Settembre 6th, 2018 Riccardo Fucile
IL MINISTRO AVEVA PARLATO DI UNA DIFFIDA A PUBBLICARE GLI ATTI
Ieri Danilo Toninelli, ospite a In Onda su La7, è andato all’attacco dei rapporti tra Benetton e la stampa italiana: «La vecchia politica ha permesso la creazione di questa mangiatoia che ha dato ai privati miliardi».
E ancora: «Ci sono persone del gruppo Repubblica-L’Espresso nel cda di Atlantia” (Monica Mondardini, attuale ad di Cir ndr). Purtroppo alcune linee editoriali lasciano qualche dubbio». Toninelli, come suo costume, non ha fatto nomi ma il riferimento a Mondardini è chiaro
Il direttore di Repubblica Mario Calabresi ha risposto oggi sul quotidiano:
Il ministro Toninelli si sta specializzando in allusioni, tira il sasso e nasconde la mano. Prima ha dichiarato in un’aula parlamentare di aver ricevuto condizionamenti per non rendere note le concessioni autostradali, poi si è rifiutato di fornire elementi concreti su fatti e persone. Ieri sera ha avanzato “dubbi” sulle “linee editoriali” di Repubblica e de l’Espresso, insinuando che sarebbero condizionate dalla presenza come consigliere indipendente di Monica Mondardini nel cda di Atlantia.
Chi ci ha letto in queste settimane ha ben chiaro con quale incisività abbiamo scavato nelle responsabilità della tragedia di Genova, denunciando e indagando con scrupolo e rigore, mostrando che non esistono condizionamenti esterni. Monica Mondardini, che oggi è vice presidente di questo gruppo, non ha mai interferito nel lavoro dei giornalisti. Il ministro Toninelli dovrebbe imparare ad accettare le critiche che gli vengono mosse, nel nostro caso mosse da una sua oggettiva incapacità e inconcludenza, e smettere di alimentare sospetti infondati.
Piuttosto chiarisca la natura di quei “dubbi”. In una vicenda come quella di Genova che necessita della massima trasparenza, la cosa peggiore che possa fare un rappresentante delle istituzioni è inquinare il dibattito con allusioni e insinuazioni.
Intanto l’Aiscat (l’associazione dei concessionari autostradali) “smentisce categoricamente le affermazioni del ministro delle infrastrutture Danilo Toninelli in merito alle presunte pressioni che, secondo il ministro sarebbero state effettuate dall’associazione stessa a non pubblicare gli atti delle concessioni”.
Il ministro aveva parlato, ieri sera alla trasmissione ‘in Onda’ su La 7, di una diffida dell’Aiscat a pubblicare gli atti in quanto potevano configurare il reato di aggiotaggio. “Unico contatto con il ministro — prosegue Aiscat — è stata la richiesta di disponibilità di date per l’annuale assemblea dell’associazione”.
(da agenzie)
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Settembre 6th, 2018 Riccardo Fucile
I CAPITALI FUGGONO ALL’ESTERO, I BANCOMAT CHIUDONO, ESPLODE L’INFLAZIONE: PER GUARDARE OLTRE L’ABISSO SUL QUALE IL NOSTRO PAESE SI STA AFFACCIANDO
L’avevano chiamata operazione Morris. Il nome in codice era stato partorito durante una cena
nella saletta riservata del ristorante Il Moro, a Roma, cento metri dalla Fontana di Trevi. Il capo sovranista era appena stato nominato presidente del Consiglio e aveva riunito i fedelissimi davanti a un piatto di spaghetti alla carbonara. E non ci poteva essere pietanza più adatta per quella cena. Che aveva tutte le caratteristiche, appunto, di un vertice della carboneria.
Quattro persone stavano decidendo in gran segreto il futuro del paese. Davanti al premier era seduto il suo vice nel partito: gli altri due lati del tavolo erano occupati dal tesoriere e da Piero. La presenza di un sottosegretario allo Sviluppo economico delegato alle relazioni con Putin e i paesi del blocco di Visegrà¡d in quel consesso si spiegava con il rapporto, strettissimo, che lo legava da tempo al capo. Non c’era decisione politica importante che per ragioni forse imperscrutabili non venisse condivisa con lui. Di sicuro, il capo si fidava ciecamente di Piero. O Piotr, come era solito chiamarlo.
E fu proprio Piero-Piotr a suggerire il nome in codice per l’uscita dall’euro. Era fissato con un film, che avrebbe potuto rivedere in continuazione senza mai stancarsi. Un film del regista americano Don Siegel: Fuga da Alcatraz. Ispirato a un fatto realmente accaduto, raccontava l’evasione rocambolesca dal penitenziario su un’isoletta nella baia di San Francisco di un detenuto condannato per vari crimini fra cui rapina a mano armata. Si chiamava Frank Morris e nel film veniva interpretato da Clint Eastwood. L’evasione di Morris fu l’unica riuscita fra le innumerevoli tentate nei trent’anni durante i quali Alcatraz era stato adibito a carcere di massima sicurezza. Dell’evaso e dei due fratelli che lo accompagnarono nella fuga si persero le tracce, e nove mesi dopo il penitenziario venne definitivamente chiuso.
Una metafora cristallina, disse Piero ai commensali, di quello che si stava progettando. Come l’evasione, con successo, di Frank Morris da Alcatraz aveva provocato la chiusura di quella prigione, così la fuga dell’Italia dall’euro avrebbe causato la dissoluzione del carcere europeo nel quale erano ingabbiati i popoli del Vecchio continente. Il volto del capo si illuminò. Il decreto di nomina del Comitato per il Risorgimento monetario fu secretato e dunque non venne pubblicato sulla Gazzetta ufficiale. I suoi componenti erano tenuti al riserbo più assoluto. Come deterrente era stata inserita un’apposita norma che prevedeva l’arresto immediato per chi avesse violato anche solo con il pensiero la consegna della riservatezza. Il premier avrebbe avuto anche il potere di disporre intercettazioni telefoniche e ambientali nei confronti dei componenti del Comitato e dei loro familiari, se questo fosse stato ritenuto necessario a tutelare maggiormente la segretezza.
Il provvedimento divenne operativo alle ore 00.00 di lunedì 28 dicembre 2019.
Il testo fu consegnato simultaneamente pochi minuti prima della mezzanotte del 27 ai componenti del Comitato. Il più sorpreso fu il governatore della Banca d’Italia, che dovette comunque attendere fino al pomeriggio del giorno seguente per parlare con il capo sovranista. La faccenda era davvero seria, molto più seria di quanto chiunque potesse immaginare.
La Banca centrale sarebbe stata immediatamente investita da un terremoto di inaudita potenza. Tutti gli esperti concordavano sul fatto che il presupposto per l’uscita dalla moneta unica era la nazionalizzazione della Banca d’Italia e la cessazione della sua indipendenza dal governo. Per il semplice motivo che avrebbe dovuto far fronte alla prevedibile e subitanea carenza di liquidità del sistema allagando le banche con Lire Nuove. La nazionalizzazione, inoltre, sarebbe scattata l’ultimo giorno dell’anno per una ragione ulteriore.
Le stime più attendibili attribuivano alla Banca d’Italia un valore di circa 7 miliardi di euro. E siccome le azioni erano nelle mani dei principali istituti di credito nazionali, lo Stato avrebbe dovuto acquistarle versando loro quella cifra, che sarebbe stata una bella boccata d’ossigeno per i bilanci messi a dura prova dalle svalutazioni dei titoli pubblici che le banche avevano in pancia. Ma sempre a patto che l’acquisto fosse concluso entro il 31 dicembre. Al telefono con il presidente del Consiglio il governatore era livido di rabbia: “Non capisco, presidente. Spero vi rendiate conto delle conseguenze. Questo è il suicidio del paese”.
La risposta fu raggelante: “La pensi come crede, non m’interessa. Immaginavo che non le sarebbe andata giù. Ma non è una decisione che spetta a lei”. “Lo so bene. Se mi permette, avrei potuto essere consultato prima. Era un vostro preciso dovere, e non soltanto per rispetto istituzionale.” “Non c’è niente da permettere. L’opinione sua o della Banca d’Italia non ci avrebbe fatto cambiare idea.”
“Ma la Banca d’Italia avrebbe avuto l’opportunità di spiegarvi in quale guaio state per cacciare il paese…” “Intanto cominciamo a cacciare lei. Aspetto la sua lettera di dimissioni immediatamente. E le ricordo che le norme sulla riservatezza con le relative sanzioni penali riguardano pure chi rassegna le dimissioni perchè in disaccordo con il break up. Articolo 6, la formulazione è sufficientemente precisa. Lo tenga bene a mente, e lo ripassi se necessario.” “Non c’è problema. Non vorrei comunque portare la responsabilità di quello che accadrà .” “Sono d’accordo, caro governatore. Lei è stato complice della sottomissione del popolo italiano alla finanza che lo ha dato in pasto alla povertà e al precariato. E ai complici di Soros e soci non riconosciamo il diritto di partecipare alla liberazione da questa oppressione che dura da un ventennio. Perchè questo è ciò che accadrà , garantisco.”
“Li avete letti bene i trattati? Li avete letti con attenzione prima di intraprendere questa strada? Non pare proprio… Perchè altrimenti avreste scoperto che l’uscita dalla moneta unica non è soltanto il ritorno alla lira. Ma comporta automaticamente l’uscita anche dall’Unione europea. Significa essere espulsi dal mercato unico e da tutti gli accordi di cooperazione, e questo comporterebbe che le nostre imprese sarebbero colpite da dazi commerciali pesantissimi. Perciò si illude chi pensa di tornare alla lira per poter svalutare a proprio piacimento e recuperare, abbassando il prezzo dei prodotti, la competitività che le imprese italiane avrebbero perduto con il risultato di avere un boom delle esportazioni. Il calo dei nostri prezzi sarebbe annullato dalle tasse doganali che ci verrebbero imposte, e non servirebbe assolutamente a nulla. Comprendo che per chi non ha dimestichezza con i trattati internazionali la loro lettura possa risultare noiosa, anche se mi pare che lei, presidente, sia stato parlamentare europeo e dunque i trattati dovrebbe conoscerli nei dettagli. Potrei comunque consigliarle la lettura, sia chiaro a tempo perso, di un breve documento di un professore che dirige la Scuola di politica economica europea dell’università e da anni studia la questione. Lì dentro, in parole semplici e comprensibili, c’è scritto tutto. C’è scritto che saremmo costretti a continue svalutazioni con l’inflazione che divorerebbe il potere d’acquisto delle famiglie. C’è scritto che saremmo condannati al protezionismo e verremmo espulsi dalle economie avanzate. C’è scritto che il governo e le imprese non potrebbero far fronte ai debiti contratti in euro con una moneta enormemente svalutata e si dovrebbero dichiarare insolventi sui mercati internazionali. A quel punto le nostre imprese più forti sarebbero spinte a trasferirsi all’estero…”
“Quando tutto verrà giù, quella non servirà a niente. Dovrete fare un decreto non per multare chi delocalizza, ma per vietare del tutto i trasferimenti, pena il carcere. Il che non potrà impedire fallimenti a catena, soprattutto delle imprese più piccole e fragili.” Al presidente del Consiglio sfuggì una risata: “Lo sa perchè rido? Lei, mi fa ridere. Evidentemente non conosce la forza delle nostre imprese, e fa anche il governatore della Banca d’Italia. Le piccole e medie aziende sono fatte da gente che lavora fino a mezzanotte e si sveglia alle cinque del mattino. Sono il nerbo del paese e hanno una vitalità sorprendente. Hanno passato momenti che lei non s’immagina…”
“Niente al confronto di quello che capiterà ,” sbuffò il governatore. E continuò: “La disoccupazione andrà a livelli mai visti. Sarete costretti a fare i salvataggi con i denari dei contribuenti, la spesa pubblica esploderà . Quindi dovrete aumentare la pressione fiscale e i tassi d’interesse andranno alle stelle per piazzare il debito pubblico che somiglierà sempre di più alla carta straccia. I mutui torneranno a essere carissimi e chi li ha stipulati con una banca estera, e sono tantissime famiglie, questo lo può facilmente verificare, non potrà pagare le rate con le lire ma dovrà continuare a farlo in euro. E ciò sarà insostenibile. Quelle famiglie si sveneranno, molte perderanno la casa. Succederebbe come in Argentina. È questo ciò che volete?”.
“Al contrario di voi, noi vogliamo solo il bene del popolo italiano. La saluto, e si ricordi le dimissioni. Entro oggi.”
La lettera del governatore della Banca d’Italia arrivò due ore più tardi. Appena due righe. Ma nella busta c’era anche un documento di sei pagine in inglese, dal titolo: The frying pan burns less than the fire. Why Italy should not go out of the euro. “La padella brucia meno della brace. Perchè l’Italia non deve uscite dall’euro.” Autore, il direttore della scuola di politica economica.
Il presidente del Consiglio lo scorse distratto, poi lo accartocciò rabbiosamente e lo gettò nel cestino.
(da “La Repubblica”)
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Settembre 6th, 2018 Riccardo Fucile
NON C’E’ DA STUPIRSI PER LA GAFFE DEGLI ESSERI UMANI “FATTI AL 90% D’ACQUA”, IL GOVERNO E’ ABITUATO A DARE NUMERI A CASO
Due giorni fa Luigi Di Maio ha concesso un’intervista a Riccardo Iacona a Presa Diretta. Nel corso della trasmissione il vicepremier, ministro dello Sviluppo Economico e del Lavoro nonchè Capo Politico del MoVimento 5 Stelle ha risposto ad una domanda del conduttore sullo stato delle reti idriche italiane.
Come tutti sanno quello per l’acqua pubblica è uno dei cavalli di battaglia del M5S, che da sempre lotta per l’acqua pubblica (senza aver ben capito cosa significa).
Di Maio spiega subito che «l’obiettivo del ritorno all’acqua pubblica è anche un tema culturale del Paese perchè l’acqua è quello per cui noi siamo costituiti per oltre il 90%».
Ora, a parte la classica sintassi del vicepremier si evince che in Italia l’acqua deve essere pubblica perchè gli italiani sono costituiti d’acqua.
Non è chiaro cosa accade a quelli che non hanno la fortuna di essere italiani o vivono in un’altra nazione.
Ma la cosa più interessante è scoprire che Di Maio crede che gli italiani (e perchè no, anche gli altri esseri umani) siano costituiti da oltre il 90% d’acqua. Un po’ come le meduse insomma.
A quanto pare il nostro brillante ministro ha confuso un 9 con un 6, il corpo umano è infatti composto da circa il 60% d’acqua (e l’acqua copre il 71% della superficie del Pianeta Terra).
Ed è vero, l’acqua è un bene essenziale per la vita (quella degli uomini e quella delle meduse).
Come prevedibile l’Interwebs è andato a nozze con la rivelazione del vicepremier e — a parte qualche arrampicata sugli specchi di tenta di spiegare che Di Maio non ha detto che siamo fatti al 90% d’acqua (l’ha detto) — la maggio parte si è concentrata a sfottere il Capo Politico del MoVimento, che avrà pure tanti problemi ma di sicuro non quello della matematica.
In fondo anche nel governo del cambiamento sono soliti dire numeri a caso.
(da “NextQuotidiano”)
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Settembre 6th, 2018 Riccardo Fucile
INTERVISTA AL PREMIER CONTE
Daspo: “Non più a vita, ma a 15 anni”. Nazionalizzazioni: “Non ancora decretate”. Ilva: “Sarebbe
un bel gesto se la Mittal si offrisse di migliorare le condizioni del contratto”. L’agente anticorruzione: “Coperto ma non provocatore”. Pensioni d’oro: “C’è differenza tra privilegio e diritto”.
Nello studio giallo di Chigi, Giuseppe Conte traccia un bilancio
Il documento, tre fogli, è sul tavolino accanto a un caffè e a un bicchiere d’acqua. Sotto il titolo “Misure per il contrasto dei reati contro la pubblica amministrazione” ci sono cambiamenti dell’ultima ora al testo del disegno di legge che attende di essere approvato, oggi, dal Consiglio dei Ministri, e che già si anticipa come uno dei disegni di legge che provocherà una ondata di discussioni.
La novità maggiore nella nuova versione è che la interdizione dai pubblici uffici e dalla possibilità di partecipare a gare pubbliche, il cosiddetto Daspo per corrotti, nella prima versione proposto “a vita”, prevede ora la possibilità di una riabilitazione del corrotto, trascorsi 15 anni.
C’è poi l’inasprimento delle pene, e una più precisa definizione della figura più discussa in punto di diritto: l’agente sotto copertura: “Non sarà un soggetto che provoca il reato per incastrare i corrotti, ma un agente che raccoglie prove nel corso di una indagine… tecnicamente un agente sotto copertura non un agente provocatore…”
L’avvocato Conte orgogliosamente si rivendica tale più volte, e mai usa per sè, in un lungo colloquio, la definizione di presidente del Consiglio.
Il suo ufficio occupa l’angolo delle due facciate che si incrociano fra via del Corso e Piazza Colonna. Le tappezzerie sono le immutabili gialle che rivestono quasi tutti i Palazzi del potere a Roma. Ma lo studio è quello piccolo. Scelta non occasionale per un premier. A Chigi esistono infatti due studi scelti negli anni dai vari presidenti del Consiglio: uno molto ampio su cui andò la preferenza ad esempio di Silvio Berlusconi, e questo dove si sono seduti prima di Conte molti altri.
Ed è in questo tripudio di giallo che l’avvocato del popolo Giuseppe Conte, definitosi tale nel discorso di inaugurazione del suo mandato, raggiunge i cento giorni del suo governo. Tracciando un bilancio senza reticenza su nazionalizzazioni, Ilva, giustizia, nave Diciotti, rapporti con l’Europa, rapporti interni al governo.
È il bilancio di un premier che alla fin fine ancora non si è capito se è un vaso di coccio o il meccanico che sistema con pazienza una macchina che corre a velocità fortissima e che ogni tanto sembra sbandare in curva.
“Guardi io mi limito a fare bene quello che sto facendo. Si può esser un pino sulla vetta di una montagna, ma anche un fiore in una valle: l’importante è impegnarsi sempre al massimo qualunque cosa si faccia”.
Se serviva una risposta per capire come si vive e come si vuol far percepire Giuseppe Conte, questo forse è lo squillo di tromba: il premier è, e pensa di essere, soprattutto un uomo di servizio, una figura che si è messa a disposizione di un progetto.
Ma non si sente scomodo tra due vicepremier che sono gli azionisti dei due partiti al governo?
“Perchè? Pensi al contrario, se non fossero entrati loro nel governo. Ma non avrei accettato se non ci fossero stati”. Ed è inutile insistere su questa sua fragilità : “Sarebbe così se avessero preso una figura debole, senza esperienza, ma non credo che si possa dire di me”. Il suo merito maggiore, allora? “Nessuno. Lascio che siano gli altri a giudicare”, dice.
Il presidente Conte non intende mettersi in prima fila. In fondo è nel suo stile ed è il suo strumento di sopravvivenza.
Nel corso del colloquio non parlerà mai male di nessuno, non attaccherà il governo precedente (eccetto un po’ solo Calenda) e sistematicamente raffredderà le polemiche pubbliche, “si sa i politici fanno affermazioni che poi i giornali rendono eccessive… ma altro è la Politica con la – P – maiuscola e noi la stiamo facendo”.
E tuttavia, se il Presidente Conte non si mette in prima fila, l’avvocato Conte ha invece una idea chiara e forte (e anche positiva) di quello che sta facendo: “Mi sono reso conto di come una persona di diritto possa fornire un valore aggiunto. È quello di studiare tutti i dossier, non solo leggerli, ma anche entrarci dentro e poi seguirne l’ attuazione”.
Affermazione di solo apparente buonsenso. In realtà una definizione indirettamente poderosa, che si capisce meglio se gli si chiede qual è la cosa migliore che pensa di aver fatto finora: “Il dialogo con l’Europa, un percorso lungo, che stiamo attentamente delineando. Ho personalmente seguito e partecipato alla elaborazione di molti dossier che sono lì sul tavolo”. Così come sulla scrivania c’è la copia del Financial Times con dedica firmata dal presidente Trump a sottolineare un articolo sui loro colloqui americani.
Un ruolo che apre immediatamente alla domanda che in questi ultimi giorni sembra esser la forma presa dal governo: il delinearsi cioè tra le due forze politiche vigorosamente rappresentate dai due vicepremier, di un terzo settore governativo, rappresentato da professori e tecnici – Tria, Savona, Trenta, che alla difesa si muove con certa autonomia e Moavero che fa lo stesso al ministero degli Esteri.
Tutte figure molto “raffreddate” rispetto ai vicepremier, e con un intenso dialogo con le istituzioni europee. Sarà loro il merito di una svolta moderata che sta riportando Salvini e Di Maio dentro i parametri (politici anche prima che economici) dell’Europa? In particolare sulla madre di tutte le battaglie che sarà la finanziaria? Funziona così il governo? C’è una dinamica interna che ha profilato una sorta di terza componente, i tecnici, che sta spostando il clima politico?
“Noi non abbiamo mai pensato di essere tecnici”, è la smentita dell’esistenza di una terza componente, “qui lavoriamo davvero tutti in grande accordo, è un continuo scambio. Salvini e Di Maio sono persone molto dialoganti e ragionevoli” , ma la lingua va verso quel “noi”.
Nemmeno sulla Diciotti, come si è visto, avete avuto tensioni? “Il caso della Diciotti è stato così enfatizzato che alla fine è stato oscurato il percorso sin qui compiuto in tema di immigrazione. Io personalmente ho partecipato al Consiglio europeo sulla immigrazione e alla riunione preparatoria. Abbiamo fatto una proposta ben articolata che ha costituito il fondamento delle conclusioni poi adottate a fine giugno e in corso di attuazione.”
Insomma se la terza componente non c’è come corrente dentro il governo, esiste però come “metodo, quello dei professori. Tutti quelli che lei nomina sono persone esperte che lavorano e studiano i dossier”. Un attimo di riflessione. “Ci chiamano Barbari. Definizione che amo perchè barbaro significa straniero. Siamo barbari sì. E io sono un barbaro, perchè non sono parte del vecchio sistema. ”
Vediamo un po’ allora di fare un check sulle cose finora inserite nel sistema? E qui vorrei avvertire il lettore di un cambio di passo del colloquio. Il cortese presidente del Consiglio inforca (simbolicamente perchè non li usa) di nuovo gli occhiali dell’avvocato e fornisce preziose precisazioni: di metodo e di merito.
Cominciamo dalle nazionalizzazioni, per altro non inserite nel contratto. Si devono fare? “Ma noi non abbiamo deciso di nazionalizzare tutte le infrastrutture.” Confesso una certa sorpresa. Ma Conte procede: “Intanto io credo che non sia scandaloso aprire un dibattito in merito a come siano state fatte le privatizzazioni — dopotutto hanno più di venti anni. Non dovremmo chiederci, coinvolgendo anche l’opinione pubblica, come sono state fatte, a cosa sono servite? Non sarebbe necessaria una riflessione? Giudicando caso per caso, settore per settore. Nè credo che la scelta in merito debba esser fatta in maniera ideologica” (l’avvocato come si vede si fa sentire). “Ci sono settori in cui ha senso privatizzare e altri no. Ci sono concessioni di differenti tipologie. Ad esempio è giusto se si chiede a un privato di fare grandi infrastrutture dargli una lunga concessione in maniera che recuperi l’investimento: ma se si danno in concessione autostrade che sono già state costruite?”.
Ma che significa questo discorso applicato ora al caso del ponte Morandi? ” Ho avviato una procedura di caducazione della concessione. Abbiamo ricevuto le repliche di Autostrade. Ma siccome non voglio esporre lo stato a inutili rischi legali, raccoglierò tutti i necessari pareri giuridici e alla fine, dopo attenta valutazione, attuaremo in modo fermo e risoluto la nostra linea”. Dunque nessuna nazionalizzazione? “La nazionalizzazione non è l’unica risposta. Valuteremo anche questa soluzione ma non possiamo escludere allo stato che si faccia una nuova gara. Ma io sto lavorando anche a un piano di infrastrutture che offra un nuovo quadro di regole più favorevole allo Stato. Stiamo creando una banca dati per poter assicurare massima sicurezza ai cittadini. Insomma l’approccio è questo, ed è il mio approccio: occorre perseguire la migliore soluzione avendo una visione complessiva dei problemi”.
E l’Ilva? Sta per scadere il denaro e l’intera trattativa: ha ragione Di Maio a parlare di un garbuglio che rende impossibile intervenire nonostante le irregolarità riscontrate sulla gara? “Abbiamo acquisito il parere dell’Anac e dell’Avvocatura dello Stato. Li ho esaminati anch’io”, sorride come gli capita ogni volta che nomina il ruolo degli esperti che leggono i dossier per definizione,
“Entrambi i pareri hanno segnalato irregolarità nello svolgimento della gara. Ma è vero anche che l’aggiudicazione è già avvenuta e siccome non si può procedere all’annullamento di una gara solo per irregolarità senza garanzia di poter realizzare meglio l’interesse pubblico, farlo adesso potrebbe esporre lo Stato a un danno enorme”.
Ma quale sarebbero le irregolarità ? Non ci è molto chiaro. “L’ultima, in ordine di tempo, è che non si è consentito al competitore escluso di poter rilanciare. In questo modo Mittal si è così avvantaggiata e lo Stato si è impoverito”. Insisto. Questa scelta è stata una frode o una mancanza della macchina amministrativa?
Insomma, Calenda non è uno sprovveduto. “Guardi da me non sentirà mai accuse a governi precedenti. Faccia una cosa: chiami Calenda e lo chieda a lui. Io sollevo questo tema non per fare accuse, ma semplicemente perchè il rilancio avrebbe ragionevolmente offerto allo Stato la possibilità di concludere il contratto a condizioni più favorevoli”.
Insomma, mi pare di capire che Di Maio tenta un’ultima trattativa sperando di migliorare le condizioni degli accordi e poi la Mittal avrà comunque l’azienda? Tanti giri per tornare al punto di partenza? “Sarebbe un bel gesto se la Mittal si offrisse di migliorare le condizioni del contratto”.
Restiamo ancora sul piano legale, che è chiaramente il terreno su cui il presidente del Consiglio si muove meglio. Parliamo dei diritti dei cittadini. Un tema su cui questo governo pare mostrare il fianco di una evidente rottura dello stato di diritto. L’intervento sulle pensioni d’oro, ad esempio. Che ha suscitato molti ma di pancia anche dentro la stessa coalizione governativa.
Una cosa, dicono da molte parti, è un contributo volontario; altro è la cancellazione di diritti acquisiti. Conte risponde piccato: “Esiste un principio di responsabilità che suggerirebbe a chi gode di benefici eccessivi di mostrare solidarietà intergenerazionale, come suggeriva il filosofo Jonas.
E in ogni caso c’è differenza fra privilegio e diritto. Noi interverremo solo sul privilegio”. La soglia di questo privilegio? “La soglia sono i contributi versati. Chi ha pensioni altissime senza aver pagato di conseguenza”.
Ma i casi sono pochissimi, ricordo. Non raccoglierete fondi sufficienti per il reddito di cittadinanza. “Ma contiamo di recuperare centinaia di milioni di euro ma il nostro intento non è tanto e solo fare cassa ma anche introdurre misure di equità sociale”. Dunque intervenire è una misura “educativa” per la società ? “Oggi esiste un obbligo morale nei confronti dei più poveri”. L’avvocato del popolo rispunta dall’impeccabile polsino.
E si definisce anche meglio quando si parla del nuovo progetto di legge sull’anticorruzione, che dovrà essere approvato oggi dal Consiglio dei Ministri.
I fogli del progetto di legge sono sul tavolo, come si scriveva all’inizio. Conte chiama i suoi esperti, ancora al lavoro. Ma c’è una premessa “Noi stiamo solo adeguando il nostro sistema giuridico-sociale alla disciplina anticorruzione che ci viene richiesta da organismi internazionali e che vige nella maggior parte dei paesi occidentali. Noi non abbiamo conflitti di interessi. Siamo liberi di intervenire su questa materia”.
In questa messa a punto, fa notare il giurista, le varie voci che destano polemiche sono state ulteriormente precisate. Il Daspo ai corrotti, da misura a vita nella nuova versione è prevede una riabilitazione dopo 15 anni. Sufficienti a segnare una pena, ma senza diventare un ergastolo civile.
La proposta più sensibile, rimane invece l’introduzione nelle inchieste dell’agente sotto copertura. Non si lede così il legittimo diritto di informazione e difesa del cittadino? Non si rischia di dare il via libera alla delazione, alle vendette, e ad altra corruzione magari indotta?
“Nella nuova versione si definisce bene questa figura come collettore di prove non come qualcuno che induca al corruzione per provare la corruzione stessa”, rassicura. “Inoltre viene istituito il concetto di ravvedimento. Cioè la possibilità del corrotto di avere sconti di pene nel caso entro sei mesi denunci il reato volontariamente”, e, leggo nel testo, “fornisca indicazioni utili per assicurare la prova del reato e per individuare altri responsabili”. Il terreno mi pare scivoloso, ma secondo il premier, “questo è già previsto per i collaboratori di giustizia”.
L’avvocato presidente è certo di quel che dice. Non sono riuscita a scalfire nessuna sua certezza. Il colloquio si è prolungato fin troppo — ma anche questa lunghezza è stata una prova di un’altra sua convinzione: la sua certezza del suo ruolo. E infatti prima di chiudere saluta con un’affermazione tutta politica: “Con questa legge diamo un segnale forte e misure concrete per far capire a tutti che la corruzione, semplicemente, non conviene”. La frase è molto evocativa. Ricordate di chi?
(da “Huffingtompost”)
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Settembre 6th, 2018 Riccardo Fucile
SARCASMO DEI RICERCATORI ITALIANI PER IL SUO CURRICULUM INADEGUATO
Il sottosegretario all’Istruzione Lorenzo Fioramonti — già ministro dello Sviluppo Economico nell’ipotetico governo Di Maio — ha annunciato di aver assunto l’ex Iena Dino Giarrusso come manager della comunicazione del suo ufficio e soprattutto direttore di un “osservatorio” sui concorsi nell’università e negli enti di ricerca.
La notizia è stata accolta con il prevedibile sarcasmo, soprattutto dai ricercatori universitari che non ritengono che l’ex inviato delle Iene abbia le competenze per svolgere un ruolo così delicato.
Ma per Fioramonti Giarrusso è la persona più adatta: «è laureato in Scienze della Comunicazione ed ha insegnato all’Università di Catania, prima di diventare noto in tutto il Paese come giornalista investigativo per lo show televisivo Le Iene».
Il sottosegretario dimentica però di elencare altre competenze fondamentali, ad esempio Giarrusso è giurato a vita del premio David di Donatello e membro a vita dell’Accademia del Cinema italiano.
E come dimenticare altre referenze fondamentali come l’ottimo in canto, chitarra, sci, tennis e calcio (addirittura “buono” in pallanuoto e mezzofondo). Le pubblicazioni? Non pervenute. Del resto lui è autore e attore.
Si è poi scoperto — è stato lo stesso Giarrusso a rivelarlo su Twitter — che quella docenza al corso di Teoria della produzione cinematografica e televisiva a Catania è consistita in quarantadue ore di lezione all’anno (più esami, tesisti, etc) pagate la bellezza di 45 euro (75 euro lordi). Roba che nemmeno il papà di Di Maio guadagna così poco.
Ma nel governo dello Spazza Corrotti, degli agenti provocatori, dei ministri che denunciano in Aula di aver subito pressioni senza dire da chi, è evidente che un curriculum del genere va più che bene.
Chi meglio di una ex-Iena — esclama Fioramonti — può aiutare il Ministero a diffondere una cultura di trasparenza e meritocrazia nel mondo accademico italiano? Forse il Gabibbo. Oppure Moreno Morello.
Le Iene non sono certo una garanzia di qualità quando si tratta di affrontare temi scientifici se non forse per l’intrattenimento leggero.
Del resto l’ultimo scoop di Giarrusso prima di lasciare Mediaset riguardava le molestie sessuali di Fausto Brizzi ai danni di alcune aspirati attrici. L’inchiesta televisiva è stata un successo, quella del mondo reale meno, visto che la procura ha successivamente chiesto l’archiviazione.
Di sicuro Giarrusso parte avvantaggiato. Vi ricordate la sua divertente difesa dei plagi nel programma del M5S che per lui erano citazioni (anche se mancava la fonte)? Ora immaginatevi che una persona del genere dovrà giudicare magari il caso di un ricercatore beccato a rubare il lavoro d’altri senza citare correttamente la fonte.
Ma dal momento che Giarrusso ha anche condotto un’inchiesta sui concorsi universitari a Tor Vergata evidentemente per Fioramonti è sufficiente.
Manco a dirlo a pesare davvero è il curriculum politico dell’ex-Iena. Un cursus honorum tutto all’interno del MoVimento 5 Stelle iniziato in occasione delle elezioni politiche.
La parola d’ordine di Giarrusso è sempre stata quella di essere entrato in politica “senza paracadute“. Ed infatti dopo essere stato trombato nel suo collegio uninominale — dove era subentrato perchè l’ammiraglio Veri era “incompatibile”, come dice lui, ovvero era già eletto con il Partito Democratico a Ortona — Giarrusso è approdato nello staff di Roberta Lombardi in Regione Lazio. Ma evidentemente quel posto andava stretto al vulcano docente universitario, attore, regista giornalista d’inchiesta che infatti si era anche proposto — ahinoi senza successo — come membro del CdA della Rai.
Oggi in un’intervista al Corriere Giarrusso ridimensiona un po’ il suo ruolo al MIUR. Sarà segretario particolare di Fioramonti. E l’osservatorio?
L’ex-Iena spiega che il Sottosegretario «ha scritto osservatorio tra virgolette, non è un ufficio apposito ma uno dei miei compiti». Ma allora perchè Fioramonti ha scritto che Giarrusso sarà direttore di quell’osservatorio? Ed in realtà un organismo di vigilanza sui concorsi esiste già .
Lo conferma il presidente della Crui, la Conferenza dei rettori, Gaetano Manfredi (Rettore dell’Università Federico II di Napoli) che ricorda che «esistono già tantissimi strumenti di controllo degli atti che consentono ai candidati di difendere i propri diritti, fino al ricorso alla magistratura».
È molto scettico il rettore Manfredi sulle capacità di Giarrusso: «Data la complessità della materia, la vastità degli argomenti, il numero dei candidati, mi sembra difficile che Giarrusso possa controllare tutti i concorsi, nessuno ci riuscirebbe: e poi esiste una direzione generale presso il Miur ad occuparsene». Insomma già oggi chiunque può segnalare di aver subito un danno o un sopruso, e lo stesso Fioramonti ammette che da quando ha assunto la carica di segnalazioni ne sono arrivate.
Le Iene però sono famose per i loro processi televisivi, che non seguono la logica di quelli dei tribunali. Ma niente paura, alla fine Giarrusso sarà solo un addetto alla comunicazione di un sottosegretario scelto tra i trombati alle elezioni, come accade da sempre in politica.
(da “NextQuotidiano”)
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