Maggio 27th, 2019 Riccardo Fucile
IL 38% HA CONFERMATO IL VOTO DI UN ANNO FA, IL 38% SI E’ ASTENUTO, IL 14% SCEGLIE LA LEGA, IL 4% IL PD… HA PERSO IL 15-25% DEL VOTO DEI GIOVANI E IL 20% DI QUELLO OPERAIO
Che cosa è successo nelle viscere della società italiana che, a poco più di un anno dall’ultima competizione elettorale, ha generato un nuovo terremoto politico?
I dati di analisi dei flusso di voto, dei mutamenti nei blocchi sociali e delle motivazioni di scelta elettorale, aiutano a tratteggiare il quadro.
M5s perde complessivamente 6 milioni e 180mila voti (1 milione e 700mila al Sud, più di 1 milione a Nordovest, Nordest e Centro Italia e 944mila nelle Isole).
Rispetto al 2018 il partito di Di Maio ha una conferma di voto risicata, pari al 38% dei votanti.
Un altro 38% opta per l’astensione, il 14% trasloca sulla Lega e il 4% sceglie il Pd (il restante 6% si sparpaglia nei vari partitini). Lo smottamento elettorale è complessivo.
M5s perde al Sud e lungo tutto lo stivale, ma, soprattutto, perde per strada pezzi importanti del suo blocco sociale.
Lascia sul campo, per esempio, i giovani: lo abbandonano il 15% dei Millennials (in parte conquistati da Lega e Pd) e il 25% dei ragazzi della Generazione Z.
Perde parte degli operai (con un meno 20%) e vede assottigliare i consensi nei ceti sociali medio-bassi e poveri.
Tra i primi perde il 12%, mentre tra i secondi lascia sul campo il 17%. In uscita anche una parte di quella middle class urbana e professionale che aveva scelto M5s per la sua spinta anti-sistema (-14%).
Il complessivo processo di sfarinamento del peso elettorale che ha coinvolto il partito uscito vincitore dalle urne lo scorso anno, ha determinato una variazione nella composizione del suo blocco politico, sempre più dominato dall’identità apolitica (35%) e di centrosinistra (31%), mentre appaiono residuali le auto-collocazioni a centrodestra (17%) e centriste (17%).
Per completare il quadro analitico delle cause dello smottamento elettorale di M5s è utile soffermarsi sulle motivazioni che hanno spinto il 62% degli elettori del 2018 a non votare il partito di Di Maio.
In primo luogo c’è un giudizio non lusinghiero sull’esperienza di governo: il 36% afferma che si è dimostrato incompetente o non ha fatto molto al governo.
Segue la valutazione negativa del rapporto con la Lega: per il 16% è stato troppo subalterno e per un altro 13% è stato sbagliato dar vita all’attuale esecutivo.
Un ulteriore 10% punta il dito sulle posizioni contro la Tav e sulla freddezza rispetto alle grandi opere.
Altri elementi che hanno infastidito l’elettorato pentastellato sono stati gli scontri dell’ultimo periodo e la sensazione che M5s non sia in grado di garantire stabilità e serenità al nostro Paese.
Per comprendere il quadro che emerge dalle elezioni europee è necessario zumare sulle dinamiche che hanno determinato il successo della Lega.
In primo luogo si deve evidenziare il ruolo di indubbio traino del suo leader: il 76% di quanti hanno votato per la Lega sottolinea l’importanza e il ruolo di Salvini (il ruolo di Di Maio sul voto a M5s è del 46%).
La Lega conquista il 17% dei nuovi voti da M5s, mentre sottrae a Forza Italia il 10% dei consensi.
Il partito di Salvini, rispetto al 2018, conquista tre milioni di voti (7,4 milioni di votanti in più rispetto al 2014), aumentando i consensi in tutte le aree del Paese: + 897mila a Nordovest, + 686mila a Nordest, + 810mila al Centro, + 828mila a Sud e + 236mila nelle Isole.
La Lega, con questa tornata elettorale, diviene un partito nazionale, con il suo centro propulsore al Nord (40% dei consensi in media), un peso importante al Centro (33,5%), al Sud (23,5) e nelle Isole (22,4%).
Il partito guidato da Salvini ha conquistato voti tra i baby boomers (+19%), i Millennials (+11%), i giovanissimi della Generazione Z (+21%), gli operai (+29%), i professionisti (+12%), i ceti poveri (+18%), i ceti medio-bassi (+18%) e le donne (+17%).
A sospingere il voto per la Lega sono stati diversi fattori: il no all’immigrazione (45%); il bisogno di mettere al primo posto gli italiani (26%); la convinzione che solo la Lega sia in grado di rilanciare l’economia e il lavoro (21%); la volontà , di una quota non minoritaria di elettori, di sostenere e dare forza a Matteo Salvini (27%).
Per quanto attiene il Pd, il quadro è quello di una sostanziale tenuta rispetto al 2018 (è il partito con il maggior tasso di riconferme di voto: 68%).
In termini di flussi di voti, il partito guidato da Zingaretti, ha recuperato il 7% dei consensi da M5s, il 10% dall’astensione, il 6% dai partiti di sinistra e il 4% da quanti avevano votato per +Europa.
Il Pd ha riconquistato un po’ di Millennials (+6%) e di giovanissimi della Generazione Z (+9%).
Continua a non parlare con il mondo operaio (solo il 13% vota per il Pd), mentre ha ricominciato a ritessere il dialogo con i ceti poveri (+6%) e medio-bassi (+3%).
Se osserviamo le appartenenze politiche che compongono la base elettorale del Pd e le confrontiamo con quelle del 2014, scopriamo che si è prosciugata la vena centrista (-8%), mentre si è rafforzata l’anima di sinistra (+16%).
A sospingere il voto per il partito di Zingaretti è stata, soprattutto, la polarizzazione dello scontro con Salvini: il 40% ha votato il Pd per contrastare l’avanzata del populismo, il 29% per fermare il leader della Lega, il 34% per costruire un nuovo centrosinistra.
Il quadro delle dinamiche emerse dal voto di domenica 26 maggio, ci mostra un Paese nel pieno di una fase di transizione politica, in un interregno gramsciano tra non più e non ancora.
Un processo evolutivo che ha dapprima corroso e deperito gli assetti e i protagonisti che hanno caratterizzato il campo politico della Seconda Repubblica, per iniziare a edificare, mattone su mattone, i contorni di un nuovo quadro politico-identitario.
Si tratta di una metamorfosi che supera i riferimenti storici del confronto destra-sinistra, riposizionando il campo politico lungo l’asse comunità chiusa e comunità aperta. Un ridisegno che, pur contenendo la distinzione storica destra-sinistra, si caratterizza per il confronto tra i propugnatori del “prima gli italiani” e i sostenitori di società marcata da forme di “comunanza umanistica”.
Con le elezioni europee, la Lega di Matteo Salvini ha portato a compimento uno dei processi di ridisegno del quadro politico nazionale, riconfigurando l’identità maggioritaria del centrodestra: da neo-liberista a protezionistico-primatista.
Il fronte contrapposto all’offerta Salviniana, invece, è in via di ricomposizione. Si è aperta, tra M5s e Pd, la lotta per l’egemonia politica di questa parte del campo politico nazionale, che propende per una visione di comunità aperta, europeista e ambientalista.
I pentastellati, in questi mesi di doppia identità (partito arginatore di Salvini e al governo con Salvini) hanno subito un appannamento della sua dimensione identitaria trasversale (nè di sinistra nè di destra) e del suo posizionamento antisistema.
M5s non solo ha deluso parte del suo elettorato, ma ha anche infragilito il proprio profilo identitario originario.
Il gruppo, nato sotto la spinta di Beppe Grillo, ha edificato il proprio consenso intorno alla dimensione dello scontro popolo-èlite (il cuore dell’offerta politica M5s è sempre stato l’essere anti-casta e anti-corruzione).
Nel corso dell’ultimo anno il movimento guidato da Di Maio ha evidenziato, agli occhi dei suoi elettori, elementi di dubbia tenuta sui fattori fondanti e non è riuscito a sostituire l’inevitabile appannamento del profilo anti-sistema, con determinanti dosi di cambiamento nel modo di governare le città e il Paese.
Il M5s si è ritrovato così all’interno di una doppia morsa. Da un lato, sul fronte di centrodestra, ha sbattuto contro il muro leghista e si è visto soffiare quote consistenti di elettori che hanno trovato in “prima gli italiani” un approdo credibile, con un leader confacente alle loro esigenze.
Dall’altro lato, sul fronte di centrosinistra, il M5s si è trovato a fare i conti con la resilienza e il mutamento d’indirizzo assunto dal Pd.
Il gruppo guidato da Zingaretti, spostandosi dall’asse puramente modernista-centrista ha marcato maggiormente il territorio, iniziando a ridisegnare la propria mission al centro delle pulsioni per una comunità aperta e marcata da una maggiore equità sociale.
Lo scontro tra M5s e Pd per l’egemonia in questo campo è solo agli inizi. I prossimi atti e le scelte dei diversi attori ci diranno quale direzione e quali contorni prenderà questa vasta parte del campo politico nazionale (stiamo Parlando comunque di oltre il 40% dell’elettorato) e ci permetteranno di comprendere come procederà il ridisegno degli assetti politici nel nostro Paese.
(da “Huffingtonpost”)
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Maggio 27th, 2019 Riccardo Fucile
IL 26,4% DEGLI ELETTORI GRILLINI 2018 HANNO VOTATO LEGA, IL 10% PD
Nella giornata di ieri gli italiani si sono recati alle urne per eleggere il nuovo Parlamento europeo e, per la quarta elezione nazionale consecutiva dal 2013, si è registrato un nuovo terremoto nello scenario politico italiano.
Protagonisti di questa nuova rivoluzione i due partiti di governo, Lega e Movimento 5 Stelle, che nell’arco di poco più di un anno si sono scambiati peso e posizioni all’interno del quadro politico italiano.
Il partito di Matteo Salvini, difatti, nell’arco di poco più di un anno è passato dal 17,4% al 34,3%, guadagnando, in un’elezione con un’affluenza storicamente più bassa, quasi 3 milioni e mezzo di voti, mentre il Movimento 5 Stelle è arretrato pesantemente sia in termini relativi (scendendo dal 32,7% del 2018 al 17,1% di ieri), sia assoluti, perdendo poco meno di 6 milioni di voti.
L’enorme crescita della Lega si è verificata principalmente per due ordini di motivi:
La quasi totalità degli elettori di Salvini del 4 Marzo 2018 (90,8%) si è recata nuovamente alle urne per confermare il proprio voto: una percentuale estremamente alta alla luce del calo dell’affluenza;
Oltre un elettore su quattro (26,4%, pari a più di 2 milioni e 600mila italiani) del Movimento 5 Stelle il 4 Marzo ha deciso a sua volta di spostarsi sulla Lega.
Ben diversa la cosa per il Movimento 5 Stelle, che ha visto confermato il voto da meno della metà degli elettori di Marzo 2018 (42,9%): oltre all’emorragia verso la Lega, un elettore su 10 si è spostato sul Partito Democratico, mentre il 17% ha deciso di rimanere a casa.
Il risultato di queste elezioni, d’altra parte, è stato determinato fondamentalmente dalla capacità dei partiti di rimobilitare i propri elettori: Partito Democratico e Fratelli d’Italia, le altre due forze che hanno ben figurato in questa tornata elettorale, hanno avuto una conferma del voto da parte di 4 elettori su 5.
Forza Italia e la Sinistra, invece, si sono rivelati incapaci di farlo, disperdendo il proprio voto non solo verso l’astensione ma anche verso gli altri partiti che concorrevano alle elezioni.
Ma il vero fenomeno politico è stato, chiaramente, la dispersione dell’elettorato del Movimento 5 Stelle, specialmente in favore della Lega.
Per quanto il partito tradizionalmente soffra le elezioni non politiche nazionali, è da sottolinearsi come questo voto abbia registrato un flusso d’uscita estremamente ampio diretto verso gli altri partiti.
In particolare, la creazione del governo gialloverde ha innescato un processo che, sapientemente sfruttato da Salvini attraverso l’imposizione continua dell’agenda mediatica e di governo, ha dato l’accesso alla Lega a un enorme bacino di nuovi elettori.
Mentre negli anni precedenti il comportamento dell’elettorato pentastellato deluso era stato tendenzialmente di fuga verso l’astensione o di rientro all’interno delle famiglie politiche di provenienza, quest’anno si è riversato verso l’alleato di governo.
Ed è questo probabilmente l’avvenimento più rilevante nel quadro in continua trasformazione della politica italiana che ci ha portato queste elezioni europee.
(da “Huffingtonpost”)
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Maggio 27th, 2019 Riccardo Fucile
CARA MARA, GIUSTO IL RICHIAMO ALLE FORZE LIBERALI EUROPEE VINCENTI, MA DIMENTICHI UN DETTAGLIO: QUELLE NON REGGONO LA CODA AI SOVRANISTI E NON SALVANO I SEQUESTRATORI DI PERSONE DAI PROCESSI
E’ il caso di smentire subito la tentazione di autosufficienza che emerge dai primi commenti elettorali di Lega e Fratelli d’Italia, giustamente soddisfatti per la loro affermazione. Senza Forza Italia nè Matteo Salvini nè Giorgia Meloni avrebbero la garanzia di un analogo risultato alle Politiche, perchè nei collegi uninominali del Sud e delle Isole una eventuale alleanza a due non basterebbe per prevalere sugli avversari.
E’ un dato di realtà , non un discorso consolatorio. Lo si può eludere, fingendo che il risultato di domenica sia perfettamente sovrapponibile a un voto futuribile per il Parlamento italiano, oppure accettarlo come indicatore di un dato molto semplice: sì, è vero, le destre italiane hanno vissuto una giornata importante e un’accelerazione elettorale che ha pochi precedenti, ma la loro aspirazione a guidare il Paese passa comunque per una ricostituzione del centrodestra su nuove basi. A meno che non voglia rischiare di consegnare il Paese alle sinistre.
Questa ricostituzione – a differenza di quel che pensano alcuni amici di Forza Italia – non dipende unicamente dalla volontà di Matteo Salvini. Dipende soprattutto da noi.
Noi dobbiamo dare prova di un’effettiva volontà di rinnovamento che tenga il passo con i grandi eventi che scuotono l’Europa. Ovunque i moderati si sono attrezzati ai tempi che corrono, rinnovando le classi dirigenti, ricostruendo con altri criteri le loro vecchie strutture, aggiornando l’analisi sulle priorità dei loro elettorati, cambiando le parole d’ordine.
In Francia, Germania, Olanda, in Spagna e persino in Grecia, le forze popolari e liberali hanno “tenuto” o registrato risultati importanti grazie a netti atti di cambiamento compiuti nell’ultimo triennio.
L’unico Paese dove il mondo conservatore ha pensato di poter giocare la partita della continuità è l’Inghilterra, e si è visto come sono finiti i Tories: seppelliti dai loro errori.
Gli italiani, in un anno denso di appuntamenti elettorali, le regionali degli ultimi mesi, ora le europee e il grande risultato che si profila in Piemonte, hanno indicato la direzione con chiarezza: centrodestra al governo.
Forza Italia deve essere all’altezza di quella indicazione. Non basta più incalzare Salvini perchè “torni a casa”, come se fosse un coniuge capriccioso. Bisogna operare per restituire al nostro partito un ruolo nelle dinamiche nazionali e un’immagine attiva sulla scena politica quotidiana.
Forza Italia non può più essere gestita da uno staff. Ha bisogno di una struttura politica in grado di prendere decisioni e assumersene le responsabilità . Deve valorizzare le energie e le competenze che si sono formate in questi anni. Deve uscire dalla pigrizia e dai piccoli calcoli personali che hanno impedito finora di fare punto e a capo.
Non è troppo tardi, la fiducia degli elettori ci ha aperto questa possibilità assegnandoci un ruolo determinante in metà del Paese. Questa occasione non va sprecata. Ancora una volta il presidente Berlusconi è stato determinante per la tenuta del partito.
Accanto a lui bisogna costruire una squadra alla sua altezza, e all’altezza delle richieste di quella parte di elettorato che chiede alla grande storia di Forza Italia di andare avanti, nella direzione giusta.
Mara Carfagna
Deputata di Forza Italia, vicepresidente della Camera
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Maggio 27th, 2019 Riccardo Fucile
MENTRE FORZA NUOVA SI FERMA ALLO 0,15%, MENO PERSINO DEL PARTITO PIRATA (CHE NON CONOSCE NESSUNO)
Hanno urlato alla censura, hanno condotto una campagna soffiando sull’odio nei confronti di “zingari” e stranieri ma cosa resta di CasaPound dopo le elezioni del 26 maggio?
Si va al voto e si scopre che a livello nazionale il partito di Iannone e Di Stefano ha conquistato la bellezza di 88mila voti pari allo 0,33%.
Per fare un confronto il Partito Animalista ha preso quasi il doppio dei voti di CasaPound (159mila, lo 0,60%) e anche il partito di Mario Adinolfi, il Popolo della Famiglia, ha fatto qualcosa in più degli occupanti dello stabile in via Napoleone III a Roma.
Simone Di Stefano oggi su Facebook senza dare numeri ha spiegato che «oltre metà dei nostri elettori ha scelto altri partiti, oppure ha deciso di astenersi». A parte che non è chiaro come faccia Di Stefano a sapere che cosa fanno i suoi elettori questo significa che al massimo possono contare su 180mila voti a livello nazionale, un dato che è in ogni caso al di sotto dell’1%.
Alle politiche di marzo 2018 CasaPound aveva preso lo 0,9% e Di Stefano aveva dato la colpa al poco spazio concesso sulle televisioni.
Ora che invece CasaPound, per essere un partito che rappresenta meno di centomila elettori, di spazio in televisione ne ha avuto a sufficienza (grazie ai vari Formigli) la colpa di chi è?
Secondo Di Stefano, intenzionato a fare al più presto una “riflessione seria” la colpa è della «sinistra e i media hanno voluto caratterizzare la campagna elettorale in un assurdo dibattito fascismo/antifascismo».
Insomma mentre quelli di CasaPound rivendicano di essere fascisti è colpa dei giornalise scrivono o dicono che in Italia ci sono dei neofascisti che vanno in giro a dichiararsi orgogliosamente fascisti come ha fatto Polacchi di Altaforte.
Ma non è finita qui perchè secondo Di Stefano «questo fronte antifascista ha clamorosamente fallito» perchè «hanno vinto i partiti convinti di poter riformare l’Unione europea».
Ora non è chiaro se Di Stefano sta parlando della vittoria della Lega in Italia oppure della presunta vittoria dei sovranisti in Europa. La prima c’è stata, la seconda decisamente no.
Va decisamente peggio per l’altra forza di ultradestra. Forza Nuova con poco più di 40mila voti prende lo 0,15% dei voti e riesce nell’incredibile impresa di fare peggio del Partito Pirata.
O meglio, il Partito Pirata, un partito di cui davvero nessuno sa qualcosa e che non gode certo dell’esposizione mediatica di CasaPound e Forza Nuova riesce a fare quasi quanto il partito di Gianluca Iannone. Evidentemente la censura non è il vero problema.
Il punto è che CasaPound non ha più senso di esistere nel panorama politico italiano perchè ormai i (pochi) voti di CasaPound sono tutti confluiti dentro alla Lega di Salvini che dopo la rottura con “Sovranità ” si è letteralmente appropriato di tutti i temi sovranistico-nazionalisti che sono il core business di CPI.
A questo punto un partito politico serio farebbe una riflessione seria. E questa riflessione non dovrebbe cominciare con “colpa dei media e della sinistra”.
Ma soprattutto forse sarebbe il momento, per gli elettori di CPI (perchè i dirigenti lo sanno da un po’) di rendersi conto che portare acqua con le orecchie alla Lega significa scomparire.
(da “NextQuotidiano”)
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Maggio 27th, 2019 Riccardo Fucile
NESSUNO SUPERA LO SBARRAMENTO, IL SOLITO SUICIDIO POLITICO: UN’INTESA CON IL PD LO AVREBBE PORTATO A SFIORARE IL 30%
C’era un ottimismo assolutamente ingiustificato a sinistra, con proiezioni di voto al limite della fantascienza che vedevano (o speravano) una rimonta del Partito democratico e un’alzata di testa della sinistra in generale.
In parte è stato vero, il Pd ha recuperato quei voti che i cinque stelle non sono stati in grado di tenersi stretti per neanche un anno, ma è anche vera un’altra cosa: che la frammentazione della sinistra di fronte a una Lega potentissima e agli altri partiti di destra che le fanno una corte spietata è stato un errore madornale.
Un errore classico, certo, ma comunque fatale per quei partiti di sinistra che hanno visto polverizzarsi le loro speranze di entrare al Parlamento europeo.
+Europa, i Verdi e La Sinistra non riescono a sfondare la soglia di sbarramento al 5% e rimangono quindi a casa.
Lasciando di fatto il Pd da solo contro la Lega, il M5s e la galassia di destra italiana, che invece con Forza Italia e Fratelli d’Italia è pronta a spalleggiare e fare le fusa alla Lega di Salvini nella malcelata speranza che il Capitano faccia il colpo di mano e rovesci il governo.
Disperdere in questo modo i voti della sinistra (per la precisione: +Europa 3,11% per 831mila voti; Verdi 2,32% per 619mila voti; La Sinistra 1,75% per 469mila voti) è stata una mancanza di lungimiranza imperdonabile: anzichè riunirsi in un’unica lista progressista contro un nemico comune, tralasciando le inevitabili divergenze, si è scelto invece di arroccarsi su quest’ultime, frammentando l’elettorato e di fatto regalando due milioni di voti all’oblio o peggio, all’inutilità .
(da agenzie)
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Maggio 27th, 2019 Riccardo Fucile
L’ELENCO DEI TROMBATI ALLE ELEZIONI EUROPEE
Daniela Aiuto, David Borrelli, Marco Affronte. Tre dei quattro fuoriusciti dal MoVimento 5 Stelle che hanno tentato di ricandidarsi all’Europarlamento non ce l’hanno fatta.
I primi due si erano candidati con +Europa (la Aiuto al Sud e Borrelli a Nord Est) mentre Affronte con Europa Verde.
Entrambi i partiti non hanno superato la soglia di sbarramento del 4%.
Potrebbe invece farcela Marco Zanni, candidato con la Lega nella circoscrizione Nord Ovest. È nono, ma Salvini è capolista e non è chiaro dove e se verrà eletto.
Quindi l’ex eurodeputato M5S, uscito dal MoVimento dopo il tentativo di ingresso nell’ALDE (orchestrato da Borrelli e che causò anche l’uscita di Affronte) potrebbe tornare a Bruxelles con la Lega.
In casa del Partito Democratico Daniele Viotti (Nord Ovest) non tornerà sui banchi dell’Europarlamento. A Nord Est non viene riconfermata Cecile Kyenge e rimane fuori anche l’ex sindaco di Montebelluna (ex candidata alla Segreteria ed ex senatrice) Laura Puppato. Dovrebbe invece entrare Alessandra Moretti (che era già stata eletta nel 2014 ma si era dimessa per correre alle Regionali).
L’Eurodeputato uscente Dario Tamburrano, candidato per il M5S nella circoscrizione Centro, dovrebbe invece rimanere fuori, con 9.168 preferenze è quinto dopo Castaldo, Rondinelli, Nogarin e Agea.
Con il 15,95% dovrebbero passare solo i primi due, quindi oltre a Tamburrano rimane fuori l’eurodeputata uscente Laura Agea e il sindaco di Livorno Filippo Nogarin che su Facebook ha affidato ad un fotomontaggio il commento dell’esito del voto
Al Sud per il MoVimento 5 Stelle è in bilico ma dovrebbe farcela l’eurodeputata uscente Rosa D’Amato (famosa per essersi inventata una dichiarazione di Alexander Purcell su Xylella) mentre rischia di rimanere fuori Isabella Adinolfi.
Caso abbastanza particolare il suo nel 2014 era stata la migliore del M5S su base nazionale dopo Ignazio Corrao con 67mila preferenze. A questa tornata elettorale si ferma a 37mila voti.
Ce la fa invece — finalmente — Dino Riccardo Maria Giarrusso detto Iena che risulta essere il candidato più votato in assoluto del MoVimento 5 Stelle in questa tornata elettorale. Non brillano invece le capilista scelte personalmente da Luigi Di Maio.
Sicuramente verranno elette tutte ma non hanno fatto il pieno di preferenze, segno forse che la base non ha gradito l’imposizione dall’alto di candidate pressochè sconosciute e non votate alle europarlamentarie.
I due Mussolini, l’eurodeputata Alessandra candidata con FI e Caio Giulio Cesare con FdI rimarranno entrambi fuori.
Alessandra Mussolini infatti è arrivata terza nella circoscrizione dell’Italia Centrale con appena 14mila preferenze. Nel 2014 la nipote del Duce era arrivata seconda dietro Tajani con oltre 81mila preferenze. Anche questo è uno dei segni del continuo cedimento del partito di Berlusconi (che invece sarà eletto).
Per Caio Mussolini la situazione è abbastanza chiara: è quinto tra i candidati di Fratelli d’Italia (con 21mila preferenze) e anche se la Meloni rinunciasse a farsi eleggere nella circoscrizione Meridionale FdI dovrebbe eleggere all’Europarlamento almeno Raffele Fitto, passato da FI a FdI.
(da agenzie)
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Maggio 27th, 2019 Riccardo Fucile
TUTTI PARLANO DEI SOVRANISTI, MA I VERDI RACCOLGONO PIU’ SEGGI DI LORO A BRUXELLES
Dovevano essere le elezioni dell’ondata sovranista, di una voglia di cambiamento destinata a triturare i partiti europeisti e a sovvertire lo status quo.
Non è andata così: l’avanzata delle forze euroscettiche è stata contenuta, popolari e socialisti hanno tenuto botta e il prossimo presidente della Commissione europea verrà fuori ancora una volta da un accordo tra partiti moderati ed europeisti (qui la composizione del prossimo parlamento europeo).
Ciò significa che il desiderio di cambiamento in realtà non esisteva, che i cittadini erano soddisfatti del funzionamento delle istituzioni Ue e che la rabbia montante era solo una fantasia cavalcata ad arte dai populisti? Niente affatto.
Ciò che è venuto fuori, però, è che il popolo europeo ha voluto indirizzare la sua insoddisfazione verso forze dedite alla costruzione e non alla distruzione.
Hanno aumentato voti e seggi i liberali, anche grazie all’effetto Macron, sebbene quest’ultimo sia uscito sconfitto in patria, superato da Marine Le Pen.
Ma, soprattutto, a vincere sono stati i Verdi. Il grido ambientalista lanciato da Greta Thunberg e fatto proprio da milioni di persone con gli scioperi globali sul clima ha avuto un chiaro effetto nelle urne.
I risultati dei Verdi — In Germania, i Verdi si sono affermati come seconda forza politica della nazione, dietro solo alla Cdu-Csu della Cancelliera Angela Merkel, comunque in vistoso calo rispetto alle precedenti tornate elettorali.
“Adesso cambiamo insieme questa Europa”, ha ringraziato commossa la co-leader Annalena Baerbock, secondo cui i tedeschi si sono espressi “per la protezione del clima, per la democrazia, contro il populismo e per i diritti dell’uomo”.
I Verdi sono ormai la principale forza di opposizione in Germania, nettamente avanti rispetto ai socialdemocratici.
Un ottimo risultato degli ambientalisti si è registrato anche in Francia: qui la lista Europe-Ecologie les Verts, il partito ecologista guidato da Yannick Jadot, è il terzo partito con il 12,8 per cento dei consensi, molto meglio della destra dei Republicains e dei socialisti, e dietro soltanto alla Le Pen e a Macron.
E che dire dell’Irlanda? Qui i Verdi hanno sbaragliato la concorrenza nella capitale Dublino, affermandosi come primo partito con oltre il 20 per cento dei consensi.
Anche a livello nazionale, gli ambientalisti irlandesi sono andati molto bene, salendo in cinque anni dall’1,6 al 15 per cento.
Complessivamente, nel prossimo parlamento europeo i Verdi dovrebbero avere 69 seggi, 17 in più rispetto alla precedente legislatura, quando ne avevano 52.
Una crescita esponenziale che ha intercettato la voglia di cambiamento soprattutto dei giovani, indirizzandola però verso una linea comunque europeista. Solo all’interno dell’Ue, infatti, è possibile portare avanti le battaglie globali contro il cambiamento climatico.
Impossibile, su questo tema, muoversi da soli, come tanti pezzetti di un puzzle impossibili da incastrare tra loro. La battaglia climatica è per definizione globale e può essere condotta solo all’interno di una cornice politica sovranazionale.
Questo i Verdi, a tutte le latitudini, l’hanno capito bene, impostando campagne elettorali filo-Ue che sono state premiate dagli elettori.
Se questi ultimi erano scettici nei confronti di popolari e socialisti, che hanno comunque tenuto botta ma hanno registrato un calo nei consensi, erano però evidentemente disposti a scommettere un europeismo rinnovato e pronto ad affrontare le sfide del futuro, come appunto quello incarnato dai Verdi.
L’ambientalismo, in questo scenario, può allora rappresentare davvero l’avanguardia politica dei prossimi anni. È (anche) sulla base delle battaglie ambientali che l’Europa può rilanciarsi come progetto politico comune e sconfiggere il sovranismo.
Di sicuro questa è una delle richieste più importanti che emerge dalle urne. Come sappiamo, a spingere sul tema dei cambiamenti climatici sono soprattutto i giovani, quelli che hanno riempito le piazze di tutta Europa negli ultimi mesi e che invocano risposte immediate da parte di chi ha il potere e gli strumenti per poterle dare.
Con gli Stati Uniti guidati dal negazionista Trump, la Cina pronta a tutto pur di pompare al massimo la propria crescita industriale, solo l’Europa sembra in grado di poter fare propria una missione di questa portata.
L’ambientalismo, ovviamente, per fare da traino all’europeismo dovrà coniugarsi con la difesa dei diritti sociali, con la creazione di posti di lavoro, non dovrà insomma essere percepito come un movimento elitario e in contrasto con i bisogni primari di chi è in difficoltà .
Ancora una volta, sta all’Europa raccogliere il messaggio delle urne e non sprecare questa occasione storica, rispondendo al grido di una generazione e facendo dell’ambientalismo l’avanguardia anti-populista del continente.
(da agenzie)
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Maggio 27th, 2019 Riccardo Fucile
“HA RINUNCIATO A SEGUIRE I NOSTRI IDEALI ED E’ FINITO VAMPIRIZZATO DALLA LEGA”
“Il capo politico del Movimento dovrebbe prendere atto della sconfitta e rassegnare le dimissioni, se avesse dignità . Ha sbagliato tutto. M5S è ridotto a metà di ciò che era”. Gregorio De Falco, senatore eletto con il Movimento Cinque Stelle e poi espulso per la sua opposizione al decreto sicurezza, commenta con TPI il crollo M5S alle elezioni europee (qui i risultati).
Senatore, qual è il suo commento sul risultato delle elezioni europee?
Non c’è nessun commento nuovo, sono cose che diciamo da tempo. Da quando il Movimento ha cominciato a perseguire una politica lontana da i propri ideali si è fatto sfrattare e vampirizzare dalla Lega.
Il Movimento è ridotto a metà di quello che era. Si potrebbe dire M5S fratto due.
Quando uno non riconosce nell’operare quotidiano i valori che ha proclamato per tanto tempo, compie un vero e proprio tradimento delle aspettative che ha generato.
Quindi lei si aspettava questo risultato?
Il Movimento Cinque Stelle negli ultimi due mesi probabilmente ha recuperato qualcosa. Il risultato poteva essere ancora peggiore. Ma ciò che è davvero brutto non è il risultato M5S. È il risultato italiano. Adesso vedo che il Pd è assurdamente contento del risultato. Qui ciascun partito guarda il proprio ombelico e mi sembra che nessuno dei partiti stia capendo — tranne quelli che hanno vinto ovviamente — la portata del risultato.
Il risultato è inquietante: i partiti progressisti, di civiltà , che propugnano la libertà e la democrazia hanno perso. È questo che è inquietante.Trovo veramente sconcertante la soddisfazione dei partiti che hanno vinto, ma lo hanno fatto a danno dell’Italia. Non c’è stata la capacità di offrire all’elettore una vera alternativa. Ho una visione piuttosto fosca del risultato.
L’errore del M5S quindi secondo lei non è stato in campagna elettorale ma nell’accordo di governo con Salvini?
La campagna elettorale ha portato qualche punticino, ma quello che pesa veramente al momento del voto è ciò che è stato fatto. Aver tagliato le pensioni sopra i 1.522 euro non può aver portato voti al Movimento, nè ha portato giovamento alle persone che vivono con quelle pensioni. Tutto qui.
Pensa che il risultato delle Europee avrà ripercussioni sul governo?
Lo ha già annunciato ieri Salvini quando si parlava del 30 per cento alla Lega, figuriamoci stamattina che ci svegliamo con il 34 per cento.
Le ripercussioni sono molto chiare e vanno ben al di là della compagine formale del governo, riguardano i temi.
La Lega imporrà i propri temi in modo assoluto. Si parlerà — come è già stato annunciato — del decreto sicurezza bis, e di tutte quelle tematiche su cui in campagna elettorale il Movimento faceva opposizione.
A somma quasi invariata dei due partiti di governo ora si sono invertite le posizioni. Ma mentre il Movimento ha lasciato condurre al socio di minoranza, la Lega, che ora è diventato socio di maggioranza, ha già detto ieri sera: “io pongo i temi”.
Di fronte a queste imposizioni il Movimento sarà chiamato a scegliere se assecondare l’alleato o meno. Il Movimento deve assolutamente fare un’autocritica enorme, partendo dal proprio rapporto rappresentanti — elettori. Non può proclamare democrazia e non praticarla. Il punto è sempre stato questo. Ed è paradigmatico ciò che è successo a me.
Pensa che dovrebbero rimettere ai propri elettori la scelta se proseguire con questo governo o meno?
Non è soltanto una questione di governo. Per il Movimento si tratta di una scelta di vita. In questo momento è destinato alla consunzione, a finire. Il che non è un male: nel momento in cui dovesse rimanere così non avrebbe senso. Diventerebbe una costola della Lega, la sua ruota di scorta.Il capo politico del Movimento dovrebbe prendere atto della sconfitta e rassegnare le dimissioni, se avesse dignità .
Nello statuto del Movimento c’è scritto che chi ha fatto perdere un gran numero di voti deve essere sottoposto a un procedimento disciplinare sanzionatorio (il riferimento è all’articolo 11, lettera h) punto 3, che cita le “mancanze che abbiano provocato o rischiato di provocare una lesione all’immagine od una perdita di consensi per il MoVimento 5 Stelle, od ostacolato la sua azione politica” tra i comportamenti che possono determinare l’adozione di provvedimenti sanzionatori, ndr). Il capo politico ha sbagliato tutto: ha perso oltre la metà dei voti. Non perchè abbia fatto una politica sbagliata, ma perchè non ha seguito il metodo democratico.
Occorrerebbe riaprire lo statuto e i regolamenti alla democrazia. Poi bisognerebbe ritornare ai valori fondanti e vedere quali di questi sono ancora pilastri del Movimento e quali no. Questo attraverso un rapporto vero con gli elettori, non tramite Rousseau.
Con delle primarie allora?
Bisogna attuare il metodo democratico, lo impone la costituzione all’articolo 49. Il metodo democratico non vuol dire solo maggioranza e minoranza, ma anche rispetto delle idee altrui, quindi discussioni se necessario. Non verticismo assoluto.Questo è ciò che abbiamo detto da quando ci siamo avviati sulla strada illiberale del decreto sicurezza, e poi abbiamo proseguito con la legge sulla legittima difesa, quando abbiamo rinnegato il tema ambientalista con il decreto Genova. Tutta questa serie di comportamenti non poteva che portare al fallimento. Non posso inoltre non ricordare il grosso tradimento di principio che è stato fatto sulla questione Diciotti. Il Movimento ha riconosciuto nel caso Diciotti che un ministro in quanto tale non è soggetto alla legge. Questo è gravissimo, laddove noi vogliamo togliere le prerogative di legge. Questa forma di immunità irragionevole perchè concessa a un ministro in quanto tale, senza collegamento col fatto, è fuori dal mondo in qualunque partito, figuriamoci nel Movimento.
Cosa pensa invece del decreto sicurezza bis?
È irragionevole, fa ribrezzo ed è inumano. Le multe ai soccorritori, che prima erano commisurate al numero di persone salvate, sono state traslate attribuendo la multa alla nave. Un modo per nascondere sotto il tappetto questa crudeltà mentale. Si dovrà fare così, come diceva qualcuno, chiamare in banca e chiedere se si possono salvare i naufraghi oppure no. L’articolo 2 sposta la competenza fissata dall’articolo 86 del codice della navigazione dal ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti al ministro degli Interni. Questa modifica del codice della navigazione apparentemente non c’è più ma è stata reintrodotta nella quarta o quinta versione. Che il ministro competente oggi per legge, Toninelli, non abbia detto una parola al riguardo è molto significativo dell’imbarazzo in cui si trova per la sua inadeguatezza.Qual è la ragione per spostare questa competenza dal ministero dei Trasporti, dove sta da sempre, al ministero degli Interni, che non si dovrebbe occupare dei mari internazionali. Gli altri articoli, che non si riesce a leggere, sono forse anche peggiori. Ad esempio c’è quella norma che vieta al manifestante di esprimere il proprio pensiero anche per strada davanti agli agenti. Gli vieta addirittura di difendersi dalle manganellate. Non può farsi scudo, non può opporre — cioè frapporre tra sè e l’azione di carica della polizia — una resistenza. Questa norma è liberticida.
(da TPI)
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Maggio 27th, 2019 Riccardo Fucile
IL PUNTO DI SVOLTA IN NEGATIVO LA NEGAZIONE DI QUELLA BATTAGLIA PER LA LEGALITA’ CHE ERA UNA CONNOTAZIONE DEL M5S
Prima di dedicarsi ai salmi e alle preghiere del mattino, come sembra aver suggerito Beppe Grillo, Luigi Di Maio dovrebbe imparare a fare l’analisi delle sconfitte.
Visto che proprio la sconfitta sta diventando una costante del Movimento 5 Stelle e che mai abbiamo assistito a una disamina lucida delle tornate elettorale che si sono alternate dalle politiche del 2018 a oggi.
Nella notte, il leader politico del Movimento 5 Stelle ha affermato che la sconfitta pentastellata è dovuta alla scarsa affluenza al sud e allo scarso radicamento sul territorio.
Scuse. Perchè l’affluenza al sud non è stata così diversa rispetto alle scorse elezioni europee, perchè le elezioni europee sono una competizione nazionale e non territoriale. Luigi Di Maio dovrebbe imparare a guardare in faccia la realtà . E a capire che il bacio mortale dato a Salvini è un punto di non ritorno per il Movimento 5 Stelle.
Non tanto per le politiche sull’immigrazione, non tanto per un contratto di governo diventato litigioso, non tanto per la distribuzione delle cariche all’interno dell’esecutivo.
Il Movimento 5 Stelle ha perso la sua credibilità agli occhi degli elettori quando, dopo esser stato giustizialista senza se e senza ma in tutte le occasioni precedenti, ha scelto di salvare Matteo Salvini dal processo chiesto dal tribunale dei ministri sul caso della nave Diciotti.
In quella circostanza, ha dimostrato due cose: che i politici del Movimento 5 Stelle, pur di conservare il posto al governo, sono disposti ad andare contro i propri principi; che Matteo Salvini è e resta intoccabile e che, forzando un po’ la mano, ha quella potenza di fuoco di fare quello che vuole.
Non è un caso che, secondo YouTrend, la maggior parte dei voti persi dal Movimento 5 Stelle non è andato al Pd (come vuole la leggenda del ritorno all’ovile), ma proprio in direzione della Lega.
Due partiti che, nella loro attività di governo, vengono percepiti come la stessa cosa, con Matteo Salvini che ha schiacciato con forza i propri alleati dal punto di vista della popolarità . Questo, ovviamente, anche grazie all’episodio del processo sulla nave Diciotti.
L’altro grande bacino di voti perso dal Movimento 5 Stelle è andato verso l’astensione. E allora sì, questo dato si può citare ma solo se si ha prima l’onestà intellettuale di dire che la partita con la Lega è stata persa su tutti i fronti.
Ma a quanto pare, Di Maio è ancora troppo scosso per ammetterlo.
(da agenzie)
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