Maggio 28th, 2019 Riccardo Fucile
QUEI POLITICI CHE MENTONO DICENDO CHE NON SI PUO’ VIETARLI… E ALLORA LE FORZE DELL’ORDINE CARICARONO NOI MISSINI CHE VOLEVAMO ANDARE IN PIAZZA
Potrei dire, in termini politici, che scrivo queste poche note per “fatto personale”.
In realtà sono solo mosso da un senso di verità , dopo aver sentito certe esternazioni improvvide seguenti alla pessima gestione del comizio di Casapound da parte della politica , delle Istituzioni e delle forze dell’ordine.
Ancor oggi il sindaco di Genova, in consiglio comunale ha sostenuto, di fronte alle critiche delle opposizioni, che “il comizio non si poteva vietare”
In realtà tutti sanno, ed è stato oggetto di lunghe riunioni del Comitato per l’ordine pubblico, che “per ragioni di ordine pubblico” il prefetto , anche in campagna elettorale, può vietare un comizio o spostarlo in un luogo chiuso o in altra piazza più idonea, d’intesa con il Questore e il sindaco.
Se non è stato fatto è perchè qualcuno voleva “politicamente” che ci fossero incidenti in un centro città presidiato e chiuso al traffico, con disagi evidenti per i cittadini.
Tutto il resto è solo la naturale e prevista conseguenza di quella scelta.
Ma non si venga a dire che “un comizio in campagna elettorale non puo’ essere vietato” perchè non è vero.
Nel maggio 1976 (e le norme non sono cambiate) venne vietato l’annunciato comizio di Giorgio Almirante in piazza della Vittoria a Genova per “motivi di ordine pubblico”.
Il giorno prima a Sezze, un militante comunista era stato ucciso durante i disordini successivi al comizio di Sandro Saccucci (che voi venne assolto dall’accusa in Cassazione per non aver commesso il fatto, in quanto avvenuto in un secondo momento , quando si era ormai allontanato).
Almirante era già a Genova quando il divieto venne notificato, in una città presidiata dalle forze dell’ordine e in un clima che, al suo confronto, quello di oggi è poca cosa , con centinaia di militanti di “Lotta continua” e altre sigle extraparlamentari mobilitati per impedire il comizio “fantasma”.
Giusto per la cronaca: quando noi giovani missini cercammo di raggiungere ugualmente la piazza, la polizia caricò noi sotto la federazione, con i metodi ben noti, tanto cari ai cultori di quella sedicente destra attuale (che anche allora combattevano “i comunisti” nel tepore dei loro salotti di Albaro e Carignano, noti quartieri bene di Genova).
Non ci lamentammo, non era nostro costume, difendemmo la federazione impedendo alla polizia di esercitare un abuso, bloccando le scale.
Perchè ricordiamo questo episodio?
Perchè la politica è sempre divisa tra “quelli che ci mettono la faccia” e quelli che tirano le fila, raccontando bugie .
Non dimenticatelo, comunque la pensiate, vale per tutti.
argomento: denuncia | Commenta »
Maggio 28th, 2019 Riccardo Fucile
AUMENTA LA FRONDA INTERNA CHE CHIEDE UN PASSO INDIETRO DEL CAPO POLITICO,NUOVO VERTICE SERALE, ANCHE PARAGONE LO ATTACCA… DIGNITA’ ZERO: UN QUALSIASI SEGRETARIO CHE FACESSE PERDERE IL 16% DI VOTI AL PARTITO IN UN SOLO ANNO SI SAREBBE GIA’ DIMESSO
La testa del capo politico. Nel magma che è il Movimento 5 stelle dopo il calcio in bocca elettorale, sono servite quarantotto ore perchè gli sguardi basiti della prima ora si iniziassero a tramutare in una vera e propria richiesta di dimissioni.
Quelle di Luigi Di Maio, nella fattispecie. E non dal Governo, la cui esperienza, è il parere dei più, deve continuare, ma da capo politico del Movimento 5 stelle.
“Qui da noi sono tutti stupiti, non si capacitano come a Luigi non sia venuta in mente da solo la necessità di rimettere il suo incarico”.
È un uomo della comunicazione che passeggia fuori dal Palazzo, il Pantheon a pochi metri, a squadernare una situazione vicina allo psicodramma. “Soprattutto quelli del Senato, ce ne saranno almeno una trentina sul piede di guerra”.
È presto per trarre conclusioni, la situazione è molto liquida.
Ma sono in molti a pretendere che nel ritorno alle origini e alle istanze qualificanti del Movimento sia compresa anche la consultazione della base sulle decisioni cruciali.
“Le dimissioni si danno, non si chiedono — mette le mani avanti con Huffpost il senatore Matteo Mantero — Detto questo i nostri attivisti hanno votato il capo politico, sarebbe giusto chiedere a loro se dopo questa sconfitta debba andare avanti”.
Un passaggio formale, da effettuarsi su Rousseau, un vero e proprio referendum sulle responsabilità della “scoppola” (copyright Alessandro Di Battista).
A Mantero fa eco Gianluigi Paragone, uno che ha accesso alla stanza dei bottoni 5 stelle. La generosità di Luigi di mettere insieme 3-4 incarichi in qualche modo deve essere rivista — dice alle telecamere del fattoquotidiano.it — “M5s per ripartire ha bisogno di una leadership politica non dico h24 ma non siamo lontani”.
Poi la stilettata: “La discontinuità è una decisione che è già stata presa dai nostri elettori”.
A Montecitorio frotte di peones sciamano tra il Transatlantico e il cortile spaesati. “Qui da noi ce ne sono almeno una ventina che pretendono le dimissioni di Luigi — spiega uno dei vertici parlamentari — Ma ce ne saranno almeno altrettanti che si potrebbero aggiungere”. –
Una fronda enorme, che investe il cuore della leadership. Perchè tra i punti in discussione ci sono anche i direttivi di Camera e Senato.
Perchè sono stati scelti dal capo politico, sono espressione di un uomo solo al comando ora messo pesantemente in discussione.
In tanti chiedono anche le loro dimissioni, e che si proceda adesso a un voto.
Così come, paradossalmente, la richiesta di rimpasto parte dall’interno: “Ma li hai visti tanti nostri vice o sottosegretari? Ci sono alcuni che ci fanno perdere voti ogni giorno”.
Una reazione così violenta forse nemmeno i vertici se l’aspettavano. È servito che le aule parlamentari e si misurasse con mano il violento ribollire per avere la misura del dissenso montante. Che potrebbe esplodere nell’assemblea congiunta prevista per domani.
Anche per questo Di Maio ha convocato per questa sera un altro supervertice. Con i fedelissimi. Che potrebbe portare a una soluzione improvvisa. O avvelenare ancora di più il clima.
(da “Huffingtonpost”)
argomento: Grillo | Commenta »
Maggio 28th, 2019 Riccardo Fucile
GIOVEDI’ LA SENTENZA, CHIESTI 3 ANNI E 4 MESI PER PECULATO… PER SALVINI SE IL 34% HA VOTATO LEGA NON CONTANO I REATI, VOGLIONO ESSERE RAPPRESENTATI DA UN CONDANNATO… IN QUEL CASO I SUOI ELETTORI SONO DEGNI DI LUI
La sentenza sulle “spese pazze”? “Intanto ci auguriamo qualcosa di positivo, dovesse arrivare qualcosa di diverso abbiamo già detto che Rixi sta al suo posto. La Lega ha deciso”.
Lo afferma il capogruppo della Lega al Senato Massimiliano Romeo uscendo da Palazzo Chigi, assieme al sottosegretario ai Trasporti Edoardo Rixi, dopo la riunione sullo sblocca-cantieri.
L’ultima udienza in programma persso il tribunale di Genova, quella che a meno di imprevisti si chiuderà con la sentenza, era stata fissata al prossimo 30 maggio per evitare eventuali polemiche se fosse stata fatta prima delle elezioni europee.
Il procuratore aggiunto di Genova Francesco Pinto ha chiesto una pena di 3 anni e 4 mesi per Rixi.
C’è poi un altro leghista coinvolto nel processo, il senatore Francesco Bruzzone ( chiesti 2 anni e 3 mesi), e Matteo Rosso, eletto con Forza Italia e oggi dentro Fratelli d’Italia ( 3 anni e 6 mesi).
Tutti gli imputati sono accusati di peculato.
Secondo gli inquirenti, gli ex consiglieri regionali si sono fatti rimborsare con soldi pubblici, spacciandole per spese istituzionali, cene, viaggi, gite al luna park, birre, gratta e vinci, ostriche, fiori e biscottini.
In alcuni casi, sempre secondo l’accusa, venivano consegnate ricevute che erano state dimenticate da ignari avventori. In altri venivano modificati gli importi a mano. Per un ammontare di diverse centinaia di migliaia di euro.
Nelle ultime udienze i legali di alcuni imputati hanno chiesto, in via subordinata ad una assoluzione, la riformulazione del reato da peculato a indebita percezione di erogazioni o fondi pubblici. Proprio su questo tipo di reato è stata appena introdotta una modifica. subito sorpannominata “Salva Rixi”, che garantirebbe pene ridotte rispetto a una condanna per peculato, e soprattutto la prescrizione di sette anni e mezzo.
“Deve lasciare. Come fa a restare al suo posto se il Contratto di Governo dice altro?”, si chiede il capogruppo M5s alla Camera, Francesco D’Uva.
Anche Stefano Buffagni alza un muro: “Sono da sempre garantista e mi auguro che Rixi venga assolto. Se, però, questo non dovesse accadere voglio ricordare ai nostri alleati che c’è un contratto di Governo da rispettare dove c’è scritto chiaramente cosa si deve fare. Se non lo vogliono rispettare e farlo saltare lo dicano chiaramente e se ne assumano la piena responsabilità ”.
Il contratto dice che nessun membro del governo può restare dov’è con una condanna in primo grado su una serie di reati previsti dalla legge Severino, tra cui quello di peculato. Sarà questo il primo banco di prova del Governo gialloverde del post voto Europee. Nel mezzo c’è una questione, quella giudiziaria che riguarda i condannati, che da sempre è stata per i 5Stelle un suo tratto identitario. Cedere all’alleato significa arrendersi.
A Rixi il procuratore aggiunto Francesco Pinto e i militari della guardia di finanza contestano spese proprie non congrue per oltre 56 mila euro di spese tra bar, ristoranti, viaggi e spostamenti, oltre che per viaggi di cui avrebbero beneficiato terze persone.
Rispetto ad altre spese, rispettivamente per 19 mila e 49 mila euro Rixi sarebbe imputato in concorso per il suo ruolo di capogruppo per il fatto di non verificato la congruenza delle spese effettuate dagli altri consiglieri Maurizio Torterolo (che ha già patteggiato due anni) e Francesco Bruzzone.
(da agenzie)
argomento: Giustizia | Commenta »
Maggio 28th, 2019 Riccardo Fucile
LE REGOLE LE HANNO FATTE I PAESI MEMBRI, NON SOROS O BILDERBERG: NON SI PUO’ SFORARE IL DEFICIT O AUMENTARE IL DEBITO PUBBLICO… SALVINI NON SA NEMMENO COME SI FINANZIA IL DEBITO PUBBLICO
A dimostrazione del fatto che contrariamente a quanto promesso da Lega e M5S dopo le elezioni europee non è cambiato e non cambierà nulla per il nostro Paese sta per arrivare da Bruxelles una nuova lettera della Commissione.
La ragione di fondo è piuttosto semplice e la spiega Mario Seminerio su Phastidio.
Ci sono delle regole europee che dicono che non si può sforare il tetto del deficit e fare troppo debito pubblico in rapporto al PIL.
Sono regole che i singoli stati dell’Unione Europea hanno deciso di darsi: nessun Soros, Bilderberg o Potere Forte ce le ha imposte da fuori.
Così come nessuno ci ha catapultati dentro alla UE dall’oggi al domani senza che potessimo opporci. L’adesione all’Unione Europea lungi dall’essere parte di un diabolico piano per assoggettare i “popoli italici che abitano la nostra penisola da qualche secolo” fa parte di un lungo e faticoso processo di integrazione europea.
Ma allora perchè non possiamo fare più debito del consentito?
Non possiamo farlo perchè nessuna persona di buon senso si indebiterebbe in misura superiore alle sue capacità di ripagare il suo debito.
In primo luogo perchè c’è il rischio che in futuro sia sempre più difficile finanziare la spesa pubblica facendo deficit (leggi: ripagare il debito costa di più).
In secondo luogo perchè quel debito aggiuntivo lo devono ripagare i cittadini, non certo la Commissione Europea o gli altri paesi membri.
Incredibilmente quei cattivoni di Bruxelles stanno facendo gli interessi dei cittadini più di quanto non lo vogliano fare quelli che propongono di far saltare i conti pubblici.
Oggi Salvini in diretta su Facebook ha detto che negli uffici di Bruxelles «qualcuno non si rassegna» e arrivano lettere e letterine «per richiamare l’Italia e gli italiani a pagare, ad alzare le tasse».
A quanto pare infatti la Commissione Europea ha intenzione di richiamare il nostro Paese al rispetto delle regole e dei vincoli europei.
Sotto osservazione c’è — manco a dirlo — il debito pubblico e lo sforamento dei conti. Cosa rischiamo? Una sciocchezza: l’apertura di una procedura d’infrazione con conseguente multa da 3,5 miliardi di euro. Sotto osservazione ci sono i conti pubblici del 2018.
Colpa dei governi precedenti? Come spiega Federico Fubini sul Corriere della Sera Gentiloni si era impegnato a ridurre dell’0,3% il deficit strutturale ma a causa delle ben note oscillazioni dello spread innescate dal periodo di transizione dopo le politiche e le allarmanti dichiarazioni giallo-verdi quel disavanzo è aumentato.
C’è poi il futuro. Per il 2019 la Commissione prevede un aumento del debito e del rapporto deficit/PIL oltre il 3%.
A questo vanno aggiunte le dichiarazioni di Salvini che continua ad insistere sulla Flat Tax e a garantire che l’Iva non aumenterà . Eppure Salvini non dice dove troverà quei 23 miliardi di euro per evitare che nel 2020 l’Iva passi dal 22% al 25,2% come previsto nel DEF.
Il ministro dell’Interno dice che non vuole aumentare le tasse e al tempo stesso propone una “grande conferenza europea sul debito pubblico” con la BCE come garante del debito.
Dimenticandosi il piccolo dettaglio che in Europa lui e i suoi compari sovranisti sono ben lontani dall’avere la maggioranza (e quindi anche un qualche ruolo decisionale).
Moscovici fa sapere che preferirebbe chiedere misure aggiuntive e non sanzioni.
Salvini invece nella sua diretta Facebook è ancora in lotta contro lo spread: «non si capisce perchè i titoli di Stato tedeschi debbano essere in negativo mentre i titoli di Stato italiani debbano costare il 2% a chi li sottoscrive».
Ma a parte che semmai il costo lo paga chi emette i titoli di Stato e non chi li sottoscrive (vale a dire chi li acquista) forse Salvini non ha letto il DEF del suo governo dove il Ministero dell’Economia scrive che: «i rendimenti a cui lo Stato si indebita sono un termometro della fiducia nel Paese e nelle sue finanze pubbliche. Inoltre, essi giocano un ruolo cruciale nel determinare le condizioni di finanziamento per le banche e le aziende italiane».
Se il rendimento dei titoli tedeschi è negativo non è perchè non siamo tutti uguali (come dice Salvini) ma proprio perchè lo siamo.
A parità di condizioni (leggi uguaglianza di fronte ai mercati) finanziare il nostro debito pubblico costa di più perchè i mercati si fidano meno.
E indovinate cosa non piace ai mercati? Sapere che un paese indebitato fino al collo vuole fare più debito.
Salvini dice che «con trenta miliardi di euro» si potrà fare la tassa piatta e far ripartire l’economia. Una proposta che — garantisce — «è stata studiata nel dettaglio dagli economisti della Lega».
Si tratta quindi di fare 30 miliardi di euro di debito in più in un solo anno. E non si sa come perchè “fare debito” significa che qualcuno — gli investitori stranieri, i cittadini italiani, le banche italiane, la BCE e chi più ne ha più ne metta — deve essere disponibile a prestarceli quei soldi.
Il ministro dell’Interno poi assicura che «se fra un anno saremo stati bravi il debito sarà sceso e il PIL sarà salito». Il problema è che non è mai successo.
La Lega insiste sul “peso” del voto di domenica. Ma 9 milioni di voti che non solo sono altro che una componente minoritaria di tutti gli elettori italiani ma che non sono nulla in confronto ai 400 milioni di elettori dell’Unione Europea che non si sono espressi sulla possibilità che l’Italia possa sforare le regole europee.
Il precedente c’è ed è recente: Matteo Renzi nel 2014 aveva ottenuto il famoso 40% e non è riuscito a ottenere nulla sbattendo i pugni sul tavolo e togliendo le bandiere europee dallo sfondo.
Oggi i leghisti e i 5 Stelle si indignano per la lettera in arrivo da Bruxelles ma come ha spiegato oggi Carlo Cottarelli «era prevista da tempo una lettera Ue in cui si richiamasse la possibilità che si iniziasse una procedura per debito eccessivo a carico dell’Italia, che ha annunciato un deficit del 2,1% del Pil il prossimo anno» dal momento che «nello stesso Def il Governo scriveva di essere cosciente di non agire in linea con le regole europee».
Le regole europee non cambieranno ed anzi le dichiarazioni belliscose di Salvini rischiano di rendere ancora più difficile la situazioni.
Spiega Cottarelli all’agenzia DIRE che «i mercati finanziari comincerebbero a pensare che l’obiettivo e’ uscire dall’euro e allora a quel punto non si frenerà più la speculazione».
Poco importa che l’uscita dall’euro non è nel contratto; sappiamo che certe cose non si possono mettere per iscritto. Ma i mercati non sono scemi.
Salvini racconta che la Commissione cambierà , ma non dice che la scadenza naturale è a novembre e che probabilmente il mandato di Juncker potrebbe essere prorogato fino a fine anno a causa delle incertezze della Brexit.
Sarà quindi con l’attuale Commissione che il governo dovrà lavorare alla nuova legge di bilancio. E non è detto che per il futuro le cose possano andare meglio, tra i candidati si fa il nome di Michel Barnier il capo negoziatore per la UE della Brexit. Chiedere a Theresa May come sono andate le cose su quel versante
(da “NextQuotidiano”).
argomento: denuncia | Commenta »
Maggio 28th, 2019 Riccardo Fucile
“HA TRADITO I VALORI DEL MOVIMENTO, CAUSANDO IL DIMEZZAMENTO DEI VOTI IN UN ANNO”
Le elezioni europee hanno in Italia dato un responso chiaro: un netto vincitore – la Lega di Matteo Salvini -, un non vincitore e non (troppo) perdente – il PD allargato di Zingaretti- e uno sconfitto – il Movimento 5 Stelle e in particolare il capo politico Luigi Di Maio -, per il quale si può dire trattarsi di un caso da manuale di suicidio politico annunciato.
Infatti, a volerli cogliere, i segnali di una disfatta erano già evidenti e non da poco tempo, così come i rischi ai quali il Movimento stava andando incontro appiattendosi sempre di più sulle posizioni salviniste e tradendo sè stesso e i suoi elettori.
È di tutta evidenza che la responsabilità del crollo ricade in toto sul capo politico del Movimento, Luigi Di Maio, che dovrebbe ora prendere atto delle proprie responsabilità e dimettersi.
Responsabilità evidenti: far dimezzare, e oltre, i consensi in un anno, avendo perseguito una politica lontana dagli ideali del Movimento, facendosi vampirizzare dalla Lega; una colpa politica che non può non avere conseguenze sul ruolo di Di Maio, ricordando che nello Statuto, all’articolo 11, lettera h, punto 3, è stabilito che deve essere sottoposto a procedimento disciplinare colui che abbia provocato o rischi di provocare “una lesione all’immagine o una perdita di consensi per il MoVimento 5 Stelle”.
Sembra davvero scritto per Di Maio, che con la sua politica di appiattimento sulla Lega, ha causato un dimezzamento dei voti del Movimento e ne ha rinnegato gli ideali politici, non seguendo in alcun modo un metodo democratico nelle scelte che hanno condotto il Movimento alla sconfitta.
Di Maio e assieme a lui gli altri presunti leader del Movimento ne hanno tradito i valori e gli elettori, oltre aver contribuito a creare una situazione di confusione politica e istituzionale gravissima.
Il silenzio di Toninelli sulla “chiusura dei porti”, disposta arbitrariamente dal ministro dell’Interno, è il caso più clamoroso. È apparso chiarissimo che vi fosse una sola preoccupazione: quella di durare, di tirare a campare.
Ma il Movimento non ha alcun senso se tira a campare; non è da lui tenere strette le poltrone e aver paura di una crisi per non dover rinunciare al potere. Il Movimento si proponeva ben altro che la conquista del potere come fine e la tutela della posizione privilegiata di ministri e parlamentari ora terrorizzati dalla minaccia salviniana di far cadere il governo.
In questo anno si è imboccata una strada illiberale, partendo dal sostegno al decreto sicurezza, per poi arrivare alla legge sulla legittima difesa.
Il Movimento a guida Di Maio, inoltre, ha rinnegato i suoi principi ambientalisti con il voto sul condono a Ischia, inserito nel decreto “Emergenze”, relativo al Ponte Morandi di Genova.
Infine, vi è stato il tradimento dei principi che gli elettori avevano apprezzato sperando nel promesso cambiamento delle “abitudini” della politica e nell’abolizione dei privilegi.
Tradimento che ha raggiunto il suo apice con il voto del marzo scorso con cui è stata negata l’autorizzazione a procedere nei confronti del Ministro Salvini, che era stata chiesta dal Tribunale dei Ministri di Catania in conseguenza del sequestro di 177 persone a bordo della nave “Diciotti”.
Con quel voto si è stabilito un principio pericoloso e di per sè stesso assurdo, ma che lo è ancora di più per il Movimento: quello dell’assoluta e irragionevole immunità concessa a un ministro, posto al di sopra della legge proprio per la sua carica di ministro.
Quel Movimento che si era sempre battuto contro tutti gli irragionevoli privilegi della classe politica, ne concede uno del tutto ingiustificato a un ministro, temendo ripercussioni per la stabilità del governo.
Per questo è chiaro che Salvini si tiene ben stretto un Movimento geneticamente modificato come quello guidato da Di Maio, un Movimento che non potrà fare altro che dire sì, ancor di più oggi che è così indebolito, dopo aver mostrato di essere prono e obbediente pur essendo la maggiore forza politica per l’ampiezza del mandato conferitogli da milioni di elettori nel 2018.
Ma questa condotta condurrà alla consunzione del Movimento stesso che diverrà , ancor di più di quanto non sia stato in questi mesi, la ruota di scorta di un Salvini che, a maggior ragione oggi, con i rapporti di forza invertiti rispetto alle elezioni politiche, già impone i suoi temi, in un costante “prendere o lasciare”.
Le ultime dichiarazioni di Luigi Di Maio, sulla necessità di rispettare il contratto di governo, non prendendo atto della realtà , dimostrano la volontà di rimanere comunque abbarbicato pervicacemente alla posizione di potere occupata, con il sostengo irresponsabile anche di Alessandro Di Battista, e di altri esponenti del Movimento che sostengono la tesi che “si vince e si perde tutti assieme”.
Questo modo di pensare non solo paralizza il Movimento e lo conduce verso la rovina totale, ma – ed è più grave – si riflette direttamente sulla stessa democrazia italiana.
Partendo dalle dimissioni di Di Maio, invece, è necessario che il Movimento recuperi i valori fondanti – evidenziati dalle cinque stelle del simbolo – che devono essere alla base di una completa rifondazione del Movimento stesso.
Occorre tracciare una rotta secondo un orientamento chiaro. Non ha senso dire che il Movimento “non è di destra nè di sinistra”: la realtà è che per agire correttamente e in modo efficace è necessario scegliere la via da percorrere, con nettezza e con coraggio, aiutando i cittadini a comprendere anche le scelte della politica, rendendole prevedibili e comprensibili. E ciò si realizza solo avendo una visione complessiva della vita e, quindi, della politica.
Per questo il contratto di governo non è strumento adatto, mancando, appunto di quella visione complessiva e coraggiosa, ancorata ai valori e non alle poltrone. Non è possibile continuare a giustapporre argomenti come si è fatto sinora, e come, a quanto sembra, s’intende fare ancora, senza un progetto di respiro ampio, senza un’analisi della complessità della realtà , in un’ottica miope che, appare evidente, ha confuso e deluso tanti che avevano creduto nel Movimento, e che gli avevano dato fiducia nel marzo dello scorso anno.
Non si può nascondere il fatto che la situazione in Italia sia pessima e che Il Movimento abbia di fatto consegnato l’Italia alla destra. La Lega può imporre ora temi e agenda, e il Movimento si è costretto all’angolo, incapace di frenare la deriva per il timore di “andare a casa”, per la cieca difesa di una rendita di potere di pochi che ha devastato la stessa ragion d’essere dei 5 Stelle.
Anche per questo il suo rilancio parte da un giusto ricambio del gruppo dirigente che ha condotto alla sconfitta catastrofica. Si tratterebbe di un primo passo utile per avviare una riflessione complessiva su quanto si debba fare per il Paese.
Infatti, si tratta di avviare una riflessione molto più ampia, non solo interna solo al Movimento, ma che non può non riguardare anche il PD. Il Partito democratico, dal canto suo, ha poco o nulla da esultare, poichè il suo risultato è dovuto soprattutto alla differenza dei votanti rispetto al 2018.
È davvero preoccupante questa cecità davanti a un risultato che ha evidenziato senza pietà la sconfitta dei partiti progressisti, di quei partiti che sono portatori di valori di civiltà , di quelli che propugnano la libertà e la democrazia.
È mancata una vera alternativa al trionfo del populismo leghista, e si è lasciata molta parte dell’elettorato italiano senza rappresentanza, quella rappresentanza che è di fatto la vera perdente di queste elezioni, mentre il vincitore è il populismo peggiore, quello che sollecita gli istinti e che persegue una fuorviante semplificazione demagogica, piuttosto che il richiamo alla ragione e ai valori della libertà , della democrazia, della solidarietà .
Non resta che ricominciare da zero tra le macerie di chi non rinunzia ai contenuti della sinistra, anche tra i 5 Stelle disillusi, il cui tentativo va compreso a partire dalla deludente offerta politica della attuale sinistra, senza demonizzazioni.
Serve un nuovo soggetto politico capace di valorizzare base, iscritti, formazione e cultura politica, nonchè la partecipazione costruito su regole interne democratiche che permettano il dissenso e il confronto, senza frammentazione elettorale, nè capi politici intoccabili in conflitto d’interessi ed arroccati in un verticismo assoluto inaccettabile in democrazia.
In particolare, per il Movimento 5 Stelle, è necessaria subito una seria riflessione, che porti anche a riaprire lo statuto e i regolamenti interni alla democrazia, tornando ai valori originari attraverso un rapporto vero con i cittadini e gli elettori – che non può essere garantito certo dalla Piattaforma Rousseau – e libero di esprimersi, senza timore degli attuali strumenti di coercizione e punizione che colpisce chiunque si disallinei.
Non è una postilla di un contratto, ma è l’articolo 49 della Costituzione che prevede e impone il metodo democratico nella gestione di un partito, o di un movimento politico. E l’espressione “metodo democratico” non sta a indicare solamente maggioranza e minoranza, ma anche e soprattutto rispetto delle idee di tutti, e quindi discussione libera e libera espressione dell’eventuale dissenso; non è davvero pensabile che si parli sempre di democrazia verso l’esterno e non la si attui mai al proprio interno.
Dunque, le stesse macerie del Movimento possono essere utilizzate per ricostruire, ma se di queste macerie gli attuali dirigenti del partito credono di essere i padroni assoluti, allora non sarà possibile fare altro che rimuoverle e la responsabilità della dispersione del patrimonio di idee e d’impegno non potrà che ricadere su questi ostinati e ciechi nocchieri votati al disastro.
Si tratta di scelte difficili e anche dolorose, ma è necessario procedere con decisione e coraggio per poter contrastare efficacemente la politica della destra rappresentata da Salvini. Una politica che sta attuando una secessione di fatto messa in atto dal progetto di autonomia differenziata, vero cardine del “salvinismo”.
Con questo progetto si intende attuare un processo autonomistico del tutto privo di regole, disomogeneo tra le varie parti del nostro Paese; un progetto che intende svuotare di fatto il senso della dizione che apre l’articolo 5 della Costituzione (“La Repubblica una e indivisibile (…)”, rendendolo un non senso, minando nel contempo ogni concetto di solidarietà e disgregando l’unità dello Stato.
La scissione del Paese rischia, quindi, di divenire ancora più profonda di quanto già oggi fotografino i risultati elettorali, che indicano l’esistenza di “due Italie”, una – quella del Centro-Nord, a trazione leghista, e una, il Sud, nella quale la Lega segnala la sua presenza, ma non sfonda.
Si tratta di una vera emergenza nazionale che deve trovare pronte alla sfida tutte le forze progressiste, in primo luogo un Movimento Cinque Stelle rigenerato e democratizzato al suo interno.
Non si tratta di un cammino facile, ma è indispensabile iniziare subito. Ancora oggi, infatti, è valido il pensiero di Antonio Gramsci:
“Mi sono convinto che anche quando tutto sembra perduto bisogna mettersi tranquillamente all’opera ricominciando dall’inizio” (Lettera dal carcere di Antonio Gramsci al fratello Carlo del 12 settembre 1927).
Gregorio De Falco
argomento: governo | Commenta »
Maggio 28th, 2019 Riccardo Fucile
DA TEMPO IL GOVERNATORE DELLA LIGURIA, PER MANTENERE LA POLTRONA (L’ANNO PROSSIMO SI VOTA) TRAMA CON LA MELONI PER FARE DA RUOTA DI SCORTA DI SALVINI E CREARE UNA SCISSIONE IN FORZA ITALIA
Nel giorno del ritorno a Bruxelles, Silvio Berlusconi attacca il governatore della Liguria, pronosticandogli “l’invisibilità politica” se lascerà Forza Italia.
“Ha dei suoi sentieri personali che a mio parere non porteranno da nessuna parte”, ha ammonito il leader azzurro.
“Tutti coloro che sono usciti da Forza Italia si sono condannati all’invisibilità ”, ha risposto ai giornalisti che lo attendevano davanti all’hotel della capitale belga dove si sono riuniti i leader popolari
Proprio oggi Toti aveva rilasciato un’intervista a un giornale locale:
Quale sarà la sua prossima mossa?
«Lanciare una grande costituente che possa riunire, in un’unica casa, chi è di Forza Italia e vorrà partecipare e tutti quei movimenti o personalità che abbiamo perso per strada nell’ultimo anno mentre, da solo, gridavo al vento che così ci saremmo schiantati».
A chi pensa
«Penso a sindaci, consiglieri regionali, parlamentari che arrivano da Lombardia, Veneto, Piemonte, Puglia, Campania, Marche, Sicilia. E poi ai ragazzi delle civiche in Emilia Romagna, agli arancioni in Liguria, ai tanti che abbiamo perduto in questi anni. Troppi per nominarli tutti.
Toti, che in campagna elettorale per le Europee sembrava più un esponente di FdI, da tempo opera in stretto connubio con la Meloni e Salvini per “svuotare” Forza Italia di esponenti locali e portarli alla corte sovranista.
In cambio di un appoggio alla sua candidatura per le elezioni regionali, in programma il prossimo anno.
(da agenzie)
argomento: Forza Italia | Commenta »
Maggio 28th, 2019 Riccardo Fucile
QUANDO LA LEZZI DICEVA CHE BISOGNAVA DIFENDERSI NEL PROCESSO E NON OSTACOLARE IL CORSO DELLA MAGISTRATURA
«Il Movimento 5 Stelle è sempre stato di un’opinione, che è meglio difendersi non ostacolare quello che è il corso della magistratura aggrappandosi all’immunità parlamentare».
Così parlava il 28 gennaio 2019 ad Agorà la Ministro del Sud Barbara Lezzi. Il tema era quello dell’autorizzazione a procedere nei confronti di Matteo Salvini per il “caso Diciotti“.
Come è noto il M5S ha deciso di salvare il ministro dell’Interno ma questo — ripetevano ovunque i pentastellati — non cambiava nulla perchè i valori del MoVimento rimanevano gli stessi.
Le cose però sono un po’ diverse da come le raccontava la ministra.
Perchè proprio la Lezzi è stata querelata per diffamazione da un ex attivista del MoVimento 5 Stelle.
Naturalmente la vicenda non ha nulla a che vedere con quella di Salvini nè tanto meno con il “caso Siri”.
Infine, in base al Codice Etico del M5S, i cosiddetti reati d’opinione (come appunto la diffamazione) godono di un trattamento diverso.
Fatte queste premesse torniamo alla storia della ministra Lezzi querelata. La vicenda inizia nel 2016 quando Massimo Potenza, attivista del M5S, decise di querelare l’allora senatrice Lezzi per alcune frasi pronunciate durante un incontro con gli iscritti.
Quell’incontro era una delle cosiddette “graticole”, ovvero quelle specie di “processi” con cui gli elettori del MoVimento mettevano alla prova le capacità dei candidati e dei portavoce.
Durante quella riunione — che venne registrata — la senatrice Lezzi parlando di Potenza avrebbe pronunciato frasi che l’ex attivista ha ritenuto diffamatorie.
Dopo la fase di indagine il PM ha deciso di procedere in giudizio contro la Lezzi, che nel frattempo era diventata ministro. Ed è qui che iniziano i problemi.
Perchè la ministra non si è mai presentata, giustificandosi con il legittimo impedimento. Per questo motivo il giudice di pace non ha mai potuto aprire il dibattimento.
Il 26 marzo scorso l’avvocato difensore della ministra ha rilevato l’insindacabilità in base all’articolo 68 della Costituzione, quello che sancisce che «i membri del Parlamento non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell’esercizio delle loro funzioni» chiedendo di prosciogliere l’imputata perchè il fatto non costituisce reato o in alternativa di inviare gli atti alla Giunta per le Autorizzazioni a Procedere del Senato che dovrà decidere sulla sussistenza dell’insindacabilità delle opinioni espresse dalla Lezzi in quella che era una riunione interna al partito.
Al di là di come proseguirà la vicenda processuale emerge però come la Lezzi stia facendo l’esatto contrario di quello che diceva fosse l’opinione del M5S vale a dire “difendersi nel processo” invece che aggrapparsi all’immunità parlamentare o, in questo caso, all’insindacabilità delle opinioni espresse dai membri della Camera e del Senato nell’esercizio delle loro funzioni.
Senza dubbio la ministra ha tutto il diritto di appellarsi all’articolo 68 della Costituzione, e magari verrà riconosciuto che definire “gentaglia” o persona “caratterizzata da infamia, menzogna e insulto” un privato cittadino è lecito se lo si fa da Senatore della Repubblica. Rimane però il dato: quando Barbara Lezzi viene querelata per diffamazione si nasconde dietro uno dei tanti privilegi della “Casta”.
(da “NextQuotidiano”)
argomento: la casta | Commenta »
Maggio 28th, 2019 Riccardo Fucile
LA SENTENZA DEL TRIBUNALE DI FIRENZE PER IL CITTADINO SOMALO CHE AVEVA FATTO RICHIESTA A SCANDICCI
Il Tribunale di Firenze ha respinto il reclamo del Ministero dell’Interno che aveva impugnato la decisione di un giudice che ha autorizzato un somalo richiedente asilo a presentare domanda di iscrizione all’anagrafe al Comune di Scandicci.
Comune che aveva rifiutato l’iscrizione basandosi sulle recenti norme del ‘Decreto sicurezza’.
Era la prima sentenza di questo genere seguita, poi, da altre decisioni dei Tribunali di Bologna e Genova. Il ricorso del Ministero è dello scorso marzo.
Il Tribunale di Firenze ha confermato il primo verdetto, scaturito dal ricorso dell’avvocato Noris Morandi dell’Associazione studi giuridici sull’immigrazione, bocciando il reclamo del Ministero che, secondo i giudici, non aveva “legittimazione” ad impugnare perchè non partecipò al primo grado.
“Avrebbe potuto intervenire volontariamente nel processo di prima fase, e in tal caso sarebbe stato legittimato a proporre il reclamo”, hanno scritto i giudici, chiarendo che il Viminale dovrà versare 2767 euro di spese legali allo Stato per il gratuito patrocinio del somalo.
(da agenzie)
argomento: Giustizia | Commenta »
Maggio 28th, 2019 Riccardo Fucile
ESPONENTE DEI VERDI, FAMOSO PER AVER RIFIUTATO L’INGRESSO NELLA SUA CITTA A TRUMP, DEFINITO “RIFIUTO UMANO”
Le elezioni europee hanno riservato diverse sorprese in tutta Europa: una di queste è l’elezione all’Europarlamento dell’inglese Magid Magid con i Verdi.
Rifugiato somalo di 29 anni, era già noto all’opinione pubblica locale per essere diventato il più giovane sindaco di Sheffield, nel Regno Unito.
Adesso rappresenterà il suo paese nel Parlamento europeo, tra le fila dei Verdi che hanno raggiunto un risultato decisamente positivo in queste ultime elezioni.
“L’onda verde ha spazzato l’Europa e per la prima volta è arrivata pure sulle spiagge dello Yorkshire”: questo il messaggio scritto da Magid su Twitter nella notte delle elezioni europee nel Regno Unito.
“Il nostro è solo l’inizio”, ha poi aggiunto, auspicando un aumento della presenza dei Verdi in Ue. “A Bruxelles non sarà un sogno di mezza estate, cambieremo la storia”.
Magid Magid, come detto, è il sindaco più giovane d’Inghilterra, paese in cui l’Eurodeputato dei Verdi è arrivato quando aveva solo quattro anni da Libano.
Il giovane politico si era guadagnato le pagine di diversi quotidiani internazionali “vietando” l’ingresso nella sua città , Sheffield, al presidente americano Donald Trump.
Il primo cittadino inglese aveva attaccato l’inquilino della Casa Bianca per le sue politiche in tema di immigrazione definendolo “un rifiuto umano”.
In quell’occasione aveva anche indossato un sombrero come gesto di solidarietà con il Messico e i migranti respinti alla frontiera americana dalle politiche fortemente restrittive imposte dall’Amministrazione Trump per gestire i flussi migratori provenienti dal Sud.
Magid Magid è stato eletto sindaco il 16 maggio 2018. Il neoeletto primo cittadino ha fin da subito cercato un contatto diretto con i suoi cittadini e nel corso della cerimonia di insediamento ha cercato di “svecchiare” la procedura facendo suonare la Marcia Imperiale di Star Wars.
Nel suo primo discorso da sindaco, Magid ha condannato il clima di razzismo e la xenofobia che si sta diffondendo sempre più nel paese a seguito della Brexit.
(da Tpi)
argomento: Verdi | Commenta »