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CENTO ANNI FA NASCEVA EVITA PERON, PORTAVOCE DEGLI UMILI E “MADRE DE LOS DESCAMISADOS”

Maggio 8th, 2019 Riccardo Fucile

VOTO ALLE DONNE, COSTRUZIONE DI SCUOLE E OSPEDALI, LOTTA ALLA POVERTA’, A FIANCO DEGLI OPERAI NELLE LOTTE SINDACALI, MORTA A 33 ANNI, RESTA ANCORA UN MITO… LA SUA VITA SIA D’ESEMPIO A CERTI CAZZARI SEDICENTI DI DESTRA SOCIALE

Marà­a Eva Duarte de Perà³n, per il mondo Evita, ha vissuto solo 33 anni, ma ha lasciato un segno profondo nella vita politica e sociale dell’Argentina, come dimostra il fervore che ha accompagnato i preparativi per la commemorazione del centenario della nascita, il 7 maggio 1919.
Da giorni i media ricordano l’inaugurazione di mostre, il lancio di opere editoriali, le opere teatrali e i dibattiti, la presentazione di opere d’arte e sculture e, per gli amanti della cucina, perfino l’offerta di un menù speciale nel ristorante “El Santa Evita” nel quartiere di Palermo a Buenos Aires.
Eva Duarte nasce a Los Toldos, in provincia di Buenos Aires. Con la madre Juana Ibarguren e i quattro fratelli forma la “famiglia irregolare” di Juan Duarte, proprietario terriero che muore quando la bimba ha appena sei anni.
Insoddisfatta della vita modesta a Junà­n, dove i suoi si sono trasferiti, a 15 anni decide di emigrare a Buenos Aires per diventare attrice. È la radio a regalarle la popolarità  ed è sempre grazie alla radio che Eva conosce il colonnello Juan Domingo Perà³n, capo del Dipartimento del Lavoro, che il 22 gennaio 1944 coinvolge molti artisti in un grande evento di solidarietà  destinato a raccogliere fondi per le popolazioni colpite dal terremoto di San Juan.
I due non si lasciano più e per la donna è l’inizio di un’ascesa vertiginosa perchè l’anno successivo sposa Perà³n, che nel febbraio 1946 vince le elezioni presidenziali.
A 27 anni la first lady Eva si lancia in politica: si batte per il voto alle donne, inaugura scuole e ospedali, dialoga con i sindacati, trascina le folle e diventa un’icona, con la sua gestualità  enfatica, i suoi abiti ricercati e il suo inconfondibile chignon.
La ribattezzano “Abanderada de los Humildes” (Portavoce degli umili) e “Madre de los Descamisados” (così erano chiamati i sostenitori di Perà³n, ad indicare simbolicamente la provenienza dagli strati popolari della società ) consolidando la nascita di un “mito” intorno alla sua persona, immortalato perfino in un musical, diventato film con Alan Parker nel 1996 e interpretato da Madonna. Muore nel luglio del 1952, a soli 33 anni, per un cancro all’utero.
Per molti anni, le spoglie di Evita non trovarono pace. I militari che deposero Perà³n nel 1955 volevano cremare il cadavere imbalsamato della moglie, che invece, con l’avallo del Vaticano, venne sepolto per 16 anni sotto falso nome a Milano. Perà³n riuscì a far portare le spoglie a Madrid dov’era in esilio, per poi trasferirle in Argentina nel cimitero della Recoleta, a Buenos Aires.
Evita è stata anche il controverso volto del “peronismo”, un movimento particolare nella storia della prima metà  del XX secolo, epoca nella quale, in Sud America, si svilupparono e presero vigore dittature molto potenti, di carattere militare.
Anche Peròn, colonnello dell’esercito, nominato nel 1943 ministro del lavoro in seguito a un colpo di stato militare, e successivamente divenuto presidente da libere elezioni sembrò prendere il sopravvento al fine di creare una dittatura repressiva.
Ma non fu esattamente così, secondo alcuni storici, forse proprio grazie alla presenza di Evita, che contribuì in modo determinante al forte orientamento di carattere sociale e socialista, vicino ai cosiddetti “descamisados”, della politica del marito. Oltre a gestire in modo populistico l’immagine di
Perà³n, infatti, Evita, diversamente da ciò che avvenne in altri paesi dell’America Latina, tenne per il governo buoni rapporti con la Chiesa cattolica, mitigò la politica di repressione verso gli avversari e fece della classe operaia il fulcro della politica peronista.

(da Globalist)

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INTERVISTA A PENNACCHI: ”IL FASCISMO CON SALVINI NON HA NULLA DA SPARTIRE”

Maggio 8th, 2019 Riccardo Fucile

“E’ UNA CAZZATA NEGARE CHE LA NASCITA DELLO STATO SOCIALE E LA MODERNIZZAZIONE DEL PAESE AVVENNE DURANTE IL FASCISMO”… “SALVINI CAVALCA INVECE SOLO ODIO E RAZZISMO, ASPETTI CHE SONO INSITI NELLA NATURA UMANA SOTTO TUTTE LE LATITUDINI”

“A Torino io vado per parlare del mio romanzo con Bruno Gambarotta, uno dei pochi dotati di ironia in questo Paese. In Italia, di solito, si preferisce fare sarcasmo”, esordisce Antonio Pennacchi, scrittore ed ex operaio, classe 1950.
Figlio di una famiglia di coloni trasferitasi dal Veneto nell’Agro Pontino all’epoca della bonifica e Premio Strega 2010 col romanzo Canale Mussolini (Mondadori, 2010), Pennacchi arriva all’ombra della mole antonelliana per presentare il suo ultimo libro Il delitto di Agora (Mondadori, 2018) “Sono un povero vecchio che si muove sempre mal volentieri. Vado al Salone del Libro perchè andarci fa parte del mio mestiere”, confessa.
Lo stesso Salone che quest’anno si apre all’insegna delle polemiche: scosso dalla presenza della casa editrice di estrema destra Altaforte
Chiacchierando con lo scrittore di Latina, è inevitabile chiedergli che idea si sia fatto della vicenda.
Polemiche, dimissioni, defezioni, fascismi e antifascismi alla vigilia del Salone del Libro di Torino. Che ne pensa?
Sto scrivendo il nuovo romanzo e, quando scrivo nuovi romanzi, faccio un’immersione completa nell’universo che sto costruendo. Lavorando sul passato e sulla memoria, il presente mi entusiasma poco, ma posso dirle che il principio fondamentale che distingue la democrazia e la libertà  dal mondo degli autoritarismi – e dunque dai fascismi che ci sono stati nel corso della storia – è quello dell’eguaglianza sostanziale tra gli esseri umani. Esiste un diritto-dovere che garantisce la libertà  di pensiero, parola ed opinione anche a quelli che non la pensano come te. Lo diceva Voltaire. Quando garantisci la libertà  solo ad una parte, hai valicato il limite: sei tra gli autoritarismi. Questo non vuol dire che la democrazia non debba difendersi dai pericoli fascisti. Deve farlo certamente, ma quando questi si traducono nella prassi, nella pratica, nella violenza
C’è chi ha parlato di Resistenza…
È quando una forza di estrema destra, qualsiasi nome essa porti, mette in atto violenza che bisogna reprimerla in maniera assoluta. Lì non si passa. L’esclusivo uso della forza, in un Paese democratico e di diritto, è riservato allo Stato. Il privato cittadino non può e non deve permettersi di usarla, non può contravvenire alle regole. In quei frangenti è necessario intervenire ma, rispetto al libero scambio di opinioni, c’è poco da fare: la democrazia deve valere per tutti e non solo per se stessi
Cosa significa per lei “antifascismo”?
Premetto che il mio giudizio sul fascismo, che emerge anche dai miei libri, è totalmente negativo. Bisogna però dire che l’antifascismo, dal Dopoguerra in poi, ha commesso errori nella costruzione dell’interpretazione del fascismo stesso, utilizzando strutture di tipo manicheo anzitutto tese a rimuovere il senso di colpa complessivo della società  italiana. Durante il regime, gli italiani dimostrarono pressochè totale acquiescenza, anche verso gli aspetti più oscuri del fascismo. Fu un’accondiscendenza di massa alla dittatura, alla politica di guerra e perfino alle Leggi Razziali, da cui il popolo italiano si è risollevato solo negli ultimi anni di regime. Da ciò è derivata la tendenza di molti a negare che il 97 per cento dei nostri avi sono stati fascisti. Gli elementi cardine dei fascismi — ossia l’autoritarismo, la violenza, la xenofobia, il razzismo e così via — sono ciò che Claude Lèvi-Strauss definisce universali psichici. Purtroppo fanno parte della natura umana
Difficile, in questi termini, trovare una via d’uscita.
Non è sufficiente, come qualcuno sostiene, cambiare quartiere se nel proprio viene aperta la sede di una forza di estrema destra. Non sarebbe sufficiente nemmeno cambiare città  o addirittura galassia: purtroppo i peggiori istinti, per quanto repressi, albergano in ognuno di noi. È questo il vero dramma. L’universo umano è fatto di bene e di male, non si può dividere con l’accetta
Dividere con l’accetta: in molti vorrebbero farlo…
Uno degli errori dell’antifascismo, a questo proposito, è stato negare che nel Ventennio, al di là  delle aberrazioni, fossero state realizzate anche cose positive. Facciamo una cazzata se omettiamo che la nascita dello stato sociale avvenne in quel periodo, assieme alla modernizzazione del Paese e alla realizzazione di opere come la bonifica dell’Agro Pontino. Bisogna ammettere certi fatti, precisando però che quelle poche cose positive non bastano all’assoluzione nell’ambito del giudizio storico complessivo. Ci sono state le guerre dichiarate e perse, c’è stata la dittatura e soprattutto ci sono state le Leggi Razziali. Sono questi gli aspetti che pesano sulla coscienza, ma non soltanto su quella dei fascisti e dei neo-fascisti: dovrebbero pesare sulla coscienza dell’intero popolo italiano.
Se le dico “lotta politica” cosa risponde?
La lotta politica la faccio con i libri, sperando che i lettori colgano il messaggio. Le storie che scrivo sono testimoni del mio pensiero e della mia azione, che è ancora politica. Resto uno scrittore che viene dalla galassia operaia, fortemente legato al movimento operaio. Potrei addirittura aggiungere che sono tuttora marxista-leninista-maoista. Detto questo, io vado a Torino per parlare con Bruno Gambarotta del mio romanzo e gli altri facessero ciò che vogliono. La presenza di case editrici con un certo orientamento politico durante eventi importanti non è una novità : in molte fiere, anche in quella della Piccola e Media Editoria di Roma, è facile scorgere croci celtiche, stand con libri sul fascismo e su Mussolini. Si tratta di qualcosa che è sempre esistito e che fa parte della nostra storia.
Molti parlano del rischio di un ritorno del fascismo. Lei cosa ne pensa?
Io credo che la storia non si ripeta mai in questi termini. Onestamente non sono tanto preoccupato dal ritorno del fascismo per come l’abbiamo conosciuto storicamente. Sono invece impensierito dalle forme di Matteo Salvini e dal costante richiamo all’odio, alla xenofobia e al razzismo. Ma questi aspetti non derivano dal fascismo storico, derivano dalla natura umana. I lati oscuri dell’uomo, di tanto in tanto, riemergono: è un fenomeno che vediamo in America, o in altri Paesi del mondo, con vari nomi. Il mio ultimo libro, Il delitto di Agora, parla di questo: bene e male albergano dentro di noi e chiunque è un potenziale assassino. Bisogna che a dominare sugli impulsi più bassi dell’essere umano siano la ragione e la cultura.

(da “Huffingtonpost”)

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LA MINISTRA GRILLO CONTRO SALVINI: “MA CHE CHIUDERE I NEGOZI, I CANAPA SHOP NON VENDONO DROGA, BASTA DARE INFORMAZIONI SBAGLIATE”

Maggio 8th, 2019 Riccardo Fucile

SALVINI DELIRA: “SULLA DROGA PRONTO A MANDARE A CASA IL GOVERNO”…FORSE SI RIFERIVA A QUELLA CHE GIRAVA NEI CENTRI SOCIALI CHE HA FREQUENTATO DA GIOVANE

“Chiuderò uno a uno tutti i negozi di cannabis legale” perchè “sono un incentivo all’uso e allo spaccio”, dice il ministro dell’Interno.
“Non bisogna dare informazioni sbagliate, perchè nei canapa shop non si vende droga“, replica la titolare della Salute.
Avviene tra Matteo Salvini e Giulia Grillo l’ultimo scontro tra le due anime che compongono il governo M5s-Lega. Con il segretario del Carroccio che davanti alle telecamere di Otto e mezzo avverte: “Sulla droga sarei pronto a mandare a casa il governo. Io con i Cinque Stelle su questo sì che ci litigo, perchè qualcuno vorrebbe che lo Stato diventasse spacciatore”.
Salvini ha indicato a elettori e media la nuova “emergenza nazionale” su cui intende puntare: “Da domani stesso darò indicazione a tutti i responsabili della pubblica sicurezza delle forze dell’ordine di andare a controllare uno per uno, con l’obiettivo di chiuderli tutti i presunti negozi turistici di cannabis”
In serata è arrivata la risposta del ministro della Salute. “Non bisogna dare informazioni sbagliate, perchè nei canapa shop non si vende droga — ha esordito la Grillo a margine di un evento del M5s
“Come ministro della Salute — ha proseguito — posso dire che il Consiglio superiore di sanità  vecchio — ha concluso il ministro Grillo — aveva dato indicazioni di tipo giuridico, che non spettano al Css ma all’Avvocatura dello Stato, a cui abbiamo chiesto il parere tempo addietro e che contemplerà  tutti i ministeri, primo di tutti il ministero dello Sviluppo economico”.
“Io valuto l’aspetto relativo alla salute. Va comunque ribadito — aveva precisato — che la concentrazione del principio attivo Thc nei prodotti non è tale da avere un effetto stupefacente. In Italia non c’è la droga libera“.
L’Italian Population Survey on Alcohol and other Drugs realizzato dal Cnr stima che nel 2017 in Italia “un terzo della popolazione residente di età  compresa tra i 15 e i 64 anni abbia assunto almeno una sostanza psicoattiva illegale nel corso della propria vita”: il 39.5% sono uomini e 27.2% donne. Una percentuale che “scende al 10,6% quando si fa riferimento al consumo nel corso del 2017″.

(da “il Fatto Quotidiano”)

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LA DOSE DI DISTRAZIONE DI MASSA: PER FAR DIMENTICARE GLI SCANDALI SALVINI VUOL FAR CHIUDERE I NEGOZI CHE VENDONO LEGALMENTE LA CANNABIS LIGHT E CREARE 10.000 DISOCCUPATI

Maggio 8th, 2019 Riccardo Fucile

VUOLE SPACCIARE QUESTI PRODOTTI COME DROGA, SOLO QUALCHE VECCHIO RINCOGLIONITO E IGNORANTE PUO’ CASCARCI

La Cannabis Light, piaccia o no, è legale. Lo ha ribadito qualche tempo fa anche la ministra della Salute Giulia Grillo spiegando in un’intervista alla Stampa che «non c’è alcuna emergenza che giustifichi» il divieto di vendita e che tra le priorità  del governo al momento «non c’è la chiusura dei canapa shop, caso mai una loro regolamentazione».
Questo è quello che diceva la ministra a giugno dello scorso anno. Oggi Salvini, dopo aver incassato la revoca di Armando Siri a sottosegretario ai Trasporti da parte di Giuseppe Conte se ne è uscito con una brillante idea delle sue: chiudere i negozi di canapa light.
«Da domani stesso darò indicazione a tutti i responsabili della pubblica sicurezza delle forze dell’ordine di andare a controllare uno per uno, con l’obiettivo di chiuderli tutti i presunti negozi turistici di cannabis, che per quanto mi riguarda vanno sigillati perchè sono un incentivo all’uso e allo spaccio di sostanze stupefacenti».
Lo ha annunciato oggi Salvini durante una conferenza stampa al Viminale assieme al ministro della Famiglia Lorenzo Fontana.
«Identico approccio avrò per tutte le iniziative di feste delle cannabis in giro per l’Italia — ha aggiunto — l’ultimo scempio è avvenuto nella mia Milano, so che ci sono iniziative in programma a Pisa e a Torino. Chiederò che siano vietate tutte. Proibite tutte. Sigillate tutte. Lo Stato spacciatore non è lo Stato di cui faccio il ministro».
Dimenticando che lo Stato spacciatore lucra sulle sigarette e lo Stato biscazziere sul gioco d’azzardo.
Salvini dice che non vuole aspettare la sentenza delle Cassazioni riunite sulla cannabis light. Ma non dice che si dovrà  andare alle sezioni riunite della Cassazione perchè a febbraio scorso la sesta sezione della Corte di Cassazione — discostandosi va detto da un   precedente orientamento della Suprema Corte —   ha emanato una sentenza che considera lecita la commercializzazione di Cannabis Light.
La sentenza era arrivata in seguito al ricorso di un titolare di un negozio che era stato chiuso (e la merce sequestrata).
La Cassazione ha rilevato che visto che la coltivazione della Cannabis light (vale a dire con un contenuto di THC inferiore allo 0,6%) è legale — in base alla legge 242 del dicembre 2016 — è legale anche la sua commercializzazione.
Non ci sono quindi i presupposti per sequestrare della merce che è coltivata legalmente. Ma del resto Salvini ha già  dimostrato in passato, si vedano le dichiarazioni sui “porti chiusi” e le direttive ministeriali annesse, che è più semplice e conveniente fare annunci che impegnarsi a modificare la legge, a integrare le tabelle delle sostanze lecite e illecite in accordo con AIFA e Ministero della Salute o a regolamentare il settore.
Curiosamente Salvini ha detto che in quanto ministro non ha tempo per aspettare i tempi della giustizia «esercito i poteri del ministro dell’Interno»; eppure quando si tratta di decidere se cacciare Siri dal governo i leghisti si sgolano a spiegare che l’ex sottosegretario “è solo indagato” e che bisogna
aspettare la sentenza.
Prudenza vorrebbe, onde evitare di perdere una miriade di ricorsi (ma tanto pagano i cittadini) di attendere il nuovo pronunciamento della Cassazione. Ma Salvini non ha tempo, ci sono le elezioni europee e deve far vedere che sta facendo qualcosa contro la droga. Anche perchè mettersi a parlare di droga sotto le elezioni nuoce gravemente alla propaganda. Meglio invece chiudere tutto, subito. E così dopo le perquisizioni nelle aule scolastiche tocca ai negozi di Cannabis light.
Qualcuno potrebbe dire che in fondo ci sono droghe ben più pericolose, frutto di una catena di traffici illegali in mano alla ‘Ndrangheta e alla criminalità  organizzata. Ma sono dettagli.
La spinta securitaria salviniana però potrebbe avere un effetto controproducente. Perchè questo significa costringere alla chiusura centinaia (Salvini dice mille) esercizi commerciali che operano in tutto il Paese (e non risolvere il problema della coltivazione della cannabis light che rimarrebbe in ogni caso legale ed è legale in Europa).
Si tratta di un giro d’affari non di poco conto visto che nel 2017 — a pochi mesi dall’approvazione della legge — era stato calcolato valesse 44 milioni di euro l’anno e circa un migliaio di posti di lavoro. Ad agosto dello scorso anno Coldiretti parlava di un boom del settore che era passato 950 ettari coltivati nel 2013 a 5mila, con la Lombardia è la prima regione con 152 ettari e le aziende attive in totale sono circa un migliaio.
Potenzialmente la coltivazione della cannabis in Italia potrebbe generare un giro d’affari da 1,4 miliardi e garantire almeno 10mila posti di lavoro.

(da “NextQuotidiano”)

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“ROM PRIVILEGIATI PER LE CASE POPOLARI? NON E’ VERO, HANNO SOLO FAMIGLIE NUMEROSE E CI SONO PIU APPARTAMENTI GRANDI DISPONIBILI”

Maggio 8th, 2019 Riccardo Fucile

INTERVISTA ALL’ARCH. ENRICO PUCCINI, ESPERTO DEL SETTORE

“Il 70 per cento delle case popolari di Roma, costruite negli anni ’60 e nel decennio successivo, è stato pensato, in gran parte per ospitare famiglie numerose, come erano quelle italiane all’epoca. Si tratta di alloggi in prevalenza grandi che, nel rispetto della legge regionale che ne vincola l’assegnazione, devono essere date a nuclei familiari numerosi”.
Ecco il motivo per cui “c’è stata quella che, anche a causa della stigmatizzazione e di una certa strumentalizzazione, potrebbe apparire come un’accelerazione nell’assegnazione degli alloggi popolari a famiglie rom”, spiega Enrico Puccini.
Quarantanove anni, architetto, un passato da docente di progettazione architettonica all’Università  “La Sapienza”, poi capo segreteria dell’assessorato alla Casa e al Lavoro di Roma Capitale ai tempi dell’amministrazione Marino, oggi Puccini affianca alla sua attività  professionale l’aggiornamento di un blog dedicato alla questione alloggiativa.
A Roma tornata d’attualità  in seguito alle proteste esplose in alcuni quartieri delle periferie per l’assegnazione di alcuni alloggi popolari a famiglie rom. Prima Torre Maura – dove i primi malumori esplosi con l’arrivo di 70 rom in un centro di accoglienza sono cominciati con l’arrivo in una casa del rione di una famiglia rom con undici figli – poi, in questi giorni, a Casal Bruciato.
Puccini prova a fare chiarezza, a sgomberare il campo da equivoci che rischiano di alimentare il conflitto sociale. Con una premessa: “La questione non riguarda solo Roma, ma tutta Italia”.
Quindi, Puccini, non c’è un’accelerazione nell’assegnazione degli alloggi alle persone rom?
“No, non c’è nessuno che li fa passare avanti. Come dicevo, le case popolari italiane sono state realizzate prevalentemente per accogliere nuclei familiari grandi. Nel frattempo, la dinamica demografica del nostro Paese è cambiata. Oggi chi ha la stessa struttura familiare degli italiani degli anni ’60? Immigrati e minoranze, i poveri di oggi come gli italiani che allora vivevano nelle case popolari. Ecco perchè, presentando la domanda, ottengono l’alloggio popolare. Le graduatorie scorrono male”.
In che senso?
“Ci sono ancora nuclei formati da una sola persona che attendono l’alloggio sulla base delle graduatorie relative al bando del 2000, proprio perchè mancano le case piccole. Mentre l’ultimo bando, quello del 2012, presentato durante l’amministrazione Alemanno, è ancora aperto”.
E quindi?
“Quindi, chiunque può presentare domanda, e se ha i requisiti in termini di punti, passa davanti a chi magari aspetta da anni. Le graduatorie sono inchiodate sui nuclei familiari piccoli e vanno veloci su quelli più numerosi”.
Quanti sono gli stranieri che risiedono in una casa popolare a Roma?
“Allo stato attuale è impossibile avere un dato preciso, visto che il patrimonio è suddiviso fra Comune e Ater che non rilasciano statistiche, ma possiamo, in base alle assegnazioni, fare delle proiezioni. Da 2011 sono stati assegnati 2mila alloggi che rappresentano il 2,7 per cento delle 74mila case popolari di Roma. Anche se tutti gli alloggi fossero stati assegnati a stranieri avremmo un totale di 5,3 per cento nelle case popolari. Bisogna considerare che gli stranieri a Roma dal 2011 al 2018 sono invece passati dal 10,7 al 13,4 per cento. In buona sostanza dati e proiezioni ci mostrano come il basso tasso di ricambio degli alloggi, da 250 a 500 all’anno, ha funzionato da sbarramento all’accesso degli stranieri che si sono organizzati con altre soluzioni abitative”.
Quanti sono gli stranieri in graduatoria?
“La graduatoria del comune di Roma viene pubblicata criptata, per cui il dato è impossibile da estrapolare. Però si può far riferimento ai dati nazionali diffusi da Federcasa. La maggior parte di coloro che fanno richiesta per ottenere un alloggio eÌ€ di cittadinanza italiana (54,4%), mentre il restante 45,6% eÌ€ straniero (8,2% appartenente alla Ue, 37,3% extracomunitario). Quindi la presenza è rilevante. Questo sta destando preoccupazione e ci si sta organizzando per frenare l’ingresso degli stranieri nelle case popolari”.
Cioè?
“In diverse regioni del Nord a trazione leghista, per esempio, hanno modificato i criteri per ottenere l’assegnazione innalzando il limite di residenza in Italia da tre a dieci anni. Secondo me invece bisognerebbe concentrarsi su un altro aspetto della questione”.
A cosa si riferisce?
“Innanzitutto al fatto che se non si affronta il tema dell’emergenza abitativa sarà  difficile risolvere quello della rigenerazione urbana delle periferie, i luoghi in cui sono concentrate prevalentemente le case popolari. E poi si deve abbinare la rigenerazione urbana a quella umana”.
Vale a dire?
“I dati delle criticità  dei quartieri si incrociano a quelli dei nuclei familiari in modo da procedere ad assegnazioni ragionate, che limitino i rischi di aggiungere disagio a disagio. In altri Paesi, penso all’Olanda, si comincia a farlo. Da noi, invece, per le assegnazioni si procede su basi quantitative, meramente numeriche. È il caso, a mio avviso di aprire una riflessione su questo punto”.
Torniamo all’emergenza abitativa di Roma. Da dove si deve cominciare per affrontare la questione?
“Dai frazionamenti. Nel 2016 consegnammo all’assessore a Casa e Patrimonio di Roma Capitale, allora Mazzillo, una ricerca realizzata dal Dipartimento di Architettura e Progetto dell’Università  “La Sapienza”, iniziata ai tempi dell’amministrazione Marino, dalla quale risulta che il 72 per cento degli appartamenti grandi, superiori ai 100 metri quadrati, di proprietà  del Comune è frazionabile. La Regione ha iniziato a procedere in questa direzione”.
E il Comune?  
“Ci aspettiamo faccia altrettanto”.
Quindi con i frazionamenti si risolverebbe?
“Non del tutto. Si tratta di una soluzione a lungo termine, alla quale vanno abbinati altri interventi”.
Quali?
“Siccome le case popolari vengono destinate prevalentemente ai nuclei familiari cosiddetti critici servono delle politiche di integrazione. Dai dati Federcasa risulta che delle aziende che gestiscono case popolari in Italia e che tentano di attuare politiche di integrazione post assegnazione, solo una parte minima lo fa in maniera strutturale. Eppure c’è una legge del 1963 – precisamente all’art.82 –   che lo prevede”.
Insomma, pare di capire, a Roma la soluzione è lontana.
“Come nel resto del Paese. E tuttavia a mio avviso, proprio per quello che sta accadendo in questi giorni e per quello che abbiamo detto circa l’opportunità  di collegare il tema della casa a quello delle periferie, a Roma si potrebbe cominciare a discutere delle soluzioni possibili”.
In che modo?
“Penso a un tavolo inter-istituzionale, con Regione, Comune, sindacati, esperti e tutti i soggetti coinvolti in quella che è una sfida certo non facile, ma che non possiamo esimerci dall’affrontare”.
A proposito di soluzioni, al Campidoglio il M5S starebbe vagliando la possibilità  di tagliare l’extra di 18 punti destinato, con i vecchi criteri, datati 2012, “a chi proviene dai campi rom e dai centri d’accoglienza”. Può essere una soluzione?
“Assolutamente no, è una soluzione semplicistica e simmetrica a quella delle regioni del Nord che innalzano la soglia di accesso da 3 a 10 anni. Non si affronta il problema e si tampona impedendo l’accesso a chi ne ha diritto. Oltretutto cambiare i parametri ad un bando “sempre aperto” può dare vita a numerosi ricorsi amministrativi”.

(da “Huffingtonpost”)

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IL QUESTORE DI ROMA: “CHI HA PARTECIPATO AL BLOCCO DI CASAL BRUCIATO E’ STATO DENUNCIATO PER PRESIDIO NON AUTORIZZATO E MINACCE”

Maggio 8th, 2019 Riccardo Fucile

CIOE’ PRIMA SI PERMETTE, SENZA INTERVENIRE, CHE VENGA COMMESSO UN REATO E POI SI DENUNCIANO I RESPONSABILI… MA SE ARRIVA UNA CHIAMATA PER UNA RAPINA IN BANCA CHE FACCIAMO? SI ASPETTA CHE I RAPINATORI SI SPARTISCANO IL BOTTINO E DOPO UN PAIO DI GIORNI ANDIAMO A TROVARLI A CASA CON COMODO PER CONTESTARGLI IL REATO?

In una nota, il segretario generale della Cgil di Roma e del Lazio Michele Azzola ci rende edotti che ha incontrato il Questore di Roma
“Nell’incontro abbiamo evidenziato come sia inaccettabile tollerare manifestazioni che impediscono l’assegnazione delle case secondo le procedure previste dalla legge. Manifestazioni, abbiamo ribadito, caratterizzate da ripetute minacce, aggressioni verbali e intimidazioni nei confronti di una donna rea di essere la legittima assegnataria di una casa popolare e dei suoi figli. Usufruire di un diritto garantito dalla Costituzione, come quello di manifestare, per impedire con la violenza il rispetto delle leggi è intollerabile”
“Il Questore- precisa Azzola- sottolineando come sia dovere della Polizia difendere il sistema democratico del paese e il rispetto delle legittime assegnazioni di alloggi sulla base della normativa e confermando che la manifestazione di Casa Pound, autorizzata in un luogo lontano dall’appartamento interessato, si è svolta al di fuori delle regole democratiche, ci ha informato che tutti i partecipanti sono stati deferiti all’autorità  giudiziaria e che i membri di Casa Pound autori di minacce e intimidazioni sono stati denunciati. Ci ha inoltre assicurato che la Polizia imporrà  il rispetto dei principi democratici e che nessuna violazione verrà  tollerata.”

(da agenzie)

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L’ACCUSA AL PRESIDENTE LEGHISTA DELLA REGIONE LOMBARDIA E’ PRECISA: HA NOMINATO IL SUO SOCIO DELLO STUDIO LEGALE IN UN ORGANISMO DOVE L’INCARICO NON ERA “FIDUCIARIO” MA OGGETTO DI AVVISO PUBBLICO CUI AVEVANO PARTECIPATO 60 PERSONE CHE SI SONO VISTE SCAVALCATE

Maggio 8th, 2019 Riccardo Fucile

IL FATTO E’ GRAVE, ALTRO CHE LE BALLE DI SALVINI: E’ COME FARE UN CONCORSO E POI VEDERE CHE QUEL POSTO E’ STATO ASSEGNATO A UN AMICO DEL PRESIDENTE DELLA COMMISSIONE… IL M5S ATTACCA FONTANA

Il governatore lombardo Attilio Fontana è indagato per abuso d’ufficio nella maxi inchiesta della Dda di Milano che ieri ha portato a 43 misure cautelari. Lo riporta stamani il Corriere della sera e la notizia è stata confermata da fonti qualificate.
La contestazione riguarda la nomina del suo ‘socio di studio’ Luca Marsico al Nucleo di valutazione degli investimenti della Regione Lombardia.
Fontana è stato convocato per lunedì 13 maggio dai pm milanesi per l’interrogatorio.
Secondo gli inquirenti, facendo nominare Marsico, avrebbe violato il principio di imparzialità  perchè quel posto non era di nomina ‘fiduciaria’ ma si trattava di un incarico che era passato per un avviso pubblico a cui hanno partecipato circa 60 persone.
Nell’invito a comparire Fontana viene convocato per un interrogatorio per la prossima settimana.
Secondo il quotidiano, Gioacchino Caianiello avrebbe proposto a Fontana di nominare una terza persona alla Direzione formazione della regione in cambio di consulenze a Marsico.
Fontana declina la proposta, pur senza denunciarla, e risulta quindi ‘parte offesa’ in un tentativo di istigazione alla corruzione, non imputabile per concorso in corruzione.
Il Corriere riferisce però che Fontana abbia in seguito proposto autonomamente alla giunta regionale di nominare Marsico tra i membri esterni di un ‘Nucleo di valutazione degli investimenti pubblici’, un incarico che frutta 11.500 euro l’anno e 180 euro a seduta.
Un fatto che gli vale l’indagine della Procura per abuso d’ufficio.
Secondo il quotidiano inoltre Fontana la scorsa settimana si sarebbe recato in Procura, da solo e senza appuntamento, per chiedere al Procuratore Francesco Greco conferma delle voci su imminenti iniziative giudiziarie in Regione. Il governatore è stato convocato per il prossimo 13 maggio in Procura.
In sostanza, da quanto si è saputo, nell’inchiesta coordinata dall’aggiunto Alessandra Dolci e dai pm Adriano Scudieri, Luigi Furno e Silvia Bonardi, viene contestato l’abuso d’ufficio a Fontana perchè gli inquirenti sospettano che Marsico sia stato nominato per quell’incarico in Regione solo in quanto ex socio di studio del Governatore, malgrado quella nomina fosse passata per un “avviso pubblico” di
selezione a cui hanno partecipato 60 candidati.
La nomina è stata effettuata con una delibera dello scorso ottobre, che gli investigatori sono riusciti ad acquisire formalmente soltanto ieri.
Lo scorso fine settimana, da quanto si è saputo, hanno avuto il riscontro documentale dell’esistenza di quella nomina, anche perchè gli inquirenti avevano cercato, ma senza risultati positivi, da fonti aperte e tramite accertamenti quale “soluzione alternativa” Fontana avesse trovato come incarico per l’ex socio, dopo che aveva rifiutato, senza denunciare, la proposta corruttiva dell’ex coordinatore provinciale di FI a Varese Gioacchino Caianiello
In alcune intercettazioni effettuate dopo la richiesta di misure cautelari per le 43 persone coinvolte nella maxi indagine della Dda, da quanto si è saputo, lo stesso Caianiello, però, avrebbe fatto proprio riferimento al nuovo incarico di Marsico precisando anche le cifre corrisposte all’avvocato, ossia 11.500 euro come emolumento annuale e 185 euro come gettoni di presenza.
A partire proprio da queste intercettazioni gli inquirenti sono andati a cercare la delibera di nomina e hanno avuto un riscontro già  lo scorso fine settimana, hanno iscritto nel registro degli indagati Fontana già  nei giorni scorsi, probabilmente lunedì scorso, e poi hanno acquisito la delibera ieri.
Hanno ascoltato anche una serie di testimoni ieri, tra cui anche lo stesso Marsico, e da alcuni testi, stando a quanto si è appreso, sarebbero arrivate anche parziali ammissioni.
Secondo i pm, Fontana avrebbe anche violato il dovere di astensione per conflitto di interessi, anche se il Governatore dopo l’elezione al Pirellone aveva ceduto le sue quote dello studio alla figlia.
“Fontana ha la responsabilità  politica diretta della nomina dei suoi collaboratori. Stiamo valutando quanto sta emergendo e il presidente ha il dovere di fare totale chiarezza. Il primo anno di legislatura regionale è stato disastroso, ora queste vicende giudiziarie gettano altre ombre su tutta l’attività  della giunta regionale e riportano la Lombardia nel fango e agli scandali di Formigoni e alle inchieste sulla sanità  di Maroni”. A dirlo è Marco Fumagalli, capogruppo del M5s in Regione Lombardia, commentando la notizia dell’invito a comparire, davanti ai magistrati, al presidente lombardo Attilio Fontana, nell’ambito di un’inchiesta della Dda di Milano.

(da “il Fatto Quotidiano”)

argomento: Giustizia | Commenta »

LA CASA EDITRICE DI CASAPOUND FUORI DAL SALONE DEL LIBRO

Maggio 8th, 2019 Riccardo Fucile

COMUNE E REGIONE HANNO   FORMALIZZATO LA RICHIESTA AGLI ORGANIZZATORI DI RESCINDERE IL CONTRATTO

La Città  di Torino e la Regione Piemonte, soci fondatori del Salone del Libro, hanno chiesto alla associazione “Torino, la città  del libro”, al Circolo dei Lettori e al Comitato di indirizzo del Salone del Libro che organizzano la manifestazione, di rescindere il contratto con la casa editrice AltaForte.
Questo, dicono,   alla luce della situazione che si è venuta a creare, che rende impossibile lo svolgimento della prevista lezione agli studenti di Halina Birenbaum, sopravvissuta ai campi di concentramento nazisti, e alla forti criticità  e preoccupazioni espresse dagli espositori in relazione alla presenza e al posizionamento dello stand di AltaForte.
“E’ necessario tutelare il Salone del Libro, la sua immagine, la sua impronta democratica e il sereno svolgimento di una manifestazione seguita da molte decine di migliaia di persone”.

(da agenzie)

argomento: Libri | Commenta »

IL CONSIGLIERE M5S DI ROMA CHE ANNUNCIA L’APERTURA DELLA FERMATA SPAGNA CON UNA FOTO DELLA METRO DI MILANO

Maggio 8th, 2019 Riccardo Fucile

SUI SOCIAL ESPLODE LA SATIRA E ALLORA FA UN’AGGIUNTA AL POST

Nello Angelucci, consigliere M5S dell’assemblea capitolina, ha pensato bene di ricordare che la metro A Spagna dopo settimane di promesse e rinvii è stata riaperta.
Per rendere indimenticabile il momento ha deciso di immortalarlo con una bella foto della metro di Milano. Sì, proprio così:
Il post si è riempito presto di commenti che facevano notare ad Angelucci l’errore: “Foto di Milano, linea M1, fermata Villa San Giovanni”, “Ma veramente avete pubblicato la foto della metro di Milano per dire che e’ stata riaperta quella a piazza di Spagna??????? Incredibile

argomento: Roma | Commenta »

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