Maggio 24th, 2019 Riccardo Fucile
FINN GAEL (PPE) E FIANNA FAIL (ALDE) INTORNO AL 23%, SINN FEIN 10%, VERDI 9%… SOVRANISTI NON ESISTONO
Testa a testa fra i due storici partiti moderati in Irlanda dove s’è votato per le Europee, per le elezioni locali e per un referendum sul divorzio veloce.
Stando ai primi, ancora approssimativi exit poll diffusi dalla tv Rte, mentre lo scrutinio inizia dalle amministrative, il Finn Gael (Ppe) del premier Leo Varadkar e il Fianna Fail (Alde) di Michael Martin sono attorno al 23% come quota nazionale di voti.
A sinistra cala di 3 punti al 12% lo Sinn Fein, mentre volano i Verdi, dall’1,6 al 9%, e resta al 6% il Labour.
Per i Verdi grandissima affermazione soprattutto nella capitale dove, sempre secondo gli exit poll, il partito guidato da Ciarà¡n Cuffe sarebbe in testa con il 23% con un grande distacco dal Fine Gael.
Il partito conservatore del premier Leo Varadkar (alleato del Ppe) è solo secondo con il 14%, incalzato dal partito conservatore Fianna Fà¡il, alleato di Alde, pari con il 12% con Indipendents 4 change (gli Indipendenti per il cambiamento).
I nazionalisti del Sinn Fèin (sinistra europea) sono al 10%, mentre il partito laburista è in coda con il 4%.
La Brexit era stata al centro della campagna elettorale. Le possibilità di non raggiungere un accordo sull’uscita del Regno Unito dall’Ue hanno alimentato il timore di un ritorno a una frontiera chiusa con l’Irlanda del Nord.
Tra i temi più discussi il cosiddetto backstop: il meccanismo che serve ad evitare la creazione di un confine rigido tra Dublino e Belfast.
Sorprese limitate, comunque, per un Paese pure alle prese con contraddizioni sociali, sacche di povertà e nel quale non mancano polemiche sulle più recenti riforme ‘liberalizzatrici’ del governo Varadkar.
Ma dove comunque oltre il 90% della popolazione, secondo alcuni sondaggi, considera l’appartenenza all’Ue una garanzia da non mettere in discussione.
Un Paese che guarda del resto con speciale apprensione alle convulsioni del Regno Unito sulla Brexit, auspicando come nessun altro che il divorzio sia soft: per evitare qualsiasi ombra su quel confine senza barriere fra la Repubblica e l’Irlanda del Nord divenuto un suggello della pace dell’accordo del Venerdì Santo del 1998, nonchè una porta aperta al libero passaggio delle persone e a intensi, fruttuosi e vitali scambi economico-commerciali.
Paese che per il resto continua per la sua strada. Inclusa quella – non più da ‘cattolicissima Irlanda’ – di una secolarizzazione accentuata che trova oggi stesso conferma nel voto di un referendum convocato – assieme alle Europee e a una tornata di consultazioni amministrative – sul divorzio sprint e sull’abolizione dei 4 anni di separazione necessari finora: con una valanga di sì in arrivo.
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Maggio 24th, 2019 Riccardo Fucile
UN LIBRO RICORDA IL PRIMO REFERENDUM ELVETICO PER CACCIARE GLI ITALIANI NEL GIUGNO 1970… LE STESSE MOTIVAZIONI CHE ORA USANO I RAZZISTI NOSTRANI
Quando i migranti eravamo noi vivevamo nelle baracche.
Luciano Alban, arrivato da Montebelluna nel 1968, se le ricorda bene: «Baracche come ne ho viste poi solo a Dachau. Ci stavano gli stagionali, quelli che potevano restare solo nove mesi e non avevano il permesso di affittare una casa. E anche gli operai in difficoltà , quelli che invece nelle campagne stavano dai contadini».
Baracche coi letti a castello, un cesso per cinquanta persone, il lavatoio in comune, fornelletti per cucinare, fili stesi per i panni.
Ai margini delle città , vicino ai cantieri, lontano dai quartieri borghesi. Quando i migranti eravamo noi, c’era qualcuno che voleva cacciarci via, perchè “prima gli svizzeri”.
Ci fu un referendum nel 1970, lanciato da James Schwarzenbach, strana figura di intellettuale-scrittore-editore, aria da gentleman con gli occhialini d’oro, figlio di industriali proprietari della più grossa fabbrica tessile del mondo, allora.
Ci siamo abbastanza dimenticati di quando i migranti eravamo noi, quella memoria lì l’abbiamo cancellata.
Eppure dal 1860 a oggi più di 30 milioni di italiani sono emigrati. Dal 1946 al 1968 in Svizzera ne arrivano due milioni.
Prima i lombardi, poi i veneti e i friulani, e dai primi Sessanta l’ondata dal Sud.
A metà dei Sessanta vivono in Svizzera 500 mila italiani. Sono arrivati coi treni stracarichi, con le valigie legate con lo spago, parlano quasi solo dialetto e spesso sono analfabeti.
Nel film Pane e cioccolata con Nino Manfredi si vede un gruppo di clandestini che vive in un pollaio: è successo anche questo, nessuna esagerazione.
Gli italiani sono venuti a fare i lavori pesanti, quelli che gli svizzeri non vogliono più fare. Lo stesso governo italiano, che nel 1948 ha siglato un accordo bilaterale con la Confederazione sul reclutamento di operai, li ha spinti verso il confine.
Perchè se ne andassero dall’Italia, che scoppiava di disoccupati. Alcide De Gasperi, nel 1949, invitò i meridionali a «partire verso le strade del mondo».
Sarebbe il caso di ricordare quegli anni della nostra emigrazione perchè sono anche gli anni in cui la xenofobia costruisce il suo castello di cosiddetti “valori” e la sua politica, con accenti e parole d’ordine che oggi ci suonano familiari.
A questo serve un libro in uscita da Feltrinelli, intitolato Cacciateli!, scritto dal giornalista di Repubblica Concetto Vecchio.
L’autore sa di che cosa parla, e infatti il libro è qualcosa a metà fra il reportage e il romanzo familiare: in Svizzera, non lontano da Zurigo, ci è nato nel 1970, l’anno del referendum.
Figlio di emigrati siciliani, da Linguaglossa provincia di Catania. In Svizzera ha vissuto fino ai 14 anni, è andato a scuola dove la maestra lo chiamava “Konzetto” e lui avrebbe preferito chiamarsi Roland o Markus.
Da bambino, se faceva baccano in strada, la mamma lo zittiva: «Non facciamoci riconoscere dagli svizzerazzi, sennò arriva Schwarzenbach!». A un certo punto gli è presa la curiosità di andare a scoprire chi fosse quel tale, quel babau.
Un pioniere, quello Schwarzenbach: il suo del 1970 fu il primo referendum europeo per dare una stretta all’immigrazione.
Se avesse vinto, in 300 mila italiani avrebbero dovuto fare le valigie. Luciano Alban oggi ricorda che dove lavorava lui, azienda che costruiva centrali idroelettriche, glielo dicevano in faccia: «Se passa, te ne vai», anche se i capi erano tutti per votare no.
Non che la xenofobia fosse una novità , in Svizzera. «Nel 1896» racconta Franco Narducci, presidente del Corriere degli Italiani, «ci fu qui a Zurigo un pogrom contro gli italiani, scatenato da un pretesto. Bastonature per strada, negozi bruciati. Chiuso il cantiere del Gottardo erano arrivati gli operai italiani, accusati di lavorare sotto costo, di rubare il lavoro agli svizzeri».
E nemmeno è tramontata la xenofobia, dopo la sconfitta del 1970. Altri referendum ci sono stati, tutti persi. Altre forze politiche hanno urlato “Prima gli svizzeri”, e ancora adesso valgono un 25 per cento.
Ma Schwarzenbach fu il primo, e fece quasi da solo. Unico parlamentare del partitino Nationale Aktion, tenuto a distanza da socialisti e democristiani, contrastato dagli imprenditori che temevano di perdere forza lavoro.
Perse per soli 100 mila voti, il 46 per cento contro il 54, e venne votato nei quartieri popolari, dove gli svizzeri vivevano gomito a gomito con gli italiani.
E non li amavano, li disprezzavano, li temevano.
Tschingg era l’insulto per gli italiani: veniva dal “cinque” spesso urlato nel gioco della morra. La morra era addirittura vietata in certi posti: Mora Verboten si leggeva sui cartelli. E li spiavano, pronti a denunciare sospetti attivisti del Pci, o bambini clandestini. In quegli anni Sessanta c’erano bambini nascosti, illegali, tappati in casa senza poter fare rumore nè guardare dalla finestra, per paura che un vicino facesse la spia. E c’erano bambini costretti a stare in collegio nel Comasco e nel Varesotto.
(da agenzie)
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Maggio 24th, 2019 Riccardo Fucile
UN ASSURDO AFFIDARE L’INCHIESTA NELLE MANI DELLO STESSO CORPO DEGLI AUTORI DELL’AGGRESSIONE
L’indagine sul pestaggio del giornalista di Repubblica Stefano Origone avvenuto durante gli scontri fra antagonisti e polizia in occasione del contestato comizio di CasaPound, è stata affidata alla squadra mobile della Questura.
Ieri negli ambienti forensi c’è chi si è stupito del fatto che a indagare su delle violenze palesemente commesse da poliziotti fosse la stessa polizia.
Enrico Zucca, oggi sostituto procuratore generale ma pm dell’inchiesta e del processo per la scuola Diaz al G8 del 2001, risponde alle domande di Repubblica sull’opportunità della scelta: “C’è un canone indiscusso fissato da varie sentenze della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo che stabilisce come, di fronte alle violazioni dei diritti fondamentali, non si dovrebbero affidare le indagini allo stesso corpo di appartenenza degli agenti o dei funzionari sospettati di aver commesso gli abusi. Nella sentenza Alikaj che ha portato a una condanna dello Stato italiano, la Cedu specifica addirittura come non sia sufficiente l’indipendenza della procura a garanzia di un’indagine imparziale”.
Non è evidentemente una problema di assenza di fiducia nella polizia genovese bensì una questione di procedure che sono poi frutto del buon senso e della ragionevolezza, quella che consiglia di tenere distinte le figure di controllori e controllati.
Ciònonostante è comunque una prassi diffusa quella di assegnare gli accertamenti agli stessi corpi sotto indagine. “Forse — conclude Zucca — esiste un problema anche culturale all’interno della magistratura, alcuni messaggi, anzi indicazioni molto chiare che arrivano dalla Cedu, non vengono recepite”.
“Ci sono delle costanti che si fa fatica a comprendere” ha detto Zucca all’Ansa su quanto avvenuto ieri in piazza Corvetto durante gli scontri tra polizia e antifascisti
“Ho visto quello che è stato – ha detto Zucca -, ho guardato con gli occhi di un genovese e credo che la gestione dell’ordine pubblico sia ancora un punto critico. Pur dovendo riconoscere la difficoltà della gestione in situazioni del genere non è possibile non dire che certi episodi comunque richiamano alla mente quei giorni”. I giorni del G8, appunto.
“Quel che fa impressione – ha detto ancora Zucca – è che un poliziotto, pur nel non facile contrasto verso azioni anche violente, debba utilizzare la forza a sproposito. Mi chiedo: perchè infierire e accanirsi con persone già a terra? Ecco, questa è una costante difficile da capire”. Perchè, continua il magistrato “non ci sono giustificazioni di modalità operativa o di concitazione. Diventa così un modo che appare ritorsivo”, una sorta di “uso della forza che fa presupporre un non ponderato uso di questo mezzo”.
“Allora sentii parlare di ‘prigionieri’ – ha detto ancora Zucca – e erano alti funzionari di polizia che parlavano. ‘Prigionieri’, una parola che evoca scenari di guerra, il ‘nemico’. Oggi sento parlare di ‘ostaggi’. E questo rientra in una mentalità ”
“Sì, il pensiero continua a andare al G8 – ha concluso il magistrato -. Chi dice che è stata voltata pagina?”
(da agenzie)
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Maggio 24th, 2019 Riccardo Fucile
SALVINI E TONINELLI CHE LI AVEVANO CHIAMATI DELINQUENTI SONO STATI DENUNCIATI ALLA CORTE DI GIUSTIZIA EUROPEA PER VIOLAZIONE DEI DIRITTI DELL’UOMO
Salvini, garantista con i bancarottieri di casa sua, è sempre stato giustizialista a priori con i poveri e i migranti, colpevoli a prescindere e sempre descritti come malfattori o potenziali terroristi
Ma le cose non sono così: verranno depositate fra 15 giorni le motivazioni con cui il giudice Piero Grillo ha assolto il ghanese Ibrahim Amid e il sudanese Ibrahim Titani Bichara.
Erano accusati di violenza privata, resistenza a pubblico ufficiale e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina per i fatti dell’8 luglio 2018, quando il rimorchiatore Vos Thalassa dell’armatore olandese Vroon Offshore ha soccorso e tentato di riportare in Libia 67 migranti soccorsi nel Mediterraneo su di una barca in difficoltà vicino a una piattaforma petrolifera nella zona Sar libica
Il capitano fu costretto a chiamare la Guardia costiera parlando di “ammutinamento” a bordo da parte dei migranti e di rischi per la sicurezza dell’equipaggio, salvo poi ridimensionare l’accaduto nei giorni successivi.
In totale vennero tratte in salvo 67 persone che poi vennero trasbordate sulla nave Diciotti della Guardia costiera che sbarcò a Trapani
I due sono stati assolti dai reati a loro ascritti in concorso perchè “il fatto non costituisce reato, essendo scriminati dalla legittima difesa” ha scritto il giudice dell’Ufficio Gip del Tribunale di Trapani nel dispositivo della sentenza 112/19 rilasciato il 23 maggio per il procedimento celebrato con rito abbreviato, disponendo la scarcerazione immediata dei due migranti dopo dieci mesi di detenzione
L’esito inedito del procedimento, con il richiamo alla “legittima difesa”, può avere conseguenze su altre due vicende in corso: il pubblico ministero Andrea Tarondo, prima di chiedere una condanna a due anni, ha infatti proposto al gup di “sollevare davanti alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea in Lussemburgo una questione pregiudiziale circa la compatibilità tra la zona di ricerca e salvataggio autodichiarata nel 2018 dalla Libia e le norme europee sul divieto di respingimento”
Mentre gli avvocati Marina Mori e Paolo Oddi hanno presentato un ricorso alla Corte di Strasburgo “sulla violazione da parte dell’Italia dell’art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo circa l’equo processo, violato quando ad anticipare dichiarazioni colpevoliste su chi ancora debba essere processato sono autorità pubbliche”.
Nei giorni del caso Vos Thalassa i ministri Salvini e Toninelli hanno infatti dichiarato a più riprese che i migranti in questione fossero “violenti dirottatori” che devono “scendere in manette” e “finire in galera”, apostrofandoli come “delinquenti” “facinorosi” da “punire” e “senza sconti”.
(da agenzie)
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Maggio 24th, 2019 Riccardo Fucile
IMPONENTE RIPRESA DEI FLUSSI ANCHE IN ASSENZA DELLE NAVI ONG… FINISCE LA BUFALA CHE FOSSERO LORO AD ATTIRARE I PROFUGHI… TUTTE LE INCHIESTE CONTRO LE ONG SI SONO CHIUSE CON L’ARCHIVIAZIONE: NESSUNA COLLUSIONE CON GLI SCAFISTI, QUINDI SALVINI E’ UN DIFFAMATORE SERIALE
Ancora un altro gommone alla deriva nel Mediterraneo. Dopo quello approdato all’alba di oggi a Lampedusa con 57 persone a bordo, un altro gommone grigio alla deriva con il motore fuori uso è stao individuato da un aereo dell’operazione Sophia in ricognizione. La sua posizione 47 miglia a sud est di Lampedusa. Nelle operazioni di soccorso è stato coinvolto un mercantile delle Bahamas, il Saint Peter.
Le imbarcazioni cariche di migranti dunque continuano a partire senza sosta e continuano ad arrivare indisturbati.
I flussi hanno avuto una enorme accelerazione nel mese di maggio. Basta pensare che dei 1425 approdati in Italia nel 2019 quasi la metà , circa 700, sono arrivati nel solo mese di maggio.
Gli ultimi 57 sono approdati questa mattina alle 4 a Lampedusa. L’imbarcazione, partita dalla Libia e incredibilmente arrivata a destinazione senza essere intercettata da nessuno, è probabilmente una delle quattro che era stata avvistata ieri dall’alto in una giornata di tensione nel Mediterraneo in cui, sotto gli occhi di una nave della Marina militare italiana che non è intervenuta aspettando l’intervento dei libici e limitandosi a far partire un elicottero, tre gommoni con circa 280 persone a bordo sono state riportate indietro da motovedette della Marina libica.
La quarta imbarcazione, invece, è approdata a Lampedusa. A bordo marocchini, algerini, senegalesi ma anchd cittadini libici fuggiti dalla guerra
Sono ben nove, con 130 migranti, le imbarcazioni approdate in Italia nelle ultime 48 ore, 280 quelle intercettate dalla guardia costiera libica.
Dunque il flusso delle partenze è ripreso imponente in un momento in cui nel Mediterraneo non c’è alcuna nave umanitaria, un dato che smentisce la tesi delle Ong pull factor, cioè fattore di attrazione che spingerebbe i trafficanti di uomini a far partire i migranti.
Tutte le inchieste della magistratura che hanno ipotizzato una qualsiasi complicità tra Ong e trafficanti si sono chiuse con un’archiviazione e ieri, a Trapani, i giudici hanno assolto anche i due migranti arrivati a Trapani lo scorso anno a bordo della Diciotti che il ministro Salvini avrebbe voluto veder scendere dalla nave in manette.
I due erano accusati di aver minacciato il comandante del rimorchiatore Vos Thalassa che li aveva soccorsi in mare girando poi la prua per riportarli in Libia. I giudici invece li hanno assolti e ordinato la loro scarcerazione
(da agenzie)
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Maggio 24th, 2019 Riccardo Fucile
SCRIVERE “LA LEGA E’ UNA VERGOGNA” NON E’ UN’OFFESA MA UNA LEGITTIMA CRITICA POLITICA
Cosa succede quando un poliziotto con lo striscione (sequestrato) incontra un magistrato che deve convalidare il sequestro?
Succede come è successo a Bari dove il PM non ha convalidato il sequestro degli striscioni confiscati dai Carabinieri in occasione della visita di Matteo Salvini a Gioia del Colle il 21 marzo scorso.
Anche in quell’occasione in città era comparsi striscioni che contestavano la presenza del ministro dell’Interno in città .
Contestazioni pacifiche e a volte spiritose che però — come è uso da parte delle Forze dell’Ordine — vengono rimosse perchè offensive o perchè potenzialmente arrecano disturbo all’ordine pubblico.
Tra le varie scritte comparse sui balconi c’erano cose come “Noi Gioia, voi odio”, “Bal(r)coni aperti”, “I terroni non mollano” oppure “Restiamo umani”.
In particolare i Carabinieri avevano sequestrato due striscioni reputandoli offensivi e ingiuriosi. Su uno era scritto “Meglio lesbica e comunista che salviniana e fascista“, citazione dal famoso cartello esibito dalla ragazza messa alla gogna da Salvini.
Nell’altro, appeso su un cavalcavia sulla Statale 100 all’altezza di Gioia del Colle, era scritto “La Lega è una vergogna, Pino Daniele“. F
rase che tra l’altro compariva anche su un altro striscione, quello fatto rimuovere a Salerno.
Secondo il PM di Bari Iolanda Daniela Chimienti questi striscioni non avevano “una portata e idoneità offensiva”, “trattandosi di esternazioni del proprio convincimento politico” che “possono assumere toni aspri” ma che sono “prive di portata denigratoria del prestigio della funzione pubblica“.
Nella richiesta di archiviazione per l’indagine di vilipendio (a carico di ignoti) il magistrato scrive che nell’ambito della manifestazione del proprio pensiero politico si possono toni aspri e accesi (come del resto ha sempre fatto anche Salvini) e che dette manifestazioni possono essere “colorate dall’utilizzo di espressioni diffuse nel gergo corrente”. Insomma il ricorso ad espressioni gergali non significa che siano volgari, offensive o ingiuriose.
Anche il ricorso al termine “fascista” non è lesivo dell’onore di Salvini: «l’uso dell’epiteto ‘fascistà per caratterizzare l’ideologia politica del segretario di un partito leader di un movimento politico, in occasione o comunque in vista di un comizio elettorale da egli in tale veste tenuto, costituisce una normale critica politica anche se espressa in toni aspri».
La Procura rileva infatti che i manifesti non attaccavano Salvini in quanto persona ma costituiscono una legittima critica nei confronti delle politiche attuate dal governo .
In particolare la PM scrive che «affermare che un partito politico è una vergogna ed esprimere il proprio convincimento su omosessualità ed omofobia, sebbene contrapponendolo a quello del leader contestato sì da dare implicitamente a quest’ultimo una connotazione negativa, costituiscono legittime manifestazione del pensiero scevre da connotati denigratori».
Per questi motivi il pm di Bari non ha convalidato il sequestro di due striscioni e ha chiesto l’archiviazione dell’indagine per vilipendio a carico di ignoti.
(da agenzie)
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Maggio 24th, 2019 Riccardo Fucile
DOPO LA PASSERELLA DI SALVINI E BUSSETTI, LA DOCENTE RIBADISCE CHE OCCORRE LA SUA RIABILITAZIONE
“Non vorrei che passasse un messaggio sbagliato — dice la professoressa Dell’Aria – cioè che si è trattato di un atto di clemenza o grazia nei miei confronti, perchè se è stato riconosciuto ai più alti livelli che sono esente da colpe la mia unica richiesta è che ufficialmente sia dichiarata la mia estraneità e che la sanzione inflittami è ingiusta”.
La professoressa palermitana Rosa Maria Dell’Aira non vuole grazia o clemenza, ma una totale riabilitazione.
Il giorno dopo l’incontro in prefettura col ministro degli Interni Matteo Salvini e quello dell’Istruzione Marco Bussetti, l’insegnante torna così sulla vicenda della sua sospensione, che ancora non è stata revocata.
Come si ricorderà , tutto ebbe origine da una ricerca degli studenti sulle leggi razziali alla luce dell’attuale momento politico
Ieri pomeriggio, dopo un’ora di colloquio, che aveva soddisfatto tutti e, che, secondo la docente, si è svolto “nella massima tranquillità e serenità ”, sia Salvini che il ministro Bussetti, avevano parlato di una soluzione tecnica per risolvere definitivamente il caso, senza spiegare chi e in che modo ritirerà il provvedimento, ma specificando che non potrà farlo direttamente il ministro dell’Istruzione.
“Desidero sottolineare – aggiunge la docente, che rientrerà a scuola lunedì allo scadere della sospensione – che l’incontro si è svolto in un clima assolutamente sereno, alla presenza anche del prefetto di Palermo, oltre che dei ministri e dei loro staff, e dati alla mano è stato detto e convenuto che la sanzione non aveva ragione di essere comminata e visto che il ministro non può intervenire direttamente si sarebbe trovata una soluzione che annullasse completamente tutti gli effetti della sanzione, cioè quelli relativi alla mia dignità professionale e quelli economici
(da Globalist)
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Maggio 24th, 2019 Riccardo Fucile
LA SCRITTA: “SALVINI TU INVOCHI DIO MA RESPINGI IL FRATELLO MIO”
Il tempo di uno scatto, subito rimosso ma rimasto in rete. “Salvini tu invochi Dio, ma respingi il fratello mio”: lettere maiuscole con spray nero su uno telo quadrato bianco.
Il messaggio rivolto al ministro dell’Interno e leader della Lega arriva da un balcone di Porto Torres a tre giorni dalle elezioni europee.
Non però da un balcone di un cittadino qualsiasi, ma da quello del sindaco del Movimento 5 stelle, Sean Wheeler.
È lui che appare a sinistra della foto, alla destra un altro esponente grillino: Donato Forcillo, candidato sassarese nella circoscrizione isole che unisce Sardegna e Sicilia.
I due politici locali seguono la scia della protesta creativa delle lenzuola con slogan e frasi di contestazione contro il vicepremier apparse in varie città italiane. Contestano così l’utilizzo dei simboli della fede cattolica in campagna elettorale: soprattutto quel bacio di Salvini al rosario durante il comizio a Milano in diretta social
L’atto di ostentata devozione – sostengono – stride con la politica attuata nei confronti dei migranti.
“Il nostro dovrebbe essere un paese rispettoso di tutte le culture e di tutte le religioni – così ha scritto Forcillo su Facebook – ma un rosario non può e non deve essere strumento di propaganda”.
E ancora: “Se si invoca Dio per accaparrare voti, e poi si rimanda in mezzo al mare chi, per la fede in Dio viene perseguitato nel proprio Paese, qualche domanda dobbiamo pur porcela sull’etica e morale di questi uomini”.
È soprattutto sulla politica dei porti chiusi che si prendono le distanze dalla Lega, che resta alleata di governo. Ma sugli arrivi dei migranti Forcillo – 32 anni, due lauree in economia – rimarca ancora: “Salvini la smetta di illudere i cittadini, perchè gli sbarchi non finiranno. Gli sbarchi ci saranno fino a che una vecchia classe politica cieca e sorda ai veri problemi delle persone, si rivolgerà alla pancia dei cittadini, ampliando la paura verso gli ultimi”.
Gli fa eco il primo cittadino della cittadina del nord Sardegna eletto quattro anni fa: Wheeler ribadisce il suo essere “Extracomunitario, cittadino del mondo”, in quanto statunitense, dal Kansas, arrivato in Sardegna dopo anni in Europa e in altre regioni italiane.
Il lenzuolo anti-Salvini, intanto, non ha lasciato indifferenti nonostante l’apparizione flash.
(da agenzie)
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Maggio 24th, 2019 Riccardo Fucile
ALLE ACCUSE DI ESSERE IL MEGAFONO DEL M5S, IL DIRETTORE REPLICA: “NESSUNO MI HA MAI DATO DEL TIFOSO”
Ogni mercoledì al Fatto Quotidiano va in scena una riunione di redazione. Quella dell’ultima settimana è stata particolarmente infuocata: dall’assemblea, infatti, è venuto fuori un documento che accuserebbe Marco Travaglio, direttore del cartaceo, di aver fatto perdere la terzietà al giornale.
I giornalisti della testata, infatti, lo accusano di essere eccessivamente schierato su posizioni pro-M5S. Il documento è arrivato direttamente sulla scrivania del direttore Travaglio che, nella giornata di ieri, si sarebbe presentato al cospetto della redazione per comunicare il suo pensiero.
A ricostruire la giornata ci ha pensato la testata Il Foglio. Stando a quanto riferito dal giornale di Claudio Cerasa, infatti, Travaglio si sarebbe presentato in redazione con un foglietto, letto ad alta voce ai suoi giornalisti. Il messaggio più importante sarebbe stato questo: «In trentacinque anni di professione nessuno mi aveva mai detto che sono un tifoso».
Travaglio, dunque, ha rivendicato la sua imparzialità , smentendo la sua redazione. E chi era presente lì ha anche raccontato di come il direttore della testata abbia affrontato la riunione a testa bassa, senza guardare in faccia nessuno.
Inoltre, avrebbe comunicato che — d’ora in avanti — non parlerà più con nessun componente della sua redazione, ma soltanto con i suoi quattro vicedirettori.
Marco Travaglio è stato al centro di diversi talk-show televisivi nell’ultimo anno, da quando il M5S è andato al governo insieme alla Lega. Si è trattato sempre di occasioni in cui il direttore della testata ha espresso opinioni favorevoli ai pentastellati, soprattutto sull’anticorruzione voluto da Alfonso Bonafede, sul reddito di cittadinanza e su alcune decisioni del presidente del Consiglio Giuseppe Conte nelle sedi internazionali.
Invece, è stato più critico con le posizioni di Luigi Di Maio e di alcuni ministri come ad esempio Danilo Toninelli.
In più, ha criticato il Movimento 5 Stelle (facendogli la paternale) quando ha salvato Matteo Salvini dal giudizio del tribunale dei ministri e dispensando sempre consigli al partito in situazioni delicate (quelle che, per la maggior parte delle volte) prevedevano un confronto diretto con la Lega.
Del resto, la platea dei lettori del Fatto Quotidiano è sempre stata molto sensibile alle argomentazioni del Movimento 5 Stelle e Marco Travaglio non ha fatto altro che assecondare questo gusto dei lettori.
Ma, in redazione, a quanto pare, è arrivato il momento del rendiconto
(da agenzie)
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