Destra di Popolo.net

DEF, BALLETTI DI CIFRE SENZA DOCUMENTI

Ottobre 4th, 2018 Riccardo Fucile

IL GOVERNO BRUCIA I MILIARDI PROMESSI AGLI ELETTORI

Missing in action. La nota di aggiornamento al Documento di Economia e Finanza (Def) 2018 è dispersa. Caduta sul campo.
Non lo sono, invece, i danni collaterali che ha provocato il pasticcio del governo Conte: il 26 settembre, quando il ministro dell’Economia, Giovanni Tria, aveva tracciato la sua linea del Piave con il deficit all’1,6%, lo spread era calato ai minimi del mese a 226 punti base.
§Lo sfondamento della retroguardia del ministero da parte di Lega e 5 Stelle hanno spinto verso il fondo il debito pubblico italiano con lo spread arrivato fino a 302 punti (ieri ha ritracciato a 285 punti).
Il conto del danno è presto fatto: un aumento dello spread di 100 punti costa il primo anno 1,8 miliardi maggiori interessi sul debito pubblico, 4,5 miliardi il secondo anno e 6,6 miliardi il terzo.
Vuol dire che la spesa per interessi aumenterà  dello 0,1% del Pil quest’anno per arrivare allo 0,4% in più nel 2020.
Anche perchè prima delle elezioni di marzo la differenza tra Btp e Bund era a 130 punti base: di conseguenza l’aumento è ben superiore ai 100 punti. Tradotto: buona parte di quello 0,8% per cui di Maio e Salvini sono disposti ad andare alla guerra con Bruxelles verrà  mangiata dal debito.
La responsabilità , però, è tutta dell’esecutivo. A cominciare dal ministro Tria.
Dopo essere stato ripreso come uno scolaro indisciplinato durante l’Eurogruppo di lunedì ha disertato l’Ecofin di martedì per tornare a Roma a fare i compiti.
Ma i problemi, e i dubbi, restano. Per Michele Anzaldi, deputato Pd, “il Consiglio dei ministri del 27 settembre non ha approvato alcuna Nota di aggiornamento al Def, perchè il testo della Nota in quella data non esisteva e ancora oggi non esiste” prefigurando addirittura “un falso in atto pubblico”.
Una teoria difficile da dimostrare che, però, il governo stesso tende ad alimentare: “Quando spiegheremo il Def, i mercati capiranno”; “quando spiegheremo il Def, l’Europa capirà ”. Frasi retoriche che lasciano il tempo che trovano: Tria avrebbe avuto tutto il tempo e il modo di parlare ai mercati e ai colleghi europei, se solo avesse voluto (o potuto).
D’altra parte Di Maio, al termine del vertice di Palazzo Chigi, ha detto: “Possiamo mandare la manovra in Parlamento e alla Ue”, a conferma del fatto che poco o nulla fosse stato messo nero su bianco.
Non era mai successo che la nota di aggiornamento al Def venisse approvata senza alcun numero: neppure il deficit al 2,4%, seppure ribadito ieri sera, è ufficiale.
Certo Di Maio e Salvini lo sbandierano ai propri elettori come la vittoria del popolo, ma nessuno lo ha messo nero su bianco.
Al termine del Consiglio del ministri del 27 settembre, a notte fonda, è stato pubblicato solo un generico comunicato che parla di reddito di cittadinanza e flat tax, ma non cita alcun dato macroeconomico. Eppure le norma recita chiaramente che “la “Nota di aggiornamento” viene presentata alle Camere entro il 27 settembre di ogni anno per aggiornare le previsioni economiche e di finanza pubblica del Def”.
Lo stesso Di Maio, ieri mattina, ha detto che sarebbe servita una riunione per gli ultimi ritocchi prima di inviare il documento al Parlamento.
E così a distanza di una settimana nessuno sa nulla di cosa contenga la nota al Def anche se in serata arrivano le nuove dichiarazioni di Lega e 5 Stelle che annunciano: 10 miliardi per il reddito di cittadinanza. Continuano, invece, a mancare le previsioni di crescita del Pil. Numeri dai quali dipenderà  il futuro del Paese.
Nel 2015, il governo Renzi aveva licenziato il documento il 18 settembre e dopo cinque giorni era iniziato l’esame della commissione Bilancio della Camera; l’anno dopo il via libera di Palazzo Chigi arrivò il 27 settembre, quello della commissione Bilancio il 4 ottobre; nel 2017, invece, l’ok dell’esecutivo fu dato il 23 settembre: cinque giorni dopo iniziarono i lavori parlamentari.
E mentre a Roma regna il caos e proseguono i silenzi del governo, i mercati speculano sull’Italia bruciando quei miliardi che il governo aveva promesso di restituire ai propri elettori.

(da agenzie)

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NIENTE DOMANDE AL GOVERNO SUL DEF: CONTE, DI MAIO E SALVINI SCAPPANO

Ottobre 4th, 2018 Riccardo Fucile

TRIA SI FERMA MA VIENE PRELEVATO DALLO STAFF

Al termine della conferenza stampa sulla nota di aggiornamento del Def gli esponenti del governo si sono alzati e sono andati via, senza lasciare il tempo ai cronisti di fare le domande.
L’unico che si è fermato per qualche istante – come si nota nel video diffuso dall’agenzia Dire – è stato il ministro Giovanni Tria.
Prima ha cercato di congedarsi dai giornalisti che cercavano di fargli domande: “Devo andare all’ambasciata tedesca a parlare e sono pure in ritardo, non voglio offendere nessuno…”, ha detto.
I cronisti, però, insistevano chiedendo”i numeri del pil, il rapporto deficit/pil”.
Il ministro alla fine ha ceduto, ma solo per pochi istanti. Si è fermato e ha detto: “Il rapporto debito/pil scenderà  fino a 126,4…”.
A quel punto sono arrivati in suo ‘soccorso’ i membri dello staff e lo hanno portano via.
La mancata possibilità  di fare domande al termine della conferenza stampa è stata messa in rilievo dall’Associazione stampa parlamentare che ha diffuso una nota: “I giornalisti sono stati convocati in tutta fretta, da alcuni dei portavoce degli esponenti di governo presenti, nella sala di palazzo Chigi dedicata alle conferenze stampa. Con grande sorpresa e disappunto, però, al termine delle dichiarazioni del presidente del Consiglio e dei ministri, non è stato consentito porre alcuna domanda. Un fatto grave, che non ha permesso ai giornalisti di svolgere appieno la loro funzione di informare su un provvedimento così rilevante e atteso, in Italia e in Europa, come la prossima manovra economica. Ci auguriamo che episodi del genere non si ripetano”, si legge nel testo

(da agenzie)

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LA FESTA (MORALE O IMMORALE ?) DI DI MAIO SUL BATTELLO IN RIVA AL TEVERE

Ottobre 4th, 2018 Riccardo Fucile

LA CENA DI PARLAMENTARI E MINISTRI GRILLINI NEL RISTORANTE TRENDY DI ROMA

Dal balcone di Palazzo Chigi al barcone sul Tevere.
Luigi Di Maio e i Cinquestelle non smettono di festeggiare: il vicepremier, dopo il vertice sul Def, porta a cena i suoi parlamentari e ministri al Lian Club, il ristobar trendy della Capitale che si trova all’interno di un battello ormeggiato sul Tevere.
“Stasera festeggiamo reddito di cittadinanza, pensione di cittadinanza, truffati dalle banche che vengono risarciti e superamento della Fornero” dichiara alle agenzie Di Maio arrivando alla festa in riva al fiume, mentre ancora impazza la guerra di cifre (e incertezze) sulla manovra.
Il Lian Club è un luogo “caro” al vicepremier di Pomigliano: ci festeggiò i suoi trent’anni, il 6 luglio 2016, con gli amici, la torta vegana e, ciliegina sulla torta, l’allora fresca sindaca Virginia Raggi che gli portò in regalo la nuova giunta.
Quello di stasera è il secondo “party” che il M5S dedica alla prima manovra gialloverde. In deficit.
Solo pochi giorni fa, dopo aver piegato il ministro Giovanni Tria e strappato l’accordo sul 2,4 per cento, Di Maio aveva “guidato” i festeggiamenti dal balcone di Palazzo Chigi con tanto di saluti e sorrisi
Ma, nonostante le critiche, le fibrillazioni dei mercati, gli avvertimenti della Ue e il cammino ancora lungo del Def, il leader M5S non ha perso la voglia di brindare.
E promettere: “Nel 2019 facciamo tutto”.

(da agenzie)

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COME FARE ACQUISTI IMMORALI CON IL REDDITO DI CITTADINANZA

Ottobre 4th, 2018 Riccardo Fucile

LA TABELLA DEL M5S

Cresce l’attesa per il Reddito di Cittadinanza. In attesa di sapere quanto costerà  davvero (Salvini ha detto che per il RdC verranno destinati 8 miliardi e non 10) si cerca di capire come funzionerà .
Il presidente del Consiglio Conte ha promesso che l’erogazione del RdC partirà  già  da marzo 2019. La viceministro dell’Economia Laura Castelli ha detto che i soldi verranno accreditati su una tessera (ad esempio quella sanitaria che ha già  il chip) e che «se per tre mesi verrà  osservato che lei, col reddito di cittadinanza, va all’Unieuro, magari un controllino della Guardia di Finanza si fa».
I soldi non potranno essere messi da parte — non verranno nemmeno accreditati sul conto corrente bancario del beneficiario — e quindi dovranno essere spesi tutti entro la fine del mese.
L’obiettivo, ha spiegato ieri Luigi Di Maio «è quello di spenderlo nei negozi italiani, sul suolo italiano per iniettare nell’economia reale 10 miliardi di euro ogni anno per far ripartire i consumi e la vita delle imprese e commercianti».
Il vicepremier ha anche specificato che «il reddito sarà  erogato su una carta che permette la tracciabilità , questo impedisce evasione o spese immorali».
Quelle a quanto pare rimarranno appannaggio di ricchi e benestanti che potranno continuare a comprare le sigarette o la bottiglia di vino.
Oppure del governo che da bravo padre di famiglia potrà  continuare a fare debito sapendo che sarà  sempre più difficile ripagarlo.
Non è chiaro però se si potrà  mangiare la pizza o fare acquisti su Amazon, secondo il capogruppo M5S al Senato Stefano Patuanelli sarà  possibile farlo.
E così mentre il governo studia come «investire sul sorriso degli italiani» e qualcuno si è inventato un “calcolatore per il reddito di cittadinanza” che in realtà  vi fa sottoscrivere servizi in abbonamento c’è chi invece cerca di capire come poter piegare il reddito di cittadinanza alle proprie necessità .
§Si tratta al momento di un esercizio puramente intellettuale.
Sul Reddito di Cittadinanza il MoVimento continua a fare dichiarazioni ma non si è letto ancora uno straccio di documento tecnico che ne spieghi il funzionamento. Sappiamo però che verranno messi diversi paletti a partire dall’ISEE e dalla casa di proprietà  fino ai luoghi dove quei soldi potranno essere spesi per acquistare cibo, vestiti, libri scolastici e (pare) per pagare l’affitto e le bollette.
Il primo dubbio lo solleva il metodo di pagamento, che per forza di cose sarà  elettronico.
Questo però esclude per ora la maggior parte dei banchi dei vari mercati rionali. Perchè se la grande distribuzione sicuramente sarà  in grado di organizzarsi ed intercettare la spesa del RdC lo stesso non si può dire per la bancarella che vende le magliette al mercato del martedì o per il commerciante che vende salumi e formaggi. Eppure anche quella è l’economia locale, e spesso chi ha pochi soldi da spendere la spesa la fa proprio al mercato dove spera di trovare prodotti a buon prezzo.
Oppure al discount, dove le catene però per la maggior parte non sono italiane.
Con buona pace di chi spiegava che il RdC era un investimento ad alto moltiplicatore si scopre così che potrà  essere speso solo su prodotti con un basso valore aggiunto.
Il problema maggiore che chi vorrà  aggirare i controlli dovrà  affrontare sarà  quello di trasformare il corrispettivo mensile del Reddito di Cittadinanza in denaro contante, non tracciabile.
Fermo restando che nulla vieta ad un cittadino che beneficia del RdC di utilizzare tutto il corrisposto per le spese di necessità  e poi ricorrere alla parte di reddito che già  percepisce (ad esempio immaginiamo che guadagni 500 euro al mese e quini gli spetti un’integrazione pari a 280 euro) per le cosiddette “spese immorali”.
Fin qui niente di male. Ma se qualcuno decidesse di mettere su un piccolo mercato nero per amici e parenti “benestanti”?
Niente di eccessivamente vistoso ma sufficiente per poter rivendere ad un prezzo scontato i prodotti acquistati con il RdC?
In questo modo potrebbe convertire il Reddito di Cittadinanza in contanti da spendere in maniera “immorale”. O ancora peggio, da mettere da parte.
Qualcuno più intraprendente e più organizzato potrebbe invece mettere su attività  abusive più in grande stile. Oppure si potrà  prestare la tessera (o fare la spesa per conto di qualcuno) e poi farsi restituire i soldi in contanti.
Con la complicità  del negoziante amico poi sarà  magari possibile far figurare di aver acquistato un certo prodotto invece che un altro (anche se questo magari creerà  problemi nella gestione del magazzino) magari proprio di quelli “immorali”. Naturalmente poi c’è tutta la casistica di chi lavora in nero (o all’estero ma senza aver spostato la residenza ed essersi iscritto all’AIRE) e che quindi risulta nullatenente.
Il ministro Tria ha assicurato di aver pronto un piano anti lavoro nero. Però a mancare davvero per ora è la riforma dei centri per l’impiego, che riescono a far trovare lavoro solo al 3,4% di chi vi si iscrive

(da “NextQuotidiano”)

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PONTE MORANDI, 50 GIORNI DI PROMESSE MANCATE: DAGLI APPALTI AGLI SFOLLATI

Ottobre 4th, 2018 Riccardo Fucile

DEMOLIZIONI MAI PARTITE, L’OMBRA DEI RICORSI, DESTINO DEGLI ABITANTI INCERTO, IL PASTICCIO DEL COMMISSARIO

“Per i primi di settembre, direi entro la prima settimana, potremmo iniziare la demolizione del ponte Morandi” (Edoardo Rixi, viceministro alle Infrastrutture, 25 agosto 2018)
La demolizione non solo deve essere ancora effettuata, ma l’unico piano, presentato da Autostrade, è stato mandato a monte dal dl Genova che esclude la concessionaria. Eppure, il 27 agosto Toninelli dichiarò: “Autostrade presenterà  entro 5 giorni ipotesi operative relative a tempistiche di demolizione”. Il 10 settembre, poi, il vicepremier Luigi Di Maio sentenzia: “Autostrade metterà  i soldi, ma non toccherà  una pietra”. Toninelli cambia bersaglio e il 26 settembre dichiara: “Prima serve il dissequestro dell’area”. Immediata la replica della Procura: “Finora nessuno ha presentato istanza di dissequestro”
“L’importante è non impantanarsi nella classica burocrazia italiana, nell’emergenza tutto funziona e poi tutto resta fermo per anni (Giovanni Toti, presidente Regione Liguria, 15 agosto 2018)
Toti sembra avere doti divinatorie. Perchè il decreto Genova, alla fine, è un capolavoro di burocrazia. A cominciare dai tempi di approvazione – il decreto “urgente” Genova, ci ha messo 45 giorni per essere faticosamente approvato – per finire con le procedure di redazione: al posto degli importi aveva linee tratteggiate, con il testo che è finito in un braccio di ferro tra Mit e Tesoro.
Pure il contenuto è un groviglio di norme e ci vorranno almeno 37 decreti attuativi per dare operatività  complessiva al provvedimento. E manca pure la dote finanziaria e Salvini ha ammesso: “Restituiremo quello che qualcuno ha tolto, le palanche”
“Nomineremo un commissario ad hoc per la ricostruzione, il governo è con Genova e i genovesi” (Giuseppe Conte, presidente del Consiglio, 15 agosto 2018)
È proprio il premier Conte a gestire, con un decreto, la nomina del commissario per la ricostruzione: Il ministro Toninelli, il 12 settembre, dichiara: “Presto un decreto del presidente del consiglio nominerà  un commissario per la ricostruzione”. Il 17 settembre è più convincente: “Il nome del commissario arriverà  nei prossimi giorni”. Il 29 settembre il manager Fincantieri Claudio Gemme già  rilascia interviste, ufficiosamente designato dalla Lega. Ma un doppio conflitto di interessi (possiede una casa nella zona rossa ed è manager Fincantieri, che il ponte dovrà  costruirlo) blocca anche questa nomina.      Stamane la nomina “tempestiva” del sindaco Bucci.
“In questo momento siamo molto più concentrati a stare vicino agli sfollati che pensare a questioni di azionisti o titoli in Borsa” (Danilo Toninelli, ministro per le Infrastrutture, 22 agosto 2018)
Il ministro Toninelli ha poi promesso, il 5 settembre: “Ci sono buone possibilità  che gli sfollati rientrino, per qualche ora, nelle case”. Toccando l’unico, vero, obiettivo tanto atteso dalle famiglie sfollate.
Ma i sensori sono da poco stati installati, pagati un milione di euro da Autostrade, e le rilevazioni hanno bisogno di tempo per garantire il rientro in sicurezza.
E le famiglie sfollate, ad oggi, non sono ancora potute rientrare nelle case, semmai potranno farlo. Autostrade per l’Italia, intanto, ieri ha congelato (“uno stop tecnico”, lo definisce Aspi ) gli indennizzi agli sfollati, che suonano l’allarme e lunedì scenderanno in piazza a Genova
“Il governo ha fatto tutto il possibile, sperando che altri non rallentino, che ne so, Autostrade, cavilli, ricorsi” (Matteo Salvini, vicepremier, 21 settembre 2018
La battaglia dei ricorsi, invece, si profila plumbea, all’orizzonte, estesa non solo all’Italia ma all’Europa: l’articolo 1 del dl Genova infatti esclude dalla ricostruzione non solo Autostrade, ma anche tutte le aziende che hanno rapporti con concessionarie autostradali e stradali.
Esclude dall’incarico tutti i soggetti che avrebbero le competenze e le certificazioni per svolgere il lavoro. Anche Anas, peraltro rimarrebbe fuori.
Toninelli rassicura: “Il commissario sarà  blindato senza il timore di possibili ricorsi”. E Salvini ricorre al ricatto morale: “Mi pare il minimo del buongusto e del rispetto che Autostrade rispetti le scelte, senza preparare ricorsi”
“Penso che il 15 settembre potremo aprire al traffico la strada che passa all’interno dell’Ilva” (Marco Bucci, sindaco di Genova, 20 agosto 2018)
Quello che, dal disastro del crollo, è stato finora realizzato va attribuito a Comune e Regione: il sindaco Marco Bucci e il presidente Toti hanno siglato con Ilva un accordo per utilizzare un tracciato stradale interno all’area e dare sollievo al traffico portuale e cittadino. All’annuncio di Bucci sono seguiti i fatti: per il via al Salone Nautico, il 20 settembre, la strada è stata inaugurata. Ora occorrono alcune verifiche per il via libera al traffico pesante. Dal governo, invece, dei 33 milioni promessi, per le prime emergenze, ne sono arrivati 19. “Stiamo anticipando con le nostre casse, è insostenibile”, lamenta l’assessore al Bilancio, Piciocchi

(da “La Repubblica”)

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PONTE MORANDI, LA LOTTERIA DI GOVERNO DICE CHE L’ESPERTO IN PONTI E’ UN LAUREATO IN CHIMICA E TECNOLOGIA FARMACEUTICA

Ottobre 4th, 2018 Riccardo Fucile

DOPO GIORNI DI LITI TRA LEGA E M5S, VIENE NOMINATO COMMISSARIO IL SINDACO BUCCI, IL LEGHISTA VELISTA

Il sindaco Marco Bucci è il nuovo commissario per la ricostruzione del Morandi. Dopo una telefonata questa mattina tra il presidente del Consiglio Giuseppe Conte e il presidente della Regione Giovanni Toti palazzo Chigi, ha comunicato, come previsto dal decreto, l’intenzione di procedere alla nomina del sindaco Marco Bucci come commissario straordinario per la ricostruzione del Morandi. La Regione ha già  risposto con parere favorevole.
L’annuncio è arrivato questa mattina dopo che ieri per tutto il giorno si sono rincorse le voci e le indiscrezioni, in ballo c’erano i nomi di Claudio Andrea Gemme, gradito alla Lega, del sindaco Marco Bucci e del direttore scientifico dell’Istituto Italiano della Tecnologia Roberto Cingolani, sponsorizzato dai Cinque Stelle.
Su Gemme pendevano le obiezioni di incompatibilità , l’ipotesi CIngolani era osteggiata dalla Lega, alla fine la scelta è caduta su Bucci.

(da agenzie)

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QUEL TANTO CHE BASTA PER POMPARE LA CAMPAGNA ELETTORALE E PRENDERE PER I FONDELLI GLI ITALIANI

Ottobre 3rd, 2018 Riccardo Fucile

IL RITOCCO DEL DEFICIT NON BASTERA’ A BRUXELLES, SERVE SOLO PER ARRIVARE ALLE EUROPEE E SALVARSI IL CULO

Più che un segnale per rasserenare i mercati, la mossa, ovvero il ritocco del deficit per il 2020 e 2021, pare un modo per precostituirsi l’alibi del “grande conflitto” con l’Europa matrigna.
E tenerlo alto, mettendo in conto che possa bocciare la “manovra del popolo”.
Ecco, sembra una rassicurazione, ma resta l’azzardo giocato fin qui attraverso una manovra omerica, che si trasmette per tradizione orale, in una conferenza stampa senza domande, negli spin dei partiti e nelle dirette facebook.
A una settimana dagli annunci trionfanti dal “balconcino” di palazzo Chigi, non c’è ancora una tabella compiuta, fatta di numeri certi e indicazione di coperture, anche se viene dato come imminente l’approdo in Parlamento.
È l’azzardo di un calcolo politico che tiene come orizzonte le europee, più che la legislatura.
Un anno e via, poi si vede, rinviando tutto all’Europa sovranista della prossima primavera, con un’altra Commissione, altri equilibri di forza, altro clima.
È la conferenza stampa di due partiti in campagna elettorale, più che di un governo, quella che è andata in scena a palazzo Chigi, con un ministro del Tesoro evidentemente provato e a disagio.
E quella che è proseguita nelle dichiarazioni successive e nei numeri forniti dalle “fonti di governo” dei due partiti.
La bocca di Salvini non pronuncia mai la parola “reddito di cittadinanza”, la bocca di Di Maio non pronuncia la revisione della Fornero o la flat tax, non si capisce quanti miliardi siano destinati all’una e all’altra misura.
I numeri che si comprendono raccontano di una tensione destinata a rimanere.
Primo tra tutti il rapporto deficit-Pil, al 2,4 per il 2019, vero oggetto di valutazione della Commissione europea che si discosta di parecchio dallo 0,9 fissato nel Def di aprile.
E si discosta dal criterio ricordato dal commissario europeo per gli affari economici Pierre Moscovici, secondo cui il deficit strutturale deve comunque migliorare anche se quello nominale resta contenuto sotto la soglia del 3 per cento. col 2,4 c’è invece il rischio che il deficit strutturale non sia nella traiettoria fissata dal patto di stabilità  e di crescita.
Soprattutto se vengono fatte stime di crescita troppo ottimistiche, come l’1,6, cifra che giustificherebbe l’obiettivo del 2,4.
Non c’è un economista o esperto di finanza persuaso dalla possibilità  di raddoppiare il tasso di crescita, in un paese in pieno rallentamento economico, facendo leva su misure che, come il reddito di cittadinanza, aumentano la spesa corrente.
A conti fatti, in questa lotteria di numeri in libertà  mancano almeno 15 miliardi di coperture.
Le promesse del “contratto” di governo sono debito, inteso come debito pubblico, su cui svolazza il famoso Cigno nero, l’evento imprevisto che ci avrebbe spinto al punto di non ritorno nel conflitto con l’Europa.
Quel cigno è nella logica politica della manovra del governo gialloverde, primo esperimento sovranista e, per molti, anticipazione dell’Europa che verrà . Al netto dei ritocco del deficit per il 2020 e 2021.
Si sarebbe potuto inserire il reddito di cittadinanza come misura “sperimentale” e “temporanea”, da oprire col condono, il che avrebbe consentito di ridurre la spesa pluriennale. Se ne è discusso ma è stata un’ipotesi scartata, perchè “Di Maio non se lo può permettere politicamente”.
Così come la Lega fa sapere che 10 miliardi sono per le misure rivendicate dalla Lega, a partire dalla revisione della Fornero, perchè “per Salvini è irrinunciabile”.
È chiaro che siamo di fronte alla “guerra vera” di cui ha parlato Paolo Savona qualche giorno fa. Che non è indolore e a costo zero.
Qualunque cosa farà  l’Europa, e non è fantasioso prevedere che possa bocciare la manovra, e qualunque cosa faranno le agenzie di rating (e non è fantasioso pensare e un declassamento) Matteo Salvini e Luigi Di Maio potranno tenere viva la narrazione delle “promesse mantenute”, della “povertà  abolita”, dei X milioni di cittadini che hanno avuto il reddito di cittadinanza (che le loro famiglie sono almeno X al quadrato di votanti), “dei poteri forti” che non ci hanno fermato.
Per un anno. E poi si vede.

(da “Huffingtonpost”)

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I NUMERI DELLA MANOVRA NON TORNANO, MANCANO 15 MILIARDI DI COPERTURE SUI 20 DI SPESA ANNUNCIATI

Ottobre 3rd, 2018 Riccardo Fucile

UNA CORNICE FRAGILE CHE SCOMMETTE SU UNA CRESCITA IRREALIZZABILE CON LITE FINALE SULLA SPARTIZIONE DELLA TORTINA

La cornice c’è, ma è fragilissima perchè i quattro angoli ancora non si sono chiusi.
E anche la tela al suo interno è incompleta, anzi appena abbozzata.
A una settimana dalla scadenza prevista e dai festeggiamenti anticipati sul balcone di palazzo Chigi, il Governo gialloverde rivela i dettagli della Nota di aggiornamento al Def, il recinto dentro cui si muoverà  la manovra: i numeri poggiano su basi precarie perchè legati a previsioni di crescita più che ottimistiche.
Così superlative che le stime sul Pil non vengono rivelate durante la conferenza stampa a palazzo Chigi.
E ancora più ballerine sono le misure care a Matteo Salvini e Luigi Di Maio, cioè il superamento della Legge Fornero e il reddito di cittadinanza: non c’è l’intesa numerica sulla spartizione della torta e, ancora peggio, gli ingredienti per metterla nel forno, cioè le coperture, sono pochissimi.
Appoggiando la lente d’ingrandimento sulle fragilità  della Nota di aggiornamento al Def, il primo elemento che viene fuori è l’impegno, annunciato dal premier Giuseppe Conte e confermato dal ministro dell’Economia, Giovanni Tria, di ridurre il debito di oltre quattro punti percentuali nei prossimi tre anni, passando dal 130,9% di quest’anno al 130% nel 2020, per poi arrivare al 126,5% nel 2021.
Un chiaro segnale a Bruxelles, insieme allo scardinamento dell’impianto per il deficit al 2,4% per tre anni (ora ridotto a 2,4% per il 2019, 2,1% nel 2020 e 1,8% nel 2021), ma il punto interrogativo è legato all’elemento su cui poggia questo impegno, cioè la crescita.
Conte, Di Maio, Salvini e Tria non hanno dettagliato le stime del Pil, ma hanno spiegato che l’abbattimento del debito passa per una crescita sostenuta.
Negli scorsi giorni Tria ha parlato di un Pil a +1,6% nel 2016 e fonti di governo hanno fatto trapelare ieri che la stima per il 2019 potrebbe essere a +1,9 per cento.
Stime che si discostano tantissimo rispetto alle previsioni dei principali osservatori nazionali e internazionali, ultimo dei quali il Centro studi di Confindustria, che proprio oggi ha rivisto la previsione del Pil per il 2019 a +0,9 per cento.
Tria ha sottolineato che negli ultimi tre anni la riduzione totale del debito è stata dello 0,6 per cento. In pratica negli ultimi tre anni i governi Renzi e Gentiloni sono riusciti a tagliare il debito di meno di un quarto rispetto a quanto ora ambisce a fare il Governo gialloverde, che motiva il possibile cambio di passo appunto con una super crescita in arrivo.
Dentro la cornice della Nota di aggiornamento, la tela della manovra non aderisce ancora.
Non è un caso che al termine della conferenza stampa, Lega e 5 Stelle si siano affrettate a rilasciare spin ai giornalisti per quantificare la parte delle risorse che spetterà  per le misure gradite ai due partiti.
E le due liste non combaciano. È ancora contesa.
Il Carroccio dice di avere portato a casa 10 miliardi per finanziare il superamento della Fornero con quota 100 (7 miliardi), la flat tax per le partite Iva (2 miliardi) e un maxi piano di assunzioni per le forze dell’ordine (1 miliardo).
Di Maio, invece, in diretta Facebook, annuncia che ai 5 Stelle andranno 10 miliardi per il reddito di cittadinanza e fonti M5S completano il quadro sostenendo che per le pensioni ci sarebbero solo 5 miliardi per il primo anno.
Un balletto di cifre tanto imbarazzante che in tarda serata arriva una comunicazione congiunta M5S-Lega per tirare le somme: 20 miliardi totali con 10 miliardi al reddito di cittadinanza, 7 miliardi per la Legge Fornero, 2 miliardi sulla Flat Tax, 1 miliardo per le assunzioni straordinarie nelle forze dell’ordine.
La bilancia non segna ancora l’equilibrio e – aspetto ancora più preoccupante per le ambizioni dei due vicepremier e dei rispettivi partiti – è che le coperture stentano a venire fuori.
Se la torta delle misure si aggira intorno a un totale di 20 miliardi, le risorse disponibili per finanziarle a ora sono i 3,5 miliardi che derivano dal deficit al 2,4% e quelle che arriveranno dai tagli che si stanno provando ad approntare al Tesoro, che però potrebbero valere al massimo circa 2-3 miliardi.
Mancano all’appello quasi 15 miliardi.
Le risorse aggiuntive che si possono ricavare dal deficit portato al 2,4%, 12,5 miliardi, sono già  impegnate per impedire l’aumento dell’Iva dal prossimo anno.
Coperti, ad ora, sono il taglio dell’Ires e i rimborsi per i risparmiatori delle banche fallite (quest’ultimi attraverso un taglio delle agevolazioni agli istituti di credito).
Ci sono ancora da coprire, inoltre, le spese indifferibili e da recuperare circa 4 miliardi persi con l’aumento dello spread.
La coperta è ancora troppo corta. Di Maio e Salvini festeggiano, ma il rischio è quello che siano festeggiamenti ancora una volta anticipati, come quelli del balcone di palazzo Chigi, quando Di Maio e i suoi annunciarono il deficit al 2,4% per tre anni. Schema che oggi non esiste più.

(da “Huffingtonpost”)

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BOCCIATI ALLE URNE, PIAZZATI AI MINISTERI: COSI’ IL M5S TROVA UN LAVORO AI TROMBATI

Ottobre 3rd, 2018 Riccardo Fucile

SENATORI NON RICONFERMATI CHE DIVENTANO SEGRETARI PARTICOLARI, EX ONOREVOLI TRASFORMATI IN VICECAPO DI GABINETTO O SOTTOSEGRETARI… CON STIPENDI A SEI CIFRE

È un classico della prima e della seconda Repubblica: quando le elezioni vanno male e l’aspirante onorevole rischia di dover tornare a casa, il partito gli trova un’altra sistemazione a Roma. Un classico che, a quanto pare, anche il Movimento 5 Stelle intende rispettare.
Niente di illecito sia chiaro: ma di certo si tratta di una consuetudine curiosa per un partito che sulle critiche alla Casta ha costruito le sue fortune.
Infatti, adesso che la composizione del governo Conte e degli staff dei ministeri è quasi completata, si scoprono diversi ex onorevoli e senatori bocciati alle urne ma che hanno trovato un posto nei palazzi romani. Ecco chi sono.
In ritardo rispetto a quanto prescritto dalla legge sulla trasparenza (e dopo varie richieste dell’Espresso), il governo pubblica finalmente i nomi e gli emolumenti dei collaboratori della Presidenza del Consiglio. I più fortunati? Il capo della comunicazione 5 Stelle e tutti i Casaleggio boys
C’è Bruno Marton, senatore del Movimento nella scorsa legislatura: arrivato terzo nelle ultime elezioni nel seggio di Sesto San Giovanni alle porte di Milano, ha trovato a salvarlo una poltrona di segretario particolare del sottosegretario con delega all’editoria Vito Crimi.
Stipendio annuale lordo: 73.400 euro, fino alla fine dell’attuale governo.
Restando sempre agli ex che non hanno ottenuto la riconferma troviamo Giorgio Sorial, già  deputato e arrivato terzo all’uninominale di Brescia lo scorso 4 marzo.
Per lui è spuntato un posto da Vice capo di Gabinetto del Ministero dello Sviluppo economico retto dal suo capo di partito Luigi Di Maio.
Stipendio di 110mila euro, ma con contratto annuale. Spesa curiosa considerando che nello staff di Di Maio ci sono già  altri due vice capo di gabinetto.
Ancora meglio è andata a Michele Dell’Orco: deputato della precedente legislatura, non ha ottenuto la riconferma nel plurinominale di Modena e Ferrara. Poco male, perchè oggi è sottosegretario alle infrastrutture.
Non ha neanche provato a candidarsi invece Luigi Gaetti, ex senatore del Movimento 5 Stelle e ora sottosegretario agli interni con delega all’antimafia.
Gaetti ha infatti già  “usato” i due mandati permessi dal codice di comportamento dei 5 Stelle: uno appunto a Palazzo Madama e l’altro quando era consigliere comunale per la Lega nord.
Alle obiezioni sul suo incarico di governo ha risposto che, trattandosi di un incarico non elettivo, questo non viola codici e statuti pentastellati.
C’è infine un terzo sottosegretario 5 Stelle che le urne non hanno premiato: si tratta della “new entry” Vincenzo Zoccano, arrivato terzo nel collegio di Trieste e oggi sottosegretario con deleghe a famiglia e disabilità .
Sul capitolo sottosegretari è necessario fare un un ulteriore appunto.
Secondo le legge, ognuno dovrebbe percepire un compenso di 114mila euro lordi annui, esattamente come il presidente del Consiglio.
Un emolumento a cui hanno diritto solo perchè non eletti: quando infatti quell’incarico viene ricoperto da un deputato o un senatore, questo compenso non è dovuto perchè la norma ne vieta il cumulo.
Scegliere un sottosegretario non eletto ha quindi dei costi per la casse statali rispetto al nominare qualcuno che è già  deputato o senatore.
A chiudere la rassegna dei bocciati e salvati tra i 5 Stelle c’è forse il caso più noto alle cronache, quello della ex inviato del programma televisivo le Iene Dino Giarrusso. Arrivato terzo al collegio di Roma 10 nelle elezioni del 4 marzo, Giarrusso è oggi segretario particolare del sottosegretario all’Istruzione Lorenzo Fioramonti.
Incaricato dallo stesso Fioramonti via Facebook di presiedere un misterioso osservatorio sulla regolarità  dei concorsi universitari, in seguito alle polemiche è stato “retrocesso” a semplice segretario particolare.
Il suo compenso non è noto: nonostante le richieste di accesso generalizzato avanzate dall’Espresso, il Miur non ha aggiornato la documentazione che per legge dovrebbe essere pubblicata entro tre mesi dall’insediamento dell’amministrazione (i mesi adesso sono quattro). I suoi predecessori in quel ruolo avevano un compenso compreso tra i 18 e i 45mila euro annui.

(da “L’Espresso”)

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