalla Voce.info).
L’Istat infatti prende in considerazione gli affitti imputati (la stima del canone che si riceverebbe se la casa fosse data in affitto) che però non sono citati nella proposta di legge del M5S (e nemmeno tra i criteri Eurostat per definire la soglia di povertà ).
La definizione di reddito del DDL non ne tiene invece conto ed è per questo che i costi salgono.
Oggi Boeri ha detto sostanzialmente che i conti non tornano ancora: «L’avevamo valutata già nel 2015 e sarebbe costata allora 29 miliardi. La stima di 14,9 miliardi (più 2) sarebbe quindi frutto di un’interpretazione errata da parte dell’Istat del DDL (o al fatto che il testo è scritto male) proposto dal MoVimento dove certi criteri non sono menzionati e quindi bisogna procedere ad un calcolo diverso, i cui risultati danno un costo dell’ordine dei 30 miliardi di euro. Ora abbiamo rifatto queste stime alle luce dei dati più recenti, combinando le nostre informazioni con quelle dell’Agenzia delle Entrate, e riteniamo che possa costare tra i 35 e i 38 miliardi».
Boeri ha anche aggiunto che «il reddito minimo c’è già e si chiama Rei» spiegando che si tratta di «un primo passo, ancora sottofinanziato, ma c’è».
Ad usufruire del REI sono state fino ad ora 251.000 famiglie per un totale di circa 870.000 persone beneficiarie.
Mentre tutto il MoVimento 5 Stelle va all’attacco del Presidente dell’Inps qualcuno si ricorderà di quando il Direttore del Fatto Quotidiano disse ad Otto e Mezzo che nè l’abolizione della Legge Fornero nè il Reddito di Cittadinanza erano proposte realizzabili perchè costerebbero troppo.
Qualche giorno fa ad in Mezzorainpiù Marco Travaglio ha corretto il tiro dicendo che il Reddito di Cittadinanza del M5S va considerato come reddito minimo. Travaglio sostiene anche che una misura del genere sia presente in molti — se non tutti — i paesi europei. Ed è vero.
Non è vero però che il reddito minimo proposto dal M5S sia “meno generoso” di quello erogato in altri paesi.
Secondo LaVoce.info infatti dal punto di vista del beneficio monetario i 780 euro al mese “garantiti” dal DDL del M5S sono più generosi: «in Francia il beneficio mensile per un single è di circa 500€ al mese, in Germania di 400€, in Svezia di 300€, in Gran Bretagna di 450€».
La proposta del M5S, scrivono su Facebook, è la più alta (60%) anche se si considera il reddito mediano.
Anche per quanto riguarda gli obblighi quelli previsti dal M5S non sono così stringenti come quelli imposti ai beneficiari britannici (che non possono rifiutare alcuna proposta di lavoro). In Francia, Portogallo e Belgio è previsto un riesame periodico dell’erogazione mentre in Olanda il beneficiario che non si attiene agli obblighi può essere passibile di una sanzione.
Solo in Danimarca e in Finlandia — conclude LaVoce.info — gli obblighi sono simili a quelli della proposta a 5 Stelle.
(da “NextQuotidiano”)
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Marzo 28th, 2018 Riccardo Fucile
INTESA RENZI-MARTINA… “NESSUN QUESTORE ALL’OPPOSIZIONE, FATTO GRAVE”
“I numeri sono quelli…”. Il ragionamento che fa Matteo Renzi prima di lasciare il Senato dopo la votazione su questori e vicepresidenti è fatto di numeri, appunto, più che di parole.
Ed è questo: “Serve il 90 per cento dei gruppi parlamentari del Pd per fare un governo con il M5S. Se anche qualcuno nel Pd facesse un accordo, vuoi che il senatore di Rignano non riuscirebbe a tenere con sè almeno 7 dei suoi?”.
Insomma, 7 renziani sarebbero sufficienti a bloccare qualsiasi eventuale tentazione di intesa con tra i dem e il M5S.
Tentazione che oggi non trapela, nemmeno tra i non-renziani. Domani all’incontro dei capigruppo convocato da Di Maio il Pd non andrà .
I segnali del M5S verso i Dem (“Delrio interlocutore”, dicevano stamane riferendosi al capogruppo appena eletto alla Camera) finiscono nella rete di Renzi e si trasformano in fumo. Anche perchè la mossa pentastellata di non offrire ai democratici nemmeno un posto da questore in uno dei due rami del Parlamento ha fatto perdere la pazienza anche ai non-renziani.
“Significa che a una forza di opposizione non viene garantito un occhio sui conti del Parlamento: è grave, mai successo nella storia della Repubblica”, ci dice in Transatlantico l’ex capogruppo Pd al Senato Luigi Zanda, uno che certo renziano non è, eppure oggi anche lui non vede alcun segnale di dialogo da parte del Movimento. “Noi cinque anni fa lo abbiamo eletto un questore pentastellato in Senato…”.
Il fatto che oggi M5S non abbia contraccambiato con il Pd (se non con l’offerta scontata di una vicepresidenza al Senato) viene letto dai dem come un altro segnale di mancanza di interlocuzione.
“Del resto – ci dice una fonte Dem – noi non abbiamo nulla da offrire perchè siamo all’opposizione. Dunque perchè dovrebbero offrirci delle cariche e trattare con noi?”.
“Una cosa molto grave, mai successa: la maggioranza che ha già eletto i presidenti ha deciso di non dare possibilità di accesso all’opposizione” nei ruoli dell’ufficio di presidenza al Senato, dice il neo-capogruppo Pd a Palazzo Madama Andrea Marcucci. E’ “un rapporto basato sulla spartizione e sull’assenza di trasparenza tra M5S e Lega”.
C’è anche il ragionamento che fa Renzi con i giornalisti alla buvette. I 5 Stelle fano l’asso-pigliatutto per “dinamiche loro, interne. Essendo tanti dovranno dare un qualcosa a ciascuno. Solo che quando lo facevamo noi era una ‘spartizione di potere’, ora che lo fanno loro è ‘libera espressione della democrazia’. Ecco: l’espressione della volontà popolare ‘is the new’ spartizione di poltrone”.
A differenza dei primi giorni in Senato, oggi Renzi è più incline a lasciarsi andare a qualche commento politico.
Segno di sicurezza sulla linea: ne ha parlato con Maurizio Martina in una delle salette del gruppo Pd, il fronte dell’opposizione è compatto per ora.
E così nelle chiacchiere coi cronisti oggi c’è meno spazio per battute sui film visti al cinema, il jogging mattutino o le partite di tennis.
Riaffiora la politica perchè l’ex segretario è riuscito a sgominare i tentativi dei non-renziani del Pd di fare da sponda ai 5 Stelle. “Hanno sbagliato i calcoli – dice ai suoi – io non avrei consigliato a Di Maio di far sponda con chi nel Pd pensava di far fuori me per poi fare un accordo con il M5S…”.
In effetti, così non è andata, al di là delle “processioni” che qualche esponente dem non-renziano racconta sotto anonimato: “Processioni di 5 Stelle ci vengono a chiedere di salvarli da Salvini…”.
Ecco: ora M5S agita la favola di un dialogo con una parte del Pd per gridare aiuto, “ci usano”, dice Renzi. E’ la lettura anche di Lorenzo Guerini, il quasi-capogruppo alla Camera che ieri ha fatto un passo indietro in nome dell’unità . “Ho capito che fare i passi indietro è popolare: mi stanno arrivando complimenti da ogni dove”, ci dice alla Camera. Poco dopo Delrio lo chiama sul cellulare.
Il Pd si rannicchia all’opposizione e chi nel partito ha altre idee non ha una exit strategy. Ma certo nessuno ha interesse a consumare ora la resa dei conti interna che prima o poi arriverà . “Aspettiamo il terzo giro di consultazioni e vediamo cosa mette in campo Mattarella”, ci dice un renziano.
“Credo che le consultazioni debbano essere sempre fatte, credo che i partiti che hanno vinto le elezioni debbano avere l’incarico e poi valuteremo”, dice Marcucci. Sarà lunga.
(da “Huffingtonpost“)
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Marzo 28th, 2018 Riccardo Fucile
SALVINI AVEVA AUSPICATO CHE I DEM NON RESTASSERO FUORI
Poco dopo mezzogiorno Danilo Toninelli diffonde una nota che sa di dichiarazione di guerra:
“Noi abbiamo i numeri per votare due vicepresidenti, quattro segretari e un questore”.
Il capogruppo M5S al Senato nei fatti minaccia di lasciare a bocca asciutta il Pd, nonostante la promessa fatta nei giorni scorsi di dare alle opposizioni il “giusto spazio”.
In pratica M5s, nonostante abbia già la presidenza di Montecitorio, rivendica per sè due vicepresidenti al Senato. In realtà l’obiettivo finale dei grillini, in questo gioco di strategia in cui i 5 Stelle hanno alzato la posta, è eleggere Paola Taverna vicepresidente, dare ai dem una vicepresidenza con l’orlandiana Anna Rossomando e in cambio avere dal Pd i voti per Laura Bottici, affinchè diventi questore anziano, prima degli eletti quindi con più poteri.
I senatori pentastellati non scrivono nella scheda il secondo nome per la vicepresidenza, così da spianare la strada al Pd, e quelli dem dal canto loro avrebbero dovuto votare Bottici.
Il meccanismo però si inceppa e il capogruppo Marcucci avverte: “Non accettiamo ricatti”.
Riavvolgendo il nastro, la mattinata è stata lunga e densa di trattative.
Il Pd quando capisce di non avere i voti per eleggere un suo vicepresidente perchè M5s si è tirato indietro si ribella: “Continuando così sarà guerra totale, altrochè dialogo”.
Matteo Salvini arrivando a Palazzo Madama prova a mediare: “Il Pd può restare fuori? Spero di no”.
Un’ora e mezza prima dell’inizio delle votazioni i capigruppo M5s si incontrano con quelli del Pd.
Il clima è decisamente pessimo: “Abbiamo offerto loro due vicepresidenze, una alla Camera e una al Senato – spiegano fonti grilline – in tutta risposta ci hanno detto che volevano anche due questori, un atteggiamento di chiusura e supremazia che fa male al dialogo”.
Quindi ecco cosa propone M5s: “In ogni caso noi seguiremo la strada della responsabilità , daremo comunque una vicepresidenza al Pd ma ci aspettiamo che il Pd voti un nostro senatore questore”. Quest’ultimo passaggio non avviene ed ecco lo strappo.
Nel mezzo delle trattative ci sono anche le cariche della Camera.
I 5 Stelle si sono resi conto che, senza il vicepresidente a Montecitorio, non hanno i numeri per portare a termine la battaglia sui vitalizi.
Hanno la necessità di avere almeno questore e segretario. Ed ecco quindi che si ripeterà lo stesso schema. M5s dirà che ha i numeri per eleggere un vicepresidente. Inizieranno così le trattative. Alla Camera si voterà giovedì, ma se non c’è un accordo, il presidente Roberto Fico ha già detto che si tornerà in Aula martedì.
Forza Italia, che ha rinunciato alla poltrona del Senato avendone la presidenza, punta su Mara Carfagna a Montecitorio, la Lega su Raffaele Volpi e Fratelli d’Italia su Guido Crosetto.
Resta anche qui lo scontro Pd-M5s. I grillini insisteranno per avere la vicepresidenza, malgrado la promessa di rinunciarvi avendo ottenuto la presidenza.
Quindi proporranno Marta Grande. Il Pd rivendicherà per sè l’incarico proponendo Ettore Rosato, che però i grillini considerano troppo renziano ed è anche per questo che mettono un veto.
Si ragiona sull’ipotesi di un altro nome, meno vicino all’ex segretario Renzi e che possa essere un punto di caduta per un accordo M5s-Pd.
Ma anche in questo caso i grillini chiederanno i voti su un questore per avere i numeri quando ci sarà la conta nell’ufficio di presidenza e il Pd ha già fatto sapere che, anche questa volta, non cederà al “ricatto”.
Il solco tra M5s e dem si allarga.
(da “Huffingtonpost”)
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Marzo 28th, 2018 Riccardo Fucile
BOERI: “REDDITO MINIMO E’ AI PRIMI PASSI, MA C’E'”
Le persone beneficiate da misure di contrasto alla povertà sono nel primo trimestre 2018 quasi 900 mila e 7 su 10 dei beneficiari risiedono al Sud.
È quanto si legge nell’Osservatorio statistico sul Reddito di inclusione (Rei) presentato oggi dall’Inps e dal Ministero del Lavoro secondo il quale sono stati coinvolti dal Rei 316.693 persone (in 110 mila famiglie) mentre altre 47.868 persone (in 119 mila famiglie) sono state interessate dal Sia (Sostegno di inclusione attiva).
Secondo l’Inps, le misure di contrasto alla povertà hanno raggiunto il 50% della platea potenziale.
I benefici economici del Reddito di inclusione (misura nazionale di contrasto alla povertà erogata dal primo gennaio 2018), del Sia e delle misure regionali – spiega il presidente dell’Inps Tito Boeri – “hanno raggiunto 251 mila famiglie al 23 marzo di quest’anno, coinvolgendo 870 mila persone. Si tratta di dati cumulabili. Possiamo dire che in Italia un reddito minimo c’è”, osserva Boeri.
“Faccio un appello a chi ha agitato in queste ultime settimane la bandiera del reddito minimo: bisogna porsi come obiettivo prioritario di trovare più risorse per il Rei e spero non si voglia mettere in discussione ma andare avanti con il lavoro”, auspica Boeri.
“Noi con il Rei abbiamo colmato un ritardo di 70 anni rispetto ad altri Paesi. Oggi c’è un reddito minimo, ai primi passi ma c’è già : è ancora sottofinanziato ma la platea da luglio salirà a 2,5 milioni di persone e 700.000 famiglie”.
Il reddito di cittadinanza, così come previsto dal M5S nella sua proposta di legge nella scorsa legislatura potrebbe costare tra i 35 e i 38 miliardi di euro. Spiega Boeri, sottolineando che si tratta “di una cifra molto consistente”.
Boeri evidenzia che sono state affinate le stime sul costo di questa misura rispetto a quanto previsto nel 2015, quando si parlò di 29 miliardi.
Il 73% dei nuclei percettori di Sia e Rei è una famiglia con almeno tre componenti ma l’11% è una famiglia con un solo componente.
Se si guarda al solo Rei il 23% dei nuclei percettori (110 mila nel complesso) è composto da un solo componente, in gran parte dei casi un over 55 disoccupato. Gli importi medi mensili per le famiglie sono di 297 euro per il Rei e di 244 euro per il Sia (119 mila famiglie).
(da agenzie)
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Marzo 28th, 2018 Riccardo Fucile
ENTRAMBI SONO INTERESSATI A FAVORIRE GLI EVASORI FISCALI, DEMOLENDO GLI STRUMENTI DI CONTROLLO
Su come meglio abbassare le tasse, Lega e M5S in campagna elettorale sono apparsi distanti. Ma
per altri versi quanto al fisco sono vicini.
Entrambi intendono demolire parecchi strumenti esistenti per la lotta all’evasione.
In altri momenti, le frasi pronunciate ieri da Padoan a un convegno della Guardia di Finanza sarebbero state classificate come retorica di rito da parte di chi occupa quella carica: occorre «respingere ogni tolleranza verso l’evasione fiscale» poichè «il rispetto delle regole aiuta ad accrescere la fiducia reciproca fra Stato e cittadini».
No n così ora. Cinque Stelle e Lega concordano nel dichiarare indulgenza verso quella che chiamano «evasione di necessità ».
Il fenomeno certo esiste: sappiamo che se per magia tutti cominciassero a pagare per intero quanto dovuto, con le aliquote fiscali attuali molte piccole imprese chiuderebbero.
Se tuttavia si abbandona ogni tentativo di cambiare, il sistema Italia sarà sempre più frenato dalla concorrenza sleale che l’impresa truffaldina fa all’impresa efficiente; e non ci sarà spazio sufficiente per ridurre le aliquote a beneficio di ognuno.
Qui si vede il limite vero del populismo, che riassume in slogan rabbie disparate, senza cercare di capire come i divergenti interessi dei cittadini possano essere conciliati.
Il giusto desiderio comune di pagare meno tasse non può essere soddisfatto se troppi vengono lasciati liberi di pagarne meno per conto proprio.
Con il concetto di «evasione di necessità » la Lega giustifica la proposta di un nuovo condono fiscale.
Nella passata legislatura il M5S se ne indignava, adesso non è chiaro. Vengono ugualmente incontro all’evasione altre misure previste da Luigi Di Maio e soci.
Al quinto tra i 20 punti sintetici del programma grillino si legge: «Abolizione reale degli studi di settore, dello split payment, dello spesometro e di Equitalia».
E subito dopo: «Inversione dell’onere della prova, il cittadino è onesto fino a prova contraria».
A parole suona bene. Ma, senza entrare nei dettagli, la cosiddetta inversione renderebbe difficilissimo combattere la pratica delle fatture false, strumento principale con il quale si evade l’Iva più che in ogni altro Paese europeo.
Gli «studi di settore», parametri di ricavi che commercianti e piccoli imprenditori non amano, spariranno comunque dal 2019, sostituiti da «indicatori sintetici di affidabilità ».
Studiati d’intesa con le categorie interessate, a partire dalla Confcommercio, premieranno chi si comporta meglio invece di punire chi non si conforma. La Lega boccia anche questi rifiutando «ogni forma di pagella».
Lo «split payment», in italiano scissione dei pagamenti, significa che le pubbliche amministrazioni quando comprano qualcosa non pagano l’Iva, la trattengono per versarla direttamente al fisco.
Esteso per gradi, ha eliminato due miliardi di euro di evasione nel 2015 e nel 2016, un miliardo ancora nel 2017; nel bilancio 2018 dovrebbe fruttare altri 1,5 miliardi netti.
Il guaio è che a vendere beni o servizi allo Stato si finisce così in credito di imposta, e spesso il rimborso tarda.
Sarebbe il caso di concentrarsi su questo grave inconveniente, piuttosto che buttare via tutto e trovarsi un buco grosso nel gettito. Anche la Lega vuole porre fine allo split payment, benchè usi una formula meno chiara.
Insomma si rischia di danneggiare la maggioranza dei contribuenti per soddisfare una minoranza che strilla.
Ma non era proprio per protestare contro questo andazzo che gli elettori hanno mutato le loro scelte in modo drastico?
(da “La Stampa”)
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Marzo 28th, 2018 Riccardo Fucile
A PAROLE LI ODIA, SALVO CHE NON POSSA TRARNE VANTAGGIO… E L’HANNO PURE SCRITTO NELLO STATUTO
Il MoVimento 5 Stelle odia i voltagabbana, a meno che non possa trarne vantaggio. Scrive infatti l’agenzia di stampa ANSA che gli Statuti dei gruppi M5S di Camera e Senato prevedono un via libera ad “eventuali richieste di adesione” provenienti da deputati o senatori “precedentemente iscritti ad altri Gruppi” diversi dal M5S.
Le richieste di far parte dei gruppi pentastellati “potranno essere valutate, purchè siano incensurati, non siano iscritti ad altro partito, non abbiano già svolto più di un mandato elettivo oltre quello in corso, ed abbiano accettato e previamente sottoscritto il ‘Codice etico’”, si legge negli statuti che precisano: “Tali richieste di adesione dovranno essere accettate dal Presidente del Gruppo”.
La parte curiosa e divertente della vicenda è che gli stessi statuti prevedono tuttavia che il deputato o il senatore che abbandoni il gruppo parlamentare “a causa di espulsione ovvero abbandono volontario ovvero dimissioni determinate da dissenso politico sarà obbligato a pagare, a titolo di penale, al Movimento 5 Stelle, entro dieci giorni dalla data di accadimento di uno dei fatti sopra indicati, la somma di euro 100.000,00”.
Insomma, porte aperte sì, ma solo in entrata.
E pazienza se prima nel M5S si entrava soltanto dopo una lunga militanza. Il piatto dei voti per formare un governo piange, bisogna adattarsi.
(da “NextQuotidiano“)
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Marzo 28th, 2018 Riccardo Fucile
LA STORIA DI AIDA E IL POST DEL DEPUTATO LEGHISTA
Aida Aicha Bodian non può essere italiana. 
Tra i problemi della destra italiana rimane quello di non riuscire ancora a comprendere che c’è differenza tra immigrati regolari e quelli irregolari, tra musulmani e jihadisti, tra integrazione e becero razzismo.
La storia di Aida Aicha Bodian che ci arriva da Bibbiano,Reggio Emilia, ce lo ricorda ancora una volta.
Aida è nata in Senegal, e non è scritto solo nel suo nome, carta d’identità ma anche sul suo volto.
Eppure è cittadina italiana dal 2014, e vive nel nostro paese dal ’92 quando di anni ne aveva solo 5. È una giovane molto attiva nel società in cui vive.
Integrata, cosciente e consapevole, e basta dare uno sguardo alle sue attività e passioni.
Ma ecco, il suo volto sembra contare più della sua storia di integrazione; sembra essere inaccettabile e inopportuno per il neodeputato della Lega Nord, Gianluca Vinci, che non ha apprezzato il fatto che, per promuovere un nuovo spazio giovanile a Reggio Emilia, sia stato utilizzato, insieme ad altri volti di giovani italiani, anche il volto di Aida, dalla pelle scura.
E cosi scrive indignato un post su Facebook con la foto del manifesto di #viacassoliuno, il nuovo spazio culturale per giovani inaugurato sabato nei locali dell’Admiral, l’ex sala slot posta sotto sequestro dall’amministrazione per irregolarità nella destinazione d’uso.
Nel manifesto fotografato da Vinci c’è il volto in primo piano di Aida Aicha Bodian che è anche fondatrice e presidente di Roots Evolution, una delle dieci associazioni che hanno risposto al bando per la gestione del nuovo spazio: «Tornato a Reggio — scrive Vinci — vedo sempre tutelati gli interessi dei giovani, reggiani? Quando si tutelano le minoranze per farle diventare maggioranze, qualcosa non funziona e va cambiato».
Ecco sta proprio qui il punto: non riuscire ancora a fare quel passo avanti, nonostante la realtà della nostra quotidianità lo abbia fatto da un pezzo, consegnandoci quasi cinque milioni di immigrati regolari, integrati, con un lavoro, una famiglia, un mutuo e magari prossimi all’acquisizione della cittadinanza italiana, come quella di Aida, conquistata nel 2014, e delle tante migliaia di ex — immigrati, oggi nuovi italiani, ma che sono fuori dalla narrativa politica e quella mediatica.
Tutti loro non possono più essere descritte come minoranze, ma parte della nostra società italiana.
Sono una presenza imbavagliata perchè scomoda per chi vive e vuole continuare a vivere di pregiudizi e paure.
Ma fino a quando? Il 4 marzo gli italiani hanno scelto, consegnando il loro voto a una destra che ha avuto molto seguito anche soffiando sulla paura, gridando all’invasione degli irregolari.
Bene, finita la campagna e la propaganda elettorale è opportuno ricordare però che la stragrande maggioranza di quella fetta chiamata «immigrati» nel nostro paese è fatta di regolari.
E che a questa, si aggiungono migliaia di altre storie come il volto di Aida, di nuovi italiani. A loro, dovrebbe guardare con più maturità , intelligenza e politica, la destra. Ma questo, se solo riuscisse a fare quel passo necessario ed accettare che la condizione di immigrato non può essere eterna.
Che l’integrazione, è un concetto che in altri paesi europei è anche di destra perchè è evoluzione che porta alla piena cittadinanza in valori, diritti e doveri.
E Aida Aicha Bodian è italiana e parte della cittadinanza di Bibbiano come ha dichiarato il suo sindaco e la solidarietà di tanti altri cittadini che hanno sentito la necessità di dimostrarglielo con un #Iostoconaida.
(da “La Stampa”)
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Marzo 28th, 2018 Riccardo Fucile
L’APARTHEID DELLE FORCHETTE DELL’EX CARABINIERE CONGEDATO ANZITEMPO DOPO UN PROCEDIMENTO DISCIPLINARE PER RAZZISMO, OMOFOBIA E VIOLAZIONE DEI DOVERI ATTINENTI AL GIURAMENTO PRESTATO”
Riccardo Prisciano è un candidato di Fratelli d’Italia al consiglio regionale del Friuli-Venezia Giulia.
Domenica 29 aprile in Friuli-Venezia Giulia gli elettori saranno chiamati a votare per il rinnovo del consiglio regionale ed eleggere il nuovo Presidente che per la coalizione di Centrodestra sarà il leghista Massimiliano Fedriga.
Maresciallo dei Carabinieri in congedo “per non meritevolezza” — come spiega sul suo sito Internet — a causa delle sue idee politiche «sovraniste, patriottiche, anti-Islam, anti-aborto, contrarie alla pratica dell’utero in affitto ed alle adozioni di bambini a coppie omosessuali».
Del caso all’epoca si occupò Il Giornale e anche il deputato ex M5S (ora FdI) Walter Rizzetto che presentò un’interrogazione in commissione al Ministro della Difesa per fare luce sul caso del Maresciallo dei Carabinieri sottoposto a procedimento disciplinare per «islamofobia, xenofobia, omofobia, violazioni dei doveri attinenti al grado ed al giuramento prestato e per aver inficiato l’apoliticità della Forza Armata». Le posizioni di Prisciano sull’Islam, il gender e gli immigrati sono abbastanza note. Ma questo non ha impedito al partito di Giorgia Meloni di candidarlo in Friuli.
Ad esempio ieri Prisciano scriveva un appello al voto spiegando che è il momento di ripulire la regione dai clandestini e che era ora di dire basta al “razzismo verso gli italiani”.
E i termine “ripulire” seguito da “dai clandestini” fa spesso capolino tra i suoi post. Ma non di soli immigrati vive la campagna elettorale. Il 19 marzo, giorno della festa del papà , Prisciano aveva invece lanciato la proposta di creare uno sportello regionale di sostegno ai padri separati “per fermare il maschicidio creato dal Boldrino-pensiero“.
In un altro post Prisciano se la prende con l’Unità d’Italia ancora non terminata pubblicando una cartina con tutti i territori ITALIANI ancora in mano allo straniero. Finchè su tutte le terre italiane non sventolerà il tricolore — concludeva — non potremo parlare di Unità d’Italia.
Niente male per uno che si candida a sostegno di un candidato della Lega, quel partito che ha ancora come primo punto dello statuto ” il conseguimento dell’indipendenza della Padania attraverso metodi democratici e il suo riconoscimento internazionale quale Repubblica Federale indipendente e sovrana”.
La lotta contro i clandestini però è solo un paravento.
Sono gli immigrati il vero problema. Lo dimostra un post dai contenuti razzisti postato ieri pomeriggio.
Prisciano se la prende in questo caso contro i minori non accompagnati che usufruiscono del servizio mensa al Civiform di Cividale del Friuli. Dello stesso servizio mensa, denuncia Prisciano fanno uso anche i Carabinieri della stazione di Cividale.
Secondo il candidato di Fratelli d’Italia “è assurdo che i Carabinieri vadano a mangiare negli stessi piatti e con le stesse posate degli immigrati minorenni“.
Piatti e posate che come in tutte le mense vengono regolarmente puliti e lavati.
Basta — conclude — Prisciano chiedendo che vengano tutelate le forze dell’ordine.
E non si capisce bene da cosa devono essere tutelati i Carabinieri “che usano le stesse posate e gli stessi piatti“. Forse il candidato consigliere teme che possano essere contagiati dagli immigrati?
Rispondendo ad alcuni commenti Prisciano chiede se un utente “farebbe mangiare i suoi figli in quei piatti“.
Ed improvvisamente in un tranquillo angolo di Friuli troviamo gli aspetti più biechi e deteriori del razzismo dell’Alabama segregazionista o del Sud Africa dell’Apartheid razziale.
(da “NextQuotidiano”)
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