Maggio 22nd, 2019 Riccardo Fucile
UN BEL COLPO DI SPUGNA SUGLI AMMINISTRATORI PUBBLICI. E’ LA LEGA DEGLI IMPUNITI
“Io abolirei l’abuso d’ufficio“. Detta così, secca, nello studio di Porta a porta, a quattro giorni dalle elezioni europee, nelle stesse ore in cui l’Onu si complimenta con l’Italia per il lavoro svolto contro la corruzione.
Matteo Salvini è andato giù dritto, senza mezze misure: “Io lo abolirei, perchè non posso bloccare 8mila sindaci per la paura che uno possa essere indagato. Ci sono sindaci che non firmano niente per paura di essere indagati”.
Un annuncio o, meglio, un auspicio che se fosse realizzato cancellerebbe d’un sol colpo centinaia di indagini a carico di amministratori locali (non solo sindaci) e che arriva dopo le inchieste che hanno coinvolto anche politici locali del Carroccio, primo fra tutto il governatore della Lombardia Attilio Fontana, indagato dalla Procura di Milano proprio per abuso d’ufficio.
Il ministro dell’Interno, oltretutto, ha detto anche altro, soprattutto di ciò che accadrà da lunedì prossimo, a urne chiuse.
Nel governo ritornerà la pace e tutte le liti di questi giorni saranno dimenticate? “Tutto cancellato no, perchè quando si entra nel personale… Spero che i ministri tornino al lavoro” ha detto Salvini, che poi ha corretto il tiro della Lega sul premier Conte.
Se nei giorni scorsi il sottosegretario Giorgetti aveva accusato il presidente del Consiglio di non essere una figura di garanzia, oggi il segretario leghista ha smorzato i toni, dicendo il contrario: “Conte è ancora un elemento di garanzia
(da agenzie)
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Maggio 22nd, 2019 Riccardo Fucile
IL SELFIE DA CASA E’ MENO RISCHIOSO… L’APPELLO DI MORISI: “FACCIAMOGLI SENTIRE CHE NON E’ SOLO”… MA COME SOLO, NON ERA LUI CHE PARLAVA A NOME DI 60 MILIONI DI ITALIANI E CHE RADUNAVA FOLLE OCEANICHE NELLE PIAZZE? FORSE QUALCUNO SI STA CACANDO SOTTO?
Cosa succede se sei al Governo da un anno e nemmeno la minima parte di tutto quello che avevi promesso si è realizzata?
Quando si è al potere, in testa nei sondaggi e si è addirittura vicepremier non si può dare la colpa a quelli di prima. O meglio, lo puoi fare, ma dopo un anno il giochino non funziona più.
Cosa resta? Si può raccontare di essere “sotto attacco” e a rischio censura. Ma quando si controlla la Rai, si è ospiti in tutte le trasmissioni televisive e i giornali fanno la fila per pubblicare l’ultima dichiarazione si rischia di non essere poi così credibili.
Cosa fai se sei Matteo Salvini e devi disperatamente far parlare di te?
Quei gran geni della comunicazione della Lega hanno pensato oggi che era il momento buono per tirare fuori dal cassetto dei trucchi social un vecchio gioco di prestigio: il selfie con Salvini.
Non quelli a rischio contestazione ma una versione più facile da realizzare. Bastano un paio di forbici e un po’ di colla vinilica? Ancora meglio: è sufficiente correre in edicola e comprare l’ultimo numero di Panorama dove c’è il bel faccione del Capitano in copertina.
Chissà da quanto tempo la preparavano questa operazione svuotaedicole. Perchè nel mondo della Lega tutto deve avere un nome combattivo, militaresco, il militante è uno che agisce e segue gli ordini. Il passo dall’ordine di “chiudere i porti” a quello di svuotare le edicole è breve, ma ridicolo.
Facciamo sentire al Capitano che non è solo, facciamogli sentire il nostro affetto, dice il social megafono Luca Morisi.
Ma come, con i bagni di folla oceanica ai comizi Salvini si sente solo? C’è qualcosa che non torna.
Che genio quel Morisi vero? Non proprio perchè l’operazione #svuotaedicole era stata già già lanciata nel 2018, in occasione della copertina dedicata a Salvini sceriffo sempre da Panorama.
Ma il giochino è ancora più vecchio per la verità . Nel 2014 quel gran genio di Morisi aveva lanciato l’operazione svuotaedicole. Non indovinerete mai in che occasione: una copertina di Panorama su L’altro Matteo. All’epoca il domatore della Bestia era entusiasta per l’ondata di selfie salviniani.
Ma non pensate che Morisi sappia solo svuotare le edicole. Nel 2016 aveva lanciato un’operazione più impegnativa: lo #svuotalibrerie aveva appena pubblicato il suo libro Secondo Matteo. Il nostro Capitan Ruspa all’epoca. Ora Salvini ai comizi porta direttamente il Vangelo con gli evangelisti originali; un bel salto di qualità .
Ma ancora non basta. Perchè c’è ancora troppo odio in giro nei confronti di Salvini. Non ci credete? Guardate cosa ha scoperto una giornalista d’inchiesta su Twitter.
Ci sono persone, i cosiddetti “buoni” che su Internet scrivono cose orribili.
Cose come «salvini muori salvini crepa salvini bastardo salvini infame sparate a salvini” Una pappardella di insulti che in realtà è una citazione dallo stesso Salvini che qualche tempo fa a Otto e Mezzo aveva enumerato tutte le minacce ricevute in questi dodici mesi. Ma attenzione: siccome lo fanno senza mettere virgolette allora sono anche queste minacce, minacce di minaccia? Inception.
Il “Capitano”però ci ha preso gusto, sa che giocare la carta della vittima conviene sempre. Meglio farlo con un po’ di ironia. Ed ecco che i leghisti, in ossequio al Cambiamento del governo Conte, danno una rinfrescata al vecchio detto “piove governo ladro”. Così vecchio che non fa ridere nessuno.
Ma il vicepremier sa che se sei bello ti tirano le pietre, se sei brutto ti tirano le pietre e che quindi tanto vale mandarla in vacca. Ecco che quindi è colpa di Salvini se piove oppure se la vostra ragazza vi ha lasciati. Il piromane di Mirandola che doveva essere espulso non è stato espulso? Quella non è colpa di Salvini. Un indagato per corruzione al governo? No, non è #colpadiSalvini. I migranti sbarcano anche se i porti sono chiusi? Sarà mica colpa di Salvini dai. L’Iva aumenterà al 25,2%? Non scherziamo, non è colpa di Salvini.
Però se qualcuno vi ha spoilerato il finale di Game of Thrones oggi sapete a chi dare la colpa.
(da “NextQuotidiano”)
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Maggio 22nd, 2019 Riccardo Fucile
LA DISTANZA DA SALVINI… LA SUA PAZIENZA E’ FINITA… MA TUTTO DIPENDE DALLE EUROPEE E DAI NUMERI
Con quell’aria un po’ così, da lombardo burbero, incline ad andare al dunque, quando tutti vogliono convincersi del contrario, che taglia corto, come dicono dalle sue parti: “Dura minga, non può durare”.
Giancarlo Giorgetti, il mediatore, abile da più lustri nell’arte del compromesso, stavolta si muove in direzione ostinata e contraria, perchè il realismo non è pessimismo, a costo di essere o apparire un gigantesco “rompiballe”.
È giusto così, pensa: vanno dette le cose come stanno, al netto delle interviste rassicuranti, degli spin allarmanti, di una politica come rappresentazione che prescinde dalla realtà di un governo che non c’è più.
Eccolo, nel suo borbottio quotidiano, l’ennesimo “dura minga”, l’ennesimo, nell’ultima settimana, dopo anni di silenzio, mesi di parole dosate col contagocce, nell’ambito di un ruolo interpretato un po’ alla Richelieu politico, un po’ alla mister Wolf tecnico, che risolve problemi, nell’era in cui si twitta prima di risolvere un dossier, perchè la comunicazione è l’unico Dio: “Io non accuso nessuno ma dico che così non si può andare avanti. Lo si può fare solo se dopo le Europee si torna a lavorare”.
Ha deciso di dire la verità , in quest’orgia di ipocrisia di due soci di governo che non sono più d’accordo su nulla, ma, ripetono, “dureremo quattro anni”, senza dire come, dopo che il falò della campagna ha bruciato fiducia, rapporti umani e logica, perchè tattica vuole, secondo un’espressione abusata, che sia l’altro a rimanere col cerino in mano.
Spiegano dentro la Lega che, tra lui e Salvini c’è perfetta sintonia, accomunati da un sentimento di sfiducia verso i Cinque Stelle, diventata grido di dolore che parte dal territorio, dal Nord produttivo e operoso, dalle categorie che hanno investito sulla Lega e ora vedono disattesi gli impegni presi e scattano in una standing ovation al presidente di Confindustria Boccia quando denuncia l’immobilismo.
La verità è che c’è qualcosa di più, di un gioco delle parti, tutto interno alla Lega.
Il burbero Giorgetti, da sempre leale col capo con Bossi ai tempi di Bossi, con Maroni ai tempi di Maroni, sopravvissuto al crollo dell’uno e dell’altro non è mai stato e non è il capo di una fronda.
È uno che lavora per il leader e anche nei momenti più difficili. In questa sua uscita dall’ombra c’è una operazione politica, un messaggio anche a Salvini: dice ciò che pensa si debba fare e che è giusto fare, direbbero a sinistra, per la Ditta, in questo caso per Salvini che, in fondo, ancora non ha deciso fino a che punto tirare la corda fino in fondo rischia di rimanere incastrato, proprio nel momento del suo massimo successo. Non sarebbe la prima volta che il declino inizia proprio nel momento in cui è stata raggiunta la vetta.
Una fase si è chiusa, nella paralisi del non governo, fermo da tre settimane. Non c’è più un contratto, un orizzonte, c’è solo un gigantesco casino che renderebbe ridicolo da lunedì, far finta che non sia successo nulla.
Chi ha parlato con lui racconta che l’argine della pazienza si è rotto e, avanti così, si rischia di tracimare nell’autolesionismo.
Non è il solo, in un partito in cui, basta parlare con i governatori del Nord, cresce quotidianamente il fronte del voto. Ed è indicativo quel che è successo martedì sera. Salvini gli ha chiesto di pressare per riuscire a fare il consiglio dei ministri e di tentarle tutte per portare a casa il decreto sicurezza. La risposta di Giorgetti è stata brusca. E suona più o meno così: “Parlaci tu, che io con questi non ci voglio più avere a che fare”.
È sinceramente convinto che non si possa andare avanti con dei partner di governo che lo accusano di ogni nefandezza, “manine” e trame nascoste, che lo descrivono come il capo del partito degli indagati, la vecchia Lega di potere legata a Berlusconi, che ormai è una perdita di tempo, come la telenovela di un consiglio che era chiaro non avrebbe portato a nulla. E infatti lunedì lo ha disertato, sapendo come sarebbe a finire.
È chiaro quale è la sua linea, che al momento — nelle intenzioni – è anche quella di Salvini. Presentare il conto al primo consiglio dei ministri post-voto: subito sicurezza, autonomia, i punti irrinunciabili per la Lega, senza aprire il valzer delle poltrone, il rituale della verifica, una nuova soap sul rimpasto.
Se tutto va come deve andare, si dirà a Conte e Di Maio “hai visto i numeri? La vulgata vuole che dipende dai numeri.
Ma c’è un problema complessivo di agibilità nel contesto politico. I numeri innescano dinamiche. La brusca sconfitta alle regionali ha prodotto un aumento di conflittualità dei Cinque Stelle per recuperare, un successo alle europee darebbe loro forza negoziale.
Comunque la metti, arriverà il momento delle scelte, alla prossima nave che sbarca, al primo provvedimento che non si potrà più rinviare. Il rompiballe si è messo un passo avanti.
(da “Huffingtonpost”)
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Maggio 22nd, 2019 Riccardo Fucile
CONTE SALE AL COLLE E FA AUTOCRITICA: “NESSUN RUOLO DI CENSURA PREVENTIVA DEL CAPO DELLO STATO”
“Quando sarà approvato il decreto Sicurezza bis? Presto spero, sto tornando a Roma per questo”. Matteo Salvini, intorno all’ora di pranzo, continuava imperterrito con il motivetto ripetuto ostinatamente negli ultimi giorni alla ricerca di uno spot elettorale prima del voto di domenica.
Ma in quegli stessi minuti il premier Giuseppe Conte si trovava al Colle, a pranzo con il presidente Sergio Mattarella.
Un paio d’ore di colloquio e poi un lungo silenzio, al termine del quale il presidente del Consiglio decide di dichiarare nella sala stampa di Palazzo Chigi. Solo poche frasi, brevi e precise: “Il Consiglio dei ministri per approvare il decreto Sicurezza bis e il decreto Natalità sarà la prossima settimana”. Fine.
Nessuna possibilità per i giornalisti di porre domande, ma il premier rilascia una precisazione di non poco conto: “Sul decreto Sicurezza non si può attribuire al Capo dello Stato l’intento di censura preventiva nè il ruolo di sindacato preventivo”.
Così Conte, dopo le notizie lasciate filtrare lunedì sera da Palazzo Chigi circa i dubbi del presidente della Repubblica, si lascia alle spalle il Quirinale ricoprendo il ruolo di avvocato del Colle e prendendosi lui tutta la responsabilità in una sorta di autocritica.
Il premier non boccia l’ultima versione del decreto Sicurezza e così trova il modo per togliere ogni alibi ai due vicepremier, rimandando tutto al primo giorno utile della prossima settimana, sminando il terreno di scontro tra Lega e M5s.
Sia il vicepremier leghista, che avrebbe voluto sventolare la bandiera del decreto Sicurezza bis già venerdì nel comizio di chiusura della campagna elettorale, sia il vicepremier grillino, che ha fatto di tutto per fermare il provvedimento targato Salvini e nello stesso tempo ha rilanciato con il decreto Natalità , rimangono con in mano un pugno di mosche.
In fondo su entrambi i decreti c’erano molte perplessità . Su quello leghista pesava un ginepraio giuridico e su quello M5s un problema di coperture evidenziato anche dalla Ragioneria dello Stato.
Conte prima di parlare davanti alle telecamere ha sentito emtrambi per comunicare la decisione.
Sta di fatto però, che al di là delle parole, il provvedimento non vedrà luce prima del voto. E come è possibile immaginare, dopo il 26 maggio sarà tutta un’altra storia.
Alla fine i due vicepremier sono costretti a rassegnarsi.
Il tono di Di Maio e Salvini cambia nell’arco di poche ore. Ad un passo dal voto e in una giornata delicatissima per le sorti dell’esecutivo, che ha visto il premier Giuseppe Conte salire al Quirinale per un faccia a faccia con il Capo dello Stato, ed un chiarimento Salvini e il Presidente del Consiglio, il leader del Carroccio decide infatti di indossare l’abito del pompiere.
“Certo — dice il segretario leghista – Conte è un elemento di garanzia. Ho tanti difetti, ma sono leale, se do la mia parola, vale e l’ho data agli italiani, ai 5Stelle e al presidente del Consiglio. Sono contento delle cose che abbiamo fatto”.
Ma nella Lega a pungolare il premier ci pensa il sottosegretario Giancarlo Giorgetti, è lui che guida il fronte della rottura e si fa portavoce del malumore crescente dentro il partito che spinge a rompere con i 5 stelle: “Non accuso nessuno, tanto meno il premier, ma così non si può andare avanti, senza affiatamento”, attacca il sottosegretario alla presidenza del Consiglio puntando l’indice contro l’”immobilismo” dell’esecutivo in carica.
Di Maio non ne può più: “Basta minacciare crisi di governo e basta fare la conta delle poltrone. Si pensi al Paese”.
I timori del M5s per un possibile strappo della Lega, tra il pressing per un profondo rimpasto e crisi, dopo il voto di domenica restano infatti altissimi. Ma nello stesso tempo il leader M5s è contento di aver incassato il rinvio del decreto Sicurezza e consapevole che il decreto Natalità difficilmente avrebbe trovato in così poco tempo il via libera della Ragioneria dello Stato: “ Ora c’è tutto il tempo di lavorare insieme sui rimpatri, che sono una questione importante da affrontare con determinazione. Condivido le parole del presidente del Consiglio, nel sollecitare rispetto per il Capo dello Stato”.
Anche il vicepremier grillino veste i panni, come il presidente del Consiglio, dell’avvocato del Colle dopo averlo tirato in ballo per fare scudo contro il decreto Sicurezza.
(da “Huffingtonpost“)
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Maggio 22nd, 2019 Riccardo Fucile
ISTAT: SE NON AUMENTANO I CONSUMI E NON CALA LA DISOCCUPAZIONE A COSA SERVE IL REDDITO DI CITTADINANZA?
Il Reddito di Cittadinanza è stato presentato in due modi.
Da un lato come una misura utile per far uscire cinque milioni di persone dalla povertà e aiutare gli italiani a trovare lavoro.
Dall’altra, per giustificare il costo del sussidio voluto dal MoVimento 5 Stelle, gli esperti di economia pentastellati ci hanno spiegato che in questo modo si sarebbero rilanciati i consumi e che quindi grazie all’aiuto ai poveri sarebbe ripartito l’intero Paese.
Questo concetto è ben riassunto nella nota vignetta di Marione e del fornaio che dopo aver venduto tantissimo pane grazie al Reddito di Cittadinanza decide di assumere uno dei percettori.
Gli affari andranno a gonfie vele con il Reddito di Cittadinanza, solo un idiota non lo capirebbe.
Ebbene, siamo al secondo mese di erogazione della misura che ha abolito la povertà ma il governo non ha ancora avviato la riforma dei centri per l’impiego nè sono partiti i famosi corsi per l’inserimento lavorativo.
Ma almeno arrivano i soldi, si dirà . E con i soldi le famiglie potranno fare acquisti e di conseguenza mettere in moto l’economia. La risposta però è no.
Perchè l’Istat oggi ha diffuso il report con le prospettive di crescita per l’Italia nel 2019 e l’impatto del RdC è, di fatto, risibile.
Scrive infatti l’Istituto di statistica che «per l’anno corrente si prevede un moderato incremento dei consumi delle famiglie e delle ISP [le Istituzioni sociali private al servizio delle famiglie Ndr] sostenuto dall’aumento del monte salari e, in misura limitata, dalle misure sul reddito di cittadinanza».
Qualcuno potrebbe dire che non è certo colpa del governo. Ma non è così, perchè come abbiamo spiegato qui i ritardi nell’emanazione del decreto attuativo sul RdC — quello che dovrebbe dire cosa è consentito acquistare con la card — provocano una notevole incertezza. E sicuramente non è l’unico fattore di cui ha tenuto conto l’Istat.
Continua l’Istat: « Nel 2019, in Italia la spesa delle famiglie e delle ISP in termini reali è prevista crescere a un tasso simile a quello del 2018 (+0,5% rispetto a +0,6%)».
Per quelli che stanno per dire che “è cresciuto dello 0,1% grazie al RdC” quella frase significa che anche senza il Reddito di Cittadinanza la spesa delle famiglie sarebbe cresciuta ugualmente di quello 0,1% perchè il tasso di crescita previsto per il 2019 è lo stesso.
Ma almeno diminuirà la disoccupazione. No, perchè l’Istat dice che per il 2019 «si prevede il proseguimento dell’attuale fase di moderazione dell’occupazione.
In media d’anno le unità di lavoro sono attese rimanere vicino ai livelli dell’anno precedente (+0,1%)».
Ieri a Di Martedì la ministra del Sud Barbara Lezzi ha detto che «le previsioni sono sempre state smentite» ma come ha ricordato Floris «sì ma in peggio».
E questo infatti è nulla, immaginate questa stessa situazione ma con l’Iva al 25,2%, secondo voi quanto potranno decollare i consumi nel 2020?
(da “NextQuotidiano”)
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Maggio 22nd, 2019 Riccardo Fucile
IL VIDEO CHE SMASCHERA LE IMMAGINI TAROCCO DI SALVINI CONTESTATO A PUTIGNANO “DA QUATTRO GATTI” (MA ERANO EQUIVALENTI A QUELLI SOTTO IL SUO PALCO)
Il viaggio di Matteo Salvini in Puglia non sta andando bene. Più che una cavalcata trionfale del liberatore dei terroni oppressi sembra la versione alternativa della sceneggiatura di Benvenuti al Sud dove in realtà il ministro dell’Interno non sembra essere proprio il benvenuto.
È successo ieri a Lecce e a Bari con due comizi per pochi intimi ed è successo oggi a Putignano.
Questa volta però lo staff della comunicazione del vicepremier non si è fatto trovare impreparato. E così ha voluto mostrare ai rosiconi e ai professoroni che alla fine sì, c’è qualche contestatore ma mica tanti.
Avrebbe voluto dire quante cose belle sta facendo per il Paese ma purtroppo non è possibile. Non perchè abbia fatto cose brutte ma perchè non ha fatto nulla.
Oppure Salvini avrebbe potuto semplicemente limitarsi ricordare che alla fine quello che conta non sono quanti vanno ai comizi ma quanti lo voteranno domenica. Ma questo però finirebbe per rendere inutile il suo tour elettorale. E che ci va a fare Salvini tutto il giorno al Viminale?
Ma ecco che a Putignano Salvini ha avuto l’idea geniale: mandare uno del suo staff a filmare i quattro gatti che lo contestavano.
Un applauso per il coraggioso che si è infilato in mezzo a facinorosi e violenti per scoprire che in realtà nessuno era lì per menare le mani. C’è un problema però. Guardando il video di Salvini sembra che di gente “contro” ce ne sia pochina.
Ma al solito il trucco c’è. E sul gruppo Facebook San Michele News è spuntato il video che riprende tutta la scena.
E la realtà è molto diversa da come la racconta il Capitano. Perchè non c’è “una marea di gente” o meglio c’è ma sono quelli che fischiettano. «Qualcuno ha bigiato e non è andato a scuola, son contento, tanto l’insegnante è di sinistra» dice quello che vuole reintrodurre grembiulini e l’ora di educazione civica a scuola per insegnare il senso del dovere.
Il video della diretta ricorre al solito espediente delle inquadrature strette che mostrano solo le prime file.
Il video girato “tra i manifestanti” vorrebbe mostrare che i contestatori sono pochissimi. Ma basta davvero poco per svelare questi trucchetti da propaganda dei regimi comunisti. Salvini dice che parlare di comunismo nel 2019 non ha senso.
Usare i metodi della propaganda comunista invece pare vada ancora di moda.
(da “NextQuotidiano”)
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Maggio 22nd, 2019 Riccardo Fucile
“HANNO TRASFORMATO IL RICORDO DEL GIUDICE FALCONE NEL FESTINO DI SANTA ROSALIA: AL POSTO DEI TURIBOLANTI MINISTRI ROMANI CHE DI MAFIA NON SANNO NULLA”
Il presidente della Regione Nello Musumeci e quello dell’Antimafia Claudio Fava disertano l’aula bunker. Dopo l’invito rivolto al ministro degli Interni Matteo Salvini il fronte dell’antimafia si spacca: il primo ad annunciare il ritiro dalle manifestazioni è Fava, che nei giorni scorsi aveva invece detto di voler partecipare.
“Il ministro dell’Interno — aveva specificato – ha il dovere di venire a Palermo per ricordare Falcone, non vorrei però che Salvini trasformasse la sua partecipazione nell’ennesimo comizio. Sono curioso di vedere come il ministro sempre assente dal Viminale, luogo dal quale si coordina la lotta alla mafia, spiegherà quello che ha fatto per contrastarla”
Adesso l’annuncio della sua non partecipazione.
Alla spicciolata, così, le disdette fioccano. Da “Casa Minutella” arriva anche la presa di posizione del presidente della Regione Nello Musumeci: “Domani, dolorosamente, non sarò all’aula bunker per la prima volta — dice – Non andrò e mi dispiace per la signora Falcone. Le polemiche sono tante, c’è troppo veleno e tutto questo non suona a rispetto della memoria del giudice Falcone e dei poveri agenti della scorta”. Musumeci — il cui entourage fa filtrare la voce che la decisione era già stata presa ieri — annuncia l’intenzione di ricordare Falcone andando “alla caserma Lungaro per la deposizione della corona d’alloro da parte del capo della polizia. Poi tornerò nel mio ufficio a lavorare per tentare di tirar fuori i ragazzi dal condizionamento da parte della criminalità organizzata che si nutre e alimenta della disperazione dei giovani soprattutto nelle periferie dove lo Stato ha difficoltà ad arrivare”
Alla base della non presenza di Fava è stata la scaletta degli interventi “imposta da Roma”: “Domani non andrò a ricordare Giovanni Falcone nell’aula bunker di Palermo. Preferisco andare a Capaci, nel luogo in cui tutto accadde, preferisco stare assieme a chi non ama le messe cantate sui morti. Hanno trasformato il ricordo del giudice Falcone nel Festino di Santa Rosalia. Al posto dei vescovi e dei turibolanti che spargono incenso, domani ci saranno i ministri romani, gli unici che avranno titolo per parlare (con la loro brava diretta televisiva) e per spiegarci come si combatte Cosa nostra. Cioè verranno loro, da Roma, per spiegarlo a noi siciliani, a chi da mezzo secolo si scortica l’anima e si piaga le ginocchia nel tentativo di liberarsi dalle mafie”.
“La scaletta degli interventi – attacca Fava – è stata elaborata dai collaboratori del ministro dell’istruzione, che finanzia il Festino, dunque viene e parla assieme ai suoi colleghi di governo: gli altri in sala ad applaudire, come si fa a scuola col direttore. Una cerimonia patriottica grottesca. Il mio problema non è che invitino Salvini. Il mio problema è che chiedano a lui di dire e a noi di ascoltare. Fossi io la sorella di Giovanni Falcone, avrei chiesto a Salvini di venire e di tacere. Di ascoltare e di prendere appunti. Di avere l’umiltà , per un giorno, un solo giorno, di capire che nella vita ci sono cose più grandi delle campagne elettorali e delle dirette televisive. Se fossi io la Fondazione Falcone, avrei invitato i signori ministri nell’aula bunker di Palermo per ascoltare il procuratore generale di Palermo, il direttore del centro Impastato, il presidente della Fondazione La Torre, il procuratore della Repubblica di Agrigento (quello che Salvini vuole denunziare), il sindaco di Palermo, il portavoce della cooperativa Placido Rizzotto che si occupa da 20 anni dei beni confiscati ai corleonesi, un paio di giornalisti che di mafia ne scrivono ogni giorno da un quarto di secolo, il presidente di Libera, quello di Addiopizzo e magari anche il sottoscritto, per spiegare alle autorità romane quello che abbiamo imparato sulle antimafie di latta, sugli amici innominabili del cavaliere Montante a Roma e altrove, sul codazzo di senatori, nani, false vittime e ballerine che agitano la scena siciliana da molto tempo. Ma così non sarà . Verrà Salvini, e parlerà . Gli altri, muti. Pazienza. Io domani vado a Capaci”.
(da agenzie)
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Maggio 22nd, 2019 Riccardo Fucile
LE MOTIVAZIONI CON LE QUALI LA PROCURA DI CATANIA (LEGGERE BENE CATANIA) HA CHIESTO L’ARCHIVIAZIONE DELL’INDAGINE A CARICO DEL COMANDANTE E DEL CAPOMISSIONE… MA NESSUNO DEI POLITICI INFAMI CHIEDERA’ SCUSA
“Nessuna prova dell’esistenza di un programma criminoso da parte dei vertici della Ong volto ad effettuare plurimi salvataggi di migranti in modo illegale per favorirne il successivo ingresso illegale in Italia”.
Nette e inequivocabili le motivazioni con le quali è finita in archivio l’inchiesta per associazione per delinquere finalizzata al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina a carico della Ong spagnola e segnatamente di Marc Reig Creus e Ana Montes, comandante e capomissione della nave che il 15 marzo del 2018 soccorse 218 migranti in zona Sar libica in una giornata di molteplici eventi Sar.
La Open Arms, poi approdata nel porto di Pozzallo, fu posta sotto sequestro dal procuratore di Catania Carmelo Zuccaro che ravvisò nella condotta della Ong gli estremi per aprire un procedimento con la pesante accusa di associazione per delinquere, poi cassata dal presidente dei gip di Catania Nunzio Sarpietro, lo stesso giudice che ha ora accolto la richiesta di archiviazione formulata, ad un anno di distanza dalla Procura.
Alla Open Arms venivano contestate non solo le modalità del soccorso ma soprattutto la decisione di non rispettare le indicazioni delle sale operative di Tripoli e di Roma e del governo spagnolo e di non chiedere il porto sicuro neanche a Malta puntando verso l’Italia.
Il procuratore Zuccaro, il magistrato che ha sempre detto di avere le prove di contatti diretti tra le Ong e i trafficabti libici, alla fine ha chiuso l’inchiesta con un nulla di fatto.
Anche dopo il primo intervento del gip Sarpietro, la Procura di Catania ha continuato ad indagare sui due esponenti della Open Arms disponendo l’analisi e l’estrapolazione dei dati dei telefoni cellulati sequestrati al comandante e alla capomissione della nave. “Tuttavia – scrivono i sostituti procuratori Fabio Regolo e Andrea Bonomo – dall’analisi non emergevano ulteriori elementi di prova”
Da qui la richiesta di archiviazione integralmente accolta dal gip Sarpietro che ha definitivamente mandato in archivia l’inchiesta che per oltre un anno ha adombrato pesantissimi sospetti sulla Open Arms.
(da agenzie)
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Maggio 22nd, 2019 Riccardo Fucile
POTREBBE ESSERE DECISIVO L’ELETTORATO GRILLINO CHE VUOLE DARE UNA LEZIONE A SALVINI… E IL CAPITANO NON CI METTE LA FACCIA, NEL TIMORE DI UNA SCONFITTA
A Torino lo chiamano “Chiappendino”. È quell’asse che si è creato tra la sindaca cinquestelle Chiara Appendino e il governatore del Pd Sergio Chiamparino.
Normale collaborazione istituzionale, nessun intrigo politico o accordo sottobanco, ma tra i due è maturata in questi anni una certa sintonia, che sarebbe difficile da riprodurre se a presiedere la Regione Piemonte arrivasse il candidato del centrodestra Alberto Cirio.
Ecco allora che a cinque giorni dal voto per le elezioni regionali (oltre che per le europee e circa 800 comuni piemontesi), il “Chiappendino” potrebbe essere uno dei fattori in grado di decidere una competizione che appare sempre di più come un testa a testa tra il candidato del centrodestra e quello del centrosinistra.
I Cinquestelle e la stessa sindaca ovviamente smentiscono questa possibilità , ma a Palazzo Civico circolano insistentemente voci che vedrebbero l’ala sinistra del Movimento, quella più vicina alla Appendino, orientata a optare per il voto disgiunto sulla scheda per le regionali: lista M5S e Chiamparino presidente.
Una scelta dettata dal fatto che il loro candidato Governatore, Giorgio Bertola, appare decisamente staccato dai primi due.
Mentre invece il Presidente uscente del Pd è rientrato giorno dopo giorno sempre più in corsa per la riconferma, a dispetto di quella che fino a poche settimane fa appariva come una marcia trionfale per Cirio.
Pare che quest’ultimo sia stato avvisato per tempo dalla sondaggista Alessandra Ghisleri: “Per il momento sei ancora in testa, ma se cambia il quadro nazionale può succedere di tutto”.
E il quadro nazionale, in effetti, si è particolarmente intorbidito, con lo scontro aperto tra i due alleati di governo, un Salvini che assume posizioni sempre più radicali, Forza Italia (partito di cui Cirio è espressione) praticamente dissolta, mentre per contro il Pd di Zingaretti sembra riacquistare pian piano fiducia.
I fattori che possono contribuire a realizzare quello che lo stesso Chiamparino fino a qualche tempo fa definiva “il miracolo di Gianduja”, cioè la sua riconferma alla presidenza della Regione, sono diversi.
Innanzitutto, il suo consenso personale, misurato da tutti i sondaggi (prima del black-out imposto per legge) ben al di sopra di quello delle liste che lo sostengono. Per Cirio vale invece il discorso inverso, con la coalizione che appare più forte di lui.
Non è un dato trascurabile, in una regione in cui nelle precedenti tornate trecentomila voti, se non di più, sono stati attribuiti ai soli candidati a Presidente, senza indicazione per i simboli di partito.
Quindi, le scelte degli elettori cinquestelle: in una fase di radicalizzazione dello scontro con la Lega, non appare strano che essi possano voler punire lo scomodo alleato a Roma, mantenendo un tutto sommato accomodante status quo in Regione.
Anzi, se Chiamparino — come appare probabile, in caso di vittoria — non avesse la maggioranza in Consiglio, potrebbe a quel punto intraprendere la strada del dialogo con i grillini, sulla scia di quanto sta già in parte facendo Nicola Zingaretti nel Lazio.
I Cinquestelle assumerebbero così un ruolo centrale, che non possono aspettarsi invece dalle urne.
Infine, i voti dati ormai definitivamente in uscita dal M5S. Quelli cioè che avevano consentito l’elezione della Appendino e oggi sono delusi dalla sua amministrazione e dalle mosse del Movimento a livello nazionale, non ultima proprio l’alleanza con la Lega.
Un assaggio di ciò si è avuto ieri, all’assemblea dei movimenti e comitati vicini alla sinistra radicale, che in buon parte avevano visto nel Movimento un interlocutore. Il clima nei confronti della sindaca e dei suoi è adesso totalmente cambiato e negli interventi di ieri più volte si è affacciato il confronto tra l’attuale gestione e quella precedente del Pd.
Un giudizio non certo lusinghiero per entrambi. Alcuni di quei movimenti, che a Torino sono tradizionalmente radicati, si mostrano possibilisti di fronte a un sostegno diretto per Chiamparino, rafforzando il fronte sinistro della sua coalizione.
Di fronte a questa situazione, crescono le voci di malcontento in casa leghista.
Prima fra tutte, quella del sottosegretario Giancarlo Giorgetti. È noto che Cirio non fosse la sua prima scelta, avendo lavorato invece a suo tempo alla candidatura dell’imprenditore Paolo Damilano, e oggi rimprovera a Salvini di aver sacrificato la casella del Piemonte a favore di Forza Italia, pur di mantenere unita la coalizione a sostegno dei candidati leghisti in molti comuni.
Lo stesso vicepremier è rimasto molto contrariato dalla piazza semivuota che lo ha accolto a Torino il 27 aprile scorso, quando ancora l’eco delle contestazioni nei suoi confronti non era così forte. Tanto che medita di chiudere la campagna a Novi Ligure (dove è candidato sindaco un leghista), anzichè nel capoluogo.
E lì dovrebbe raggiungerlo Cirio, che sulle card che pubblicizzano l’evento allestiti dalla sezione locale del Carroccio non è nemmeno menzionato.
A risultare determinante per la vittoria finale sarà la tenuta della Lega nelle valli. Se qui gli elettori trasferiranno il proprio voto alle europee per il “Capitano” (che si preannuncia fortissimo) automaticamente anche su Cirio, il candidato del centrodestra potrà riuscire ad affermarsi, anche a discapito di un risultato che si preannuncia più complicato nel capoluogo. Ma se la periferia dovesse tradire, per Chiamparino le chances di vittoria diventerebbero sorprendentemente alte.
(da “Huffingtonpost”)
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